Cina, alunni in gita premio per assistere alle esecuzioni
dal corrispondente Federico Rampini
www.Repubblica.it - 28 ottobre 2004
Pena di morte sempre più diffusa: 10 mila vittime l'anno.
Visite guidate per ragazzini delle elementari e delle medie.
PECHINO - Ma Weihua, 29 anni, l'hanno arrestata alla stazione ferroviaria di Lanzhou con l'eroina nascosta sotto la sua gonna gialla. Il possesso di droga è uno dei 69 reati per cui scatta la condanna a morte in Cina. Il suo era un caso speciale, però. Al momento dell'arresto Ma Weihua era incinta e il codice penale esclude dalla sentenza capitale le donne in stato di gravidanza. La polizia di Lanzhou non si è fermata per così poco.
La squadra narcotici ha trasferito Ma dal carcere all'ospedale Kangati dove un medico le
ha praticato subito l'aborto.
Sotto anestesia forzata "perché la paziente si rifiutava di cooperare". Un dirigente della
Pubblica sicurezza di Lanzhou ha dichiarato alla stampa locale che "il codice non deve
diventare un'arma in mano agli spacciatori per sottrarsi alla punizione".
Il caso di Ma rilancia il dibattito sulla pena di morte in Cina. Qui ogni anno la giustizia fa
fucilare o sopprime per iniezione letale almeno diecimila persone: cinque volte più delle
condanne a morte eseguite in tutto il resto del mondo, America compresa.
Nonostante il disagio degli intellettuali e dei dirigenti più illuminati, la pena di morte ha
ancora un solido avvenire in questo paese. Pochi giorni fa a Changsha, capitale della
provincia dello Hunan, centinaia di scolari sono stati guidati dai loro maestri in una
singolare gita premio. Dentro il palazzetto dello sport di Changsha, insieme con altri 2.500 spettatori, i ragazzini delle classi elementari e medie hanno potuto assistere di persona in diretta all'esecuzione di sei condannati.
Lo spettacolo è stato immortalato su un sito Internet: gli scolari in uniforme (dai sei ai
sedici anni) ascoltano dagli altoparlanti la proclamazione dei reati commessi, poi il plotone di esecuzione apre il fuoco. Queste cerimonie pubbliche si moltiplicano in occasione delle festività nazionali. Di recente la provincia dello Yunnan ha acquistato diciotto "celle mobili" equipaggiate per l'iniezione letale, al fine di "migliorare l'efficienza e l'economicità" delle esecuzioni.
A Pechino il governo centrale sembra meno entusiasta di tanta pubblicità. Questo può
spiegare il divario consistente che c'è tra le esecuzioni dichiarate e quelle reali. Nel 2003, per esempio, Amnesty International ha censito 1.639 condanne a morte ufficiali in Cina di cui 726 già eseguite. La stessa Amnesty International nel suo rapporto annuo avverte che "le cifre vere purtroppo sono molto più alte".
La stima di diecimila esecuzioni avanzata dal giurista Chen Zhonglin è considerata
attendibile. Una simile strage non viene giustificata con gravi motivi di ordine pubblico. La Cina non è descritta dalle sue autorità come un paese tormentato da alti livelli di
criminalità, non c'è un clima di allarme sociale per la violenza. E' il sistema giudiziario ad
avere il grilletto facile.
Il professor Xiao Zhonghua dell'Accademia delle Scienze sociali invita a "vigilare contro
l'abuso della pena di morte". Il giurista Liu Renwen dichiara alla rivista Huanqiu: "Nel 1910 sotto l'ultimo regime imperiale, la dinastia Qing, c'era la pena capitale per venti capi d'imputazione. Un secolo più tardi, il nostro nuovo codice penale ha triplicato i casi in cui si applica". Sono inclusi delitti non cruenti come il contrabbando, lo sfruttamento della prostituzione, la profanazione delle tombe, la falsificazione di banconote.
Di recente i reati che si pagano con la vita sono stati ancora aumentati. L'anno scorso
sono stati aggiunti alla lunga lista il crimine di "diffusione deliberata della Sars", e quello di "produzione di materie prime tossiche". Anche la prevenzione sanitaria e la lotta
all'inquinamento si regolano così, in un paese dove secondo Amnesty International "non
esiste la presunzione d'innocenza, le confessioni ottenute attraverso la tortura valgono
come prove in tribunale, gli avvocati difensori non sono tenuti ad essere presenti negli
interrogatori di polizia, e il potere politico interferisce nel sistema giudiziario". Si aggiunge il sospetto che la pena di morte sia somministrata con particolare facilità ai membri di
minoranze etniche non appena scatta contro di loro il sospetto di attività terroristiche (è il caso del tibetano Lobsang Dhondup fucilato a gennaio, e di diversi musulmani Uiguri in
carcere).
Nelle ultime settimane qualcosa sembra muoversi. Una delle massime autorità giudiziarie del paese, il vicepresidente della Corte Suprema del Popolo Huang Songyou, annuncia che i condannati a morte dovrebbero avere diritto di appello presso la sua giurisdizione, cioè il tribunale costituzionale. Sarebbe già un progresso enorme: oggi i giudici che esaminano i ricorsi sono gli stessi che hanno inflitto la pena capitale. Il quotidiano Notizie di Pechino pubblica un appello firmato dai più celebri giuristi del paese, si intitola "Per l'abolizione della pena di morte sui reati economici". Liu Ri, vicepresidente dell'università Hebei, conferma che questo sarebbe il primo passo più ragionevole: "Eliminare la condanna capitale per i reati finanziari, poi per tutti i delitti che non comportano spargimento di sangue".
Questi esperti e magistrati hanno fatto i conti senza l'opinione pubblica. La Cina non ha
libere elezioni o referendum per consultarla, ma almeno ha le rubriche di lettere ai giornali, i forum su Internet e i weblog. La loro reazione a queste proposte non si fa attendere. Sui siti Sohu. com e Sina. com piomba una valanga di proteste: 5.000 interventi contro la clemenza - o la civiltà - invocata dagli esperti. "E' irragionevole - scrive un giovane su Sohu. com - abrogare la pena di morte per i dirigenti politici che prendono le tangenti.
Queste proposte ignorano il sentimento dei cittadini ordinari, offesi e danneggiati dal
dilagare della corruzione".
Alcuni lettori indignati confidano ai giornali il timore che i giudici garantisti siano d'accordo con gli amministratori disonesti. Verso i corrotti nessuno è disposto a usare indulgenza. Per loro neanche l'ergastolo sembra bastare. Il giurista Li Kejie ammette che "molti cittadini sono a favore della legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, soprattutto oggi che le riforme economiche creano conflitti e instabilità sociale. L'effetto deterrente e la punizione esemplare della pena capitale diventano ancora più importanti, sembrano dare sicurezza".
In realtà le statistiche rivelano che solo di rado chi ha intascato tangenti finisca davanti al
plotone d'esecuzione. Anche quando succede, si tratta di figure di medio calibro, dirigenti
provinciali gettati in pasto all'opinione pubblica per dare l'impressione che la corruzione
viene combattuta senza pietà. Negli ultimi anni il più alto in grado ad aver pagato con la
vita è un vice-governatore provinciale dello Jianxi, Hu Changqing, fucilato l'8 marzo del
2000 per aver preso 658.000 dollari di mazzette. Quest'anno si segnala un solo caso di
pena capitale per un alto funzionario accusato di ruberie: è Wang Huaizhong, ex vicegovernatore dello Anhui, la cui condanna è stata eseguita il 12 febbraio.
Sulla massa dei condannati a morte i colletti bianchi sono già oggi una minuscola
eccezione. Inoltre, spiega ancora Liu Renwen, "il potere deterrente della pena capitale
contro la corruzione ha dei limiti evidenti. Conosciamo dei casi in cui dopo la condanna a
morte di un amministratore locale per tangenti, il suo successore si è macchiato poco
tempo dopo dello stesso delitto. Questo deve metterci in allarme. La soluzione per
prevenire questo genere di delitti sta nel cambiare il sistema". La migliore cura contro il
giustizialismo dei cittadini, sostiene il giurista impegnato contro le condanne a morte, "è
rendere pubbliche le informazioni sui numerosi errori giudiziari, illustrare la scarsa utilità
pratica della pena capitale".
Forse Liu sopravvaluta la razionalità dei suoi concittadini. O sottovaluta la tensione che
cova dentro la società. Pochi giorni fa nella città di Wanzhou un banale diverbio tra
automobilisti è degenerato quando è intervenuta la polizia: diecimila persone hanno
attaccato le forze dell'ordine e incendiato i loro automezzi, apparentemente senza una
ragione, finché sono dovuti intervenire reparti anti sommossa per sedare la guerriglia. Le autorità ora minimizzano questo incidente, come le tante esplosioni improvvise di
conflittualità sociale nelle campagne, fiammate di ribellione contadina contro i capi-partito che si impadroniscono delle terre comuni per venderle alle aziende o ai palazzinari. La voglia di forca probabilmente è un altro modo di dire le stesse cose. A fare le spese di questo risentimento popolare, purtroppo, non sarà la nomenklatura corrotta. Sarà Ma Weihua, che a 29 anni ha abortito su decisione di un poliziotto, perché neanche il codice penale possa sottrarre la sua vita al potere assoluto del giudice.