alingtonsky
Forumer storico
...la teoria dello sfruttamento marxista ha un errore di fondo che compromette la validità dell'intero sistema, portandolo a conclusioni del tutto errate circa le cause di certi fenomeni, e a proporre soluzioni errate. Hoppe corregge l'errore e mostra come una teoria dello sfruttamento corretta fornisca spiegazioni, diagnosi e soluzioni del tutto diverse.
L'articolo costituisce un capitolo del libro "The Economics and Ethics of Private Property", scaricabile in inglese
http://mises.org/books/economicsethics.pdf
Cosa farò in questo capitolo: per prima cosa presenterò una serie di tesi che costituiscono il cuore della teoria marxista della storia. Affermo che tutte queste tesi sono essenzialmente corrette. Poi mostrerò come, nel marxismo, queste tesi vere vengono derivate da un punto di partenza falso. Infine voglio dimostrare come la teoria austriaca può dare una spiegazione corretta ma categoricamente differente della loro validità.
Inizierò esponendo il nocciolo del sistema di credenze marxista:
1. La storia dell'umanità è una storia di lotte di classe. Per la precisione è una storia di lotte tra una classe relativamente piccola di regnanti e una classe più grande di sfruttati. La principale forma di sfruttamento è economica: la classe regnante espropria una parte dei beni prodotti dagli sfruttati o, come dicono i marxisti, "si appropria del plusvalore sociale e lo usa a scopo di consumo personale".
2. La classe regnante è tenuta assieme dal fatto che i membri hanno un interesse comune a mantenere la propria posizione di sfruttatori e massimizzare la quantità di plusvalore di cui si appropriano con atti di sfruttamento. Questa classe non cede mai volontariamente una parte del potere o del reddito che ha ottenuto mediante sfruttamento. Al contrario, qualunque perdita di potere o reddito deve essere sottratta loro mediante una lotta, il cui esito dipende in ultima analisi da quanto è forte la coscienza di classe degli sfruttati, cioè da fino a che punto essi sono consapevoli di essere sfruttati e da fino a che punto si uniscono consapevolmente ad altri membri della classe per opporsi insieme allo sfruttamento.
3. il governo di classe si manifesta principalmente sotto forma di specifiche disposizioni che riguardano le assegnazioni dei diritti di proprietà o, nella terminologia marxista, sotto forma di specifiche "relazioni di produzione". Per proteggere e conservare queste disposizioni o relazioni di produzione, la classe regnante crea un apparato di coercizione, che si chiama Stato, e ne assume il comando. Lo Stato fa applicare una data struttura di classe e la propaga nel tempo mediante l'amministrazione di un sistema di "giustizia di classe"; lo Stato favorisce inoltre la creazione e il mantenimento di un apparato ideologico finalizzato a dare legittimità all'esistenza della classe regnante.
4. internamente, il processo di concorrenza all'interno della classe regnante genera la tendenza ad aumentare la concentrazione e la centralizzazione del potere. Un sistema di sfruttamento inizialmente multipolare viene gradualmente soppiantato da un sistema oligarchico o monopolistico. Rimane operativo un numero sempre minore di centri di potere, e quelli che restano operativi vengono sempre più integrati in una struttura gerarchica. Esternamente (cioè nei confronti del sistema internazionale) questo processo di centralizzazione condurrà a guerre imperialiste tra i vari stati (sempre più intense quanto più è avanzato il processo di centralizzazione) e all'espansione territoriale del regno sfruttatore in questione.
5. Infine, quando la centralizzazione e l'espansione del regno sfruttatore si avvicina gradualmente al suo limite ultimo di dominazione totale del mondo, il regno della classe regnante diventa sempre più incompatibile con un ulteriore sviluppo e miglioramento delle "forze produttive". La stagnazione economica e le crisi diventano sempre più caratteristiche e creano le "condizioni oggettive" per la nascita di una coscienza di classe rivoluzionaria tra gli sfruttati. Questa è una situazione matura per l'affermazione di una società senza classi, in cui lo Stato "retroceda e svanisca", cioè per la sostituzione del governo di un uomo su un altro uomo con l'amministrazione delle cose e, come risultato, una prosperità economica senza precedenti.
Tutte queste tesi ammettono una giustificazione perfettamente valida, come mostrerò. Sfortunatamente, però, il marxismo, pur abbracciando tutte queste tesi, ha screditato la loro stessa validità pretendendo di derivarle da una teoria dello sfruttamento palesemente assurda.
Che cos'è la teoria marxista dello sfruttamento? Secondo Marx, sistemi sociali pre-capitalisti come la schiavitù e il feudalesimo sono caratterizzati dallo sfruttamento. Su questo non c'è alcuna disputa. Infatti, dopotutto, lo schiavo non è un lavoratore libero, e non si può dire che egli ottenga un guadagno dal fatto di essere schiavo. Al contrario, essendo schiavo, egli subisce una perdita di utilità [un danno] mentre il suo padrone schiavista ottiene un vantaggio sotto forma di incremento di ricchezza. In questo caso l'interesse dello schiavo e quello del suo padrone sono essenzialmente opposti. Lo stesso vale per gli interessi del signore feudale, il quale pretende e riscuote un affitto dal contadino che coltiva una terra, terra che però è di proprietà del contadino stesso, in quanto il contadino aveva effettuato su di essa la "prima messa a frutto" o "homesteading". [Cioè il contadino aveva trovato una terra priva di proprietario e l'aveva trasformata con il suo lavoro, mettendola a frutto. In questo modo egli era divenuto il giusto proprietario di quella terra; quindi il signore feudale non aveva alcun diritto sulla terra in questione, quindi non aveva alcun diritto di pretendere un affitto dal contadino. NdM]. In questo caso il signore feudale ottiene un guadagno alle spese del contadino, il quale ottiene una perdita.
Non è neppure in discussione il fatto che la schiavitù e il feudalesimo abbiano realmente impedito e rallentato lo sviluppo di forze produttive. Né lo schiavo né il servo saranno mai produttivi quanto lo sarebbero in assenza di schiavitù o servitù.
L'idea marxista davvero nuova è che sotto il capitalismo non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dello sfruttamento. (Cioè non cambia nulla se lo schiavo diventa un lavoratore libero, o se il contadino decide di coltivare una terra di cui qualcun altro è proprietario e di pagare un affitto al proprietario in cambio del permesso di coltivarla). Per avvalorare questa tesi Marx, nel famoso capitolo 24 del primo volume del suo "Il Capitale", intitolato "la cosiddetta accumulazione originale", offre un resoconto storico della nascita del capitalismo in cui afferma che una gran parte, o persino la maggior parte, della proprietà iniziale dei capitalisti è il risultato di saccheggi, espropriazioni e conquiste. Similmente, nel capitolo 25, nella "moderna teoria del colonialismo", viene molto enfatizzato il ruolo dell'uso della forza e della violenza nell'esportare il capitalismo in quello che oggi si chiamerebbe Terzo Mondo. Tutto questo è generalmente corretto, e per questo motivo non può esistere alcun dissenso nel dire che questo tipo di capitalismo è basato sullo sfruttamento. D'altra parte non bisogna farsi sfuggire che qui Marx ha usato un trucco. Mentre porta avanti la sua investigazione storica e suscita l'indignazione del lettore verso le brutalità che sono alla base della formazione di molte fortune dei capitalisti, in realtà Marx sta aggirando l'argomento in questione. Sta distraendo il lettore dal fatto che la sua tesi in realtà è diversa: la sua tesi è che, anche se avessimo un capitalismo per così dire "pulito", cioè un capitalismo in cui l'appropriazione originaria del capitale avvenisse in modo onesto, cioè fosse il risultato soltanto dell' "homesteading" [l'atto di trasformare e mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], del lavoro e del risparmio, anche in questo caso il capitalista che affittasse il lavoro di impiegati pagandoli con questo capitale li starebbe ancora sfruttando. Anzi, Marx considerava la dimostrazione di questa tesi come il suo maggior contributo all'analisi economica.
Qual è dunque la sua dimostrazione della natura sfruttatrice del capitalismo pulito?
Consiste nell'osservare che i prezzi dei fattori della produzione, e in particolare i salari pagati ai lavoratori dal capitalista, sono più bassi dei prezzi del prodotto finale. Ad esempio, il lavoratore viene pagato con un salario che rappresenta beni di consumo che si possono produrre in tre giorni, ma in realtà lavora cinque giorni per avere questo salario e produce una quantità di beni di consumo maggiore di ciò che riceve come compenso. Il capitalista si è quindi impossessato di ciò che l'impiegato ha prodotto in quei due giorni di differenza (che nella terminologia marxista si chiama plusvalore). Quindi, secondo Marx, c'è sfruttamento.
...
Dov'è l'errore in questa analisi? La risposta diventa ovvia non appena ci chiediamo perché mai il lavoratore dovrebbe voler acconsentire a un simile accordo! Egli acconsente perché il suo salario rappresenta beni presenti, mentre il suo lavoro rappresenta soltanto beni futuri, e per lui i beni presenti hanno maggior valore dei beni futuri. Dopo tutto, egli potrebbe anche decidere di non vendere il suo lavoro al capitalista e di tenere per sé l'intero valore di ciò che produce. Ma in questo caso dovrebbe attendere più tempo prima di poter avere tra le mani dei beni da consumare [o vendere].
[Nota: Uno dei motivi per cui il lavoratore, in assenza del capitalista, dovrebbe attendere più tempo è che, prima di produrre i beni, dovrebbe costruirsi da solo i macchinari necessari per produrli (cioè il capitale). Questa costruzione richiede anni di studio e lavoro. Quindi le sue prime entrate arriverebbero solo dopo molti anni. Può il lavoratore permettersi di restare senza entrate per molti anni, mentre studia e lavora per costruire le macchine necessarie alla produzione? No. Ma allora, ciò che il capitalista gli offre è davvero qualcosa di valore: gli offre la possibilità di prendere in affitto i suoi macchinari, anziché costruirli da zero; e quindi di aspettare meno tempo prima di avere entrate. La parte che il capitalista trattiene ("plusvalore") non è altro che il compenso per questo servizio fornito. (Più il compenso derivante dal fatto che il capitalista si sobbarca interamente il rischio di non vendere abbastanza da recuperare le spese). ]
Il fatto che il lavoratore sceglie di vendere i suoi servizi dimostra che preferisce una quantità minore di beni di consumo adesso ad una quantità probabilmente maggiore in un momento futuro.
D'altra parte, perché il capitalista desidera fare un accordo con il lavoratore? Perché dovrebbe voler anticipare al lavoratore beni presenti (denaro) in cambio di servizi che daranno i loro frutti soltanto più tardi? Ovviamente, il capitalista non desidererebbe mai pagare, ad esempio, $100 adesso, se dopo un anno dovesse ricevere la stessa quantità. Infatti, in tal caso, perché non tenere semplicemente in cassaforte quei soldi per un anno, ricevendo così il beneficio aggiuntivo di poterli usare in quel periodo? Al contrario, il capitalista deve aspettarsi di ricevere in futuro una cifra maggiore di $100, per decidere di cedere $100 oggi sotto forma di salario al lavoratore. Deve aspettarsi di riuscire ad ottenere un profitto o, più correttamente, un interesse. Infatti, anche il capitalista è soggetto ai vincoli della preferenza temporale, cioè il fatto che un essere umano invariabilmente preferisce ottenere un bene prima piuttosto che poi [a parità di altri fattori]. Se così non fosse, dato che è possibile ottenere una somma più grande in futuro sacrificandone una più piccola nel presente, perché il capitalista non risparmia ancora di più per il futuro di quanto fa adesso? Perché non affitta ancora più lavoratori di quanto fa adesso, se ognuno di loro gli promette un ritorno aggiuntivo sotto forma di interessi? Ancora una volta la risposta dovrebbe essere ovvia: perché il capitalista è anche un consumatore, e non può fare a meno di esserlo. La quantità dei suoi risparmi e investimenti è limitata dalla necessità: anche lui come il lavoratore ha bisogno di una quantità di beni presenti "abbastanza grande da assicurargli la soddisfazione di tutti quei desideri che egli considera più importanti dei vantaggi che gli deriverebbero dall'allungare ancora di più il periodo di produzione". [citazione di Ludwig Von Mises]
Quindi l'errore nella teoria dello sfruttamento marxista è che Marx non comprende il fenomeno della preferenza temporale come categoria universale dell'azione umana. Il fatto che il lavoratore non riceve "l'intero valore" di ciò che produce non ha niente a che fare con lo sfruttamento, ma riflette semplicemente il fatto che è impossibile per un essere umano scambiare un bene futuro con un bene presente se non a un prezzo minore.
A differenza del caso dello schiavo e del padrone, in cui il padrone ottiene un beneficio alle spese dello schiavo, la relazione tra un lavoratore libero e un capitalista è una relazione di beneficio reciproco. Il lavoratore sceglie di entrare nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, preferisce una quantità minore di beni oggi ad una quantità maggiore domani; e il capitalista entra nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, ha un ordine di preferenze opposto, e preferisce una quantità maggiore di beni domani ad una quantità più piccola oggi. I loro interessi non sono antagonistici ma sono in armonia. [E' proprio il fatto che essi desiderano cose diverse a rendere possibile la collaborazione mutuamente benefica, NdM]. Infatti, se il capitalista non si aspettasse un ritorno sotto forma di interesse, il lavoratore starebbe peggio, in quanto dovrebbe attendere più a lungo di quanto non desideri fare [perché dovrebbe prima costruirsi da sé il capitale, NdM]; e, se il lavoratore non preferisse beni presenti rispetto ai beni futuri, il capitalista starebbe peggio, perché dovrebbe ricorrere a metodi di produzione meno efficienti, e dotati di minore estensione temporale, rispetto a quelli che vorrebbe adottare.
Né si può considerare il sistema di salari capitalistico come un impedimento allo sviluppo delle forze di produzione, come sostiene Marx. Se al lavoratore non fosse permesso vendere il proprio lavoro e al capitalista non fosse permesso comprarlo, la produzione non sarebbe maggiore bensì minore, perché dovrebbe avvenire con un capitale complessivo minore [per motivi spiegati più avanti]. Quindi, contrariamente alle affermazioni di Marx, sotto un sistema di produzione socializzato lo sviluppo di forze produttive non raggiungerebbe nuove vette ma sprofonderebbe disastrosamente. [Vediamo ora perché il capitale complessivo sarà minore laddove sia vietato al capitalista comprare lavoro e al lavoratore venderlo:] L'accumulazione di capitale deve necessariamente essere compiuta da qualcuno (da individui precisi in momenti precisi di spazio e di tempo) mediante l'homesteading [=l'atto di mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], la produzione e/o il risparmio. In ciascun caso, colui che effettua tale accumulazione di capitale lo fa perché si aspetta che ciò condurrà ad un aumento di produzione di beni in futuro. Il valore che una persona attribuisce al suo capitale riflette il valore che egli attribuisce a tutti i redditi futuri derivanti dal suo utilizzo, scontato in base al suo tasso di preferenza temporale. Se, come nel caso in cui i fattori di produzione sono di proprietà collettiva, a una persona viene negato il controllo esclusivo sul capitale che ha accumulato, e quindi sul reddito futuro che deriva dal suo utilizzo, ma al contrario viene assegnato un controllo parziale del capitale a persone non-proprietarie, non-produttrici e non-risparmiatrici, il valore per lui del suo reddito atteso si riduce, e quindi si riduce il valore del capitale in questione. [Quindi egli produrrà meno capitale. NdM] Il suo tasso di preferenza temporale si alzerà [cioè desidererà più i beni presenti e meno i beni futuri] ed avverranno meno operazioni di homesteading [vedi sopra] e meno risparmio per il mantenimento di risorse esistenti e per la produzione di nuovo capitale. L'estensione temporale della struttura di produzione si accorcerà e ne risulterà un impoverimento [una diminuzione della produzione].
Se la teoria di Marx dello sfruttamento e le sue idee su come porre fine allo sfruttamento e ottenere una prosperità universale sono false fino al ridicolo, è chiaro che qualunque teoria storica che si faccia derivare da esse deve essere anch'essa falsa. Oppure, se è corretta, deve essere stata derivata in modo errato. [Nota mia: a voler essere pignoli, da ipotesi false si può derivare tanto il vero quanto il falso, in modo egualmente corretto. NdM] Anziché addentrarmi nel lungo compito di illustrare tutti gli errori nell'argomento di Marx, che comincia dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e termina con la teoria storica che ho presentato prima, prenderò una scorciatoia: descriverò nel modo più breve possibile una teoria dello sfruttamento corretta, la teoria austriaca Mises-Rothbard; illustrerò come questa teoria renda sensata la teoria storica di classe; ed evidenzierò alcune differenze cruciali tra questa teoria di classe e quella marxista, evidenziando alcune affinità intellettuali tra il marxismo e la teoria austriaca, affinità che nascono dalla loro convinzione condivisa che esista realmente una forma di sfruttamento ed una classe regnante.
...
fonte: Il Lume Rinnovato: L'errore nella teoria marxista dello sfruttamento; una teoria dello sfruttamento corretta.
L'articolo costituisce un capitolo del libro "The Economics and Ethics of Private Property", scaricabile in inglese
http://mises.org/books/economicsethics.pdf
Cosa farò in questo capitolo: per prima cosa presenterò una serie di tesi che costituiscono il cuore della teoria marxista della storia. Affermo che tutte queste tesi sono essenzialmente corrette. Poi mostrerò come, nel marxismo, queste tesi vere vengono derivate da un punto di partenza falso. Infine voglio dimostrare come la teoria austriaca può dare una spiegazione corretta ma categoricamente differente della loro validità.
Inizierò esponendo il nocciolo del sistema di credenze marxista:
1. La storia dell'umanità è una storia di lotte di classe. Per la precisione è una storia di lotte tra una classe relativamente piccola di regnanti e una classe più grande di sfruttati. La principale forma di sfruttamento è economica: la classe regnante espropria una parte dei beni prodotti dagli sfruttati o, come dicono i marxisti, "si appropria del plusvalore sociale e lo usa a scopo di consumo personale".
2. La classe regnante è tenuta assieme dal fatto che i membri hanno un interesse comune a mantenere la propria posizione di sfruttatori e massimizzare la quantità di plusvalore di cui si appropriano con atti di sfruttamento. Questa classe non cede mai volontariamente una parte del potere o del reddito che ha ottenuto mediante sfruttamento. Al contrario, qualunque perdita di potere o reddito deve essere sottratta loro mediante una lotta, il cui esito dipende in ultima analisi da quanto è forte la coscienza di classe degli sfruttati, cioè da fino a che punto essi sono consapevoli di essere sfruttati e da fino a che punto si uniscono consapevolmente ad altri membri della classe per opporsi insieme allo sfruttamento.
3. il governo di classe si manifesta principalmente sotto forma di specifiche disposizioni che riguardano le assegnazioni dei diritti di proprietà o, nella terminologia marxista, sotto forma di specifiche "relazioni di produzione". Per proteggere e conservare queste disposizioni o relazioni di produzione, la classe regnante crea un apparato di coercizione, che si chiama Stato, e ne assume il comando. Lo Stato fa applicare una data struttura di classe e la propaga nel tempo mediante l'amministrazione di un sistema di "giustizia di classe"; lo Stato favorisce inoltre la creazione e il mantenimento di un apparato ideologico finalizzato a dare legittimità all'esistenza della classe regnante.
4. internamente, il processo di concorrenza all'interno della classe regnante genera la tendenza ad aumentare la concentrazione e la centralizzazione del potere. Un sistema di sfruttamento inizialmente multipolare viene gradualmente soppiantato da un sistema oligarchico o monopolistico. Rimane operativo un numero sempre minore di centri di potere, e quelli che restano operativi vengono sempre più integrati in una struttura gerarchica. Esternamente (cioè nei confronti del sistema internazionale) questo processo di centralizzazione condurrà a guerre imperialiste tra i vari stati (sempre più intense quanto più è avanzato il processo di centralizzazione) e all'espansione territoriale del regno sfruttatore in questione.
5. Infine, quando la centralizzazione e l'espansione del regno sfruttatore si avvicina gradualmente al suo limite ultimo di dominazione totale del mondo, il regno della classe regnante diventa sempre più incompatibile con un ulteriore sviluppo e miglioramento delle "forze produttive". La stagnazione economica e le crisi diventano sempre più caratteristiche e creano le "condizioni oggettive" per la nascita di una coscienza di classe rivoluzionaria tra gli sfruttati. Questa è una situazione matura per l'affermazione di una società senza classi, in cui lo Stato "retroceda e svanisca", cioè per la sostituzione del governo di un uomo su un altro uomo con l'amministrazione delle cose e, come risultato, una prosperità economica senza precedenti.
Tutte queste tesi ammettono una giustificazione perfettamente valida, come mostrerò. Sfortunatamente, però, il marxismo, pur abbracciando tutte queste tesi, ha screditato la loro stessa validità pretendendo di derivarle da una teoria dello sfruttamento palesemente assurda.
Che cos'è la teoria marxista dello sfruttamento? Secondo Marx, sistemi sociali pre-capitalisti come la schiavitù e il feudalesimo sono caratterizzati dallo sfruttamento. Su questo non c'è alcuna disputa. Infatti, dopotutto, lo schiavo non è un lavoratore libero, e non si può dire che egli ottenga un guadagno dal fatto di essere schiavo. Al contrario, essendo schiavo, egli subisce una perdita di utilità [un danno] mentre il suo padrone schiavista ottiene un vantaggio sotto forma di incremento di ricchezza. In questo caso l'interesse dello schiavo e quello del suo padrone sono essenzialmente opposti. Lo stesso vale per gli interessi del signore feudale, il quale pretende e riscuote un affitto dal contadino che coltiva una terra, terra che però è di proprietà del contadino stesso, in quanto il contadino aveva effettuato su di essa la "prima messa a frutto" o "homesteading". [Cioè il contadino aveva trovato una terra priva di proprietario e l'aveva trasformata con il suo lavoro, mettendola a frutto. In questo modo egli era divenuto il giusto proprietario di quella terra; quindi il signore feudale non aveva alcun diritto sulla terra in questione, quindi non aveva alcun diritto di pretendere un affitto dal contadino. NdM]. In questo caso il signore feudale ottiene un guadagno alle spese del contadino, il quale ottiene una perdita.
Non è neppure in discussione il fatto che la schiavitù e il feudalesimo abbiano realmente impedito e rallentato lo sviluppo di forze produttive. Né lo schiavo né il servo saranno mai produttivi quanto lo sarebbero in assenza di schiavitù o servitù.
L'idea marxista davvero nuova è che sotto il capitalismo non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dello sfruttamento. (Cioè non cambia nulla se lo schiavo diventa un lavoratore libero, o se il contadino decide di coltivare una terra di cui qualcun altro è proprietario e di pagare un affitto al proprietario in cambio del permesso di coltivarla). Per avvalorare questa tesi Marx, nel famoso capitolo 24 del primo volume del suo "Il Capitale", intitolato "la cosiddetta accumulazione originale", offre un resoconto storico della nascita del capitalismo in cui afferma che una gran parte, o persino la maggior parte, della proprietà iniziale dei capitalisti è il risultato di saccheggi, espropriazioni e conquiste. Similmente, nel capitolo 25, nella "moderna teoria del colonialismo", viene molto enfatizzato il ruolo dell'uso della forza e della violenza nell'esportare il capitalismo in quello che oggi si chiamerebbe Terzo Mondo. Tutto questo è generalmente corretto, e per questo motivo non può esistere alcun dissenso nel dire che questo tipo di capitalismo è basato sullo sfruttamento. D'altra parte non bisogna farsi sfuggire che qui Marx ha usato un trucco. Mentre porta avanti la sua investigazione storica e suscita l'indignazione del lettore verso le brutalità che sono alla base della formazione di molte fortune dei capitalisti, in realtà Marx sta aggirando l'argomento in questione. Sta distraendo il lettore dal fatto che la sua tesi in realtà è diversa: la sua tesi è che, anche se avessimo un capitalismo per così dire "pulito", cioè un capitalismo in cui l'appropriazione originaria del capitale avvenisse in modo onesto, cioè fosse il risultato soltanto dell' "homesteading" [l'atto di trasformare e mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], del lavoro e del risparmio, anche in questo caso il capitalista che affittasse il lavoro di impiegati pagandoli con questo capitale li starebbe ancora sfruttando. Anzi, Marx considerava la dimostrazione di questa tesi come il suo maggior contributo all'analisi economica.
Qual è dunque la sua dimostrazione della natura sfruttatrice del capitalismo pulito?
Consiste nell'osservare che i prezzi dei fattori della produzione, e in particolare i salari pagati ai lavoratori dal capitalista, sono più bassi dei prezzi del prodotto finale. Ad esempio, il lavoratore viene pagato con un salario che rappresenta beni di consumo che si possono produrre in tre giorni, ma in realtà lavora cinque giorni per avere questo salario e produce una quantità di beni di consumo maggiore di ciò che riceve come compenso. Il capitalista si è quindi impossessato di ciò che l'impiegato ha prodotto in quei due giorni di differenza (che nella terminologia marxista si chiama plusvalore). Quindi, secondo Marx, c'è sfruttamento.
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Dov'è l'errore in questa analisi? La risposta diventa ovvia non appena ci chiediamo perché mai il lavoratore dovrebbe voler acconsentire a un simile accordo! Egli acconsente perché il suo salario rappresenta beni presenti, mentre il suo lavoro rappresenta soltanto beni futuri, e per lui i beni presenti hanno maggior valore dei beni futuri. Dopo tutto, egli potrebbe anche decidere di non vendere il suo lavoro al capitalista e di tenere per sé l'intero valore di ciò che produce. Ma in questo caso dovrebbe attendere più tempo prima di poter avere tra le mani dei beni da consumare [o vendere].
[Nota: Uno dei motivi per cui il lavoratore, in assenza del capitalista, dovrebbe attendere più tempo è che, prima di produrre i beni, dovrebbe costruirsi da solo i macchinari necessari per produrli (cioè il capitale). Questa costruzione richiede anni di studio e lavoro. Quindi le sue prime entrate arriverebbero solo dopo molti anni. Può il lavoratore permettersi di restare senza entrate per molti anni, mentre studia e lavora per costruire le macchine necessarie alla produzione? No. Ma allora, ciò che il capitalista gli offre è davvero qualcosa di valore: gli offre la possibilità di prendere in affitto i suoi macchinari, anziché costruirli da zero; e quindi di aspettare meno tempo prima di avere entrate. La parte che il capitalista trattiene ("plusvalore") non è altro che il compenso per questo servizio fornito. (Più il compenso derivante dal fatto che il capitalista si sobbarca interamente il rischio di non vendere abbastanza da recuperare le spese). ]
Il fatto che il lavoratore sceglie di vendere i suoi servizi dimostra che preferisce una quantità minore di beni di consumo adesso ad una quantità probabilmente maggiore in un momento futuro.
D'altra parte, perché il capitalista desidera fare un accordo con il lavoratore? Perché dovrebbe voler anticipare al lavoratore beni presenti (denaro) in cambio di servizi che daranno i loro frutti soltanto più tardi? Ovviamente, il capitalista non desidererebbe mai pagare, ad esempio, $100 adesso, se dopo un anno dovesse ricevere la stessa quantità. Infatti, in tal caso, perché non tenere semplicemente in cassaforte quei soldi per un anno, ricevendo così il beneficio aggiuntivo di poterli usare in quel periodo? Al contrario, il capitalista deve aspettarsi di ricevere in futuro una cifra maggiore di $100, per decidere di cedere $100 oggi sotto forma di salario al lavoratore. Deve aspettarsi di riuscire ad ottenere un profitto o, più correttamente, un interesse. Infatti, anche il capitalista è soggetto ai vincoli della preferenza temporale, cioè il fatto che un essere umano invariabilmente preferisce ottenere un bene prima piuttosto che poi [a parità di altri fattori]. Se così non fosse, dato che è possibile ottenere una somma più grande in futuro sacrificandone una più piccola nel presente, perché il capitalista non risparmia ancora di più per il futuro di quanto fa adesso? Perché non affitta ancora più lavoratori di quanto fa adesso, se ognuno di loro gli promette un ritorno aggiuntivo sotto forma di interessi? Ancora una volta la risposta dovrebbe essere ovvia: perché il capitalista è anche un consumatore, e non può fare a meno di esserlo. La quantità dei suoi risparmi e investimenti è limitata dalla necessità: anche lui come il lavoratore ha bisogno di una quantità di beni presenti "abbastanza grande da assicurargli la soddisfazione di tutti quei desideri che egli considera più importanti dei vantaggi che gli deriverebbero dall'allungare ancora di più il periodo di produzione". [citazione di Ludwig Von Mises]
Quindi l'errore nella teoria dello sfruttamento marxista è che Marx non comprende il fenomeno della preferenza temporale come categoria universale dell'azione umana. Il fatto che il lavoratore non riceve "l'intero valore" di ciò che produce non ha niente a che fare con lo sfruttamento, ma riflette semplicemente il fatto che è impossibile per un essere umano scambiare un bene futuro con un bene presente se non a un prezzo minore.
A differenza del caso dello schiavo e del padrone, in cui il padrone ottiene un beneficio alle spese dello schiavo, la relazione tra un lavoratore libero e un capitalista è una relazione di beneficio reciproco. Il lavoratore sceglie di entrare nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, preferisce una quantità minore di beni oggi ad una quantità maggiore domani; e il capitalista entra nell'accordo perché, data la sua preferenza temporale, ha un ordine di preferenze opposto, e preferisce una quantità maggiore di beni domani ad una quantità più piccola oggi. I loro interessi non sono antagonistici ma sono in armonia. [E' proprio il fatto che essi desiderano cose diverse a rendere possibile la collaborazione mutuamente benefica, NdM]. Infatti, se il capitalista non si aspettasse un ritorno sotto forma di interesse, il lavoratore starebbe peggio, in quanto dovrebbe attendere più a lungo di quanto non desideri fare [perché dovrebbe prima costruirsi da sé il capitale, NdM]; e, se il lavoratore non preferisse beni presenti rispetto ai beni futuri, il capitalista starebbe peggio, perché dovrebbe ricorrere a metodi di produzione meno efficienti, e dotati di minore estensione temporale, rispetto a quelli che vorrebbe adottare.
Né si può considerare il sistema di salari capitalistico come un impedimento allo sviluppo delle forze di produzione, come sostiene Marx. Se al lavoratore non fosse permesso vendere il proprio lavoro e al capitalista non fosse permesso comprarlo, la produzione non sarebbe maggiore bensì minore, perché dovrebbe avvenire con un capitale complessivo minore [per motivi spiegati più avanti]. Quindi, contrariamente alle affermazioni di Marx, sotto un sistema di produzione socializzato lo sviluppo di forze produttive non raggiungerebbe nuove vette ma sprofonderebbe disastrosamente. [Vediamo ora perché il capitale complessivo sarà minore laddove sia vietato al capitalista comprare lavoro e al lavoratore venderlo:] L'accumulazione di capitale deve necessariamente essere compiuta da qualcuno (da individui precisi in momenti precisi di spazio e di tempo) mediante l'homesteading [=l'atto di mettere a frutto una risorsa naturale precedentemente priva di proprietario], la produzione e/o il risparmio. In ciascun caso, colui che effettua tale accumulazione di capitale lo fa perché si aspetta che ciò condurrà ad un aumento di produzione di beni in futuro. Il valore che una persona attribuisce al suo capitale riflette il valore che egli attribuisce a tutti i redditi futuri derivanti dal suo utilizzo, scontato in base al suo tasso di preferenza temporale. Se, come nel caso in cui i fattori di produzione sono di proprietà collettiva, a una persona viene negato il controllo esclusivo sul capitale che ha accumulato, e quindi sul reddito futuro che deriva dal suo utilizzo, ma al contrario viene assegnato un controllo parziale del capitale a persone non-proprietarie, non-produttrici e non-risparmiatrici, il valore per lui del suo reddito atteso si riduce, e quindi si riduce il valore del capitale in questione. [Quindi egli produrrà meno capitale. NdM] Il suo tasso di preferenza temporale si alzerà [cioè desidererà più i beni presenti e meno i beni futuri] ed avverranno meno operazioni di homesteading [vedi sopra] e meno risparmio per il mantenimento di risorse esistenti e per la produzione di nuovo capitale. L'estensione temporale della struttura di produzione si accorcerà e ne risulterà un impoverimento [una diminuzione della produzione].
Se la teoria di Marx dello sfruttamento e le sue idee su come porre fine allo sfruttamento e ottenere una prosperità universale sono false fino al ridicolo, è chiaro che qualunque teoria storica che si faccia derivare da esse deve essere anch'essa falsa. Oppure, se è corretta, deve essere stata derivata in modo errato. [Nota mia: a voler essere pignoli, da ipotesi false si può derivare tanto il vero quanto il falso, in modo egualmente corretto. NdM] Anziché addentrarmi nel lungo compito di illustrare tutti gli errori nell'argomento di Marx, che comincia dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e termina con la teoria storica che ho presentato prima, prenderò una scorciatoia: descriverò nel modo più breve possibile una teoria dello sfruttamento corretta, la teoria austriaca Mises-Rothbard; illustrerò come questa teoria renda sensata la teoria storica di classe; ed evidenzierò alcune differenze cruciali tra questa teoria di classe e quella marxista, evidenziando alcune affinità intellettuali tra il marxismo e la teoria austriaca, affinità che nascono dalla loro convinzione condivisa che esista realmente una forma di sfruttamento ed una classe regnante.
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fonte: Il Lume Rinnovato: L'errore nella teoria marxista dello sfruttamento; una teoria dello sfruttamento corretta.
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