giuseppe.d'orta
Forumer storico
Nel silenzio generale arrivano i colpi di spugna per i processi penali: ai risparmiatori coinvolti solo elemosina.
Cattive notizie dai processi penali per il crack di Parmalat. Come avevamo preannunciato nelle settimane passate, ormai tutto sembra orientato verso il colpo di spugna.
Il 19 Aprile, i pubblici ministeri Grego, Fusco e Nocerino hanno contestato ai 19 imputati rimasti (dei 30 originari, gli altri sono usciti dall'inchiesta attraverso vari escamotage) delle nuove aggravanti.
La scelta di fare queste nuove contestazioni consentirà agli imputati di chiedere il patteggiamento ed uscire dal processo pagando pochi spiccioli.
Dalle indiscrezioni dei giornali, sembra che i pubblici ministeri siano convinti che sostanzialmente chi poteva/doveva pagare (le Banche) ha già pagato mettendosi d'accordo con la nuova Parmalat di Bondi e questo ha fatto risalire il valore delle azioni che erano in mano ai risparmiatori coinvolti.
La Deloitte & Touche ha concordato con la procura una pena pecuniaria di 80 mila euro ed un "risarcimento" agli obbligazionisti pari all'1,40% del valore nominale delle obbligazioni Parmalat detenute da chi si è costituito parte civile. Mentre per la società di revisione Dhiantus, l'accordo prevede 200.000 euro di pena pecuniaria e la confisca di 1 milione di euro.
Secondo la stampa, i pm avrebbero detto che "più di così non potevamo fare".
Alla prossima udienza, del 21 Maggio, si dovrebbe ratificare il tutto.
Gli altri processi penali in corso stanno sostanzialmente prendendo lo stesso andazzo.
A Parma, ad esempio, si svolge il processo per bancarotta fraudolenta arrivato ormai alla fase del dibattimento. Il processo è stato spezzettato e diverse posizioni andranno trasmesse in varie città. Nelle passate settimane sono stati concessi altri 19 patteggiamenti fra i quali quelli di Francesca e Stefano Tanzi che escono dal processo rispettivamente con tre anni e 5 mesi e 4 anni e 10 mesi di reclusione (che naturalmente non sconteranno, ma non è questo il punto – a nostro avviso). Sul piano del risarcimento (quello più importante): se la sono cavata con il sequestro di alcune centinaia di migliaia di euro, moto, auto di lusso e titoli. Alle parti civili sono stati riconosciuti 120 mila euro come spese per la costituzione e la rappresentanza in giudizio.
Noi non possiamo non chiederci che razza di giustizia (con la "g" minuscola) sia quella nella quale coloro che dovrebbero perseguire i reati si mettono d'accordo con gli accusati per consentire loro di uscire dal processo stesso senza arrivare alla sentenza.
A prescindere dalla bontà o meno delle argomentazioni dei PM (ricordiamo, ad esempio, che moltissime azioni della nuova Parmalat sono in mano alle stesse Banche che hanno fatto gli accordi di cui, secondo i PM, avrebbero beneficiato i risparmiatori neo-azionisti; quindi le banche avrebbero -in parte - pagato loro stesse...) crediamo che sia uno scandalo nello scandalo che non vi sia la volontà di arrivare alla sentenza da parte della stessa Procura.
Si tratta dell'ennesima dimostrazione che l'Italia è una nazione nella quale non vi è certezza del diritto.
Più volte abbiamo detto che il sistema della (in)giustizia italiana è la più grave piaga sociale che corrode, come un cancro, il corpo sociale in ogni sua sfaccettatura (da quello economico-finanziario a quello lavorativo fino ad arrivare ad ogni rapporto di convivenza civile).
Ogni volta che tocchiamo con mano questa realtà, però, continuiamo ad essere travolti da una profondissima quanto impotente rabbia.
Speriamo almeno che dagli Stati Uniti, dove la class action (pure con i propri problemi) sta andando avanti, arrivino risarcimenti un po' più consistenti dell'elemosina portata a casa dalla Procura di Milano.
Cattive notizie dai processi penali per il crack di Parmalat. Come avevamo preannunciato nelle settimane passate, ormai tutto sembra orientato verso il colpo di spugna.
Il 19 Aprile, i pubblici ministeri Grego, Fusco e Nocerino hanno contestato ai 19 imputati rimasti (dei 30 originari, gli altri sono usciti dall'inchiesta attraverso vari escamotage) delle nuove aggravanti.
La scelta di fare queste nuove contestazioni consentirà agli imputati di chiedere il patteggiamento ed uscire dal processo pagando pochi spiccioli.
Dalle indiscrezioni dei giornali, sembra che i pubblici ministeri siano convinti che sostanzialmente chi poteva/doveva pagare (le Banche) ha già pagato mettendosi d'accordo con la nuova Parmalat di Bondi e questo ha fatto risalire il valore delle azioni che erano in mano ai risparmiatori coinvolti.
La Deloitte & Touche ha concordato con la procura una pena pecuniaria di 80 mila euro ed un "risarcimento" agli obbligazionisti pari all'1,40% del valore nominale delle obbligazioni Parmalat detenute da chi si è costituito parte civile. Mentre per la società di revisione Dhiantus, l'accordo prevede 200.000 euro di pena pecuniaria e la confisca di 1 milione di euro.
Secondo la stampa, i pm avrebbero detto che "più di così non potevamo fare".
Alla prossima udienza, del 21 Maggio, si dovrebbe ratificare il tutto.
Gli altri processi penali in corso stanno sostanzialmente prendendo lo stesso andazzo.
A Parma, ad esempio, si svolge il processo per bancarotta fraudolenta arrivato ormai alla fase del dibattimento. Il processo è stato spezzettato e diverse posizioni andranno trasmesse in varie città. Nelle passate settimane sono stati concessi altri 19 patteggiamenti fra i quali quelli di Francesca e Stefano Tanzi che escono dal processo rispettivamente con tre anni e 5 mesi e 4 anni e 10 mesi di reclusione (che naturalmente non sconteranno, ma non è questo il punto – a nostro avviso). Sul piano del risarcimento (quello più importante): se la sono cavata con il sequestro di alcune centinaia di migliaia di euro, moto, auto di lusso e titoli. Alle parti civili sono stati riconosciuti 120 mila euro come spese per la costituzione e la rappresentanza in giudizio.
Noi non possiamo non chiederci che razza di giustizia (con la "g" minuscola) sia quella nella quale coloro che dovrebbero perseguire i reati si mettono d'accordo con gli accusati per consentire loro di uscire dal processo stesso senza arrivare alla sentenza.
A prescindere dalla bontà o meno delle argomentazioni dei PM (ricordiamo, ad esempio, che moltissime azioni della nuova Parmalat sono in mano alle stesse Banche che hanno fatto gli accordi di cui, secondo i PM, avrebbero beneficiato i risparmiatori neo-azionisti; quindi le banche avrebbero -in parte - pagato loro stesse...) crediamo che sia uno scandalo nello scandalo che non vi sia la volontà di arrivare alla sentenza da parte della stessa Procura.
Si tratta dell'ennesima dimostrazione che l'Italia è una nazione nella quale non vi è certezza del diritto.
Più volte abbiamo detto che il sistema della (in)giustizia italiana è la più grave piaga sociale che corrode, come un cancro, il corpo sociale in ogni sua sfaccettatura (da quello economico-finanziario a quello lavorativo fino ad arrivare ad ogni rapporto di convivenza civile).
Ogni volta che tocchiamo con mano questa realtà, però, continuiamo ad essere travolti da una profondissima quanto impotente rabbia.
Speriamo almeno che dagli Stati Uniti, dove la class action (pure con i propri problemi) sta andando avanti, arrivino risarcimenti un po' più consistenti dell'elemosina portata a casa dalla Procura di Milano.