La mò
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Quando si parla di decrescita, gli economisti neoclassici liquidano sbrigativamente la questione, descrivendola come necessariamente antidemocratica. (1) Eppure i difensori del concetto di decrescita sostenibile hanno costruito la loro argomentazione proprio attorno alla priorità da accordare alla difesa della democrazia e dell'umanitarismo. Si tratta della stessa ragion d'essere di questa idea: «Se oggi non accettiamo la decrescita economica, la cui condizione è una crescita dei valori umani, corriamo tutti quanti il rischio di trovarci un domani con una decrescita imposta, insieme a una terribile regressione sociale, umana e delle nostre libertà. Più aspetteremo ad impegnarci in una decrescita sostenibile, più duro sarà lo choc connesso alla fine delle risorse e più elevato sarà il rischio di generare un regime eco-totalitario o di cadere nella barbarie».(2)
Dunque, in cosa sarebbe necessariamente antidemocratica la decrescita economica? I regimi totalitari non cercano mai di ridurre il loro apparato militare e industriale. Al contrario, per definizione la politica economica di tutti i regimi oppressivi del XX secolo (stalinismo, fascismo, nazismo, ultranazionalismo giapponese, ecc.) ha sempre avuto come fondamento lo sforzo verso la massima crescita. Dittature e ricerca del potere sono irrimediabilmente legate, indissociabili. Al contrario, la decrescita s'inscrive all’interno di una filosofia della non violenza che è per sua natura antiautoritaria. Si basa chiaramente su una volontà di non-potenza (che non è l'impotenza!). La personalità politica più vicina all’idea di decrescita (autosufficienza, semplicità volontaria) è senza dubbio Gandhi, democratico morto assassinato dopo aver combattuto per tutta la vita sistemi oppressivi. Il movimento filosofico che sostiene attualmente l'idea di decrescita economica in Francia (attraverso le riviste «Silence», «L'écologiste», «Casseurs de pub», «La ligne d'Horizon») è per l’appunto quello più vicino alle idee di Gandhi.
In un sistema democratico, inoltre, i sostenitori della crescita dovrebbero accettare di condividere gli spazi dedicati alla discussione con i difensori della sobrietà (decrescita). È questa la condizione per un reale equilibrio. La teoria della crescita, invece, occupa la totalità degli spazi disponibili. Appena i partigiani della decrescita fanno capolino, i cani da guardia abbaiano.
Un'idea che disturba
La scienza economica ha eliminato la dimensione ecologica dal suo orizzonte. Così è diventata una scienza astratta, virtuale, disgiunta dalla realtà della biosfera. Reintegrare questa dimensione fa paura: impone di rimettere in discussione duecento anni di scienza economica, dal neoliberismo al neomarxismo. Tutto il mondo delle scienze economiche è terrorizzato alla sola evocazione del nome di Nicholas Georgescu-Roegen, padre della bioeconomia e teorico della decrescita, che si è appoggiato alla fisica e alla biologia per riportare l’economia con i piedi per terra. Galileo, che aveva affermato che la Terra gira intorno al Sole, è stato condannato all’ergastolo dalla Chiesa. Georgescu-Roegen, che ha dimostrato che la Terra è finita, è stato condannato all’esilio mediatico da tutti i sostenitori del dogma economico, qualunque fosse la loro tendenza. La realtà paralizza gli economisti neoclassici, che non riescono a immaginare come uscire, senza provocare danni, dalla falsità in cui essi stessi si sono rinchiusi. Ma non è fuggendo la realtà - per quanto dura - che ci salveremo dai poteri oppressivi. Al contrario, invece, più aspetteremo ad affrontare la realtà, più sarà elevato il rischio di vedere l’affermazione di questi poteri.
Insultare piuttosto che riflettere
Quando un'idea infastidisce e ci costringe a rimetterci in discussione, una reazione umana facile e istintiva consiste nell'insultare colui che ci contraddice, come fanno gli scolaretti nei cortili, durante la ricreazione. Gli adulti occidentali, non diversamente, psichiatrizzano l’altro e, in base a un meccanismo deterministico di tipo freudiano, concludono: «Deve avare qualche problema sessuale!».
Così la decrescita è un concetto che rompe un insieme di comportamenti sociali già da tempo accettati da tutte le formazioni politiche, dall'estrema destra all'estrema sinistra. I suoi difensori saranno immancabilmente attaccati. Cosa c'è di più umano che insultare un interlocutore fastidioso, piuttosto che rimettersi in discussione? «Colui, il cui pensiero è in minoranza è considerato un pazzo.» Le care vecchie reazioni istintive hanno la pelle dura e perdurano così sotto altre forme, in un nuovo contesto.
Un'aspirazione inconscia
Lo sviluppo sostenibile è inteso come un approccio prima di tutto tecnologico all'ecologia. Sotto questo aspetto risponde perfettamente all’ideologia dominante, che ha sacralizzato la scienza. «Poiché l'uomo non può vivere senza il sacro, ristabilisce il suo senso del sacro proprio su ciò che ha distrutto tutto quello che ne costituiva l’oggetto: sulla tecnica. (3) “Sviluppo sostenibile”, “ecologia industriale”, “crescita verde”, “produzione pulita” sono tutti termini contraddittori che rivelano l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla problematica dell’ecologia. Credendo nell'onnipotenza della tecnica, sia essa scientifica o economica, l'uomo occidentale cerca come rimedio ciò che causa la sua malattia. «Solo il massimo della tecnologia permette di ridurre il più possibile l'inquinamento» era lo slogan di una pubblicità per la Smart. (4) Sulla scienza, fondata sul dubbio, si è innestata l'ideologia scientista, vero e proprio nuovo oscurantismo. Per un'opinione pubblica largamente condizionata, rimettere in discussione la capacità della tecnica di risolvere i problemi ambientali e sociali, diviene un comportamento veramente blasfemo. […]Conviene quindi operare per la salvezza dell'eretico posseduto dal demonio.
Al contrario, il concetto di decrescita sostenibile evidenzia la necessità di una risposta che sia prima di tutto filosofica, politica e culturale, la necessità di riconsiderare la scienza come un mezzo. Su questo piano essa va a scontrarsi direttamente con la nostra ideologia dominante. Il desiderio di gettare discredito con ogni mezzo possibile ad una aspirazione, quasi sempre inconscia, profondamente inscritta nel cuore dell'individuo e della nostra civiltà.
Gli economisti non sono più semidei
Il concetto di decrescita conduce inevitabilmente a sottrarsi all'economicismo, cioè a ricondurre l'economia al suo posto nella scala dei valori. Non spetta certo all'economia dettare la propria logica all'uomo. Essa è un mezzo e non un fine. Il suo primato sulla nostra civiltà è assurdo. Poiché la nostra società ha elevato la scienza ad essere supremo, la “scienza economica” è diventata religione; il suo tempio è la Borsa e gli economisti costituiscono la casta dei sommi sacerdoti. Se pare sicuramente difficile che l'opinione pubblica possa sottrarsi al terribile condizionamento di questa ideologia dominante, che dire mai di coloro per i quali “decrescere” significa decadere dal proprio status di semidei? Saranno evidentemente pronti a tutto pur di conservare i propri privilegi; pronti, in primo luogo, a trattare da fascisti quelli che chiederanno loro di restituire un potere usurpato alla democrazia. […]
Una soluzione tecnica ad un problema filosofico
Gli studi di Nicholas Georgescu-Roegen, e al suo seguito numerose altre pubblicazioni, hanno messo in evidenza l'impossibilità di una “crescita verde”, “pulita” o “sostenibile” L’economista rumeno-americano ha evidenziato i vicoli ciechi della dematerializzazione dell'economia, i limiti del riciclaggio e i loro effetti perversi. Nonostante queste dimostrazioni, gli economisti ortodossi concludono che l'unica soluzione rimane all’interno del paradigma ortodosso.
Dobbiamo quindi dedurre, come afferma Kenneth Boulding, che «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista?»
Nella pratica (5) la crescita conduce inesorabilmente a un aumento dei prelievi di capitale naturale. Un esempio semplice è dato dall'avvento dell'informatica che ha suscitato, negli economisti neoclassici, grandi speranze per la salvaguardia dell'ambiente. La trasmissione di informazioni per mezzo di impulsi elettronici avrebbe dovuto portare a una riduzione del consumo di carta, e di conseguenza a ridurre il prelievo di risorse naturali (riducendo i diversi tipi di inquinamento dovuti alla fabbricazione della carta). Ciò che si è verificato è tuttavia il contrario: il consumo di carta è decuplicato. La facilità nella creazione dei documenti produce un'inflazione della loro produzione. A questo si aggiunge l'inquinamento dovuto alla fabbricazione, al funzionamento e allo smaltimento dei computers e dei loro accessori. Si tratta dell’effetto rimbalzo. (6) Sono finiti i tempi della consapevolezza della preziosità del foglio bianco, sul quale si faceva il maggior numero di cancellature prima di cestinarlo.
Cosa è successo? È stata applicata una soluzione tecnica a un problema filosofico. Ogni qual volta viene data una risposta inadeguata a un problema, questo risulta amplificato. Le conseguenze si pagano sia nell’immediato, sia in seguito e, qualora si cerchi di occultarle, il conto sarà ancora più salato. E più forte sarà la crisi, più reale sarà il rischio di veder sorgere poteri autoritari.
Radicalismo non significa estremismo
Un’altra accusa ricorrente contro i sostenitori della decrescita è di essere radicali, cioè degli estremisti, dei fautori di un’idea potenzialmente autoritaria. Ma che cos’è il radicalismo nel senso da noi inteso? Significa andare alla radice dei problemi, rifiutare un approccio puramente superficiale. Il radicalismo non è inesorabilmente estremismo. Si tratta di ritornare all'essere umano, alla filosofia, al senso della vita; si tratta di comprendere l’essere umano in tutte le sue dimensioni. Senza tale riflessione siamo condannati a una visione riduttiva e regressiva dell’uomo, a non vederlo se non come un consumatore, un tubo digerente, un ingranaggio della macchina economica.
Nell’eccellente opera di Jean-Luc Porquet - Jacques Ellul, l'uomo che aveva previsto quasi tutto (7) - Dominique Bourg, difensore dello sviluppo sostenibile e dell'ecologia industriale, dichiara che «il radicalismo è una forma di malattia del pensiero» e afferma di «sapere che il proprio agire non serve a fini puramente narcisistici». Qualificando come malato mentale colui che contraddice il suo pensiero, Dominique Bourg svela un aspetto totalitario del proprio funzionamento psicologico. In effetti, l’incapacità ad ammettere la contraddizione e il desiderio di psichiatrizzare il dissidente, costituiscono due atteggiamenti che rivelano una tendenza totalitaria, individuale o collettivo, e sarà immancabilmente fascista o traditore. Intellettuali come Alain Finkielkraut o Luc Ferry seguono lo stesso procedimento. Qualunque pensiero radicale è qualificato come estremista, qualunque proposito forte, non superficiale è subito tacciato di oltranzismo, chi li trasmette soffre necessariamente di una patologia. In riferimento a questo modo di attaccare l’altro, Jacques Ellul parlava di “uomo totalitario con posizione democratica”. L'unico approccio accettato è quello superficiale. La condizione necessaria per far sì che il sistema “regga” è quello di evitare qualunque reale messa in discussione, in particolare dello status dell’intellettuale mediatico. Non osiamo immaginare gli epiteti che Gesù o il Cirano di Bergerac di Rostand, potrebbero subire da parte di questo tipo di intellettuali: sicuramente sarebbero considerati “pericolosi estremisti e terroristi”.
Una contestazione forzata
Così, la contestazione finisce per divenire inutile e per rinforzare quello stesso sistema che è alla base della nostra autodistruzione (il consumatore critico può essere un consum-attore, ma non deve rivendicare il suo status di essere umano; il capitalismo deve diventare “commercio equo e solidale”; lo spreco di risorse e la schiavitù economica vengono consacrati allo “sviluppo sostenibile”).
Il diktat del “ideologia di mercato”
Sarebbe un errore pensare che il diktat venga unicamente dalla sfera politica. Il totalitarismo assume sempre nuove forme per assoggettarci meglio. Quello che oggi ci minaccia è stato descritto molto bene da Aldous Huxley: «Le vecchie forme pittoresche - elezioni, Parlamento, Suprema Corte di Giustizia – verranno mantenute, ma come sostanza vi sarà una nuova forma surrettizia di totalitarismo non violento.» (8). Il nuovo diktat è quello della finanza, pensiero debole che si esprime in nome della libertà e che impedisce all’uomo di andare alla sua essenza, alla sua coscienza, a ciò che fa di lui un essere umano.
Sotto l’apparenza di una falsa moderazione, la violenza di questa logica è estrema: solamente l'abbrutimento nel consumismo, la televisione o i neurolettici permettono la sopravvivenza. La saggezza si confonde con la sottomissione, la ricerca dell’equilibrio con il nichilismo. Gli pseudo-difensori della democrazia giungono, il più delle volte a loro insaputa, a diventare i guardiani più servili della tirannia. (9)
Decrescita vuol dire obbligare a maggior democrazia
Tuttavia, il rischio di una decrescita imposta rimane. Lester Brown, ex presidente del Worldwatch Institute, immagina tutto questo come un’economia di guerra. (10). Ma si tratta necessariamente di questo? Certo è tipico di tutte le idee che si fossilizzano, che non ammettono contraddizioni, produrre ideologie che a loro volta genereranno sistemi autoritari. I deliri e le fantasie d’onnipotenza della tecnoscienza ci condurranno con ogni probabilità al Brave New World di Huxley. Dominique Bourg accetta già la possibilità di modificare il genoma umano per rendere l’uomo resistente alle radiazioni dovute alla diminuzione dello strato di ozono. (11) Possiamo affermare che il concetto di decrescita sostenibile, fondato sulla semplicità volontaria e sull’umiltà, porta in sé i geni della dittatura in minor misura rispetto ai sistemi ideologici fondati sulla ricerca della potenza, in cui questi stessi geni più spesso sono latenti. Inoltre, quest’idea impone di risituare il potere, richiama gli individui alle loro responsabilità, aiuta a «reintrodurre il sociale e il politico nei rapporti di scambio economico, a ritrovare l'obiettivo del bene comune e della ben-vivere nello scambio sociale». (12) La decrescita costringe anche a distinguere tra la risposta istituzionale e la risposta militante, quindi a prendere coscienza che non possiamo avere in mano l’intera soluzione al problema: anche questo è antitotalitarismo.
Le questioni di grande rilevanza sono anche quelle più difficili, insidiose, ed è per questo che bisogna essere sempre vigili nel momento in cui le si affronta. Il pericolo maggiore, però, sta nel rifiuto di affrontarle, nella fuga davanti ai rischi. Non è vivendo nella menzogna che riusciremo a salvarci. Un approccio che si limitasse a considerare tali problemi in modo superficiale, produrrebbe inesorabilmente il caos e dunque il rischio crescente del totalitarismo.
note:
* Vincent Cheynet è attualmente direttore del giornale «La Décroissance. Le journal de la joie de vivre» e animatore della rivista «Casseurs de Pub».
1 Jacques Généreux, Le développement est-il soutenable?, in Alternatives économiques, settembre 2002.
2 Bruno Clémentin e Vincent Cheynet, La décroissance soutenable, in «Silence» n. 280.
3 Jean-Luc Porquet, Jacques Ellul, l'homme qui avait presque tout prévu, Editions le cherche midi.
4 La pubblicità è il vettore dell'ideologia dominante. Quest'ultima riproduce, nel cuore stesso della società, la sua logica antidemocratica. La pubblicità 'psichiatrizza' i suoi dissidenti qualificandoli implicitamente il più delle volte di 'malati mentali'. Ma qualche volta lo fa esplicitamente, come un'associazione di agenzia di consigli in comunicazione che qualche anno fa descriveva, attraverso una campagna pubblicitaria, la pubblifobia come una 'malattia' (mentale). Il termine pubblifobia è stato creato dai pubblicitari: una fobia è una patologia.
5 Anche restando nella pura teoria, una crescita completamente dematerializzata si rivela del tutto impossibile. In effetti essa porta ad un'accelerazione infinita degli scambi finché l'umano si stacca. Un fenomeno che esiste già nelle nostre società, in cui l'accelerazione temporale prodotta dal sistema Tecnico scaraventa fuori i più deboli di noi, incapaci di seguire un ritmo sempre meno umano e naturale.
grazie x la gentile attenzione
Dunque, in cosa sarebbe necessariamente antidemocratica la decrescita economica? I regimi totalitari non cercano mai di ridurre il loro apparato militare e industriale. Al contrario, per definizione la politica economica di tutti i regimi oppressivi del XX secolo (stalinismo, fascismo, nazismo, ultranazionalismo giapponese, ecc.) ha sempre avuto come fondamento lo sforzo verso la massima crescita. Dittature e ricerca del potere sono irrimediabilmente legate, indissociabili. Al contrario, la decrescita s'inscrive all’interno di una filosofia della non violenza che è per sua natura antiautoritaria. Si basa chiaramente su una volontà di non-potenza (che non è l'impotenza!). La personalità politica più vicina all’idea di decrescita (autosufficienza, semplicità volontaria) è senza dubbio Gandhi, democratico morto assassinato dopo aver combattuto per tutta la vita sistemi oppressivi. Il movimento filosofico che sostiene attualmente l'idea di decrescita economica in Francia (attraverso le riviste «Silence», «L'écologiste», «Casseurs de pub», «La ligne d'Horizon») è per l’appunto quello più vicino alle idee di Gandhi.
In un sistema democratico, inoltre, i sostenitori della crescita dovrebbero accettare di condividere gli spazi dedicati alla discussione con i difensori della sobrietà (decrescita). È questa la condizione per un reale equilibrio. La teoria della crescita, invece, occupa la totalità degli spazi disponibili. Appena i partigiani della decrescita fanno capolino, i cani da guardia abbaiano.
Un'idea che disturba
La scienza economica ha eliminato la dimensione ecologica dal suo orizzonte. Così è diventata una scienza astratta, virtuale, disgiunta dalla realtà della biosfera. Reintegrare questa dimensione fa paura: impone di rimettere in discussione duecento anni di scienza economica, dal neoliberismo al neomarxismo. Tutto il mondo delle scienze economiche è terrorizzato alla sola evocazione del nome di Nicholas Georgescu-Roegen, padre della bioeconomia e teorico della decrescita, che si è appoggiato alla fisica e alla biologia per riportare l’economia con i piedi per terra. Galileo, che aveva affermato che la Terra gira intorno al Sole, è stato condannato all’ergastolo dalla Chiesa. Georgescu-Roegen, che ha dimostrato che la Terra è finita, è stato condannato all’esilio mediatico da tutti i sostenitori del dogma economico, qualunque fosse la loro tendenza. La realtà paralizza gli economisti neoclassici, che non riescono a immaginare come uscire, senza provocare danni, dalla falsità in cui essi stessi si sono rinchiusi. Ma non è fuggendo la realtà - per quanto dura - che ci salveremo dai poteri oppressivi. Al contrario, invece, più aspetteremo ad affrontare la realtà, più sarà elevato il rischio di vedere l’affermazione di questi poteri.
Insultare piuttosto che riflettere
Quando un'idea infastidisce e ci costringe a rimetterci in discussione, una reazione umana facile e istintiva consiste nell'insultare colui che ci contraddice, come fanno gli scolaretti nei cortili, durante la ricreazione. Gli adulti occidentali, non diversamente, psichiatrizzano l’altro e, in base a un meccanismo deterministico di tipo freudiano, concludono: «Deve avare qualche problema sessuale!».
Così la decrescita è un concetto che rompe un insieme di comportamenti sociali già da tempo accettati da tutte le formazioni politiche, dall'estrema destra all'estrema sinistra. I suoi difensori saranno immancabilmente attaccati. Cosa c'è di più umano che insultare un interlocutore fastidioso, piuttosto che rimettersi in discussione? «Colui, il cui pensiero è in minoranza è considerato un pazzo.» Le care vecchie reazioni istintive hanno la pelle dura e perdurano così sotto altre forme, in un nuovo contesto.
Un'aspirazione inconscia
Lo sviluppo sostenibile è inteso come un approccio prima di tutto tecnologico all'ecologia. Sotto questo aspetto risponde perfettamente all’ideologia dominante, che ha sacralizzato la scienza. «Poiché l'uomo non può vivere senza il sacro, ristabilisce il suo senso del sacro proprio su ciò che ha distrutto tutto quello che ne costituiva l’oggetto: sulla tecnica. (3) “Sviluppo sostenibile”, “ecologia industriale”, “crescita verde”, “produzione pulita” sono tutti termini contraddittori che rivelano l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla problematica dell’ecologia. Credendo nell'onnipotenza della tecnica, sia essa scientifica o economica, l'uomo occidentale cerca come rimedio ciò che causa la sua malattia. «Solo il massimo della tecnologia permette di ridurre il più possibile l'inquinamento» era lo slogan di una pubblicità per la Smart. (4) Sulla scienza, fondata sul dubbio, si è innestata l'ideologia scientista, vero e proprio nuovo oscurantismo. Per un'opinione pubblica largamente condizionata, rimettere in discussione la capacità della tecnica di risolvere i problemi ambientali e sociali, diviene un comportamento veramente blasfemo. […]Conviene quindi operare per la salvezza dell'eretico posseduto dal demonio.
Al contrario, il concetto di decrescita sostenibile evidenzia la necessità di una risposta che sia prima di tutto filosofica, politica e culturale, la necessità di riconsiderare la scienza come un mezzo. Su questo piano essa va a scontrarsi direttamente con la nostra ideologia dominante. Il desiderio di gettare discredito con ogni mezzo possibile ad una aspirazione, quasi sempre inconscia, profondamente inscritta nel cuore dell'individuo e della nostra civiltà.
Gli economisti non sono più semidei
Il concetto di decrescita conduce inevitabilmente a sottrarsi all'economicismo, cioè a ricondurre l'economia al suo posto nella scala dei valori. Non spetta certo all'economia dettare la propria logica all'uomo. Essa è un mezzo e non un fine. Il suo primato sulla nostra civiltà è assurdo. Poiché la nostra società ha elevato la scienza ad essere supremo, la “scienza economica” è diventata religione; il suo tempio è la Borsa e gli economisti costituiscono la casta dei sommi sacerdoti. Se pare sicuramente difficile che l'opinione pubblica possa sottrarsi al terribile condizionamento di questa ideologia dominante, che dire mai di coloro per i quali “decrescere” significa decadere dal proprio status di semidei? Saranno evidentemente pronti a tutto pur di conservare i propri privilegi; pronti, in primo luogo, a trattare da fascisti quelli che chiederanno loro di restituire un potere usurpato alla democrazia. […]
Una soluzione tecnica ad un problema filosofico
Gli studi di Nicholas Georgescu-Roegen, e al suo seguito numerose altre pubblicazioni, hanno messo in evidenza l'impossibilità di una “crescita verde”, “pulita” o “sostenibile” L’economista rumeno-americano ha evidenziato i vicoli ciechi della dematerializzazione dell'economia, i limiti del riciclaggio e i loro effetti perversi. Nonostante queste dimostrazioni, gli economisti ortodossi concludono che l'unica soluzione rimane all’interno del paradigma ortodosso.
Dobbiamo quindi dedurre, come afferma Kenneth Boulding, che «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista?»
Nella pratica (5) la crescita conduce inesorabilmente a un aumento dei prelievi di capitale naturale. Un esempio semplice è dato dall'avvento dell'informatica che ha suscitato, negli economisti neoclassici, grandi speranze per la salvaguardia dell'ambiente. La trasmissione di informazioni per mezzo di impulsi elettronici avrebbe dovuto portare a una riduzione del consumo di carta, e di conseguenza a ridurre il prelievo di risorse naturali (riducendo i diversi tipi di inquinamento dovuti alla fabbricazione della carta). Ciò che si è verificato è tuttavia il contrario: il consumo di carta è decuplicato. La facilità nella creazione dei documenti produce un'inflazione della loro produzione. A questo si aggiunge l'inquinamento dovuto alla fabbricazione, al funzionamento e allo smaltimento dei computers e dei loro accessori. Si tratta dell’effetto rimbalzo. (6) Sono finiti i tempi della consapevolezza della preziosità del foglio bianco, sul quale si faceva il maggior numero di cancellature prima di cestinarlo.
Cosa è successo? È stata applicata una soluzione tecnica a un problema filosofico. Ogni qual volta viene data una risposta inadeguata a un problema, questo risulta amplificato. Le conseguenze si pagano sia nell’immediato, sia in seguito e, qualora si cerchi di occultarle, il conto sarà ancora più salato. E più forte sarà la crisi, più reale sarà il rischio di veder sorgere poteri autoritari.
Radicalismo non significa estremismo
Un’altra accusa ricorrente contro i sostenitori della decrescita è di essere radicali, cioè degli estremisti, dei fautori di un’idea potenzialmente autoritaria. Ma che cos’è il radicalismo nel senso da noi inteso? Significa andare alla radice dei problemi, rifiutare un approccio puramente superficiale. Il radicalismo non è inesorabilmente estremismo. Si tratta di ritornare all'essere umano, alla filosofia, al senso della vita; si tratta di comprendere l’essere umano in tutte le sue dimensioni. Senza tale riflessione siamo condannati a una visione riduttiva e regressiva dell’uomo, a non vederlo se non come un consumatore, un tubo digerente, un ingranaggio della macchina economica.
Nell’eccellente opera di Jean-Luc Porquet - Jacques Ellul, l'uomo che aveva previsto quasi tutto (7) - Dominique Bourg, difensore dello sviluppo sostenibile e dell'ecologia industriale, dichiara che «il radicalismo è una forma di malattia del pensiero» e afferma di «sapere che il proprio agire non serve a fini puramente narcisistici». Qualificando come malato mentale colui che contraddice il suo pensiero, Dominique Bourg svela un aspetto totalitario del proprio funzionamento psicologico. In effetti, l’incapacità ad ammettere la contraddizione e il desiderio di psichiatrizzare il dissidente, costituiscono due atteggiamenti che rivelano una tendenza totalitaria, individuale o collettivo, e sarà immancabilmente fascista o traditore. Intellettuali come Alain Finkielkraut o Luc Ferry seguono lo stesso procedimento. Qualunque pensiero radicale è qualificato come estremista, qualunque proposito forte, non superficiale è subito tacciato di oltranzismo, chi li trasmette soffre necessariamente di una patologia. In riferimento a questo modo di attaccare l’altro, Jacques Ellul parlava di “uomo totalitario con posizione democratica”. L'unico approccio accettato è quello superficiale. La condizione necessaria per far sì che il sistema “regga” è quello di evitare qualunque reale messa in discussione, in particolare dello status dell’intellettuale mediatico. Non osiamo immaginare gli epiteti che Gesù o il Cirano di Bergerac di Rostand, potrebbero subire da parte di questo tipo di intellettuali: sicuramente sarebbero considerati “pericolosi estremisti e terroristi”.
Una contestazione forzata
Così, la contestazione finisce per divenire inutile e per rinforzare quello stesso sistema che è alla base della nostra autodistruzione (il consumatore critico può essere un consum-attore, ma non deve rivendicare il suo status di essere umano; il capitalismo deve diventare “commercio equo e solidale”; lo spreco di risorse e la schiavitù economica vengono consacrati allo “sviluppo sostenibile”).
Il diktat del “ideologia di mercato”
Sarebbe un errore pensare che il diktat venga unicamente dalla sfera politica. Il totalitarismo assume sempre nuove forme per assoggettarci meglio. Quello che oggi ci minaccia è stato descritto molto bene da Aldous Huxley: «Le vecchie forme pittoresche - elezioni, Parlamento, Suprema Corte di Giustizia – verranno mantenute, ma come sostanza vi sarà una nuova forma surrettizia di totalitarismo non violento.» (8). Il nuovo diktat è quello della finanza, pensiero debole che si esprime in nome della libertà e che impedisce all’uomo di andare alla sua essenza, alla sua coscienza, a ciò che fa di lui un essere umano.
Sotto l’apparenza di una falsa moderazione, la violenza di questa logica è estrema: solamente l'abbrutimento nel consumismo, la televisione o i neurolettici permettono la sopravvivenza. La saggezza si confonde con la sottomissione, la ricerca dell’equilibrio con il nichilismo. Gli pseudo-difensori della democrazia giungono, il più delle volte a loro insaputa, a diventare i guardiani più servili della tirannia. (9)
Decrescita vuol dire obbligare a maggior democrazia
Tuttavia, il rischio di una decrescita imposta rimane. Lester Brown, ex presidente del Worldwatch Institute, immagina tutto questo come un’economia di guerra. (10). Ma si tratta necessariamente di questo? Certo è tipico di tutte le idee che si fossilizzano, che non ammettono contraddizioni, produrre ideologie che a loro volta genereranno sistemi autoritari. I deliri e le fantasie d’onnipotenza della tecnoscienza ci condurranno con ogni probabilità al Brave New World di Huxley. Dominique Bourg accetta già la possibilità di modificare il genoma umano per rendere l’uomo resistente alle radiazioni dovute alla diminuzione dello strato di ozono. (11) Possiamo affermare che il concetto di decrescita sostenibile, fondato sulla semplicità volontaria e sull’umiltà, porta in sé i geni della dittatura in minor misura rispetto ai sistemi ideologici fondati sulla ricerca della potenza, in cui questi stessi geni più spesso sono latenti. Inoltre, quest’idea impone di risituare il potere, richiama gli individui alle loro responsabilità, aiuta a «reintrodurre il sociale e il politico nei rapporti di scambio economico, a ritrovare l'obiettivo del bene comune e della ben-vivere nello scambio sociale». (12) La decrescita costringe anche a distinguere tra la risposta istituzionale e la risposta militante, quindi a prendere coscienza che non possiamo avere in mano l’intera soluzione al problema: anche questo è antitotalitarismo.
Le questioni di grande rilevanza sono anche quelle più difficili, insidiose, ed è per questo che bisogna essere sempre vigili nel momento in cui le si affronta. Il pericolo maggiore, però, sta nel rifiuto di affrontarle, nella fuga davanti ai rischi. Non è vivendo nella menzogna che riusciremo a salvarci. Un approccio che si limitasse a considerare tali problemi in modo superficiale, produrrebbe inesorabilmente il caos e dunque il rischio crescente del totalitarismo.
note:
* Vincent Cheynet è attualmente direttore del giornale «La Décroissance. Le journal de la joie de vivre» e animatore della rivista «Casseurs de Pub».
1 Jacques Généreux, Le développement est-il soutenable?, in Alternatives économiques, settembre 2002.
2 Bruno Clémentin e Vincent Cheynet, La décroissance soutenable, in «Silence» n. 280.
3 Jean-Luc Porquet, Jacques Ellul, l'homme qui avait presque tout prévu, Editions le cherche midi.
4 La pubblicità è il vettore dell'ideologia dominante. Quest'ultima riproduce, nel cuore stesso della società, la sua logica antidemocratica. La pubblicità 'psichiatrizza' i suoi dissidenti qualificandoli implicitamente il più delle volte di 'malati mentali'. Ma qualche volta lo fa esplicitamente, come un'associazione di agenzia di consigli in comunicazione che qualche anno fa descriveva, attraverso una campagna pubblicitaria, la pubblifobia come una 'malattia' (mentale). Il termine pubblifobia è stato creato dai pubblicitari: una fobia è una patologia.
5 Anche restando nella pura teoria, una crescita completamente dematerializzata si rivela del tutto impossibile. In effetti essa porta ad un'accelerazione infinita degli scambi finché l'umano si stacca. Un fenomeno che esiste già nelle nostre società, in cui l'accelerazione temporale prodotta dal sistema Tecnico scaraventa fuori i più deboli di noi, incapaci di seguire un ritmo sempre meno umano e naturale.
grazie x la gentile attenzione