La FED non conta un kapzo:
L’argomento del giorno sono senz’altro i tumulti che si registrano in diversi settori del mercato obbligazionario. Il rendimento del Treasury Note a 10 anni ieri si è spinto oltre l’1.60% ma, probabilmente, il misuratore di fibrillazione più significativo è costituito dallo yield del bond giapponese di pari durata: +0.17%, ieri, malgrado il tetto imposto dalla Bank of Japan.
Si pone da alcuni giorni un problema di credibilità delle banche centrali: comprensibilmente, l’asset più significativo degli istituti di emissione. Il mite governatore Powell ha gettato acqua sul fuoco, rilevando come l’aumento del costo del denaro sia addirittura una buona notizia (al Tesoro, con il deficit corrente ed il debito federale incontrollato, fanno gli scongiuri). Ma gli investitori non sono dello stesso parere; a tutte le latitudini, visti gli interventi sul mercato da parte della Reserve Bank of Australia – che ha percorso prima d’altre il sentiero del controllo della curva dei rendimenti – fra le altre.
Dall’inizio dell’anno il TLT, il popolare ETF che replica la parte lunghissima della curva dei rendimenti americana, cede il 12.5%. Un bagno di sangue, per gli investitori, maturato soprattutto nell’ultimo mese: -11.0%, tenendo conto anche del flusso cedolare. Ieri un’asta di titoli governativi a 7 anni è risultata francamente orrenda. E nel frattempo il premio a termine, che misura il maggiore compenso richiesto per detenere scadenze lunghe, punta risolutamente verso l’alto, dopo aver contribuito per diversi anni al contenimento dei tassi di interesse.
Naturalmente, sullo sfondo permane la questione di un risveglio della ad un certo punto auspicata inflazione. Un tema sempre più attuale.
Come dicono negli Stati Uniti, «state attenti a ciò che chiedete; perché potreste rischiare di ottenerlo».