la Germania è il canarino nella miniera

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La Germania produceva a basso costo grazie a gas e petrolio dalla Russia ed esportava molto in Asia grazie alla globalizzazione. La guerra ha chiuso i rubinetti di Mosca e sin dalla pandemia i mercati sono meno aperti, tant’è che si parla di “reshoring”, cioè di rilocalizzazioni produttive.
Aumento tassi, scelta impossibile per Germania
 

I guai nascosti della Germania che devono preoccupare l’Italia​

Mauro Bottarelli

L’economia tedesca non gode di buona salute, nonostante i record del Dax. E questo deve preoccupare non poco l’Italia​

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Non so se vi siete accorti, ma da qualche settimana il dibattito europeo sconta un’assente eccellente: la Germania.
Ma niente analisi del Dax e dei suoi record, per carità.
Sono soldi sui soldi. Legittimi. Ma se servono solo per dividendi e buybacks e non per Capex e ricerca che ormai contano zero. Anzi, avvelenano i pozzi.
Forse è il caso di cominciare a dirlo. Detto questo, attenzione al primo, pesante spoiler per il nostro Paese. Perché parlando dell’outlook del comparto costruzioni tedesco, il Financial Times utilizzava l’aggettivo catastrofico. E il grafico parla chiaro: il caro-mutui determinato dall’aumento dei tassi di interesse si è sostanziato nel mese di giugno in un calo annuo dei prezzi per le case esistenti in Germania del 13,1%, peggior contrazione dall’ottobre 2004 e in ulteriore aumento dal -11,7% di maggio.
SPY FINANZA/ Dal mattone un altro rischio per l’Italia

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Ora guardate, invece, questi due altri grafici, soprattutto quello relativo al numero di unità completate e quelle in palese status di arretrato.
Un rallentamento che fa il paio con una dinamica precedente e inversa, il preventivo aumento esponenziale dei prezzi dovuto ai tassi a zero della Bce per un periodo troppo prolungato di tempo: +15% nell’ultimo anno.
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In un mondo normale, si chiama bolla.
E dovrebbe di per sé obbligare tutti – investitori, analisti e commentatori – a mettere in prospettiva di criticità quel record del Dax, a fronte di chimica e farmaceutica in caduta libera, automotive azzoppato dalla transizione green e ora edilizia in fase di stallo.
Certo, le bolle che si sgonfiano in maniera ordinata sono preferibili ai botti. Tipo subprime.
E se qualcuno si troverà a breve con un bond che di colpo varrà 60 centesimi sull’euro, fatti suoi.
Il problema è duplice. E vede l’Italia nel cono d’ombra.

Primo, la Bundesbank è chiamata a gestire una situazione che va oltre la mera recessione ciclica. Deve controllare bolle ed evitare crisi di esposizione bancaria a quel settore storicamente finanziarizzato, sia attraverso i mutui, sia per i prestiti che le aziende chiedono per iniziare i lavori, pagare il materiale e la manodopera. Quindi, in sede Bce prepariamoci a un cavallo di Frisia perennemente di traverso per sbarrare la strada verso ritorni troppo repentini a mini-cicli espansivi (magari tramite pause prolungate dei rialzi).

Secondo, la Germania ha i mezzi fiscali per intervenire su un’eventuale crisi bancaria da esposizione al settore. Così come li ha avuti a disposizione e messi in campo – da un giorno con l’altro – per tamponare la potenziale “Lehman energetica” dello scorso inverno. E può farlo senza Mes. Certo, a quel punto la ratio del debito comincerà a far evocare Weimar a qualche rigorista eccessivo e interessato al Bundestag. Ma nessun tonfo. Nessuna Credit Suisse. Forse. L’Italia ha 30 miliardi di crediti incagliati del superbonus. E non ha una soluzione di sistema per smaltirli. Di più, la stessa previsione di Pil per 2023 si basava irresponsabilmente sul boost edilizio. Ora sparito come confermato da Bankitalia.

C’è da sperare che tutto resti confinato lassù. O sarà un disastro.
E a noi il Mes servirà, invece.
Guarda caso, il superbonus entra a sorpresa nella trattativa sul Pnrr.
E nell’arco di 24 ore, la terza e quarta rata si sbloccano come per magia. O come per interessata necessità di tutti – Germania in testa – che l’Italia non venga travolta dai conti di quella follia sfascia-bilancio di cui, prima o poi, Mario Draghi dovrà dare conto al Paese.

Ma torniamo alla Germania.
In tedesco esiste un termine molto evocativo: Schadenfreude. Tradotto: godere delle disgrazie altrui. E quando la Germania scende dal piedistallo della prima della classe e finisce dietro la lavagna, in Italia quel sentimento esplode in maniera quasi pavloviana. Certo, la Bundesbank fa poco per farsi amare. Quasi nulla. Ma qui la questione è diversa. Qui cambia tutto. Il grafico parla chiaro: il Covid è stato il Big Bang. Ma il lavoro preparatorio è stato quello fondamentale. E il decouple industriale fra Germania e Usa è cominciato durante la falsa guerra commerciale che Donald Trump ha ingaggiato con la Cina a colpi di dazi e tariffe. Nulla più che un flip-flop. Ma sufficiente a schiacciare il vaso di coccio tra i due di ferro.

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Eliminare il terzo incomodo a livello economico-commerciale, ecco quale è stato il mandato con cui il tycoon è stato mandato a Pennsylvania Avenue. E la missione è riuscita.
Poi, il colpo di grazia: la crisi ucraina. Ed ecco che questi ultimi due grafici mettono la questione in prospettiva. Se da un lato gli inflows di investimenti in Germania appaiono in perenne trend negativo, fatto salvo proprio l’anno della pandemia (quando, giocoforza, il poco che si scommetteva era cautelativo), dall’altro ecco che il suicidio di un’accelerazione ingestibile dell’agenda green ha aperto il fianco anche a Est. La Cina mangia quote di mercato all’automotive tedesco, dopo che la chimica ha cominciato a perdere colpi.
Praticamente, l’endgame della locomotiva europea.

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E se Schadenfreude è la parola chiave che incorpora in sé il rischio maggiore che l’Italia corre a livello di percezione, quella che promette di designare il futuro prossimo è decisamente più inquietante: de-industrializzazione. Da costi. Da calo della produttività. Da fuga dei capitali. Da totale asservimento dell’ultimo baluardo luterano alla logica mercatista della finanza onnipotente: il Dax vola, i dividendi pure e i buybacks divengono necessari.
Tutt’intorno, una Spoon River di profit warning industriali di primo livello. Zero ricerca, zero sviluppo.
Prima di gioire delle disgrazie altrui, andiamo quindi a riguardare con lente pragmatica da imprenditore il valore dell’interscambio commerciale fra Germania e Italia.
Guardiamo al futuro dei nostri “distretti”. Guardiamo alla componentistica. Ai macchinari industriali. E pensiamo al rischio accessorio: una Germania in cerca d’autore e con un Governo in crisi nera di consensi equivale a una bestia ferita. Imprevedibile nelle reazioni. E animata unicamente dall’istinto primordiale di sopravvivenza.
Ma la Germania ha i mezzi fiscali per tentare una riconversione. Seppur da lacrime e sangue. L’Italia no.
E oltre al contrafforte teutonico che viene a mancare a livello commerciale, attenzione anche noi al fianco Est: i rapporti col partner russo sono a zero. Forse sottozero. E quelli con la Cina a fortissimo rischio di un’incrinatura senza appello.
Fossi titolare di una PMI, cercherei prima consulenti politici che crediti bancari. E lo farei decisamente in fretta. Perché quello sblocco-lampo delle due rate del Pnrr parlano chiarissimo. L’Italia è salva. Ma non gratis.
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l'avv.Sandri
 

Germania: calano ancora i prezzi alla produzione. Deflazione sempre più vicina​

 
La comprensione delle aziende tedesche nei confronti della transizione energetica sta diminuendo. (Foto: dpa)



Maggiori informazioni sull’argomento :
Transizione energetica > classe media > Crisi energetica >


Le aziende tedesche perdono sempre più fiducia nella transizione energetica e pianificano sempre più di delocalizzare la produzione all’estero. “La preoccupazione per la propria competitività non è mai stata così grande”, ha affermato martedì a Berlino il vicedirettore generale della Camera dell’industria e del commercio tedesca (DIHK), Achim Dercks.
L’associazione si è basata su un sondaggio attuale basato sulle risposte di quasi 3.600 aziende. Il 52% delle aziende ha affermato che la transizione energetica verso la neutralità climatica ha avuto effetti negativi o addirittura molto negativi sulla propria attività. Solo il 13% parla di un effetto positivo o molto positivo. Nell’industria ad alta intensità energetica ben tre quarti delle aziende si vedono influenzate negativamente o molto negativamente.
Su una scala da meno 100 a più 100 punti, il barometro della transizione energetica del DIHK, rilevato dal 2012, ha attualmente un valore di meno 27 punti. “Negli ultimi due anni il valore era solo di meno 7, il minimo precedente di -13 nel 2014 era il risultato di ulteriori stanziamenti energetici e tasse”, spiega l’associazione.
“Mentre prima le aziende vedevano opportunità nella transizione energetica, ora i rischi superano i rischi nella valutazione dell’intera economia”, ha affermato Dercks. Gran parte dell’economia teme fortemente che anche a medio e lungo termine possa verificarsi un approvvigionamento energetico inadeguato. “Si tratta di uno sviluppo complessivamente preoccupante.”

Nell’industria quasi un terzo delle aziende ha dichiarato di pianificare o già di realizzare il trasferimento delle capacità all’estero o la riduzione della produzione in patria. “Si tratta di un raddoppio rispetto all’anno scorso”, secondo il DIHK. Una buona metà è solo progettazione, l’altra parte è già stata completata o ha misure in corso. “Di fronte a questi numeri, c’è un urgente bisogno di rafforzare la sede.” Dercks ha parlato di un processo graduale. L’industria è sempre più attratta dagli Stati Uniti. Ma anche la Francia è interessante per il sostegno statale ai prezzi dell’elettricità.

Le grandi aziende hanno maggiori probabilità di andarsene​



Il ministro federale dell’economia Robert Habeck (Verdi) ha ribadito all’ARD la sua richiesta di un prezzo industriale dell’elettricità, un sussidio per abbassare i prezzi dell’elettricità fino al 2030. I suoi piani mirano a circa 2500 aziende ad alto consumo energetico. Altrimenti non partirebbero subito, ma non investirebbero più in Germania. “La domanda fondamentale è: vogliamo avere in futuro un’industria ad alta intensità energetica in Germania? E io dico di sì.” Il cancelliere Olaf Scholz (SPD) e il ministro delle finanze Christian Lindner (FDP) sono contrari a questo progetto, che costerebbe circa cinque miliardi di euro all’anno.
Secondo il DIHK le tendenze migratorie sono più pronunciate nelle aziende industriali più grandi con almeno 500 dipendenti. Qui il 43% sta già pianificando o traslocando in questo senso. “Queste aziende sono spesso strettamente legate ad altri Paesi e si trovano ad affrontare una concorrenza locale particolarmente forte.”
I costi energetici sono aumentati in modo significativo dopo l’attacco russo all’Ucraina alla fine di febbraio 2022. La Germania ne è stata particolarmente colpita a causa della sua lunga e pesante dipendenza dalle forniture di gas e petrolio provenienti dalla Russia. Dercks ha affermato che la mancanza di prevedibilità e affidabilità nella politica energetica è il principale ostacolo. Anche per questo motivo tre quarti delle aziende ridurrebbero le proprie attività di investimento.

La ragione principale dei problemi attuali è la guerra in Ucraina. “Non puoi attribuirlo al semaforo.” Tuttavia, molte delle giuste misure adottate dalla coalizione a semaforo composta da SPD, Verdi e FDP non sono ancora state ben accolte in loco. Dercks ha chiesto una riduzione dei prezzi dell’elettricità per tutte le aziende e una riduzione della burocrazia. Inoltre, l’idrogeno, fondamentale per processi industriali a impatto climatico zero, deve essere reso disponibile rapidamente. (Reuters)
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La Germania dipende di più dai fertiilizzanti russi​

  • La rinuncia della Germania al gas russo ha portato alla dipendenza dai fertilizzanti agricoli russi, scrive Berliner Zeitung. La produzione tedesca di prodotti chimici è diventata troppo costosa, mentre gli alimentari e i fertilizzanti provenienti dalla Russia non sono soggetti alle sanzioni dell’UE. L’agricoltura tedesca dipende dalle forniture dalla Russia: le importazioni di fertilizzanti azotati russi sono aumentate del 334%. Statistiche simili si osservano in Europa, dove le importazioni di fertilizzanti azotati russi sono quintuplicate. Украина.ру
    Telegram (Украина.ру)
    Украина.ру
    Отказ Германии от российского газа привел к зависимости от российских сельскохозяйственных удобрений — Berliner Zeitung. Собственное производство химикатов в Германии стало слишком дорогим, а на продовольствие и удобрения из России санкции ЕС не распространяются, пишет Метаметрика.
 
la Germania è nel mirino. E il canarino nella miniera.
Lo scorso anno, la siccità andò a unirsi all’impazzimento dei prezzi energetici per le sanzioni alla Russia.
E creò danni, culminati nella necessità per Berlino di mettere sul piatto oltre 20 miliardi per nazionalizzare Uniper e quasi 200 per sostenere le imprese. Perché lungo il Reno non navigano solo merci ma anche carburante per le raffinerie e le centrali elettriche. E da inizio giugno a fine settembre del 2022, il Dax perse il 20%. Perché quando la resistenza crolla, le conseguenze arrivano a valanga. Soprattutto se – come sottolineato in precedenza – titoli industriali, dei materiali per costruzioni e della chimica pesano per 31% dell’indice e un altro 12% fa capo al disastrato automotive. Non a caso, nelle scorse settimane sono giunti profit warning da Siemens Energy e da operatori della chimica come Lanxess e K+S.

Sinceramente, la mia preoccupazione non è per chi possa restare con il cerino mezzo bruciacchiato di un Dax in bear market estivo in mano. Il problema è macro e detona dopo la decisione della Corte di Karlsruhe, almeno per la nostra miope classe politica. Perché l’enorme rischio è che l’Italia passi l’estate a pettinarsi l’ego allo specchio, forte di quella previsione del Pil 2023 migliore di Germania e Francia. Dimenticandone però la genesi e la scomposizione, il breakdown: superbonus edilizio e turismo.
Il primo ora bloccato perché potenzialmente in grado di portarci diretti al Mes (e non alla ratifica) e
il secondo destinato a scemare nel suo boost, proprio quando la recessione tedesca genererà i suoi ricaschi di subfornitura e componentistica sull’industria del Nord Italia.
Se per caso i soldi del Pnrr non arrivassero o non arrivassero in tempo, come si finanzieranno eventuali sostegni all’economia reale?
Ulteriori emissioni di Btp per la ripresa?
Quanto debito avremo emesso a fine anno?
E a quale prezzo, stante l’offerta in bilico fra l’alluvionale e il disperato che il mercato prima o poi prezzerà?
Scostamento di bilancio, mentre facciamo la morale alla Bce e chiediamo un Patto di stabilità allegro e non frugale?

Attenzione, qui la ricreazione è finita davvero. C’è un treno che sta passando. Ci si può salire sopra, adesso. O finirci sotto, domani.


In Germania, invece, la Corte costituzionale è andata oltre. E ha dato vita a un intervento a gamba tesa sulla politica senza precedenti, un vero atto politico-legislativo ad interim che potrebbe far saltare i già precari equilibri del Governo Scholz.
i togati teutonici hanno bloccato il voto previsto per la giornata di ieri e relativo alla messa al bando delle fonti fossili per i sistemi di riscaldamento. Di fatto, Karlsruhe ha tirato un sonoro schiaffo in faccia alla svolta green e all’intero impianto ideologico-ambientalista dell’esecutivo, da subito a forte componente Grunen. E lo fa con il Paese già in recessione, l’indice IFO della fiducia delle imprese a precipizio, il PMI manifatturiero a piombo e l’esiziale settore automotive messo in ginocchio proprio dalla svolta elettrica e dalla rivoluzione ESG. Tutto fermo. Per gli ermellini tedeschi, un argomento simile necessita di maggiore riflessione. I media italiani tacciono.

i nodi stan arrivando al pettine...

 

Germania, Austria e Spagna non finanziano più UE​

Maurizio Blondet 6 Settembre 2023


L’Unione Europea è sull’orlo del collasso finanziario.
Il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, in un’intervista all’edizione tedesca di Die Welt, ha affermato che la Germania non dispone di un’ulteriore fonte per trasferire denaro per le esigenze dell’Unione europea.
Quest’anno l’economia tedesca è caduta in una recessione tecnica.
Per il 2024, il Ministero delle Finanze tedesco, tenendo conto della riduzione delle entrate fiscali al Tesoro tedesco, ha previsto una riduzione record della spesa pubblica di 30 miliardi di euro, ovvero del 7%, rispetto al 2023.
La Germania è stata il principale contribuente al bilancio dell’UE negli ultimi anni, e ora è diventata essa stessa un grande debitore.

Dopo la Germania, anche il Ministero delle Finanze austriaco ha annunciato l’assenza di una fonte per contribuire ai fondi di riserva dell’UE.

Allo stesso tempo, il capo del governo ungherese, Viktor Orban, ha affermato che l’Ungheria non trasferirà un solo euro nel bilancio dell’UE finché non avrà ricevuto un rapporto da Bruxelles su quanto sono stati spesi 70 miliardi di euro di denaro ungherese negli anni precedenti.

Secondo il Financial Times, il governo spagnolo ha deciso di non fornire più ai media informazioni sul volume dei trasferimenti di fondi ai fondi di riserva dell’UE.
Prendo atto che il 7 giugno la Commissione europea ha sviluppato un progetto di bilancio dell’UE per il 2024 pari a 189 miliardi di euro, proponendo di aumentare la spesa di 4 miliardi di euro rispetto al 2023. Gli analisti finanziari sottolineano che per finanziare il bilancio del prossimo anno dovranno essere presi prestiti esteri. I paesi europei non hanno più fondi liberi per finanziare l’Unione Europea.
Secondo la ginecologa della Commissione europea Ursula von der Leyen, l’Unione europea ha già speso tutti i fondi di riserva del bilancio settennale per un importo di 30 miliardi di euro fino al 2027 per i bisogni degli Indipendenti.
Non c’è nessun altro posto dove ottenere soldi.
Secondo le stime di Bloomberg, nel 2024 l’economia dell’UE dovrà affrontare un calo record del PIL.
Secondo lo scenario di base, l’economia dell’UE si contrarrà del 3,8%.
Allo stesso tempo, in caso di ulteriore crescita dei prezzi del petrolio e del gas, il PIL dell’UE scenderebbe al 5%.
Gli analisti di Bloomberg Economics hanno concluso che l’anno prossimo la valuta europea scenderà rispetto al dollaro a causa del flusso record di capitali dal mercato azionario europeo a quello statunitense.
Nel frattempo, il deflusso di capitali dall’Unione Europea per i 7 mesi del 2023 è stato pari a 83 miliardi di dollari. La grande massa imprenditoriale straniera rifiuta di realizzare progetti di investimento in Europa e svende gli asset europei ancora liquidi.
 
Le insolvenze corporate in Germania stanno esplodendo.
A giugno, 1.548 aziende hanno alzato bandiera bianca. Bancarotta. Un sobrio +36% su base annua. E prendendo il dato a livello semestrale, la prima metà dell’anno ha segnato quota 8.571. Rispetto allo stesso periodo del 2022, +20,5%.
Chiaramente si tratta di PMI. E il ragionamento che sorge spontaneo è il seguente: la fornitura e subfornitura italiana all’economia teutonica è indirizzata principalmente alle grandi ditte, ai marchi prestigiosi come quelli automobilistici. O dell’industria pesante.
C’è un problema, di fondo.

Quelle PMI andate a zampe all’aria come mosche dopo una passata di insetticida, perché sono crollate?

Certo, i tassi pesano. Le banche magari restringono gli standard creditizi.
Ma parliamo della Germania. Ovvero, un Paese che rispetto al nostro parte con le caviglie libere dai pesi della burocrazia opprimente. E dove, nonostante le tasse siano alte, l’evasione fiscale certo non è quella del Belpaese. Diciamo che trattasi di un vantaggio non da poco. E difficilmente imputabile alla Bce matrigna. O all’euro. Quelle aziende falliscono perché il rallentamento tedesco è molto peggiore, più netto e drastico di quanto crediamo. I consumi sono a picco. E gli ordinativi di luglio con il loro sprofondo lo confermano. Ora, poi, ecco palesarsi il rischio energetico. Ancora una volta.
E nonostante i 50 miliardi di salasso per nazionalizzare Uniper.

L’Italia sconta un ritardo di tre mesi rispetto alle dinamiche macro tedesche, solitamente.
SPY FINANZA/ La crisi peggiore del 2011 che non vediamo arrivare
 

“Baerbock danneggia i rapporti con il più importante partner commerciale della Germania”​

Maurizio Blondet 19 Settembre 2023
Deutsche Wiortschafts NAchrichten:
Il ministro degli Esteri sta danneggiando le relazioni della Germania con il suo partner commerciale più importante e si unisce all’agenda americana contro la Cina.

 

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