Quali sono le vere cause dell’ aumento dei prezzi del petrolio? - Articolo del 12/10/2004
All' International Petroleum Exchange (IPE) di Londra, il Brent per consegna novembre ieri ha superato per la prima volta i 50 dollari al barile, chiudendo a $ 50,50.
Al Nymex, il Wti per consegna novembre (CLX4) ha stabilito il nuovo massimo storico a $ 53,80 per poi chiudere a $ 53,64.
I prezzi del petrolio sono aumentati del 6,4% la scorsa settimana, e del 79% rispetto ad un anno fa.
E’ vero che siamo ancora lontani dai livelli raggiunti nel 1979-1980, dopo la Rivoluzione Iraniana, quando un barile di petrolio arrivò a costare l’ equivalente di $ 80 di oggi, e per l’ economia mondiale iniziò un periodo di grave recessione.
Ed è altrettanto vero che, rispetto ad allora, oggi i Paesi importatori più avanzati hanno ridotto la propria dipendenza dal petrolio, grazie alla maggior efficienza energetica ed alla evoluzione strutturale dell’ economia, che ha visto il progressivo prevalere delle attività di servizio rispetto a quelle manifatturiere.
Si è venuta riducendo, per conseguenza, la “sensibilità” dell’ economia all’ andamento del mercato del petrolio.
Nondimeno, l’ attuale livello dei prezzi - che peraltro non appare sufficiente ad arrestare la crescita della domanda, ed è quindi con tutta probabilità destinato a salire ancora - obbliga analisti e politici a mettere in conto la probabilità di un rallentamento dello sviluppo economico mondiale.
Per molti di loro, la previsione del Fondo Monetario Internazionale (IMF), che pure ha recentemente ridotto la stima della crescita economica mondiale nel 2005 dal 4,4% al 4,3%, appare ancora ottimista, ritenendo più realistico parlare di un tasso di crescita del 4%.
Tale è la tensione nel mercato, che ogni sia pur piccola perturbazione negli approvvigionamenti sembra riflettersi immediatamente sui prezzi.
La tempesta tropicale Matthew ha colpito il Golfo del Messico nella giornata di venerdì, ed ha provocato la chiusura, per la terza volta in un mese, del Louisiana Offshore Oil Port (LOOP), da dove transitano 1 milione di barili di petrolio al giorno, il 10% delle importazioni USA.
Le operazioni di scarico delle petroliere sono ricominciate da poco.
A tutt’ oggi, la produzione giornaliera delle piattaforme nel Golfo del Messico non è stata ancora completamente ripristinata.
La scorsa settimana sono stati prodotti circa 475.000 barili al giorno in meno rispetto a 1,7 milioni di barili prodotti giornalmente prima dell’ arrivo dell’ uragano Ivan.
Dal 13 settembre ad oggi, si sono persi in totale 17 milioni di barili.
Ieri è iniziato uno sciopero generale di quattro giorni in Nigeria, proclamato per protestare contro l’ aumento del prezzo della benzina, ed al quale hanno aderito gli operai e gli impiegati delle Compagnie petrolifere.
Questi avvenimenti, come ciascuno di quelli che la cronaca politico-economica ha segnalato quotidianamente negli ultimi mesi, sarebbero certamente sufficienti a giustificare, da soli, un trend di breve periodo, ma neppure la loro ormai lunga sequenza può essere considerata come unica causa di quanto sta avvenendo sul mercato del petrolio.
A chi, allora, devono essere attribuite le responsabilità di fondo della attuale situazione ?
Le diverse analisi in proposito, divergono sostanzialmente sul ruolo e sul peso da attribuire alla speculazione finanziaria.
Una prima linea interpretativa, sostenuta soprattutto dall’ OPEC e da molti rappresentanti di organismi politici internazionali, assegna all’ azione degli speculatori un peso determinante.
L’ OPEC, così come del resto molti altri paesi esportatori, sostiene che fino ad ora la crescente domanda di petrolio è sempre stata completamente soddisfatta, grazie all’ impegno dei Paesi membri, che da tempo producono al limite delle capacità.
Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti, che producono circa la metà del petrolio OPEC, hanno inoltre ribadito il loro impegno ad aumentare la produzione.
L’ Arabia saudita, in particolare, sostiene di poter incrementare la produzione del 30% in due anni.
Anche secondo alcuni analisti, non siamo in una situazione di carenza di offerta, che non può pertanto essere assunta a giustificazione, per esempio, dell ‘ aumento di $ 10 che i prezzi del petrolio hanno subito dal 13 settembre, quando, a causa dell’ arrivo di Ivan, le importazioni dal Golfo del Messico si sono drasticamente ridotte.
Nel meeting di Washington di venerdì 1° ottobre, i Ministri delle Finanze ed i Governatori delle Banche Centrali dei Paesi del Gruppo dei 7 (G7 = Stati Uniti, Canada, Giappone, U.K., Germania, Francia, Italia), hanno riconosciuto che siamo in presenza di una crescita della domanda mondiale di petrolio a ritmi senza precedenti, e che le tensioni geopolitiche mettono da tempo costantemente a rischio la produzione di alcuni tra i più importanti Paesi esportatori.
Ma hanno anche invitato l’ IMF ad assumere un ruolo più incisivo nella promozione di una maggior trasparenza ed attendibilità delle informazioni sui reali andamenti della domanda e dell’ offerta a livello mondiale, allo scopo di contrastare l’ azione degli speculatori, riducendo gli elementi di incertezza che favoriscono la volatilità del mercato del petrolio.
Per valutare il ruolo giocato dalla speculazione finanziaria, è utile analizzare i dati che la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) fornisce settimanalmente con il Commitments of Traders report (COT).
Per ogni singola commodity, il COT indica il numero dei contratti di acquisto (long position) o di vendita (short position) posseduti da tre diverse categorie di traders : i commercials (produttori ed utilizzatori), i noncommercials o large speculators (investitori istituzionali, fondi, etc.) e gli small speculators ( il pubblico indistinto).
Il rapporto della CFTC viene diffuso ogni venerdì e si riferisce alla settimana terminata il martedì precedente.
E’ un fatto che gli hedge funds siano lunghi sul petrolio.
I dati relativi al 5 ottobre indicano che, al Nymex, gli hedge fund e gli altri large speculators hanno incrementato per la terza settimana consecutiva le net long positions (differenza tra contratti di acquisto e di vendita), che sono passate da 33.262 a 37.179, quasi il triplo rispetto alle 13.198 del 12 settembre.
Né bisogna sottovalutare la spinta al rialzo dei prezzi generata dall’ arrivo sul mercato di investitori sul lungo termine, come i fondi pensione, che recentemente hanno deciso che le commodities non possono mancare in un portafoglio ben diversificato.
Si valuta che, dal 2002 ad oggi, il valore degli investimenti nelle commodities sia più che raddoppiato, passando da 12 miliardi a 25 miliardi di dollari.
Buona parte di questa crescita è dovuta all’ aumento dei prezzi, ma non c’ è dubbio che un numero crescente di investitori stia scoprendo il mercato delle commodities.
Per quanto riguarda in particolare il petrolio, i prezzi crescenti hanno creato preoccupazione ed incertezza, costringendo i commercials ad entrare nel mercato, obbligati a comprare per proteggere il proprio business.
I dati della CFTC mostrano un aumento dei contratti posseduti da Società direttamente od indirettamente coinvolte nel business del petrolio.
I sostenitori della seconda linea interpretativa, non negano che quest’ anno ci sia stato un forte aumento del trading sul petrolio, specialmente da parte degli hedge funds e delle banche di investimento, ma contestano che sia stata questa la causa dell’ aumento dei prezzi.
Gli speculatori, affermano costoro, possono cavalcare e sostenere un trend, non certo crearlo.
A sostegno della loro tesi, portano tre argomenti principali :
# Intanto sottolineano il fatto che, mentre c’ è effettivamente abbondanza di “heavy crude”, che non ha grande richiesta, c’ è invece reale penuria di “light crude”, molto più richiesto dalle raffinerie per il basso tenore di solfuri, che facilita la lavorazione ed aumenta la resa.
Ora, l’ heavy crude viene estratto soprattutto nei paesi dell’ OPEC, e perciò effettivamente non è mai scarseggiato, mentre gran parte del petrolio del Golfo del Messico, così come il “Bonny Light” della Nigeria, è light crude.
# La libera circolazione dei capitali nel mercato globale ha fatto aumentare la speculazione finanziaria in tutti i campi, non solo nel petrolio.
Strumenti come i derivati hanno acquistato sempre maggiore importanza, e gli hedge funds investono capitali sempre più importanti.
Così i mercati sono più liquidi, ma anche più volatili.
# Quello che sta spingendo sempre più in alto il prezzo del petrolio è un trend di lungo periodo.
La crescita vertiginosa della domanda, la guerra in Iraq e l’ aggravarsi dell’ instabilità in Medio Oriente, le tensioni socio-politiche in altri paesi esportatori, l’ incertezza con cui la Russia affronta il problema di un’ industria petrolifera aperta alle regole del libero mercato, l’ OPEC che sembra aver perso la capacità di controllare i prezzi, sono queste le cause dell’ aumento dei prezzi.
Prezzi che sono destinati ad aumentare ancora, visto che la crescita della domanda non accenna a rallentare, e diviene sempre più critico l’ equilibrio con un’ offerta che ora sconta gli effetti di un lungo periodo in cui non sono state destinate risorse sufficienti alla ricerca di nuovi giacimenti ed all’ aumento delle capacità di raffinazione.
Mario Celiberti