L'angolo della poesia

Così piccole mani

Il tuo più tenue sguardo
facilmente mi aprirà
benché abbia chiuso me stessa
come dita
sempre mi apri petalo per petalo
come la primavera fa
toccando accortamente
misteriosamente la sua
prima rosa
e io non so quello che c’è
in te che chiude e apre
solo qualcosa in me
comprende che è più
profonda la luce dei tuoi
occhi di tutte le rose.
Nessuno… neanche
la pioggia ha…
Così piccole mani

Edward Estlin Cummings
 
Alle fronde dei salici

E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

S. Quasimodo
 
Specchio

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell'erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul fosso.
E tutto sa di miracolo;
e sono quell'acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.

S. QUASIMODO
 
S'ode ancora il mare (S. Quasimodo)

Già da più notti s'ode ancora il mare,
lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.
Eco d'una voce chiusa nella mente
che risale dal tempo; ed anche questo
lamento assiduo di gabbiani: forse
d'uccelli delle torri, che l'aprile
sospinge verso la pianura. Già
m'eri vicina tu con quella voce;
ed io vorrei che pure a te venisse,
ora, di me un'eco di memoria,
come quel buio murmure di mare
 
I Limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguanta noi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità
 
È buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi

I mattini passano chiari
e deserti. Così i tuoi occhi
s'aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d'immobile luce.
Taceva. Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.

Cesare Pavese
 
COSTRUISCO

Costruisco l'edificio dell'anima.
Un grosso strato di vento.
Un grosso strato di fuoco.
Un grosso strato d'acqua.
Un grosso strato di terra.
Costruisco la torre della carne.

Costruisco le radici.
La terra mi frana addosso,
l'acqua mi inonda,
il fuoco mi divora,
il vento mi travolge.

Devo scalare il cielo.

Costruisco la mia lotta.
L'anima vuole il fuoco,
la bocca un granello d'acqua,
l'anima vuole il vento,
il piede un lembo di terra.
Difendo ogni palmo.

Costruisco la fantasia?
Costruisco strati vuoti?
Un edificio per dei secoli?
Una casa per i terremoti?
Il tempio degli dei?
Un tetto per la gente?

Costruisco la conchiglia dell'essere.
Tra spinosi interrogativi
estraggo dalle viscere
strati di elementi,
e benché sia un martirio,
costruisco, perché è voluttà.

KAJETAN KOVIČ
 
Il momento più grave della vita di Cèsar Vallejo

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Ciò che ricordo di me è quello che sei

Poco a poco stai entrando nella mia assenza
goccia a goccia riempiendo la mia coppa vuota
là dove sono ombra non smetti di apparire
perchè soltanto in te le cose si fanno reali
allontani l’assurdo e mi dai un senso
ciò che ricordo di me è quello che sei
giungo alle tue sponde come un mare invisibile.

Alejandro Jodorowsky
 
i ciottoli che stanno nella mano dove ardono paesaggi lontanissimi

Amo le cose che consumate brillano
come se i crepuscoli fossero
fermi in esse ardendo per sempre.

I bordi delle sedie raffinati
dalla devozione chiara delle dita.
I bicchieri trasparenti per servire
sorgenti distanti.
I selciati sottomessi all'ombra.
Le vesti sfilate dall'aria.

Amo la loro affaticata servitù
di diamante appagato,
la sommessa passione dei loro silenzi.

Amo la loro anima d'autunno che fu alta
e condivise gli occhi del miracolo.

Il loro modo di darci l'oblio,
senza pianto né violenza,
come una saggia prossimità che splende,
come la mano dell'amore senza nessuno.

Amo i libri vecchi
manipolati dalla luce,
i ciottoli che stanno nella mano
dove ardono paesaggi lontanissimi.

Perchè va verso l'addio la loro lenta musica,
si abbracciano all'ombra senza gemere,
silenziose come il fuoco dimenticato delle lampade

che restano sole al giungere dell'alba.


Laureano Alban
 

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