tontolina
Forumer storico
Le intercettazioni fanno dimenticare il "caso Italia"
Secondo Barclays Capital siamo ormai costantemente relegati agli ultimi posti in Europa quanto a crescita. di Giuseppe Turani
Da Affari&finanza (La Repubblica)
di lunedì 23 gennaio 2006
In un recentissimo report di Barclays Capital c’è una tabellina intorno alla quale, volendo, si potrebbe far girare la prossima campagna elettorale (e che, invece, temo, girerà intorno alle intercettazioni telefoniche di questo o di quel politico). La tabellina prende in esame la crescita dei paesi dell’area euro dal 2003 al 2005 e poi avanza delle previsioni per i due anni successivi, 2006 e 2007. E il tutto è molto sconfortante. Si vede che nel 2003 solo Portogallo e Olanda sono andati peggio di noi, hanno avuto cioè una crescita più bassa. Ma l’anno dopo, nel 2004, tanto il Portogallo quanto l’Olanda si erano già ripresi e ci erano passati davanti. Poi, però, si è subito stabilita quella che potremmo definire come una sorta di “normalità europea”: L’Italia in fondo alla classifica con dietro di sé solo e soltanto il Portogallo.
Tutti gli altri ben avanti, qualcuno addirittura in misura quasi oltraggiosa: quest’anno la Spagna crescerà del 3,4 per cento contro il nostro risicato 1,4 per cento (e contro una media europea del 2,2, secondo Barclays Capital). Ma in questa sede contano poco i numeri in sé (che potranno anche essere diversi a consuntivo). Quello che conta è appunto la maledizione della “normalità europea”: con l’Italia al penultimo posto, sempre e comunque, e solo il Portogallo a chiudere la fila. Questo dato significa due cose:
1- Dice che esiste un “caso Italia”, visto che non si riesce mai a andare avanti di qualche posto (che so? Terz’ultimi), e che forse sarebbe ora di occuparsene. Cominciano magari con il non negare più (come fa la maggioranza) che qui abbiamo un problema.
2- Ma questo dato dice anche che nelle nostre disavventure c’entrano poco il buon o cattivo andamento della congiuntura. Una volta si diceva (e era vero) che l’Italia era rapida nell’imbarcare l’inflazione proveniente da fuori e lenta nello sbarcarla. Adesso si può dire che siamo lenti nel cogliere la buona congiuntura internazionale e troppo lesti nell’abbandonarla. Siamo cioè un paese dai riflessi lenti, intorpiditi. Siamo un paese che sembra muoversi a disagio nel mondo veloce e globalizzato di oggi. Un po’ frastornato. Tutto questo, naturalmente, ha a che fare con la struttura del sistema produttivo e dell’apparato burocratico, non con la psicologia. E i politici di questo dovrebbero occuparsi.
Sarebbe bello se nella campagna elettorale che è già cominciata ci spiegassero che cosa intendono fare per riportare l’Italia, se non ai primi posti in Europa, almeno a metà classifica. Ma penso che resteremo delusi. Meglio scannarsi sulle intercettazioni.
(23 gennaio 2006)
Secondo Barclays Capital siamo ormai costantemente relegati agli ultimi posti in Europa quanto a crescita. di Giuseppe Turani
Da Affari&finanza (La Repubblica)
di lunedì 23 gennaio 2006
In un recentissimo report di Barclays Capital c’è una tabellina intorno alla quale, volendo, si potrebbe far girare la prossima campagna elettorale (e che, invece, temo, girerà intorno alle intercettazioni telefoniche di questo o di quel politico). La tabellina prende in esame la crescita dei paesi dell’area euro dal 2003 al 2005 e poi avanza delle previsioni per i due anni successivi, 2006 e 2007. E il tutto è molto sconfortante. Si vede che nel 2003 solo Portogallo e Olanda sono andati peggio di noi, hanno avuto cioè una crescita più bassa. Ma l’anno dopo, nel 2004, tanto il Portogallo quanto l’Olanda si erano già ripresi e ci erano passati davanti. Poi, però, si è subito stabilita quella che potremmo definire come una sorta di “normalità europea”: L’Italia in fondo alla classifica con dietro di sé solo e soltanto il Portogallo.
Tutti gli altri ben avanti, qualcuno addirittura in misura quasi oltraggiosa: quest’anno la Spagna crescerà del 3,4 per cento contro il nostro risicato 1,4 per cento (e contro una media europea del 2,2, secondo Barclays Capital). Ma in questa sede contano poco i numeri in sé (che potranno anche essere diversi a consuntivo). Quello che conta è appunto la maledizione della “normalità europea”: con l’Italia al penultimo posto, sempre e comunque, e solo il Portogallo a chiudere la fila. Questo dato significa due cose:
1- Dice che esiste un “caso Italia”, visto che non si riesce mai a andare avanti di qualche posto (che so? Terz’ultimi), e che forse sarebbe ora di occuparsene. Cominciano magari con il non negare più (come fa la maggioranza) che qui abbiamo un problema.
2- Ma questo dato dice anche che nelle nostre disavventure c’entrano poco il buon o cattivo andamento della congiuntura. Una volta si diceva (e era vero) che l’Italia era rapida nell’imbarcare l’inflazione proveniente da fuori e lenta nello sbarcarla. Adesso si può dire che siamo lenti nel cogliere la buona congiuntura internazionale e troppo lesti nell’abbandonarla. Siamo cioè un paese dai riflessi lenti, intorpiditi. Siamo un paese che sembra muoversi a disagio nel mondo veloce e globalizzato di oggi. Un po’ frastornato. Tutto questo, naturalmente, ha a che fare con la struttura del sistema produttivo e dell’apparato burocratico, non con la psicologia. E i politici di questo dovrebbero occuparsi.
Sarebbe bello se nella campagna elettorale che è già cominciata ci spiegassero che cosa intendono fare per riportare l’Italia, se non ai primi posti in Europa, almeno a metà classifica. Ma penso che resteremo delusi. Meglio scannarsi sulle intercettazioni.
(23 gennaio 2006)