MI PIACE IL MARE D'INVERNO. LUI CI METTE LE ONDE, IO CI METTO I PENSIERI.

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La vita del comunista è assorbita dall’interesse economico.

Egli riduce la complessità dell’uomo e delle relazioni umane ai “rapporti di produzione” marxiani, dai quali, a suo giudizio,
dipendono non solo le istituzioni politiche della società, gli interessi di “classe” che muovono la dinamica politica, ma perfino il pensiero e l’azione dell’individuo.

Nella sua visione meccanicistica e deterministica della società umana, la cultura, il diritto, l’etica e le istituzioni sociali
costituiscono la “sovrastruttura” che dipende dalla “struttura”, identificata nei “rapporti di produzione”;
il posto che l’uomo occupa all’interno di tali rapporti ne fa uno “sfruttato” o uno “sfruttatore”,
gli assegna il suo “interesse di classe” e determina il suo modo di pensare e agire.

L’universo dell’uomo gira intorno a un centro di gravità; la complessità dell’uomo perviene alla reductio ad unum;
l’infinita varietà degli interessi umani è ricondotta alla sua base genetica: l’interesse economico.


Questa sorta di homo economicus è ben lontana dal paradigma teorico della scuola liberale austriaca, fondata da Carl Menger.

Mentre il paradigma liberale aiuta a spiegare le scelte economiche del consumatore e del produttore all’interno del mercato
e a questo si limita, la dottrina marxiana assume l’interesse economico al centro di tutte le relazioni umane
e lo configura come “causa” prima delle opzioni etico-politico-sociali degli uomini.

L’uomo non è pensato come soggetto, bensì come oggettivato nella sua relazione “produttiva”
ossia come oggetto di un interesse economico che lo sovrasta.

La seconda fondamentale diversità tra l’homo economicus marxiano e mengeriano si ravvisa in ciò:

la dottrina marxista sovrappone teoria e prassi, sicché assume il suo modello teorico come corrispondente alla realtà
e dunque il suo homo economicus coincide con l’uomo vero (secondo l’assunto);

la dottrina liberale ha consapevolezza che il modello teorico offre un criterio di discernimento della realtà di mercato, ma nulla di più;

tale archetipo ideale aiuta a comprendere e spiegare i fenomeni economici, tuttavia l’uomo in carne ed ossa differisce dal modello tipologico.

Il liberale è consapevole che il suo homo economicus non vive sulla terra,
come la figura geometrica del triangolo non esiste in natura, ma solo nella mente dell’uomo.

Al contrario, la dottrina marxiana fa del triangolo, non già una costruzione del pensiero, bensì un elemento della realtà “oggettiva”.


Orbene la dottrina marxista, che mette al centro delle relazioni umane l’interesse economico,
non seduce certo l’asceta che si appaga di contemplare il “creato”, bensì colui che nella sua stessa vita mette l’interesse economico al centro di tutto.

La forza attrattiva della dottrina politica si indirizza necessariamente verso chi simpatizza per i suoi assiomi, trovandoli corrispondenti al proprio sentire ideale.

Non si tratta di sapere scientifico, bensì di un insieme sistematico di idee e valori verso i quali si dirige l’adesione del seguace,
per condivisione di valori e “simpatia” ideale (in senso strettamente conforme alla radice etimologica greca, sun-pathos, ossia passione comune).

La centralità dei “rapporti di produzione” nella cosmologia marxista trova, dunque,
necessaria corrispondenza nella priorità dell’interesse economico nell’ambito della scala di valori, in ragione della quale risulta organizzata la vita del comunista.

Egli trova essenziale la distinzione di fondo tra ricchi e poveri, tra “sfruttatori” e “sfruttati”,
e la erge a criterio interpretativo di tutti i possibili conflitti umani, proprio perché la dimensione economica della sua vita
è prioritaria e assorbente e dunque immagina che tutta la dinamica delle relazioni umane ruoti intorno a quell’unico e fondamentale interesse.

I beni materiali e il denaro, che consente di acquistarli, sono la base essenziale della sua vita
e perciò immagina che la vita di tutti noi sia scandita da questo solo metronomo.

Il tic-tac della vita individuale del comunista e il tic-tac della vita associata, nella sua rappresentazione mentale,
sono scanditi da un solo metronomo: l’interesse economico.

Per esempio, egli interpreta i fatti di terrorismo internazionale in termini di lotta economica;
non immagina che qualcuno possa combattere una guerra contro l’occidente, perché odia l’occidente, in nome di un Islam estremizzato;
non immagina che possano sorgere conflitti di civiltà o conflitti di nazioni;
ipotizza solo conflitti tra “ricchi” e “poveri”.

Alla base di tutto vede il denaro.

Stigmatizza l’altrui avidità, ritenendola la fonte di ogni male,
perché non ravvisa altra possibile origine e dunque egli stesso deifica il denaro, ritenendolo causa di tutto.

La sopravvalutazione dell’impatto sociale del denaro nasce dalla sopravvalutazione del denaro in seno al proprio microcosmo.



Quest’unico criterio di lettura del divenire umano immiserisce l’uomo e lo riduce alla sola dimensione economica.

L’uomo a una sola dimensione, da soggetto pensante e dotato di libero arbitrio,
regredisce a succube dei “rapporti di produzione” e dell’appartenenza di classe;
da portatore di nobili aspirazioni e variegati interessi materiali e immateriali,
è ridotto al rango di essere vegetativo, meccanicisticamente determinato dall’interesse economico.


Per conseguenza, la politica dei comunisti si proietta su un unico obiettivo:
redistribuire la ricchezza prodotta dai privati e modificare, se necessario, gli assetti proprietari, per giungere all’uguaglianza economica.

Il nocciolo dei programmi politici socialcomunisti consiste inevitabilmente nel togliere agli uni per dare agli altri;

lo Stato redistributore non si pone il problema di agevolare l’iniziativa dei privati, in quanto fonte di ricchezza;

non si cura della semina, passa direttamente al raccolto, che viene taglieggiato e redistribuito.


Alla base di tutto c’è l’uomo comunista, che, ponendo al centro della sua esistenza l’interesse per i beni materiali e il denaro,
è dominato dalla continua preoccupazione che altri ne possieda in eccesso.



Ha un solo metro di giudizio; misura la felicità/infelicità delle condizioni di vita, sue e dei suoi simili,
in termini rozzamente quantitativi, in funzione del possesso dei beni materiali.


La proprietà e il reddito sono le cure che assorbono la sua esistenza,

come la redistribuzione è la cura fondamentale del programma politico socialcomunista.
 
Uno studio si pone il problema dell'effettiva contagiosità dei debolmente positivi.
Fissare un nuovo punto limite nell'amplificazione dei cicli che rilevano l'Rna del virus potrebbe essere la risposta


Molte persone sono contagiose per una settimana, ma potrebbero rimanere positive al tampone per il Covid-19 per molto più tempo.

L’accuratezza del test è tale che potrebbe rilevare tracce di virus non più attivo.

Secondo il professor Carl Heneghan, tra gli autori dello studio,
invece di essere impostato per fornire un risultato “sì / no” in base al rilevamento dell’Rna del virus,
il test dovrebbero avere un punto limite in modo che quantità molto piccole di virus non diano un risultato positivo.

Questa ipotesi potrebbe spiegare il perché i casi di positivi al coronavirus sono aumentati, mentre i ricoveri in ospedale rimangono stabili.


Il Center for Evidence-Based Medicine dell’Università di Oxford ha esaminato le evidenze di 25 studi
in cui campioni di virus da test positivi sono stati messi in una capsula per osservarne la crescita.

Questo metodo di coltura virale può indicare se il test positivo ha rilevato virus attivi che possono riprodursi e diffondersi,
o solo frammenti di virus morti che non crescono né in laboratorio né nelle persone.

Il fatto di non sapere l’effettiva contagiosità dei positivi al Covid-19 o dei positivi asintomatici
è uno dei problemi che rimangono ancora senza risposte definitive
e che non permette di dare numeri perfetti.

Il problema dei “debolmente positivi” lo aveva già sollevato il direttore dell’Istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi in una intervista al Corriere della Sera,
parlando di una serie di screening condotti sui ricercatori del Mario Negri e della Brembo.

Secondo quanto riportato, la positività nei tamponi dello studio del Mario Negri emergeva solo dopo 34-38 cicli di amplificazione,
un segnale troppo debole per far pensare a una infezione in atto ed a una possibile contagiosità.


Ecco perché il Sistema nazionale di monitoraggio sta considerando di abbassare la soglia di positività per non intercettare i falsi positivi.


Il tampone è il metodo di diagnosi standard e utilizza sostanze chimiche per amplificare il materiale genetico del virus.

Il campione di prova deve passare attraverso una serie di “cicli” in laboratorio prima che venga rilevata una componente significativa dell’Rna del virus.

Più è alto il cosiddetto Cycle threshold, il ciclo-soglia, meno RNA virale è presente in chi ha fatto il tampone.

Il numero di cicli può indicare la quantità di virus presente, che si tratti di piccoli frammenti oppure di una carica virale alta.


Le tracce di virus rilevate potrebbero essere collegate alla probabilità che il virus sia infettivo:

più il segnale è debole e incerto, più fa pensare a tracce di Rna virale ormai residuali e inattive
che di fatto attestano l’assenza dell’infezione ancora in corso.


IL PROBLEMA DEI DEBOLMENTE POSITIVI

Quanti dei nuovi casi di positivi che ci vengono comunicati ogni giorno, sono debolmente positivi?

E quanto sono in grado di infettare?

Ecco che allora per evitare quarantene non necessarie e numeri impropri, secondo il professor Carl Heneghan,
la probabilità di falsi positivi potrebbe essere ridotta se gli scienziati riuscissero a capire dove poter porre un limite.


Come sostiene anche Remuzzi

«Sarebbe opportuno, quindi, che i laboratori per definire un tampone positivo
quantifichino la carica virale come si fa con la glicemia, l’azotemia e il colesterolo».
 
La forma di polmonite virale è causata dal nuovo Coronavirus
e necessita di un ricovero ospedaliero.
Ecco quali sono i sintomi, le caratteristiche e i fattori di rischio




CHE COSA È LA POLMONITE INTERSTIZIALE

Si chiama polmonite interstiziale perché coinvolge l’interstizio,
una fitta e sottile rete di tessuto connettivo a sostegno di bronchi, vasi ed alveoli polmonari
.

In caso di polmonite, infatti, si verifica una forte infiammazione sostenuta da una esagerata risposta immunitaria,
che produce un notevole ingrossamento di questo connettivo interstiziale,
riducendo la possibilità degli scambi gassosi dagli alveoli respiratori al sangue e viceversa.


Ciò comporta una diminuzione dell’ossigenazione sanguigna.

Controllando i valori di ossigenazione con un saturimetro li si vedrà scendere:
dal 94% in giù è il caso di allamarsi e con valori inferiori al 90% è opportuno disporre un ricovero urgente.

La polmonite intestiziale causata da un’infezione da Covid 19 può scatenare pertanto una risposta immunitaria esagerata che porta,
come nelle malattie autoimmuni, sia a fenomeni di fibrosi interstiziale che di microembolia/trombosi dei vasi polmonari.


CON QUALI SINTOMI SI MANIFESTA LA POLMONITE INTERSTIZIALE


– mancanza di fiato dapprima durante i movimenti e successivamente anche quando si parla o si sta a riposo
– senso di peso al torace e dolori toracici diffusi
– tosse stizzosa e insistente presente sia di giorno che di notte
– febbre superiore ai 38 gradi
– produzione abbondante di catarro, in genere giallo o verde
– disturbi del gusto e dell’olfatto (riscontrati nel 50% circa dei casi)


QUALI SONO I SOGGETTI PIU’ A RISCHIO

La diagnosi di una polmonite interstiziale da Covid-19 è particolarente rischiosa per determinati soggetti.

In particolare per chi:
-ha un’età avanzata;
-soffre di patologie serie cardiovascolari
– ha un’insufficienza renale
– è un soggetto diabetico
– è affetto da obesità.
 
Il test standard per la covid, quello effettuato con i classici "tamponi",
rintraccia la presenza del coronavirus SARS-CoV-2 grazie a una tecnica di biologia molecolare chiamata RT-PCR (reazione a catena della polimerasi inversa).

Se il virus è presente, il suo codice genetico viene estratto e copiato più volte in una serie di cicli successivi che lo rendono visibile.

Il valore di CT è il numero di cicli necessari a "far saltare all'occhio" l'RNA virale;
una volta individuato il patogeno, la macchina si ferma.

Se il paziente ospita grandi quantità di virus, questo numero è molto basso perché non servono molti cicli.

Se invece dopo 37-40 cicli non è stato ancora registrato alcun segnale, allora il test è negativo.


Come racconta un articolo su Science, sono in molti a pensare che il valore di CT dovrebbe accompagnare un eventuale referto di positività.

I medici potrebbero usare questo parametro per individuare i pazienti più a rischio e avere un quadro della loro capacità di contagio.

Le cose, come spesso accade quando si parla di salute, non sono sempre così semplici.

Il valore di CT non è un parametro assoluto, ma può variare in base alla macchina usata
o alla quantità di materiale prelevata da naso e cavo orale con i tamponi.


Tuttavia, già vedere se il numero di cicli che si sono resi necessari per trovare il virus è alto o basso sarebbe un'informazione preziosa.


Studi precedenti hanno infatti dimostrato che nei primi giorni dell'infezione, quando si è maggiormente contagiosi,
si tende ad avere un valore di CT inferiore a 30 o persino a 20:
nell'organismo sono presenti alte quantità di virus e servono quindi pochi cicli a renderlo visibile

Ma un'alta carica virale corrisponde a un'elevata contagiosità?

È una delle domande più dibattute tra chi studia la CoViD-19.

Tendenzialmente, sì: un recente studio basato su 3.790 tamponi positivi con valore di CT noto,
ha evidenziato che dal 70% dei campioni con valori di CT "preoccupanti" (quindi bassi: 25 cicli o meno)
si poteva estrarre virus in grado di moltiplicarsi in vitro, quindi presumibilmente contagioso.


Tutto questo era possibile in meno del 3% dei casi con valore di CT superiore a 35.

Un indicatore della gravità.

I medici potrebbero capire da questi numeri quali sono i pazienti più a rischio di sviluppare sintomi gravi.

Uno studio effettuato in agosto in Brasile ha mostrato che i pazienti con un valore di CT uguale o inferiore a 25
correvano maggiori probabilità rispetto agli altri di avere un decorso grave o di morire di covid.

Di contro, è noto che ci sono pazienti - a partire dai bambini -
che rimangono apparentemente sani e asintomatici pur ospitando la stessa carica di SARS-CoV-2 di persone che si sono ammalate di covid.

Quando il virus sembra non volersene andare.

L'analisi di questo numero potrebbe anche servire a regolare i protocolli di isolamento dei pazienti.

Esistono casi in cui persone ormai guarite dai sintomi da settimane, persino da mesi,
che continuano a risultare positive ai tamponi, seppure con valori di CT elevati
- che individuano cioè, virus dopo molti cicli, probabilmente particelle virali di scarto e non più attive.

Questi pazienti con ogni probabilità non sono più contagiosi,
e capire "di quanto" sono positivi potrebbe migliorare il periodo di convivenza con la diagnosi di covid.
 
Tra quanti vogliono far luce sulla reale situazione “contagi” in Italia e nel mondo,

si discute energicamente sull’effettiva validità del test PCR, in quanto da esso dipende la gravità o meno della realtà virale,

con tutte le conseguenze sociali non irrilevanti, specie riguardo alla valutazione di provvedimenti governativi di estrema gravità,

tra cui l’emergenza sanitaria, la chiusura parziale o totale del Paese e il grande spettro della crisi economica spinta.


Sulla scarsa validità del test PCR già si erano espressi negativamente diversi esperti a livello nazionale e mondiale:

il candidato Nobel ricercatore prof. Stefano Scoglio
link.La nuova patologia dell’asintomaticità e la non validità del test per il Covid-19

- il nanopatologo dott. Stefano Montanari, ostracizzatissimo per la sua estrema onestà intellettuale

- il prof. Giorgio Palù, fondatore della società italiana di virologia
video e numerosi altri, anche a livello internazionale, come l’avvocato tedesco Rainer Fuellmich,
che indaga sulle azioni fraudolente, che generano panico ingiustificato.
Il messaggio di Reiner Fuellmitch contro la dittatura sanitaria


Le loro informazioni erano state praticamente sottaciute ed ignorate.


Poco o niente era valso l’intervento autorevole del prof. Giulio Tarro,
che solo dei soggetti la cui stoltezza è pari all’ignoranza e alla malafede,
potevano pensare di denigrare, evidentemente proprio per la sua scarsa o nulla propensione al compromesso.
video "Chi li ha inventati diceva di non usarli per la diagnostica”
Link


Cicli di amplificazione

Ad essi si aggiunge nell’esemplificazione il francese Durocher:

i cicli di amplificazione
della catena di reazione della polimerasi sono differenti tra i vari paesi che hanno adottato la PCR :


La Germania usa 25 cicli di amplificazione, e i suoi positivi sono 7 mila.


Con 40 cicli di amplificazione si trovano 20 mila positivi.


Con 45 cicli di amplificazione, i positivi diventano 30 mila.


A noi le conclusioni!


Un trucco sporco


Nei paesi che adottano 40-45 cicli di amplificazione, il test PCR “vede” residui di virus morti, ed anche di più.



Se si amplifica il segnale PCR, poniamo, 60 volte, si rilevano residui di DNA di qualunque virus avuto negli anni scorsi,

l’influenza di anni fa, e anche i virus del vicino
.


Facendo una semplice analogia con l’ottica, con un binocolo a 5 ingrandimenti si vedono un buon numero di stelle,

ma col telescopio a 500 ingrandimenti, le galassie, gli anelli di Saturno e la macchia di Giove.



“Rilevano praticamente qualunque cosa”..


Lo asseriva l’inventore stesso della PCR (Polymerase Chain Reaction , Kary Mullis, premio Nobel per la chimica, asserendo che:

Col test PCR, chiunque può essere testato positivo a praticamente tutto, se lo fate abbastanza a lungo (ossia moltiplicando i cicli di amplificazione).



Il Nobel raccomandava di non usare il suo test come mezzo diagnostico, ma solo per la ricerca,

ed è possibile ascoltarlo dalla sua viva voce in una sua intervista:


Dr. Kary Mullis, PhD (Nobel Prize Winner for inventing the PCR test)


Il prof. Mullis è morto nel 2019: chissà come si sta rigirando nella tomba, vedendo l’uso distorto e contraffatto che si sta facendo della sua scoperta!




Post scripta:

1)
Ovviamente subito si sono scatenati sul web i simpatici debunkers,


e, nel tentativo di sconfessare la notizia, hanno iniziato miseramente ad arrampicarsi sugli specchi,

mettendo in mezzo il tampone, che ovviamente è solo lo strumento necessario per attivare in seguito il test PCR,

e che altrettanto ovviamente viene svalutato in automatico dall’inefficacia del PCR.



 
«Il Cdc di Atlanta, il centro di controllo sulla salute pubblica degli Stati Uniti,
uno dei più importanti al mondo, ha già cominciato a prendere le distanze:

ha pubblicato un documento in cui spiega che sopra i 33 cicli di amplificazione si tratta di virus morto, incapace di infettare.

È un grande segnale: la considero una soglia più che ragionevole, ma potrebbe essere abbassata anche a 30-31.

Oltrepassato il limite, una persona dovrebbe essere dichiarata negativa.

Nel Trevigiano abbiamo fatto uno studio su 1.422 positivi: partendo dal tampone,

nel 53% dei casi sono serviti più di 26 cicli di amplificazione.

Nel 49% la positività è emersa tra i 26 e i 35 cicli».


M se andassimo a ricercare all'infinito ogni singolo virus presente nel nostro organismo,
non risulteremmo tutti affetti da una moltitudine di patologie?


«Il punto è proprio questo! Oggi vengono dichiarate positive al Covid anche persone
che già da un mese con tutta probabilità non sono più in grado di trasmetterlo,
persone che hanno passato la malattia e neanche se ne sono accorte.

Pensi al male di stagione: se ci mettessimo a ingrandire all'infinito i pezzi di virus responsabile,
dopo 40-45 giorni lo troveremmo ancora in soggetti guariti che stanno benissimo e che ovviamente non sono più in grado di trasmetterlo».


Potrebbero esserci controindicazioni ad abbassare il numero di amplificazioni?

«Solo nel caso di un paziente sottoposto a tampone poche ore dopo essersi infettato,
quindi con una carica virale bassa che però sta salendo.

In ogni caso, dato che nella fase iniziale la carica si moltiplica esponenzialmente,
per capire se la malattia è fresca o datata sarebbe sufficiente sottoporlo a un altro tampone il giorno dopo».
 
La disobbedienza civile diviene un dovere sacro quando lo Stato diviene dispotico o, il che è la stessa cosa, corrotto.
E un cittadino che scende a patti con un simile Stato è partecipe della sua corruzione e del suo dispotismo. Ghandi



Mi rendo conto che è un po’ lungo…se non avete pazienza di leggerlo tutto, andate almeno all’ultimo capitolo,
dove viene presentato il documento dell’Istituto Superiore di Sanità da cui emerge il numero del 91% di falsi positivi per i tamponi Covid…

Dopo aver dimostrato come le stesse autorità sanitarie Europee e Americane affermino che il virus non è mai stato isolato,
come in un uno-due pugilistico, vedremo ora come le stesse autorità sanitarie, in primis il nostro Istituto Superiore di Sanità,
ammettono che i tamponi Covid-19 sono del tutto inaffidabili.


Ho già scritto alcuni post e articoli su come i tamponi e i test sierologici per il Covid-19 siano inaffidabili,
di fatto senza alcun significato perché senza nessun vero legame con un presunto virus SARS-Cov2, che non è mai stato isolato.

Abbiamo anche visto come tale inaffidabilità sia stata addirittura certificata dalla Commissione Europea e dall’Istituto Superiore di Sanità,
che nell’Aprile-Maggio scorso hanno pubblicato documenti dove affermavano che in Europa circolavano 78 tamponi diversi,
di cui nessuno validato da organismi indipendenti, nessuno valutato o autorizzato preventivamente,
e addirittura la stragrande maggioranza dei quali non dichiarava neppure quali sequenze geniche utilizzasse,
e quindi potenzialmente contenenti qualsiasi cosa.


A questo punto ho voluto approfondire la cosa, e ho scoperto ulteriori elementi, sia scientifici che legali.

La situazione normativo-regolatoria
Innanzitutto, va detto che i tamponi rientrano nella nuova normativa REGOLAMENTO (UE) 2017/746 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
del 5 aprile 2017 relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE.

Nella normativa precedente abrogata, in generale bastava l’apposizione del marchio CE, che è un marchio relativo soprattutto alla sicurezza;
e solo per alcuni dispositivi diagnostici in vitro elencati nell’Allegato II, e aventi a che fare con i virus già conosciuti
(HIV 1 e 2, HTLV I e II e dell’epatite B, C e D), si richiede la valutazione tecnica e di efficacia da parte di un Organismo Notificato,
ovvero un organismo di validazione riconosciuto dalla EU.

Ora, sappiamo dal Documento della Commissione Europea del 16 Aprile scorso che nessuno dei 78 modelli di test tampone in circolazione a quella data
sono stati valutati o sottoposti a qualsiasi organismo di valutazione riconosciuto, e che addirittura ciò non sarebbe stato neppure possibile
dato che quasi nessuno di quei 78 tamponi mette a disposizione una adeguata scheda tecnica, inclusa la specifica delle sequenze geniche utilizzate.

Come è possibile?

In fondo, il SARS Cov2 dovrebbe essere un virus anche più importante di quelli dell’epatite o dell’HIV,
che non hanno mai portato alla chiusura dell’economia e della vita sociale di intere nazioni.

E’ possibile perché il Regolamento della Direttiva 98/79 CE elenca solo i virus suddetti, ed essendo il SARS Cov 2 un nuovo virus non è incluso.

Già, ma abbiamo appena visto che tale regolamento è stato abrogato dal regolamento del 2017,
che a sua volta pone requisiti ancora più stringenti di quello precedente, richiedendo valutazioni preliminari di efficacia
da parte di organismi di validazione riconosciuti per tutti i dispositivi diagnostici in vitro in cui rientrano anche i tamponi Covids-19.


E allora perché sono stati autorizzati in commercio test tampone privi di qualsiasi validazione
o anche solo valutazione preliminare, e addirittura privi delle specifiche sulle sequenze geniche utilizzate?


Perché l’Italia ha fatto scuola, e il motto “fatta la legge trovato l’inganno” è diventato motto europeo:

il Regolamento 2017/46 del 5 Aprile 2017 entrerà in vigore, per i dispositivi diagnostici in vitro, solo il 26 Maggio 2022!
E con questo i tamponi Covid-19 hanno goduto dell’interregno, non essendo inclusi, in quanto relativi a un virus nuovo, nel Regolamento del ’98;
e non essendo ancora sottoposti a un Regolamento del 2017 che li avrebbe messi tutti fuori legge, ma che non entrerà in vigore se non a metà del 2022!

La domanda che occorre porsi, e che non può non avere rilevanza anche giuridica, è:

questi tamponi sono del tutto privi di valutazione e validazione, e sono in circolazione
solo grazie al fatto che si è creato un vuoto normativo tra Regolamento del 1998, che limitava la lista dei virus solo a quelli conosciuti
(ma che per analogia dovrebbe applicarsi anche ai nuovi emergenti) e Regolamento del 2017, che abroga quello del ’98 ma entra in vigore solo nel 2022;

se insomma questi tamponi Covid-19 sono utilizzati solo grazie ad una anomalia legislativa, e nel 2022 sarebbero del tutto illegali;

è ammissibile che a tali tamponi, in vita per puro miracolo o distorsione giuridica, si affidino le sorti di intere nazioni e dell’intera economia mondiale?

Ovviamente no, non dovrebbe essere ammissibile, e se lo sarà, sarà solo perché la forma giuridica viene fatta prevalere sulla sostanza giuridica.


Veniamo però alla sostanza scientifica dei tamponi.

Il primo argomento è che sono del tutto senza significato perché il virus non è mai stato isolato,
e dunque non esiste nessun marker realistico che ne supporti l’azione.

Questo è discorso che ho affrontato in dettaglio altrove; ma sembra che su questo punto
le orecchie di chi dovrebbe intervenire tendono a restare chiuse (anche se noi continueremo a gridare la verità).

Facciamo dunque finta che non sia questo il problema, che il virus sia stato isolato.

Vedremo che anche da questo punto di vista, i tamponi restano del tutto inaffidabili e privi di significato.


La questione della mutazione del virus
Uno dei problemi fondamentali è la continua mutazione del virus.

Come scrive lo stesso Istituto Superiore di Sanità (confermando quello che vado dicendo da sempre):

“…il virus infatti può mutare e nuove sequenze nucleotidiche depositate nelle banche dati

possono rivelare se queste mutazioni possano a loro volta rendere un particolare test meno efficace o addirittura inefficace…

È importante puntualizzare che per la diagnostica di questo virus emergente, con uno stato dell’arte in evoluzione,

le reali prestazioni del dispositivo osservate possano differire

rispetto a quelle determinate dallo studio iniziale delle prestazioni condotto dal fabbricante ai fini della marcatura CE, in uno stato dell’arte precedente.”

(Gruppo di Lavoro ISS Test Diagnostici COVID-19, Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19.
Parte 2: evoluzione del mercato e informazioni per gli stakeholder , Rapporto ISS COVID-19 n. 46/2020, 23 Maggio 2020, p. 8).



Come ho sempre sostenuto anch’io: se al GISAID, dove si raccolgono le sequenze geniche del SARS-Cov 2,
ci sono oltre 100.000 sequenze diverse, e aumentano costantemente, che valore ha un tampone messo a punto nel febbraio 2020
e utilizzato nel Luglio 2020, quando il virus era certamente modificato?

Per capire ciò, basterebbe dire che la gran parte dei tamponi in circolazione sono stati strutturati (se lo sono stati) sul virus sequenziato dai Cinesi a Wuhan.

Ma in Italia sono stati sia lo Spallanzani che il San Raffaele a fornire sequenziamenti genici diversi, ed entrambi,
oltre a pseudo-isolare il virus con le stesse metodiche farlocche che ho descritto altrove
(https://www.byoblu.com/2020/09/12/lo-studio-in-esclusiva-su-byoblu-virus-mai-isolato-una-dittatura-basata-su-tamponi-non-convalidati-stefano-scoglio-candidato-premio-nobel-per-la-medicina-nel-2018/),
hanno subito messo in chiaro che si trattava di virus modificati rispetto a quello isolato in Cina
(Capobianchi M.R. et al., Molecular characterization of SARS-CoV-2 from the first case of COVID-19 in Italy, Clin Microbiol Infect, 2020 Jul;26(7):954-956.);

e in uno studio organizzato da diversi centri medici italiani (Sacco, San Raffaele, etc.), quando hanno analizzato 59 campioni di liquido
da pazienti Covid-19 da diversi centri del Centro e Nord Italia, hanno trovato una notevole mutazione, al punto da trovare :

“A mean of 6 nucleotide substitutions per viral genome was observed, without significant differences between synonymous and non-synonymous mutations,
indicating genetic drift as a major source for virus evolution.”
(Lai A. et al., Molecular Tracing of SARS-CoV-2 in Italy in the First Three Months of the Epidemic, Viruses 2020, 12, 798; doi:10.3390/v12080798.)

“Una media di 6 sostituzioni nucleotidiche per ogni genoma virale, senza differenze significative tra mutazioni sinonime e non sinonime,
delineando così una deriva genetica come importante fonte dell’evoluzione del virus.”


Da questo studio si evince che non solo il virus muta da continente a continente, da nazione a nazione,
ma addirittura da provincia a provincia, e di fatto da persona a persona!

Ci sono dunque 7 miliardi di virus diversi che solo si assomigliano?

Esiste un virus talmente magico da incorporare 7 miliardi di mutazioni?

E soprattutto: a cosa serve, in questo quadro, un test tampone universale, che ha solo una o al massimo 3 sequenze geniche?


Come afferma lo stesso ISS, “…queste mutazioni possano a loro volta rendere un particolare test meno efficace o addirittura inefficace”,
e tuttavia nessuno, tra le autorità politiche o giuridiche, si preoccupa di verificare se i tamponi che sostengono e mantengono la pseudo-pandemia,
siano o no corrispondenti alle innumerevoli mutazioni di questo super-virus!

La costante mutazione del SARS-Cov2, tale da renderlo di fatto irriconoscibile, è stata confermata anche a livello internazionale:

un articolo americano, che include anche Robert Gallo tra gli autori, ha riscontrato decine di mutazioni crescenti nel tempo
in parallelo con la presunta diffusione del virus dall’Asia all’Europa agli USA
(Pachetti M. et al., Emerging SARS-CoV-2 mutation hot spots include a!novel RNA-dependent RNA polymerase variant, J Transl Med (2020) 18:179
https://doi.org/10.1186/s12967-020-02344-6.);

mentre un autore asiatico ha analizzato 85 diverse sequenze genomiche SARS-Cov2 disponibili presso GISAID,
e ha trovato ben 53 diversi ceppi SARS-Cov2 provenienti da varie aree della Cina, dell’Asia, dell’Europa e degli Stati Uniti
(Phan Tung, Genetic diversity and evolution of SARS-CoV-2, Infection, Genetics and Evolution, 81 (2020), 104260.).


Insomma, se il virus muta costantemente, allora il test tampone è inutile,
perché va a cercare un virus sempre precedente e sempre diverso rispetto a quello attualmente in circolazione.


Basterebbe questo da solo per capire che il tampone Covid-19 il test è completamente, al 100%, fallace!


Questo è davvero ciò che accade nella realtà.

Il “Drosten PCR Test” e il test dell’Institute Pasteur, i due test considerati i più affidabili
(sebbene nessuno dei due lo sia stato convalidato esternamente), entrambi utilizzano un test del gene E,
anche se il test di Drosten lo utilizza come test preliminare, mentre l’Institut Pasteur lo utilizza come test definitivo.

Secondo gli autori del Drosten test, il test E-gene è in grado di rilevare tutti i virus asiatici,
essendo così al contempo molto aspecifico (tutti i ceppi viruali) e limitato ad un’area geografica (Asia).

Ancora, il test Institut Pasteur, uno dei più adottati in Europa, utilizza il test E-Gene come test finale,
anche se è ormai noto che il virus (o virus) SARS-Cov2 che si ritiene circolino in Europa sarebbero diversi da quelli asiatici.


E poi ad aprile, l’OMS ha cambiato l’algoritmo

“… raccomandando che da ora in poi un test può essere considerato positivo anche se solo il dosaggio del gene E
(che probabilmente rileverà tutti i virus asiatici!) dà un risultato positivo”.


Insomma, per OMS ed epigoni, tutto fa brodo pur di mantenere la tragica farsa della pandemia!
 
La questione dei cicli (runs) della RT-PCR

Un’altro grave problema dei tamponi, che utilizzano la metodica della RT-PCR,
è che l’affidabilità di tale metodica dipende dal numero di cicli (replicazioni)
che vengono usati per trovare il virus SARS-Cov2.

Prof. Stephen Bustin, una delle autorità mondiali di PCR, ha scritto in un recente articolo relativamente alla identificazione della presenza di SARS-Cov 2:

“…the most widely used method is quantitative fluorescence-based reverse transcription polymerase chain reaction (RT-qPCR).
Despite its ubiquity, there is a significant amount of uncertainty about how this test works, potential throughput and reliability.”

(Bustin S.A, Nolan T., RT-qPCR Testing of SARS-CoV-2: A Primer, Int. J. Mol. Sci. 2020, 21, 3004; doi:10.3390/ijms21083004, p. 1).

“…il metodo più utilizzato è la Reazione a catena delle polimerasi quantitativa a trascrizione inversa basata sulla fluorescenza (RT-qPCR).
Nonostante la sua ubiquità, c’è un significativo livello di incertezza su come funziona questo test, sulla sua potenziale produzione e affidabilità.“

Probabilmente questo è dovuto anche e soprattutto alla questione dei cicli di PCR che vengono normalmente effettuati coi tamponi.

In una intervista al compianto David Crow, prezioso ricercatore canadese, Bustin afferma:

“…the cycle number per se is not a good measure…most instruments, when you get above a cycle number of 35,
then you start worrying about the reliability of your result…so, you want to be sure that your results are within the 20 to 30 cycles…”


“…il numero di cicli di per sé non è una buona misura…la maggioranza degli strumenti, quando sali oltre il numero di 35 cicli,
cominci a preoccuparti sull’affidabilità dei tuoi risultati…quindi, vuoi assicurarti che i tuoi risultati siano prodotti dai 20 a un massimo di 30 cicli…”.


E dato che la maggioranza dei tamponi sale fino e oltre i 40 cicli
, Crow domanda a Bustin:


“…if you get up to 40 cycles, you could get a ghost, the PCR could string bases together casually…”

“…se sali a 40 cicli, potresti produrre un fantasma, la PCR può iniziare a raccordare assieme basi nucleotidiche in modo casuale…”

E Bustin risponde:

“I would be very unhappy about 40 cycles…”
;(David Crow, The Infectious Myth: https://infectiousmyth.podbean.com/e/the-infectious-myth-stephen-bustin-on-challenges-with-rt-pcr/)

“Sarei molto scontento a 40 cicli…”.


Vediamo quindi quanti cicli vengono normalmente usati nei tamponi.

Forse vi ricordate della recente polemica, alimentata dal dr. Remuzzi del San Raffaele,
per cui i tamponi che trovano il virus solo con un’alto numero di cicli si riferiscono a casi di bassissima viralità, considerata non infettiva:

“Remuzzi riferisce che la positività nei tamponi dello studio del Mario Negri emergeva solo dopo 34-38 cicli di amplificazione.
Ma più si amplifica, più il segnale si fa debole e incerto, facendo pensare a tracce di Rna virale ormai residuali e inattive.
Niente infezione, insomma.”(Luca Carra, Debolmente positivi: realtà o illusione?, Internazionale, 23 Giugno 2020.).


Questo è in accordo con ciò che sostiene il Prof. Bustin:
sopra i 35 cicli, l’affidabilità del tampone crolla, e al massimo, per salvare la baracca,
si può sostenere che si tratta di presenza di virus talmente debole da non essere più infettivo.

La sostanza non cambia: che il virus venga creato dalla PCR come un “fantasma”, come sostengono Crow e Bustin,
o che esso sia senza nessuna carica virale, perché si continua a utilizzare questi risultati da tampone per terrorizzare la gente e prorogare vari tipi di lockdown?


E che i tamponi utilizzino normalmente sopra i 35 cicli di PCR
è confermato da questa tabella che riporta una serie di diversi tamponi e la media del loro numero di cicli :


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La tabella presenta un campione di 6 dei 22 tamponi analizzati da FIND (Foundation for Innovative New Diagnostics) ,
la più autorevole organizzazione di valutazione degli strumenti diagnostici,
presa come riferimento dallo stesso Istituto Superiore di Sanità italiano (per la tabella completa vedi: https://www.finddx.org/covid-19/sarscov2-eval-molecular/).

Come si vede dalla tabella, i tamponi sono tutti sopra i 35 cicli;
e si consideri che i numeri dati sono medie, il che significhi che nel 3-40% dei casi si sale anche sopra i 40 cicli!


E la cosa è confermata anche per il test Xpert Xpress di Cepheid,
che la FDA americana ha ritenuto così importante e affidabile da conferire a questo test un’autorizzazione di emergenza, saltando tutti i passaggi di verifica.


Ebbene, anche questo test così importante, adotta un numero di cicli eccessivo:
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La media riferita al gene E, che è comunque aspecfifico e tipico di tuti i coronavirus, è attorno ai 34-35 cicli;
ma la media riferita al gene N2, che dovrebbe essere più specifico del SARS-Cov2 (vedremo che non è così neppure per questo gene), si attesa attorno a 37-38 cicli!


Questo significa che nella maggioranza dei casi i tamponi danno o risultati fantasma,

o se anche “beccano” il virus, lo trovano in uno stato talmente indebolito da non costituire più nessun pericolo.


Questo significa anche che dunque non c’è più nessuna motivazione per terrorizzare con lo spettro dei positivi asintomatici,

perché come minimo si tratta di individui incapaci di infettare alcunché.


Ma la verità, come stiamo per vedere, è che i tamponi producono risultati senza nessun significato,

risultati fantasma o comunque non indicativi della presenza del SARS-Cov 2 .
 
La questione della cross-reattività, o mancanza di specificità.

Prendiamo i tre più importanti modelli di test-tampone, utilizzati da molti dei tamponi circolanti,

quello della OMS,

quello tedesco-europeo del gruppo di Drosten,

e quello del CDC americano. Quello della OMS,

come abbiamo già visto altrove, è talmente a rischio di aspecificità
(ovvero di cogliere col tamponi virus o particelle simil-virali diverse dal SARS-Cov2)
che in uno dei suoi 3 primers (le sequenze geniche con cui si va alla ricerca del virus)
c’è addirittura una sequenza genica tipica del DNA umano, quella del cromosoma 8:
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Qui il rischio di far venire il tampone positivo anche senza nessun virus presente è ovviamente molto alta,
visto che tutti gli esseri umani possiedono quella sequenza CTCCCTTTGTTGTGTTGT come parte del loro corredo genico.


Il CDC americano utilizza invece altre sequenze geniche, relative al gene N del virus, quello del suo nucleocapside.

Questa scelta di focalizzarsi sul gene N, nelle sue due versioni N1 e N2, è dovuto al fatto che il gene E
“… also detects SARS-related coronaviruses” (“rileva anche altri SARS-coronavirus” :
Wagginer J et al., Triplex Real-Time RT-PCR for Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2, Research Letter, Volume 26, Number 7—July 2020).


Questo mostra come il tampone OMS possa, in aggiunta a legarsi al genoma umano, identificare altri coronavirus scambiandoli per il SARS-Cov 2.


Ma che garanzie ci sono che i geni N1 e N2 siano invece più specifici?

Tutti i coronavirus hanno un nucleo-capside, e dunque geni del tipo N.

Il CDC sostiene che il gene N2 è specifico del SARS-Cov2;
ma anche su questo non c’è accordo, dato che per alcuni ricercatori non è così:

“…we found out that only one of them (RdRP_SARSr-P2) was almost specific for the new coronavirus
and the other introduced probes would detect the other types of coronaviruses.
In this regard, the false-positive test results may extend for COVID-19”
(Kakhki RK et al, COVID-19 target: A specific target for novel coronavirus detection, Gene Reports 20 (2020) 100740.)

“…abbiamo trovato che solo uno di loro (il gene RdRP-SARSr-P2) è quasi specifico per il nuovo coronavirus,
mentre le altre “sonde” (sequenze geniche) rilevano anche altri tipi di coronavirus.
Sotto questo aspetto, i risultati con falsi positivi possono ampliarsi in rapporto al Covid-19.”



Ciò significa che non c’è alcuna sicurezza neppure sulla specificità del gene N2 usato dal modello della CDC,
specie se si considera che appunto i geni N sono tipici di tutti i coronavirus.

E si noti come gli autori, anche per il gene che ritengono specifico, lo definiscono “quasi” specifico, nel senso che anche quello non è completamente specifico!



E quando veniamo al test di Drosten, il test-tampone europeo, le cose diventano anche più evidenti.

Innanzitutto, vediamo qui in modo apertamente dichiarato,
che questi isolamenti e definizioni del virus sono tutte elaborazioni al computer, senza nessuna presenza fisica del virus:

“The present report describes the establishment of a diagnostic workflow for detection of an emerging virus
in the absence of physical sources of viral genomic nucleic acid.”
(Corman V et al, Detection of 2019 novel coronavirus (2019-nCoV) by real-time RT-PCR, Euro Surveill. 2020 Jan 23; 25(3): 2000045, p.10.)

“Il presente documento descrive la realizzazione di un processo diagnostico
per il rilevamento di un virus emergente in assenza delle fonti fisiche degli acidi nucleici genomici virali”.

Quindi qui l’astrazione dei tamponi dall’effettivo virus è dichiarata apertamente,
e appare evidente anche dalla tabella delle sequenze geniche utilizzate dal gruppo di Drosten:

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Come si vede, il tampone di Drosten utilizza tutti e 3 i geni, E, N e RdRP.

Ma se confrontiamo la sequenza genica del SARS-Cov 2 con quella del SARS-Cov originario (al penultimo posto nella lista), vediamo che:
  • il gene E del SARS-Cov 2 è identico al 100% a quello del SARS-Cov1,

  • e probabilmente a quello di tutti i SARS coronavirus (nella penultima riga non ci sono variazioni di lettere);

  • Il gene N ha una sola variazione, una C invece di una T, al 15° posto della sequenza del Reverse primer.

  • Questa è una variazione di appena 1/64esimo, ovvero di appena l’1.5%.

  • Le possibilità di confusione e cross-reattività (rilevare un SARS virus diverso dal SARS-Cov2) è molto elevata.

  • Il gene RdRP è l’unico che ha 5 variazioni su 64, di nuovo non una grande differenza,

  • anche se meglio degli altri due (e per questo gli autori sopra lo hanno definito “quasi” specifico).
Insomma, in totale abbiamo una differenza di soli 6 nucleotidi su 214, una percentuale di appena il 2.8%.

E per questo anche quando autori indipendenti hanno testato l’efficienza del test Drosten hanno concluso che il test dimostrava:

“…a lot of cross-reactions with Coronavirus BtRs-BetaCoV (MK211374- MK211378),
SARS coronavirus Urbani (MK062179-MK062184),
Bat coronavirus (KY770858-KY770859),
SARS coronavirus (AH013708-AH013709), and others”.

“…elevata cross-reattività con i Coronavirus BtRs-BetaCoV (MK211374- MK211378),
SARS coronavirus Urbani (MK062179-MK062184),
Bat coronavirus (KY770858-KY770859),
SARS coronavirus (AH013708-AH013709, e con altri.”


E anche il gene RdRP, che dovrebbe essere più specifico

“…covers many coronavirus isolates, including Bat SARS-like Coronavirus (MG772904-MG772932),
Rhinolophus pusillus Coronavirus (KY775091),
Bat SARS-like Coronavirus (MG772903)
and many others” (Kakhki RK et al, COVID-19 target:
A specific target for novel coronavirus detection, Gene Reports 20 (2020) 100740.)

“…copre molti altri isolati di coronavirus, inclusi Bat SARS-like Coronavirus (MG772904-MG772932),
Rhinolophus pusillus Coronavirus (KY775091),
Bat SARS-like Coronavirus (MG772903), e molti altri.”


Insomma, tutti i principali test-tamponi mancano di specificità, e sono affetti da un elevata cross-reattività,

ovvero producono un elevata quantità di falsi positivi.



Questa verità, che dovrebbe porre immediatamente fine alla follia della pseudo-pandemia spinta da questi tamponi farlocchi,

è da ultimo, last but not least, apertamente confermata dallo stesso Istituto Superiore di Sanità, organismo del governo italiano.

ISS del Governo Italiano: in questa situazione epidemica, i test-tampone danno fino al 91% di falsi positivi!



Nel documento Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19. Parte 2:

evoluzione del mercato e informazioni per gli stakeholder, del 23 Maggio 2020,
l’Istituto Superiore di Sanità fa una analisi approfondita dei dispositivi test-tampone in circolazione,
sottolineando la tensione esistente tra sensibilità, la capacità di rilevare quanto più RNA virale possibile,
e la specificità, ovvero la necessità che tale RNA virale si riferisca solo al virus che si sta cercando, in questo caso il SARS-Cov2.

“Un test molto sensibile nel rilevare il bersaglio di interesse ha maggiori probabilità di rilevare anche bersagli correlati
ma distinti che non sono di interesse, vale a dire che può essere meno specifico.”

(Gruppo di Lavoro ISS Test Diagnostici COVID-19, Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19.
Parte 2: evoluzione del mercato e informazioni per gli stakeholder , Rapporto ISS COVID-19 n. 46/2020, 23 Maggio 2020, p. 6).


L’ISS spiega poi che tale tensione è modulata da un altro fattore, ovvero quello di “prevalenza”.

In ambito epidemiologico, la prevalenza descrive la percentuale di popolazione affetta da una certa patologia.

Nel caso di una patologia presuntivamente virale come il Covid-19,
la prevalenza indica quanti malati attuali di Covid-19 ci sono sul totale della popolazione.


Perché questo dato è importante in rapporto alla affidabilità dei test-tampone?

Perché maggiore è la percentuale di popolazione affetta, maggior è la circolazione del virus,
e quindi maggiore è la probabilità che il test-tampone rilevi effettivamente quel virus anziché altri, riducendo così il gap tra sensibilità e specificità.

L’ISS riprende una tabella che considera l’effetto della prevalenza sull’efficacia dei tamponi.

La tabella è stata pubblicata da FIND, autorevole organizzazione internazionale già vista sopra;
e così, il dato che emerge dalla tabella FIND, accettato e riproposto dal’ISS, ha valore non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo.


Scrive l’ISS a introduzione della Tabella:

“Nella tabella che segue, tratta dal documento Rapid diagnostic tests for COVID-19
(FIND, Rapid Diagnostic Tests for Covid-19: https://www.finddx.org/wp-content/uploads/2020/05/FIND_COVID-19_RDTs_18.05.2020.pdf),
viene mostrato con un esempio numerico come la capacità di identificare correttamente i positivi (colonna PPV)
sia correlata sia alla sensibilità e specificità del test, sia alla prevalenza del marcatore nella popolazione target,
esemplificata da quattro coorti di 1.000 individui con quattro diversi valori di prevalenza: 2%, 5%, 10% e 30%. “


Quindi, la capacità del test di rilevare correttamente la presenza del virus dipende da 3 fattori,
tutti considerati nella tabella, ovvero sensibilità e specificità, ma alla luce della prevalenza;

e la Tabella prende in considerazione 4 livelli di prevalenza: 2%, 5%, 10% e 30%.

Prima di vedere la Tabella, vediamo a quale dei quattro gruppi appartiene la situazione Italiana
(e di riflesso anche quella degli altri paesi, in cui il livello di prevalenza non si discosta molto da quello italiano).


Quello che segue è la situazione Covid-19 in Italia al 25 Settembre 2020:
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Il numero da considerare è quello degli attuali positivi, ovvero 47,718, che rappresenta appena lo 0.079% della popolazione italiana,

assai distante persino dal livello più basso del 2%. Anche se volessimo esagerare, e prendere in considerazione il totale dei casi

che ci sono stati dall’inizio a oggi, avremmo che il numero di 306,235 è pari allo 0.5% della popolazione italiana.

Utilizzare questo secondo numero è statisticamente del tutto errato,

ma l’ho fatto per sottolineare come neppure prendendo tutti i casi Covid-19 ufficiali

(cioè CON Covid e non PER Covid) emersi dall’inizio della pseudo-pandemia ad oggi,

si arriverebbe neppure lontanamente al 2% della popolazione
.


Vediamo finalmente la Tabella:
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Il numero decisivo è il PPV, ovvero la capacità del test di rilevare effettivamente il virus.

I numeri che ci interessano sono quelli legati al livello del 2%, che nel caso dell’Italia è in realtà molto più basso, assestandosi attorno allo 0.1%.

Questo significa che i numeri di questa Tabella sono addirittura ottimisti, anche al livello del 2%,
e più avanti faremo anche la proiezione della Tabella sul livello dello 0.1%.


Intanto, qui vengono considerati 3 modelli di tampone:

quelli ad alta performance,
a media performance,
e a bassa performance.

Al livello di prevalenza del 2%, questi sono i livelli di veri e falsi positivi dati dai tamponi:

Livello Veri positivi Falsi positivi

2% Alta performance 49.2% 50.8%

2% Media performance 14.8% 85.2%

2% Bassa performance 9.3% 90.7%


Quindi, nella migliore delle ipotesi, i tamponi danno il 50% di falsi positivi,

e nella peggiore delle ipotesi danno quasi il 91% di falsi positivi!

Mediamente, possiamo dire che i tamponi danno l’85,2% di falsi positivi!


In tutti i casi, l’Istituto Superiore di Sanità certifica che i tamponi sono del tutto inaffidabili!



Ci sarà qualche politico che avrà voglia di ascoltare questa verità ufficiale, che più ufficiale non si può?


Qual’è il numero più probabile tra il 50% e il 91% di falsi positivi?

Avendo visto in precedenza la inaffidabilità delle sequenze geniche dei principali tamponi,
e soprattutto il fatto che tutti utilizzano più di 35 cicli di PCR,
e dunque che i tamponi non possono che essere a bassa performance,
il numero più realistico è il 91% di falsi positivi!

Ma se anche fossero una via di mezzo, ad esempio il risultato della “media performance” dell’85%, le cose non cambierebbero.

I tamponi sono del tutto inaffidabili, lo afferma lo stesso Istituto Superiore di Sanità
e un’organizzazione autorevole internazionalmente come FIND:

cosa si aspetta a far cessare la tragica farsa dei tamponi e dei positivi asintomatici?
 

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