2013
La vita va avanti. E ogni tanto, anche senza fermarsi, dovrebbe voltarsi indietro. Anche solo per vedere quel che si lascia alle spalle.
Chiude il collegio di Celana e lo farà il 31 agosto. Dovrebbe essere una notizia, ma nessuno ne parla.
È un pezzo di storia che se ne va e lo fa nel silenzio più assoluto. Come se dovesse togliere il disturbo. Alla chetichella, dall’uscita di servizio.
Come se il mondo, in altre faccende affaccendato, non avesse tempo per capire. Eppure basterebbe poco.
Sarebbero sufficienti due conti per capire che Celana potrebbe giocarsela con pochi altri istituti come la scuola più antica d’Italia.
Invece non se la gioca. In assenza di classifiche certe, ognuno può impossessarsi del primato.
Lo fa il Liceo classico Maffei di Verona che è stato fondato nel 1807 da Napoleone e quindi ha 207 anni.
O a maggior ragione l’Istituto Calasanzio dei padri scolopi di Frascati, meglio conosciuto come «scuole Pie», che di anni ne ha 400.
Su Celana gli storici si dividono. Qualcuno fissa la fondazione al novembre 1566, a opera di san Carlo Borromeo.
Altri, più rispettosi delle fonti, parlano del 9 febbraio 1579, data in cui l’istituto viene menzionato per la prima volta in un documento ufficiale, un privilegio di papa Gregorio XIII.
Nel primo caso avrebbe 448 anni, nel secondo, 434. Ma è come se fossero giorni, non anni. Non si scompone nessuno.
Il mondo della scuola e della cultura non fanno una piega. Idem per politici e amministratori.
L’unico silenzio giustificato sembra quello delle autorità ecclesiastiche.
Sono loro che per secoli hanno retto le sorti della scuola, frequentata per un anno anche dal giovanissimo Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII.
E sono loro ad averne deciso la chiusura in una delibera del 9 luglio 2013.
Per tre quinti di nomina curiale, con due membri in rappresentanza del territorio della Val San Martino,
il cda già un anno fa aveva preso atto di un irrimediabile dissesto economico.
Era finita l’epoca d’oro di fine XIX secolo, quando sui colli di Caprino, immerso nel verde, esisteva un antesignano dei campus all’americana, dove vivevano e studiavano oltre mille giovani.
A testimoniarlo rimangono decine di aule vuote, l’immensità di refettori, cucine, dormitori e cortili, impianti sportivi, teatro, biblioteca,
un incredibile museo zoologico, una collezione di minerali e fossili, un laboratorio con strumenti scientifici e sul perimetro esterno le stalle
e gli orti per sfamare quella cittadella dello studio, che annessa aveva anche una chiesetta con pala di Lorenzo Lotto. Tutto pulito. Tutto in ordine. Tutto deserto.
Il calo progressivo delle iscrizioni nelle classi di geometri, liceo classico e scientifico nel 2013
ha portato il numero di alunni alla soglia critica di una quarantina, con una perdita d’esercizio di 329 mila euro.
Le prospettive per gli anni a venire, si presentavano ancora più cupe. Ed è stata scritta la parola fine. Per la verità non era la prima volta.
È dall’epoca napoleonica e poi con l’Unità d’Italia che su Celana viene calata la mannaia della chiusura.
Nel 2006 ci aveva provato anche monsignor Bonati, responsabile diocesano della pastorale scolastica.
Ma la scuola di san Carlo Borromeo alla fine era sempre riuscita a ripartire. E tutti speravano che sarebbe successo anche questa volta.
Finché non è arrivata la doccia gelata. È successo in questi giorni quando i 22 dipendenti dell’istituto 17 professori e 5 impiegati hanno tutti ricevuto una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Una lettera uguale per tutti, con data 23 aprile e licenziamento dal 31 agosto. A questo punto difficile immaginare inversioni di marcia. La diocesi non vuole più andare avanti.
In Curia non vogliono nemmeno sentir parlare di riaperture. Tutti a casa. Si chiude. Professori e impiegati non sono nemmeno riusciti a ottenere un incontro col cda.
Quattro docenti hanno deciso di non arrendersi e hanno creato una cooperativa per portare avanti alcuni corsi.
Ma al massimo otterranno qualche aula in comodato gratuito, pagando tutte le spese di riscaldamento ed elettricità.
Sarà dura. Il cda non vuole più nemmeno i corsi professionali per panettieri e pasticceri allestiti in un’ala dell’edificio
con un investimento di 700 mila euro e riccamente sovvenzionati (circa 4.500 euro ad alunno) dalla Regione.
Disimpegno su tutta la linea. Sulla vicenda interviene con alcune amare considerazioni il rettore, don Achille Sana,
figura mitica della scuola bergamasca per decenni alla guida del Collegio vescovile sant’Alessandro:
«Sono stato inviato qui nel 2010 con un mandato - dice il sacerdote -. Un mandato preciso. Ho accettato l’imposizione che veniva dall’alto.
“Tu vai e chiudi”. Così mi è stato detto. Da allora sono stato ossequiente alle disposizioni ricevute.
Ho lasciato andare avanti i corsi esistenti senza aprirne di nuovi cercando di avviare una nuova attività per l’accoglienza di gruppi sportivi,
studenti, riunioni aziendali, scout, pellegrini di Sotto il Monte, feste nuziali e soprattutto per inserire la struttura nel sistema di ospitalità di Expo 2015.
Con 700 posti letto le prospettive sono enormi e già si vedono i primi risultati.
Ma avendo vissuto tanti anni in mezzo agli studenti e guardandomi intorno, in mezzo a tutto questo spazio,
all’ossigeno e alla luce di queste colline ho avuto l’impressione di trovarmi in un luogo di benedizione non di maledizione.
L’offerta didattica era eccellente, avevamo classi di 4 o 5 ragazzi che permettevano una cura nella formazione altrove impensabile.
Ho fatto partire le scuole medie inferiori, ho ottenuto l’accreditamento della Regione per i corsi professionali
e ho capito che qualcosa del mio operato non andava quando mi sono visto accusato per aver messo la firma su contratti in scadenza.
La chiusura è inevitabile. Ma io sono triste».
Celana chiude. Che almeno lo faccia con l’onore delle armi.