Titoli di Stato area Euro ......p.i.g.s.... (1 Viewer)

Metatarso

Forumer storico
forse c'è solo da aggiungere che LB era esposta più fuori degli stati uniti di altre banche e quindi sacrificarla sarebbe stato meno doloroso per i cittadini USA
c'è questo giornalista che quasi concorda con te ;) collabora col gruppo inglese euro-ostile Bruges Group (quindi non siamo più OT :D)
http://en.wikipedia.org/wiki/Bruges_Group
è quindi possibile che le opinioni su Lehman non siano solo le sue, ma esprima il pensiero di quel gruppo
Oppure sta solo cercando di confondere le acque e seminare zizzania, nel più classico stile giornalistico anglosassone :rolleyes:



FINANZA/ La verità sul fallimento di Lehman Brothers
Mauro Bottarelli

venerdì 6 febbraio 2009
George Soros non è certo uno sprovveduto quando si parla dei marosi della finanza e delle operazioni spericolate, ma lui stesso, in un’intervista pubblicata recentemente su La Repubblica, si è detto ancora stupefatto del crollo di Lehman Brothers, del suo non salvataggio da parte del governo statunitense come fatto per altre istituzioni. Anche uno come lui non riesce a spiegarsi come sia stato possibile. A sentire questo mi torna in mente un titolo letto il 15 settembre del 2008.

«Crollo Lehman, ingenti danni per gli investimenti arabi e il greggio, vera vittima sacrificale della peggiore crisi finanziaria nella storia». A dare questa lettura decisamente di parte del terremoto finanziario che stava scuotendo il mondo era, martedì 16 settembre, il quotidiano panarabo al Hayat, edito a Londra, stampato in inglese e di proprietà saudita. Il quale lamentava come il prezzo del greggio sia «a meno 50 dollari al barile rispetto al limite di 147 dollari raggiunto nelle settimane scorse, il livello più basso registrato da sette mesi».

L’altro grande giornale panarabo, al Sharq al Awsat (anche questo di proprietà saudita) metteva invece l’accento sugli «effetti devastanti sulle principali borse dei ricchi Emirati del Golfo». Ovviamente la tutela dei propri interessi è legittima, ma un peana di questo genere per il calo del prezzo del petrolio dopo la spaventosa impennata dei mesi scorsi - che ha riempito le casse dei paesi produttori - e le recenti decisioni a sorpresa dell’Opec di tagliare la produzione appare quanto meno fuori luogo. Gli ultimi a piangere miseria, insomma, dovrebbero essere proprio i ricchi produttori di petrolio.

Ma attenzione perché la comunità finanziaria araba di Londra non parla mai a caso. E, soprattutto, scrive in arabo ma parla e ragiona in inglese. Tra le righe di quel messaggio viene lancia un’accusa precisa: il fallimento di Lehman è stato permesso scientemente perché questo avrebbe riequilibrato gli assetti. Ovvero, crollo del prezzo del greggio e una pesante batosta verso chi finora ha fatto soldi sfruttando la crisi e comprato a prezzi di saldo pezzi di finanza mondiale attraverso i fondi sovrani.

Che il governo americano abbia rifiutato un aiuto nei confronti di Bank of America se questa avesse salvato Lehman Brothers è noto, ma questo non rappresenta ancora una prova. Che Bank of America sia corsa a divorare Merrill Lynch subito dopo, anche in questo caso senza garanzie da parte di Washington, nemmeno. Anche il fatto che la banca britannica Barclays - in cordata proprio con Bank of America nella missione per salvare l’ex gigante di Wall Street - abbia acquistato alcune attività (le più sane e lucrose, brokeraggio e trading Usa) del gruppo Lehman Brothers non prova nulla ma dimostra che la carcassa della mayor di Wall Street faceva gola a molti e che lo spettacolo di disperazione che offriva non disturbava troppo il Tesoro americano e la Fed.

Il fatto però che su un sito informatissimo come Cnbc si parlasse apertamente di petrolio che toccherà a breve quota 75 dollari comincia invece a far intravedere qualche possibile scenario: ovvero, di fronte a un “too big to fail” malmesso come Lehman il segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson (ex capo di Goldman Sachs), ha preferito indossare la maschera del liberista duro e puro rifiutando altri aiuti di Stato e ottenendo così un triplice effetto: far scendere il prezzo del greggio (vera leva della possibile ripresa), risparmiare denaro necessario a salvare attraverso un prestito ponte da 85 miliardi di dollari il colosso delle assicurazioni Aig e assestare uno shock “salutare” all’economia mondiale, quella occidentale, che necessita di disintossicarsi del tutto, ma soprattutto quella overvalued e troppo interventista dei paesi arabi e della Russia.

Non è un caso che sempre martedì 16 settembre la Borsa di Mosca fosse scesa del 16% a 905.57 punti, sotto la pericolosa soglia psicologica dei 1.000 punti, gettando letteralmente nel panico gli investitori e costringendo le autorità a sospendere le contrattazioni fino a venerdì 19. Una scelta strategica quella americana: Lehman, infatti, era la banca con la maggiore attività al mondo come trader di obbligazioni e fondi obbligazionari mentre Aig e il suo crollo avrebbero colpito letalmente quasi esclusivamente gli Usa e l’Europa, come denunciava il britannico Daily Telegraph poche ore dopo il salvataggio del colosso assicurativo: «Le banche europee erano particolarmente a rischio in caso di un fallimento della Aig, perché detengono i tre quarti dei 441 miliardi di dollari di strumenti complessi e deregolati protetti dalla Aig. Tali obbligazioni sono legate al mercato dei subprime, che si sta inabissando».

Europei salvi grazie alla Fed, quindi. E i russi, invece? «L’economia russa è sufficientemente solida per poter reagire alla crisi dei mercati, che si dimostra peggiore delle peggiori attese» ha sottolineato il presidente russo Dmitri Medvedev il 18 settembre scorso, secondo il quale «il mercato globale soffre la più grande crisi degli ultimi 10 anni. A cosa è legato? Lo sappiamo benissimo» ha precisato, avanzando una nemmeno velata accusa per le politiche economiche degli Stati Uniti, che si riflettono negativamente sui mercati internazionali. D’altronde bastava leggere il titolo della homepage del sito del quotidiano filo-governativo Izvestiya di giovedì 18 settembre per capire il clima: «Gli Stati Uniti si stanno dimostrando più pericolosi per il mondo di una minaccia nucleare».

Eravamo a cavallo tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre dello scorso anno. Guardatevi intorno: il rublo è crollato, il prezzo del barile resta basso nonostante le minacce dell’Opec di tagliare ancora e ancora la produzione, il piano Paulson - il famoso Tarp - non ha funzionato appieno ma è stato prodromico al progetto di “bad bank” in cui scaricare gli asset tossici a prezzi medi concordati e non in base al mark-to-market che Barack Obama si troverà costretto suo malgrado a varare. E che farà uscire le istituzioni finanziarie americane dalla crisi molto prima e molto meglio.

Insomma, il fallimento Lehman Brothers è stato strategico, voluto, globalmente indirizzato a colpire dove faceva più male ai nemici che sfruttavano la debolezza di un presidente a fine mandato e di un paese in piena crisi per muoversi su equilibri e interessi contrapposti a quelli di Washington. Il fallimento Lehman Brothers è stato il primo caso di “guerra per banche”. Chapeau. Speriamo sia anche l’ultimo. E che Dio benedica l’America.

P.S.: Prima parlavamo di Barclays corsa a divorare pezzi di finanza statunitense a prezzi di saldo. Un azzardo, in tempi di guerra per banche, visto che il gigante inglese è costretto ad ammettere la necessità di aumento di capitale ed è pronto a chiedere l’intervento del governo.

Peccato che quando lo scorso ottobre cedette al fondo sovrano di Abu Dhabi il 16,5% delle azioni per 5,3 miliardi di sterline, il board della banca accettò condizioni capestro come le cosiddette “mandatory convertible notes”, un complicato meccanismo di gestione del pacchetto azionario in base al quale oggi Barclays rischia di vedere salire il fondo di Abu Dhabi al 55%, perdendo di fatto la sovranità, se si vedrà costretta ad aumentare di nuovo il capitale.

Gli sceicchi, probabilmente, hanno scommesso proprio su questo quando hanno deciso di investire, hanno controllato bene i conti e hanno inserito la clausola sulla fluttuazione del valore del titolo che garantirebbe loro una montagna di azioni al prezzo minimo concordato: non stupirebbe scoprire che nel frattempo qualche loro trader abbia lavorato debitamente e in maniera massiccia sui credit default swaps di Barclays per guadagnare anche nel medio termine. Come già detto, gli arabi a Londra parlano e ragionano in inglese. E si fanno fregare una sola volta.
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12053
 

Giontra

Forumer storico
Scommessa greca sull’addio all’Uem L’INCHIESTA :eek:


MAURIZIO RICCI

Sui siti delle scommesse come Intrade dove si può scommettere su tutto, dagli Oscar al rispetto del trattato di Kyoto, la possibilità che un paese dell’euro lasci la moneta unica entro il 2010 è data al 25%. Agli scommettitori non è richiesto di indicare qual è il paese in bilico, ma la buona notizia per noi è che il nome che hanno in testa non è l’Italia ma la Grecia.
Gli ottimisti possono notare che, ancora due settimane fa, la quota era del 30 per cento. Il miglioramento, peraltro, come vedremo, ha assai poco a che fare con gli sforzi del governo greco per uscire dalla crisi e i pessimisti possono, a buon diritto, sottolineare che una possibilità su quattro è ancora una quota astronomica per un evento che, solo pochi mesi fa, tutti avrebbero giudicato impossibile e che, ancora oggi, la stragrande maggioranza degli esperti ritiene improponibile.
Il punto è che, per chi vuole puntare, la Grecia, nella tempesta finanziaria in corso, è un candidato quasi perfetto per una crisi che porti al rifiuto di onorare i debiti: lo stock del debito pubblico si sta rapidamente avvicinando al 100 per cento del prodotto interno lordo (secondo, in Europa, solo all’Italia, ma con riserve assai inferiori), il costo degli interessi sta schizzando verso l’alto, il disavanzo pubblico sforerà, probabilmente, nel 2009, per il terzo anno consecutivo, il tetto del 3 per cento di Maastricht, l’economia sta rallentando vistosamente, il governo, con un solo voto di maggioranza in Parlamento, assediato nelle strade e nelle piazze, appare troppo debole per realizzare il suo stesso piano di risanamento che, peraltro, gli osservatori giudicano inadeguato.
Paradossalmente, se mai la Grecia dovesse lasciare l’euro, buona parte della colpa sarebbe proprio dell’euro. Quello che il paese paga in questi mesi è, infatti, in larga misura la sbornia successiva all’ingresso nella moneta unica: la crisi planetaria della finanza ha solo aggravato i postumi. Fra il 2000 e il 2007, con l’euro in tasca, l’economia greca ha marciato ad un ritmo di sviluppo superiore al 4 per cento l’anno. Un boom alimentato soprattutto dalla domanda interna, capace di crescere al ritmo del 4,6 per cento l’anno.
Ma era una domanda drogata dall’euro: con il tasso ufficiale europeo, dettato dalla Bce, al 2 per cento e l’inflazione al 4, l’interesse reale, in Grecia, è stato a lungo vicino allo zero, o negativo. Una politica monetaria così espansiva ha gonfiato l’indebitamento privato: i greci si sono buttati nei negozi o sul mercato delle case. Fra il 2003 e il 2008, l’indebitamento delle famiglie greche è schizzato dal 10 al 48 per cento del prodotto interno lordo. Il governo avrebbe dovuto, probabilmente, controbilanciare l’espansione monetaria con una politica di bilancio restrittiva.
Al contrario, ha allentato i cordoni della borsa: la Grecia ha sforato il tetto del 3 per cento sul disavanzo pubblico nel 2007, lo farà ancora nel 2008 e, quasi certamente, nonostante le promesse, anche nel 2009. Pochi, del resto, ad Atene hanno pensato che fosse il caso di rovinare la festa. Anche perché la stessa congiuntura internazionale veniva incontro alla Grecia. Per un paese che deve un terzo delle sue esportazioni al trasporto navale, il Baltic Dry Index, che misura l’intensità del traffico merci, è una cosa seria e un indice che, ancora nella scorsa estate, era al massimo storico di 11.793 un’occasione di tripudio.
Oggi, quell’indice è a 672, senza neanche uno zero aggiunto. Noleggiare un grosso cargo, nel luglio scorso, all’apice del boom delle materie prime, significava incassare 234 mila dollari al giorno. Oggi, se ne prendono 2.320, cento volte di meno. Mentre la recessione prosciuga le casse delle aziende greche, la gelata del credito ha svuotato la bolla dei consumi: la domanda interna aumenterà, nel 20082009, non più del 2 per cento l’anno, meno della metà degli anni felici.
Il governo Karamanlis si trova ad affrontare la crisi finanziaria con un’economia che si va velocemente restringendo. Secondo le previsioni ufficiali, nel 2009 l’economia dovrebbe espandersi del 2,7 per cento e il deficit pubblico fermarsi al 2 per cento. Ma, lontano dagli uffici governativi di Atene, nessuno crede a queste previsioni. La Commissione europea prevede, per il 2009, uno sviluppo dell’economia fermo ad uno scheletrico 0,2 per cento.
Mentre il deficit dovrebbe volare al 3,7 per cento del prodotto interno lordo. In effetti, perché le previsioni ufficiali del governo greco si possano avverare, le entrate fiscali dovrebbero crescere del 15 per cento, due volte e mezzo l’aumento del Pil nominale, nonostante la crisi, soprattutto attraverso una drastica riduzione dell’evasione. Contemporaneamente, la spesa pubblica dovrebbe aumentare solo dell’8 per cento, nonostante che, per tre quarti, sia composta di stipendi degli statali e di pensioni, per le quali è già previsto un aumento del 10 per cento.
In un paese inquieto e risentito, dove la disoccupazione viaggia verso il 9 per cento e quella dei giovani laureati sfiora il 30 per cento, che a dicembre è stato paralizzato dalle manifestazioni degli studenti e, a gennaio, da quelle dei contadini, pochi credono che il governo abbia i numeri e la forza per imporre una strategia più credibile di risanamento.
La Fitch, un’agenzia di rating, prevede che il debito pubblico greco, oggi vicino al 92 per cento del prodotto interno lordo, si avvicini al 99 per cento quest’anno e arrivi alla soglia del 100 per cento nel 2010. Ma quello che più preoccupa è il costo di questo debito. I dubbi del mercato sulla tenuta della Grecia sono rispecchiati dal divaricarsi dei rendimenti dei titoli greci rispetto a quelli tedeschi. Collocare i suoi titoli costava ad Atene, nel maggio scorso, 55 punti base in più, rispetto a quanto costava a Berlino piazzare i Bund. Oggi, la differenza è di 280 punti base.
L’allargamento dello spread con il Bund si è verificato per tutti i titoli dei paesi dell’euro. Contemporaneamente, però, c’è stato anche un generale calo dei rendimenti, grazie alla fuga degli investitori verso la relativa sicurezza dei titoli pubblici. Detto in altre parole, gli altri paesi non hanno usufruito quanto la Germania del calo dei rendimenti, ma hanno visto ugualmente scendere il costo degli interessi. Questo vale anche per l’Italia. Non vale, invece, per Irlanda e Grecia. Sono i due soli paesi dell’area euro in cui l’aumento dello spread con il Bund è stato superiore al calo dei rendimenti. Dove, cioè, il costo effettivo del debito è salito. Ma, mentre in Irlanda, notano gli analisti di BnpParibas, questo rincaro del debito è limitato ad una cifra pari allo 0,07 per cento del Pil, per la Grecia significa sborsare – se la situazione non peggiorerà ulteriormente – quasi 2 miliardi di euro in più, nel 2009, a titolo interessi, una cifra non lontana dall’1 per cento del prodotto interno lordo. Per questo le agenzie di rating hanno declassato il debito greco e non quello irlandese.
Vuol dire che la Grecia è in procinto di fare il botto, dichiarare che non può più pagare i debiti e uscire dall’euro,come vorrebbero molti scommettitori di Intrade? Niente affatto, rispondono in coro gli analisti delle grandi banche e delle grandi organizzazioni internazionali. L’esplosione del debito pubblico è un problema nuovo e sgradito per i grandi paesi, tradizionalmente virtuosi, come Germania, Francia, Gran Bretagna. E’ pane quotidiano per i paesi della periferia dell’euro, come l’Italia o la Grecia. Nonostante la concorrenza degli altri paesi sul mercato dei titoli pubblici, Atene non dovrebbe avere difficoltà a collocare, quest’anno, oltre 46 miliardi di euro sul mercato, una cifra non troppo distante, osserva il rapporto di Fitch, da quella degli altri anni, sia pure a costi crescenti. E l’uscita dall’euro? La Grecia si avvia ad un periodo difficile, ma andarsene dall’euro non è la via d’uscita dicono gli analisti di Fitch come quelli di Citibank e di BnpParibas, insieme ad economisti come Barry Eichengreen e Willem Buiter. Il debito pubblico greco, infatti, è in euro e lasciare la moneta unica per tornare ad una dracma svalutata significherebbe dover gestire un debito (in euro) ancora più pesante e una manovra di risanamento ancora più dolorosa. A fermare la Grecia prima del baratro, in ogni caso, dice lo stesso coro, saranno gli stessi paesi dell’euro, spaventati dall’idea che il contagio si estenda e la speculazione, dopo Atene, si accanisca su altri paesi. Tecnicamente, peraltro, la Grecia potrebbe anche dichiarare un default, senza uscire dall’euro: il trattato di Maastricht non pone questo obbligo.
Ma, anche qui, l’ipotesi va contro gli interessi generali delle capitali dell’unione monetaria: la credibilità internazionale dell’euro ne sarebbe irrimediabilmente compromessa. Se Atene dovesse precipitare, insomma, prepariamoci ad una grande operazione di salvataggio. Se non sarà direttamente la Bce comprare titoli del Tesoro greco, fanno capire gli analisti, saranno direttamente i governi a creare un fondo pronto ad intervenire.
 

Giontra

Forumer storico
Segnalo questa euroemissione: :)

Capture11-02-2009-15.01.23.jpg
 

yellow

Forumer attivo
La EX grandeur britannica annaspa e ...di non poco :eek::

22.04.09 14:49 - MARKET TALK BOND: future Gilt in forte calo dopo annuncio Dmo
MILANO (MF-DJ)--Toccano il nuovo minimo intraday i future sul Gilt, che aumentano le perdite dopo l'annuncio da parte del Debt Management Office dell'aumento delle collocazioni di titoli di Stato nell'anno fiscale 2009/2010.

Il totale dei Gilt emessi salira' a :eek::titanic:220 mld di sterline dai 147,9 mld precedentemente stimati.

Il mercato si attendeva un aumento a 180 mld.

Il derivato a giugno scambia a 121,36 (-1,16%) dopo aver toccato un minimo a 121,28, mentre il decennale scambia a 109,10 (-0,75%) con rendimento al 3,405%. i
 

piergj

Forumer attivo
Il primo di una lunga serie ?

Vorrei ricordare, ai partecipanti del Forum, che la Gran Bretagna è stata colei che ha preso di petto la situazione per prima, in europa.

In pratica l'aver, immediatamente, patrimonializzato le banche con preferred shares etc, etc, la ha costretta ad emettere molta carta.

E' ovvio che paghi lo scotto per prima.

La mia paura è la seguente.

Quando toccherà alla Germania ?

E, quando purtroppo anche a noi visto che dovremo rimpinguare , ancora una volta, la cassa Integrazione, fra le tante altre voci ancora non prese in considerazione ?

Mal comune mezzo gaudio, sono d'accordo. Ma l'onda sarà lunga.

Saluti

Pierluigi
 

acurefan

there's nothing left but faith.......
i btp crolleranno e quindi ci saranno occasioni d'oro per spuntare rendimenti che poi a meno che l'italia non dichiari default, non vedremo per moltissimi anni. :up: Chi nel 1994 ebbe il coraggio di comprare btp 29 al 9% netto avrebbe triplicato il capitale dopo 10 anni e secondo voi gli Agnelli o Berlusconi nel 1994 non hanno comprato nulla di btp? ;)
Non bisogna aver paura secondo me, perchè se Italia dichiara default allora finisce UE e avremo altro di che preoccuparci dico bene Pierji?
 

yellow

Forumer attivo
Vorrei ricordare, ai partecipanti del Forum, che la Gran Bretagna è stata colei che ha preso di petto la situazione per prima, in europa.

In pratica l'aver, immediatamente, patrimonializzato le banche con preferred shares etc, etc, la ha costretta ad emettere molta carta.

E' ovvio che paghi lo scotto per prima.

La mia paura è la seguente.

Quando toccherà alla Germania ?

E, quando purtroppo anche a noi visto che dovremo rimpinguare , ancora una volta, la cassa Integrazione, fra le tante altre voci ancora non prese in considerazione ?

Mal comune mezzo gaudio, sono d'accordo. Ma l'onda sarà lunga.

Saluti

Pierluigi

La GB è seriamente compromessa e barcollante,
anche se grazie alle relazioni " privilegiate " e storiche con gli U.S.A ha goduto e gode in consesso internazionale di un paracadute.

La Germania pur avendo avuto esborsi notevoli sia per Banche che per manovre varie, non è " minimamente " paragonabile alla G.B.
( La Germania è e rimarrà un gigante, la GB è una nobile decaduta con poche forze che ha seriamente rischiato un :titanic:)

Noi rimaniamo in apnea ovviamente,
ma per ironia della sorte il divario negativo con le altre si è :lol: accorciato......per i " loro " demeriti e non per un nostro miglioramento )

In sostanza siamo in alto mare, ma in folta compagnia
 

Users who are viewing this thread

Alto