http://deputati.camera.it/Laura.Cima/attivita/dir08.htm
Signor Presidente, in un periodo in cui siamo molto preoccupati per i venti di guerra, ansiosi per il problema iracheno sollevato con molto durezza dal Presidente Bush, credo sia molto importante che la Camera dei deputati affronti per la prima volta in tempi recenti il problema del Tibet. Ciò è molto importante, signor Presidente, per l'attualità, nella fase drammatica di escalation delle violenze dopo l'11 settembre, per il valore simbolico della vicenda tibetana e della lotta, attraverso il suo capo spirituale, il Dalai Lama (in passato ha rivestito la carica di Capo di Governo, ma, attualmente, è solo il capo spirituale dopo l'avvenuta divisione dei poteri), di questo coraggioso popolo tibetano che è riuscito a mantenere la propria capacità di rispondere all'oppressione, all'invasione, all'aggressione e alla morte. Ricordiamo che negli anni della repressione, dopo l'invasione, un quinto del popolo tibetano è morto per ribellarsi all'assorbimento della grande identità culturale e religiosa di cui è portatore e ancora oggi giacciono nelle prigioni molti tibetani che hanno voluto testimoniare la loro opposizione e chiedere l'indipendenza del proprio paese. È stata ricordata in precedenza la vicenda del bambino imprigionato a sei anni e che è ancora in prigione - il Panchen Lama - e vorrei ricordare inoltre anche la vicenda di una monaca tibetana che è stata imprigionata a 13 anni nel 1990 - Ngawang Sangdrol - monaca del monastero femminile di Garu, 5 chilometri a nord di Lhasa. L'unica sua colpa è stata quella di gridare slogan indipendentisti. Si tratta praticamente di reati di opinione o a seguito di richieste di indipendenza in termini assolutamente non definibili di opposizione dura, né tantomeno di opposizione armata o di terrorismo; ciò nonostante molti sono i tibetani che si trovano ancora nelle carceri. Parlavo di una estrema attualità proprio con riferimento a questa capacità di mantenere la propria integrità, sotto la pressione, e la propria identità: abbiamo visto nella recente missione cui ho partecipato con altri parlamentari italiani quanti sforzi si compiano per esempio per i giovani a Dharamsala, dove ha sede il Governo in esilio, per educarli e mantenere le loro tradizioni, ma anche per insegnare loro le cose che servono in questo mondo globalizzato: la lingua inglese e le tecnologie più avanzate. Pensate che esistono quasi 2 mila e 500 bambine che stanno studiando (ogni donna tibetana ha assunto l'onere di seguire 35 bambini a Dharamsala), sono andate via dal Tibet, per non crescere sotto la pressione cinese, spesso in condizioni drammatiche, attraversando l'Himalaya in inverno, rischiando il congelamento; le loro famiglie hanno preferito trovare il modo di fargli raggiungere il mondo libero con il rischio di non vederli più se non viene risolta velocemente la situazione tibetana. Alcuni di loro sono scappati subito dopo l'invasione e da più di cinquant'anni sono ormai all'estero, contribuendo a ricostruire la sede del Dalai Lama in esilio ed ora il Parlamento ed il Governo. Questa terribile esperienza di tante madri che hanno preferito mandare i loro figli (con il rischio anche della vita, nell'attraversare l'Himalaya) nel mondo libero e con il rischio di non vederli più se la libertà per cui lottavano non fosse arrivata, è uno soltanto dei drammi terribili che le donne tibetane vivono. Alcune le abbiamo anche incontrate: hanno vissuto 25 anni in galera e hanno visto i loro familiari morire; altre hanno manifestato nelle riunioni internazionali delle donne, come a Pechino, quattro anni fa, contro le
sterilizzazioni forzate e gli aborti cui erano costrette dal Governo cinese. Infatti, queste terribili forme di oppressione sono il modo attraverso il quale, in questi anni, il Governo cinese ha tentato di cancellare il popolo tibetano e la sua identità, oltre naturalmente all'invasione, non solo militare, come nel 1950, ma anche civile, di tutti i cinesi che sono stati inviati a colonizzare il Tibet in questi anni. Nonostante queste drammatiche condizioni, i governanti cinesi - non il popolo, ma il Governo, perché il popolo cinese stesso soffre della mancanza di democrazia che i suoi governanti hanno inflitto in modo tanto evidente ai tibetani - non sono riusciti a piegare questo popolo coraggioso. Allora è nostro compito intervenire, come ci è stato chiesto nei numerosi incontri che abbiamo avuto, in quei luoghi, anche con parlamentari indiani: voi sapete, infatti, che il Governo indiano non solo ospita ma aiuta continuamente il Parlamento tibetano in esilio, Parlamento che è una recente acquisizione dei tibetani in esilio che hanno voluto dotarsi di questo organismo compiendo un ulteriore passo verso la democratizzazione. Abbiamo incontrato il Parlamento riunito in sessione plenaria - quindi tutti i parlamentari - e abbiamo avuto modo di capire come essi veramente rappresentino in modo democratico il popolo del Tibet nella sua diaspora. Come ci hanno chiesto sia il Dalai Lama sia il Governo sia il Parlamento sia il popolo tibetano, nei vari incontri, è necessario intervenire il più fortemente e il più velocemente possibile, perché il momento è favorevole. I colleghi che mi hanno preceduto hanno già detto che abbiamo incontrato i due delegati del Dalai Lama, di ritorno dagli incontri a Pechino e a Lhasa, che erano portatori di speranza: il momento, infatti, è favorevole anche perché la Cina deve superare una fase astorica che non potrebbe permetterle, se continuasse questo tipo di oppressione - anche la democrazia di cui gode attualmente il popolo cinese è incerta -, di mantenere il ruolo importante che riveste (e che noi riteniamo sia giusto abbia) all'interno della comunità internazionale. Quindi, io vorrei anche riaffermare il nostro spirito di amicizia fortissima verso il popolo cinese, di rispetto verso il suo Governo, ma anche l'invito ad incalzare la democratizzazione che è stata avviata in quel paese, anche attraverso l'apertura degli scambi, e che noi riteniamo debbano trovare visibilità concreta nel negoziato con il Tibet, che deve ampliarsi ed essere reso pubblico nel più breve tempo possibile. Questo ci è stato chiesto anche perché le distruzioni, soprattutto quelle ambientali, sono drammatiche: sono state distrutte non solo moltissime foreste, moltissimi monasteri, ma anche le vecchie città, per sostituirle con un'immagine del Tibet più turistica, ma sicuramente non così affascinante e non così rispondente a quell'immagine che tutti noi abbiamo interiorizzato, attraverso tante letture, che abbiamo conosciuto attraverso le opere d'arte, la storia, la religione tibetana. Non solo:
il Tibet è stato scelto anche come luogo per il deposito di scorie nucleari, proprio per contrastare la tendenza alla pace che questo popolo ha sempre espresso. Mi avvio alla conclusione ricordando che sono stati installati - così ci è stato riferito - missili a lunga gittata che, peraltro, rappresentano una minaccia proprio in un momento in cui giustamente chiediamo ad altri popoli di disarmarsi.
Il fatto che il Tibet sia diventato un luogo dove, invece, vi sono minacce di armi, scorie nucleari e, nella stessa regione in cui è nato il Dalai Lama, esperimenti nucleari, ci fa rabbrividire. L'urgenza, dunque, è tanta. Mi auguro che un voto di quest'Assemblea favorevole alla mozione che abbiamo presentato possa contribuire a spingere il Governo cinese verso un'immediata apertura di negoziati.