Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

Padoan ricontratta i derivati con Deutsche Bank, danni per 3 miliardi di euro
ECONOMIA sabato, 10, febbraio, 2018


“Oggi, grazie a coraggiose inchieste giornalistiche e a denunce di studiosi del settore – dichiara l’On. Mario BORGHEZIO – conosciamo bene quale pericolo sia insito nell’utilizzo da parte dello Stato dei derivati finanziari, una vera e propria ‘cellula tumorale’ della nostra economia, come ho recentemente ricordato a Mario Draghi nell’aula di Strasburgo.

Questi strumenti finanziari, paragonabili a delle vere e proprie scommesse sottoscritte con grandi banche internazionali, sono costate all’Italia solo nel periodo 2011/2015 oltre 23 mld. di euro, per non parlare degli interessi che ogni anno siamo costretti a pagare, paragonabili agli introiti delle tasse sulla casa.


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In una simile preoccupante congiuntura, il Ministero dell’Economia avrebbe ricontrattato i derivati attualmente in essere con Deutsche Bank ed in scadenza nel 2023 per ottenere uno sconto sugli interessi dell’anno in corso, andando ad appesantire però il debito complessivo da versare alla scadenza. Si tratta, solo per questa specifica voce, di un costo netto per lo Stato, fra quanto già versato ed il saldo futuro, di oltre tre miliardi: un deciso schiaffo ai sacrifici dei nostri concittadini ed un’evidente smentita della retorica dei ‘conti a posto’ che il Governo italiano e le forze che lo sostengono non mancano mai di utilizzare!”

On. Mario Borghezio – -Deputato
 
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Italia in declino da 25 anni, privatizzati 170.000 miliardi

20/2 •

E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.
L’Italia raggiunse un altro storico traguardo nel 1991 allorquando in piena Tangentopoli divenne la quinta potenza industriale del pianeta e sfiorando il quarto posto nella classifica delle nazioni più ricche. Fu l’ultimo capitolo di una stagione che vedeva la politica ancora con le redini per poter intervenire nei processi economici del paese. L’epitaffio più prestigioso prima che il pool di Mani Pulite facesse piazza pulita della classe dirigente e imprenditoriale con il chiaro intento di aprire la strada a potentati economici e finanziari di marca anglosassone. Si chiudeva la stagione dell’intervento pubblico e di tutti quei meccanismi partecipativi che permisero alla nostra economia di vivere i fasti del boom economico degli anni ’70 e del consolidamento degli ’80. Gran merito di questo successo va attribuito alle strutture, alle leggi e a quegli istituti (Iri su tutti) creati durante il fascismo che in un modo e nell’altro sopravvissero ancora nei decenni successivi al Ventennio. Nel 1987 l’Italia entra nello Sme (Sistema monetario europeo) e il Pil passa dai 617 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 1.201 miliardi del 1991 (+94,6% contro il 64% della Francia, il 78,6% della Germania, l’87% della Gran Bretagna e il 34,5% degli Usa). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo di 7 miliardi mentre la lira si rivaluta del +15,2% contro il dollaro e si svaluta del -8,6% contro il marco tedesco.
Tutto questo, come detto, ha un suo apice e un suo termine coincidente con la nascita della Seconda Repubblica. La fredda legge dei numeri ci dice difatti che dal 31 dicembre del 1991 al 31 dicembre del 1995, solo quattro anni, la lira si svaluterà del -29,8% contro il marco tedesco e del -32,2% contro il dollaro Usa. La difesa ad oltranza e insostenibile del cambio con la moneta teutonica e l’attacco finanziario speculativo condotto da George Soros costarono all’Italia la folle cifra di 91.000 miliardi di lire. In questi quattro anni il Pil crescerà soltanto del 5,4% e sarà il fanalino di coda della crescita all’interno del G6. In questi anni di governi tecnici la crescita italiana perderà terreno nei confronti della Francia (-21%,), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Usa (-25,8%). Sono questi gli anni più tragici per l’economia italiana. Da allora la crescita, quando c’è stata, si è contabilizzata sulla base di cifre percentuali da prefisso telefonico. L’Italia perse in pochi mesi la classe politica del trentennio precedente che venne rimpiazzata nei posti strategici soprattutto da gente proveniente da noti istituzioni bancarie che seguirono – facendo addirittura meglio – alla lettera l’esempio thatcheriano.
Non è un caso che proprio la Gran Bretagna della Lady di ferro perse, nel periodo che va dal 1981 al 1986, il 29% di crescita nei confronti dell’Italia, il 4.9% nei confronti della Francia e il 5% nei confronti della Germania. La fredda legge dei numeri che una volta per tutte smentisce chi ancora oggi glorifica la svolta liberista intrapresa dalla Thatcher. Svolta liberista che a partire dai governi tecnici e di sinistra colpì pesantemente l’Italia. Tutte le riforme strutturali avviate in quegli anni portarono il nostro paese a perdere posizioni che mai più avrebbe riguadagnato. A seguire, tutte le privatizzazioni con relativo valore al momento della cessione in miliardi di lire dell’epoca: 1993 Italgel, Cirio-Bertolli-De Rica, Siv (2.753 miliardi); 1994 Comit, Imi, Ina, Sme, Nuovo Pignone, Acciai Speciali Terni (12.704 miliardi); 1995 Eni, Italtel, Ilva Laminati piani, Enichem, Augusta (13.462 miliardi); 1996 Dalmine Italimpianti, Nuova Tirrenia, Mac, Monte Fibre (18.000 miliardi); 1997 Telecom Italia, Banca di Roma, Seat, Aeroporti di Roma (40.000 miliardi); 1998 Bnl + altre tranche (25.000 miliardi); 1999 Enel, Autostrade, Medio Credito Centrale (47.100 miliardi); 2000 Dismissione Iri (19.000 miliardi).
Con la scusa di reperire capitali in vista della futura introduzione della moneta unica, il governo presieduto da Romano Prodi (17 maggio 1996 – 20 ottobre 1998) iniziò a spingere sull’acceleratore delle privatizzazioni e sulle cartolarizzazioni, ovvero la sistematica svendita del patrimonio di tutti gli italiani. Il governo Prodi non riuscì a completare la sua missione perché ad ottobre del 1998 cadde, ma con una mossa a sorpresa, evitando di fatto il ricorso alle urne, si diede l’incarico di creare una nuova maggioranza all’ex comunista Massimo D’Alema, che che proseguì la barbarie fin quando gli fu permesso (aprile del 2000) e conseguentemente proseguito dal governo “tecnico” Amato, quest’ultimo finito con la chiamata alle urne nel maggio del 2001. Questa fu la stagione legata alla più colossale svendita del patrimonio pubblico italiano. Furono incassati 178.019 miliardi di lire, pari a 91 miliardi di euro. “Meglio” della liberale Inghilterra della Thatcher. Milioni di posti di lavoro cancellati negli anni a venire che fecero perdere quella crescita che viceversa aveva contraddistinto i decenni precedenti.
Le privatizzazioni non sono mai cessate. Dopo il 2000 proseguirono e continuano ancor oggi a piè sospinto. Cambia solo la ragione per la quale i governi ci dicono che dobbiamo procedere obbligatoriamente per questa strada: l’abbattimento del debito pubblico. Vale a dire come far passare il fatidico cammello attraverso la cruna dell’ago. Ma le privatizzazioni non solo non sono servite a nessuna delle cause fin qui addotte, ma come detto prima, cancellano posti di lavoro abbassando l’occupazione reale nell’arco di qualche anno. Nessuna delle ex aziende pubbliche ristrutturate dai privati ha difatti provveduto ad assumere più dipendenti della vecchia gestione. Centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in favore del precariato e di tutti quei contratti a termine che hanno tolto certezze e diritti. Un altro elemento che oggi favorisce questa continua barbarie ai danni del lavoro ci è data dall’immigrazione favorita e voluta dalla Ue, accompagnata dal solito finto e perfido buonismo, che ha la funzione di servire sempre alla stessa finalità: alzare la disoccupazione marginale per far accettare ai lavoratori salari e diritti calanti. L’Italia ha avuto nel suo passato degli ottimi spunti che ci hanno posto ai vertici delle nazioni più competitive, e questo malgrado le cassandre che enfatizzavano gli aspetti legati all’elevata corruzione, alla criminalità organizzata e all’ignavia tipica dei mediterranei.
Un paese che era vivo e presente, con il giusto slancio per affrontare qualsiasi sfida posta a livello internazionale. E questo era stato ampiamente compreso dai nostri diretti competitor, Germania, Gran Bretagna e Francia in testa che hanno fatto di tutto per smantellarci pezzo dopo pezzo. Nel 1997 il Pil italiano ha ancora una brutta caduta e passa dai 1.266 miliardi dell’anno precedente ai 1.199 miliardi. Recupera qualcosa nel ’98 (1.225 miliardi) per poi scendere ancora a 1.208 miliardi di dollari nel 1999. L’intero periodo segna una decrescita complessiva del -4,6%. L’11 dicembre del 2001, dopo 15 anni di negoziati, la Cina entrava a far parte del Wto (World Trade Organization), l’organizzazione mondiale del commercio. Da allora tutto è cambiato. Le economie anglosassoni, grazie alla deregolamentazione dei mercati voluta da Bill Clinton e Tony Blair, si sono votate esclusivamente sul finanziario. Si è creata di fatto una asimmetria tra rendita finanziaria e profitto capitalistico che ha favorito la Cina, che con i presupposti della concorrenza sleale ha sparigliato tutti, soprattutto nel campo manifatturiero, da sempre fiore all’occhiello dell’Italia. Chi non ha retto questi primi tragici anni del terzo millennio o ha chiuso i battenti o ha delocalizzato la produzione proprio nel paese del Dragone. Dal 2001 in poi i protagonisti dell’economia mondiale saranno altri. L’Italia esce mestamente dal G6 accompagnata verso un ruolo di marginalità politico-economica sempre maggiore.
(Giuseppe Maneggio, “Il declino nazionale? Tutto è cominciato negli anni ‘90”, da “Il Primato Nazionale” del 18 marzo 2015).
E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.
 
uroboro, in qualità di appartenenti all'epoca in cui vivono (e si guadagnano da vivere; e dunque, per lo più, senza enunciare la premessa non secondaria che la "cultura", in un regime capitalistico, intanto dà da vivere in quanto "offra" un prodotto gradito al mercato; che, a sua volta, non è un luogo astratto e impersonale ma il conglomerato delle forze capitalistiche dominanti, storicamente individuabili in una sempre più ristretta cerchia di persone).
Questa appartenenza (a) e questa esponenzialità del "senso comune" epocale, induce queste classi di operatori culturali a considerare, o ri-considerare (rispetto a un momento "0" precedente), le priorità (valoriali ed ermenutiche) nel selezionare i fatti basandosi sull'idea, spesso solo implicitamente ma saldamente accettata, che il passare del tempo, cioè il fluire della Storia, sia un percorso unidirezionale verso un (indefinito) progresso.

III. Parliamo, naturalmente del fascismo, e dei suoi "automatici" corollari semantici (negli slogan mediatizzati dominanti) e sintattici (nei ragionamenti che, sempre in modo per lo più inconscio, vengono sistematizzati sulla base di questi slogan, una volta espansi e resi presentabili "intellettualmente", secondo varie tecniche di linguaggio e di comunicazione).
Per quanto emerge dal lungo lavoro di elaborazione compiuto su questo blog, in base all'utilizzo coordinato di discipline quali il diritto e l'economia, - naturalmente in prospettiva storica ma, prima ancora, fenomenologica-, il fascismo è tale se e in quanto definisca un fatto istituzionale (ovviamente sovrastrutturato con una forte ideologia "suggestiva"); un fatto istituzionale che postula il capitalismo e i suoi stati di crisi successivamente alla fase in cui il regime liberal-capitalista si è visto costretto (dallo stesso sviluppo economico determinato dai suoi metodi produttivi e dal conseguente acuirsi del conflitto distributivo relativo a tale crescita), a concedere il suffragio universale.

In questo senso è l'interpretazione dei due massimi esponenti del pensiero marxiano in Italia, e tra i più noti e accreditati al mondo, e che, in aggiunta (elemento impossibile da trascurare), sono stati altresì testimoni diretti della nascita e dello sviluppo del fascismo: Gramsci e Basso.

IV. Quando il controllo istituzionale, cioè politico-statuale, del regime capitalista viene sottoposto a uno stress eccessivo, a causa della difficoltà di controllare gli esiti del processo elettorale a suffragio universale, il capitalismo vede posto in pericolo il prediletto gold-standard (considerato il baricentro dell'assetto conservativo allocativo-efficiente del potere economico-sociale), e ricorre:
a) all'autoritarismo poliziesco, all'imperialismo militare, e/o a varie combinazioni tra i due- prima anima capitalista: finanziaria e bancocentrica;
b) ovvero a vari cedimenti a forme istituzionali che cerchino di conciliare la democrazia liberale, cioè oligarchica, (che controlla il processo elettorale con metodo idraulico) con una certa mobilità sociale, essenzialmente legata a varie forme di welfare pro-labor: quel tanto che basta per scongiurare la rivolta di massa o, peggio, la rivoluzione organizzata del mondo del lavoro - seconda anima capitalista, talora prevalente, come nel New Deal post '29, protezionista, industrialista e anti-finanziario, e, peraltro, sempre con la riserva mentale della possibilità di riprendersi quanto "ingiustamente" concesso al fattore lavoro, (magari dopo una guerra che dia soluzione agli altrimenti insolubili problemi di insufficienza della domanda aggregata e di sotto-occupazione, laddove si ritenga irrinunciabile mantenere la democrazia formale e lo Stato "liberale").

V. Nei sensi appena precisati, il fascismo è un fenomeno storicamente connotato: uno strumento di default del capitalismo, come ci dice inequivocamente von Mises, cfr; p.3 (uno strumento sempre concepito come temporaneo: come già nel caso alternativo del New Deal - e della mobilità sociale e del welfare non "caritatevole"); sottostante ad ogni forma di fascismo, dalla Marcia su Roma a Pinochet (e pur nelle evidenti differenze di presupposti economici strutturali, e di utilizzo della sovrastruttura ideologico-suggestiva, dei vari fenomeni di conservazione autoritaria) c'è sempre la riserva di riprendersi il pieno controllo dello Stato, mettendo da parte il "partito unico" o la "giunta militare" ed evitando l'effetto pretoriani. Lo "strumento di default", infatti, tende sempre a deragliare, agli occhi dei capitalisti che gli danno il via libera, in una violenza considerata negativamente (soltanto) perché non essenzialmente mirata a reprimere le istanze di partecipazione al potere economico della massa dei "subalterni" (da cui la contingente disponibilità "finale" a fare concessioni anche della "prima" forma di capitalismo, quando sia messo alle strette dall'orrore culturale per gli eccessi ideologici incontrollabili, in quanto autonomi, di quello stesso totalitarismo che gli è intrinsecamente congeniale).

VI. Detto questo, passiamo a riportare una serie di interessanti commenti di Bazaar in "libera uscita" su blog degli amici di Sollevazione.
Come tutti dovrebbero sapere, Bazaar non abbraccia alcuna ideologia marxista: egli muove dal condividere la scientificità (etica) del metodo marxiano come il più efficace, dal punto di vista fenomenologico, a risolvere il problema politico perenne del conflitto sociale tra capitale e lavoro (in modo che, effettivamente risoltolo, ciascun essere umano possa dedicarsi a ben altri problemi che quelli della fame, della disoccupazione e della "scarsità di risorse" e possa perciò esprimere le sue piene inclinazioni per la "conoscenza", manifestate non solo sul piano della dignità, non più contestabile, di qualunque attività lavorativa egli svolga, ma, forse ancor più, nella sua connessione con lo Spirito e l'Intento della condizione umana: essere avvolto nel mistero della nascita, dell'esistenza e della morte).
I commenti in questione sono emendati di talune parti e arricchiti da qualche link (per i non attenti o i nuovi lettori) e li ho numerati per dare allesposizione un format consueto (allo "stile" di questo blog):


1. « Ci sarà infine qualche cretino che griderà al complotto di qualche servizio segreto per favorire XYZ nelle urne. »

Io sono uno di quei cretini.

Ora, non mi aspetto che chi non abbia capito nulla di ciò che è successo negli anni'70 in Italia lo possa capire ora. È inutile citare la Cox come è inutile spiegare perché Marx sostenne il conservatore Lincoln. Ovvero è inutile spiegare le due anime storiche del capitalismo che, nella loro dialettica, offrono delle opportunità all'avanguardia democratica che per struttura, in condizioni normali, ha pochissimi spazi politici.

Ciò da cui non ci si può astenere, però, è lo stigmatizzare l'antimarxiano muoversi per appartenenza, acritico ed incosciente.

Ma che diavolo sarebbe 'sta fava di "antifascismo", fuori dalla reale concretezza della situazione storica, che viene sbandierato da generazioni di socialisti falliti?

La Costituzione è antifascista in quanto socialista. E si richiama all'antifascismo in quanto si rifà alla comunione di intenti della concreta situazione storica della Resistenza. Punto.

Ora: l'anima "nera" non è quella del "fascismo". È quella del capitalismo. Giusto?

Il socialismo nasce come anticapitalismo. Non nasce come un "antifascismo" fuori dalla storia.

Ora il capitalismo si è riproposto nel suo totalitario liberalismo ottocentesco: cosa facciamo? Continuiamo a fare gli "antifascisti" al servizio del capitale?

I democratici sono socialisti, ossia anticapitalisti: non sono né di sinistra né antifascisti che, guarda un po', trovano eco in organizzazioni tipo "Antifa" che sono TUTTE infiltrate se non direttamente finanziate dal grande capitale liberal. Così come certe formazioni di "estrema destra" come Forza Nuova.

La verità è che l'Internazionale dei lavoratori nasce in ottica anti-immigrazionista e nazional-indipendentista (qui, p.4): a farlo ora ci sono partiti e movimenti senza cultura socialista e democratica che si sono storicamente rifatti a regimi conservatori.

La responsabilità è di chi si propone come "intellettuale socialista" e continua a ragionare come la sinistra nata dal Sessantotto... ossia la sinistra neoliberista.

2. Signori, dando per assodato che conosca come la vostra posizione si distingua dal resto del pensiero di sinistra reazionario, il mio intervento è volto a criticare ciò che non considero una sufficiente presa di distanza radicale dall'antifascismo neoliberale.

Il motivo è banale: l'antifascismo degli ultimi decenni - se non di gran parte dell'intero dopoguerra - ha fallito nel suo compito di portare coscienza alle masse. Ossia ha, nell'evidenza che ci circonda, perso politicamente.

Non so se ho "cileccato", ma l'origine della mia critica è quella che ho riportato in testa al mio commento.

Poiché condividiamo una comune coscienza democratica, ossia nazionale e di classe, probabilmente converrete con me che il fascismo, storicamente, è stata una delle tante maschere del capitalismo.

Se questo è condiviso, dovrebbe essere anche condiviso che la maschera fascista, ossia al di fuori dalla Storia, è in se stessa un finto bersaglio.

Di conseguenza, qualsiasi antifascismo astorico, che si rifà ad una qualche essenza morale, antropologica, del fascismo (come quello dei Wu Ming che si chiedono come mai il loro tweet viene retuittato dai bot...), è necessaria per creare una (falsa) dialettica con lo spaventapasseri del fascismo: questa finta dialettica è quella che negli anni '70 è stata chiamata "strategia degli opposti estremismi", "strategia della tensione", da una parte fondata sulla neoliberistica equiparazione di comunismo e nazifascismo come opposti totalitarismi e, in cui, i liberali sarebbero i democratici al posto dei socialisti, dall'altra creando un divide et impera, una semi-guerra civile che ha distratto dall'unico e vero - a anche per motivi filologici - nazifascismo (qui, p.2): quello di Hallstein e dell'eurounionismo, dell'imperialistico diritto comunitario, federalista e liberoscambista.

Il liberoscambio (qui, pp. 1-3), quello che i nazisti provarono ad imporre con i panzer, come ben sapete, postula la libera circolazione dei capitali, dei beni e delle persone.
Come da tradizione del più grande Instrumentum Regni mai inventato - il cristianesimo - questo autentico atto politico volto a segmentare e a distruggere qualsiasi coscienza nazionale e di classe - quello dell'immigrazione e della tratta degli schiavi - necessita di questo moralismo peloso: che si chiami razzismo, xenofobia, fascismo, sessismo, omofobia, islamofobia, stagranfavafobia, si tratta sempre e solo di moralismo volto a sedare qualsiasi reazione patriottica e di classe e, dall'altra, far montare irrazionale panico livoroso in chi vede il pericolo di questi fatti sociali ma non ne comprende le cause ed i fini.

Usare già il termine "xenofobia" è già usare le categorie del nemico.

Tutti hanno paura del "diverso", in qualsiasi sua accezione (qui, pp. 5-8): è banale psicologia.
Tutto ciò che è volto a colpevolizzare i sentimenti che NON si possono NON provare (qui, pp.5-7.1.)è clericale pratica dell'Instrumentum Regni.
 
3. Per creare questa finta dialettica, sezionalizzante e distraente dal conflitto di classe e dall'imperialismo, la longa manus del capitale - di cui i "servizi" che non rispondono allo Stato sono, da sempre!, storicamente parte - può creare casi di cronaca. La coincidenza del fatto di Macerata con quello della povera Pamela è troppo evidente per tacciare chi ci vede una manovra politica dietro di essere un "cretino". Assomiglia troppo alla strategia della tensione.

Non si può non pensare a cosa sia successo dopo Rimini, o alla Cox, o, per altri motivi ancora, cosa sia successo a Bologna, o dopo Ustica.

Poiché ciò che argomento mi pare organico e coerente a tutti i livelli di chi prova a ragionare con il "materialismo dialettico", non può vedere una certa precomprensione a questi fatti di cronaca dovuti a motivi di antimarxiana "appartenenza".

Ora, il livore montante per il panico dovuto all'immigrazione è assolutamente preoccupante, da temere la guerra civile e il tipico utilizzo - tanto stigmatizzato da Marx ed Engels - del sottoproletariato come esercito reale per opprimere le masse di lavoratori, di disoccupati ed inabili.
Sono intervenuto a gamba tesa anche tra i "sovranisti" per criticare l'eccesso di identitarismo e l'uso di toni che si possono rivelare controproducenti, non solo per motivi coscienziali, ma anche per l'uso che ne può venir fatto dai vari panzer del politicamente corretto. Politicamente corretto, liberal, che, basti vedere i sussidiari delle scuole elementari, sappiamo essere ingegneria sociale totalitaria.

Ora, o ci si smarca da quel branco di socialisti inutili che Marx ed Engels avrebbero preso a calci nel sedere come i Wu Ming, che non fanno che amplificare la propaganda dei Saviano e dell'oppressione finanziaria, oppure in Italia non rimane veramente più nulla; manco uno scampolo di coscienza.

Io vi voglio bene: ma qui il terzo non si può dare: o a Macerata si vede un innesco volto alla strategia della tensione (di cui i fini elettorali sono ovvi), oppure non lo si vede e si dà a chi la pensa così del "cretino".

Una delle due posizioni fa cilecca. Per carità, è dialettica ma, come ho argomentato, è basata sulla coscienza di "fondamentali": non sono sicuro di aver fatto cilecca io.

4- Un post scriptum, per massima chiarezza e tentare un Aufhebung volto a grattar via decenni di quella che io credo essere falsa coscienza sedimentata: quello che il capitale trasnazionale teme non è un partito socialista, per il semplice fatto che non esiste proprio più il pensiero socialista, ovvero il pensiero democratico.

Quello che il capitale cosmopolita e mondialista, difeso dai Toni Negri e dai Saviano, teme ora, è la crescita di partiti conservatori nazionalisti che si mettano di traverso alla nuova feudalizzazione voluta dal cosmopolitismo borghese: quel nazionalismo rappresentato dai Putin, dagli Orban, dalla Regina d'Inghilterra (vedi la sua posizione sulla Brexit) o dai Trump: questo nazionalismo che ama l'identitarismo della tradizione e che protegge gli interessi del capitalismo industriale; v. Main Street Vs Wall Street, v. il repubblicano Lincoln, erede della tradizione "hamiltoniana" volta allo sviluppo industriale tipicamente nordista contro il partito liberale sudista, filo-britannico, liberoscambista e schiavista.

Voglio dirvi che il cieco è colui che non si accorge che il totalitarismo fascista è già tra noi, e l'autoritarismo è già prossimo a venire, basti vedere le leggi per la censura, in preparazione pre-bellica.

Il cieco è colui che non vede che l'antifascismo è sventolato per non permettere partiti antiliberisti - perché l'immigrazionismo, come sapevano i comunisti, è liberismo applicato al lavoro-merce- di acquisire consenso e di portare coscienza nazionale.
Coscienza nazionale che, piaccia o meno, è propedeutica alla coscienza di classe.

Ragionare per "amici e nemici", in modo ideologico e non strumentale rispetto alla concretezza del momento storico, lo considero più schmittiano che marxista.

Se mi sono spiegato bene, si arriva alla conclusione che è facile che Marx, come sostenne il borghese Lincoln, oggi sosterrebbe i vari Putin ed Orban, e tutti i partiti conservatori ma nazionalisti e "statualisti", perché non ragionava per appartenenza, ma, come Lenin più avanti, ragionava in modo dialettico sulle opportunità che le contraddizioni del capitalismo riserva imprevedibilmente.

5. Dunque (commento tratto da un'ulteriore incursione di Bazaar) traendo le somme:
"...Getto la casacca da appassionato bassiano e mi cimento in quella
meno partigiana del "fenomenologo".

Ora: se il "razzismo" è stata una sovrastruttura dell'imperialismo, ovvero una proiezione classista per far collaborare i ceti subalterni nella colonizzazione di nuovi mercati, l'allarme "xenofobia" con cui il "razzismo" è stato ribattezzato, ha il significato *non marxista*, ma LIBERALE, di MORALISTICA inclusività del "diverso" che nulla ha a che fare con l'inclusività SOCIALE, che permette la piena partecipazione di tutti i lavoratori alla cosa pubblica tramite la socializzazione del potere economico e politico.

Il moralismo liberale è il "nuovo" clericalismo laico.

Io rimango con Marx ed Engels: il sottoproletariato è un nemico di classe.

Vanno stigmatizzati i tipici stereotipi razzisti da parte dei conservatori perché portano falsa coscienza. Ma dell'educazione politicamente corretta non me ne può fregar di meno.

Poiché credo che tutti gli uomini siano uguali nella sostanza, me ne batto di quella roba ipocrita che fa la sinistra da decenni: la liberale e clericale sussidiarietà verso "i deboli".

Deve ritornare il concetto di solidarietà: nazionale e di classe.

Gli immigrati vanno fermati: soprattutto se arrivano dall'Africa o dal sudest asiatico. È l'abc del socialismo: questi sono lavoratori senza un minimo di coscienza sindacale. Non divengono generalmente "compagni" neanche quando emergono dal sottoproletariato.

C'è un'esperienza secolare dei marxisti statunitensi su questo tema (qui, p.5).
Gli infiltrati neofascisti fomentano solo conflitti sezionali in una società artificialmente segmentata per evitare lotte di emancipazione di classe e anti-imperialistiche.
Non solo Bordiga, che diceva certe cose da un particolare punto di vista, ma anche Basso stigmatizzava già certe categorie di lotta nel primo dopoguerra.

È inutile fare dei distinguo nominalistici sull'antifascismo: l'antifascismo, per come viene "ermeneuticamente" inteso, significa antiautoritarismo, inclusività sussidiaria (moralismo di formale antirazzismo che rivela dei sostanziali pregiudizi di carattere razziale). Lotta per la libertà delle minoranze...Che framework concettuale ed ideologico è?

L'antifascismo è PURO LIBERALISMO. È patente neoliberalismo piccolo-borghese.
L'antifascismo è un neoliberale frame divisivo per non permettere resistenza.

Il confronto con i partiti conservatori deve rimanere ESCLUSIVAMENTE sui contenuti economico-sociali.

L'identitarismo nazionale conservatore, in quanto propedeutico all'identitarismo di classe, va sostenuto. La sinergia sui contenuti di indipendenza nazionale e di difesa dello Stato sociale va ricercata.

Va condiviso il conservatorismo culturale da opporre al sorosiano e nazista modernismo reazionario. E ovviamente va condiviso lo sforzo su quegli obiettivi propedeutici al progressismo sociale.

In sintesi? Io chiamerei leghisti e "destre sociali", in questo frangente politico, "socialisti che non sanno l'economia" [NdQ: probabilmente Bazaar concorderà con me che, in una riflessione non contingente e frettolosa, Lega e destre sociali siano fenomeni geneticamente non assimilabili: in particolare la Lega è un movimento federalista e liberale, senza alcuna aspirazione, fino ad oggi, a connotarsi come "socialista". Un fenomeno di "destra economica" vicino alla seconda anima del capitalismo. Quindi, anche potendo prescindere dai suoi attuali, contingenti, e prestigiosi, esponenti "economisti", a noi ben noti, non può essere tacciata di "non sapere l'economia"; quanto, semmai, di...non preoccuparsi della storia dell'economia e dei meccanismi causali, tutt'ora in atto, che essa segnala].

Il materialismo dialettico porta a questo: è lo studio dell'economia politica che fornisce le categorie per dividere schmittiamente gli amici dai nemici nel concreto momento geostorico.

Tutto il resto è moralismo reazionario.

Un abbraccio! orizzonte 48
 
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[URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/c-5469_ARRESTATO_PER_CORRUZIONE_IL_GOVERNATORE_DELLA_BANCA_CENTRALE_DELLA_LETTONIA_CHE_E_ANCHE_MEMBRO_DEL_VERTICE_DELLA_BCE']lunedì 19 febbraio 2018[/URL][/URL][/URL]
[URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/#'][URL='http://www.ilnord.it/c-5469_ARRESTATO_PER_CORRUZIONE_IL_GOVERNATORE_DELLA_BANCA_CENTRALE_DELLA_LETTONIA_CHE_E_ANCHE_MEMBRO_DEL_VERTICE_DELLA_BCE']La pesantissima accusa di corruzione si abbatte sulla principale istituzione finanziaria della Lettonia, ma allo stesso tempo sul vertice della Bce. Il Governatore della Banca centrale Ilmars Rimsevics, che e' anche membro del consiglio direttivo della Banca centrale europea, e' stato arrestato dall'Ufficio anti-corruzione nazionale, facendo salire la preoccupazione che questo possa pesare sul settore finanziario del Paese baltico e gettando un'ombra scura sulla Bce. L'annuncio dell'arresto di Rimsevics, 52 anni, dal 2001 Governatore della Banca centrale e dal 2014 (quando la Lettonia e'[/URL][/URL][/URL][/URL]
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posted by Mitt Dolcino
Il saldoTarget 2 non è un debito per l’Italia nè un credito per la Germania. I franchi svizzeri sono oggi il surrogato del futuro marco tedesco?




Interessante articolo su ofcs.report sul Target2 e sulle conseguenze di una prossima rottiura della moneta unica europea. Come ben spiegato da Fabio Lugano in scorsi interventi su SE, il saldo Target2 non è nè un debito per l’Italia nè un credito per la Germania. Rappresenta semplicemente la traccia del trasferimento di fondi dalla periferia – e dall’Italia nel caso in esame – alla Germania, forse sperando di evitare gli effetti deleteri di una eventuale prossima rottura dell’euro, fatto ormai molto probabile nei prossimi 18-36.

Rispetto a quanto dipinto dai media del nord europa (saldo negativo Target2 uguale debito da pagare per uscire dall’euro) la realtà è molto differente; l’unica considerazione da fare è che solo investendo già oggi in valute che continueranno ad esistere anche dopo l’euro si potrà sperare di ovviare agli effetti (deleteri per i creditori) della fine della moneta unica. E questo varrà a maggior ragione per chi ha grandi crediti da riscuotere.

Va anche evidenziato che probabilmente la gran parte del saldo negativo Target2 dell’Italia deriva da un rimpatrio degli attivi delle aziende straniere con attività in Italia con strumenti ad es. di cash pooling. Ossia, anche le aziende straniere attive in Italia potrebbero rischiare di vedere riconvertita la propria liquidità in lire, anche se depositata in Germania (…), vedasi l’articolo sotto.

Si noti che tutta EUropa sta rimpatriando capitali dai periferici trasferendoli soprattutto in Germania. Questo non dovrebbe stupire, esiste un enorme numero di aziende tedesche esportatrici con attività in tutti i paesi EUropei, oltre a dover considerare l’attuale terrore teutonico per la prossima fine della montea unica con Trump presidente (ossia, sono proprio i tedeschi che stanno rimpatriando quanto più liquidità possibile) . Da qui l’enorme saldo positivo tedesco, circa 800 mld euro a fine Gennaio, record storico.

Buona lettura

MD

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https://ofcs.report/opinioneconomica-la-verita-sul-target2/

Abbiamo tutti ascoltato con estremo interesse le parole di Mario Draghi che, con un’inattesa apertura rispetto alla fattibilità di un’uscita dall’euro, ha comunque ricordato che in caso di rottura della moneta unica – secondo la sua opinione – i paesi uscenti dovrebbero comunque ripagare i propri debiti ossia, forse, ripagare il saldo negativo del Target2.
Visto che l’Italia ha un saldo di circa -365 miliardi di euro significa forse che tale ammontare sarebbe il nostro debito (da ripagare) in caso di Italeave? O, visto che la Germania ha un equivalente credito Target2 di circa 800 miliardi euro (!!!, record storico) rispetto all’intero sistema di pagamenti europeo, significa che in caso di rottura dell’euro il sistema europeo dovrebbe pagare Berlino il suo immenso surplus Target2?

Niente di tutto questo: prima di tutto il Target2 è una convenzione per cui il segno negativo non significa avere un debito ma semplicemente vuole rappresentare una traccia dei flussi di denaro che, ad esempio dai paesi periferici sono stati trasferiti verso quelli “core” (in caso di negatività come quella italiana). Dunque, nel momento in cui un soggetto con un conto corrente a credito in Italia trasferisce denaro ad esempio in una banca della Germania, da una parte determina una diminuzione del saldo nel conto italiano e dall’altra un parallelo incremento di saldo nel conto corrente nella banca tedesca, tutto espresso in euro. Quello che avviene per attuare il bonifico, ossia il determinarsi di un saldo negativo in capo alla banca d’Italia e di uno positivo in capo alla banca centrale tedesca, è solo una convenzione operativa che potrebbe tranquillamente non esistere ma che purtroppo confonde le idee dando vita al tanto chiacchierato saldo Target2 ed alle sue molteplici interpretazioni, spesso di parte.


Alla fine, come ben spiegato dall’ottimo De Grauwe su vox.eu (autorevolissimo sito accademico europeo) e ripreso dal nostro Fabio Lugano, il sunto è che il saldo negativo Target2 non rappresenta un debito per l’Italia ed un equivalente credito per la Germania quale recettore dei fondi trasferiti dall’Italia (i detentori dei saldi nei conti correnti positivi in Germania derivanti dai flussi di denaro provenienti dai paesi periferici, inclusa la loro nazionalità, rappresentano una variabile esogena ed indipendente). In soldoni la conseguenza è che, nel caso di una rottura dell’euro, la Germania non potrebbe permettersi di trasformare tutti i saldi in euro depositati nelle sue banche in nuovi marchi in quanto così facendo perderebbe il controllo della moneta nazionale – che esploderebbe in volume – e dunque farebbe partire prepotentemente l’inflazione tedesca. Ossia, e qui sta il punto, un euro che si rompe e che non esiste più verrebbe accreditato ai beneficiari effettivi in funzione della loro residenza, in lire se la residenza del proprietario è italiano, in fiorini se olandese ecc.
Andrebbe anche considerato che gran parte (anche oltre 100 mld di euro e più, diciamo anche un terzo) di detto saldo negativo Target2 italiano possa essere derivato dal rimpatrio di capitali delle multinazionali tedesche con attività in Italia con gli strumenti del “cash pooling”: di norma anche tali flussi derivanti ad esempio dal rimpatrio del cash delle filiali italiane delle multinazionali tedesche dovrebbero essere convertiti in lire (creando enormi perdite per numerose aziende germaniche attive in Italia).

Food for thoughts

In ogni caso non esiste nessun dubbio: se un soggetto italiano, volendo mettersi al riparo dalla futura riconversione forzata dei depositi bancari, spostasse i soldi in Germania per sfuggire (inutilmente) agli effetti di una rottura della moneta unica farebbe un gravissimo errore a pensare di esserci riuscito, si riprenderà le lire! Anche un soggetto tedesco con attività in Italia (vedi Cash Pooling) correrebbe rischi.
Dunque, l’unico modo per essere sicuri di scampare a detta ridenominazione (in caso di rottura della moneta unica) e dunque evitare di ritrovarsi – ad esempio per un beneficiario/residente italiano – con lire svalutate tra le mani è di convertire i propri saldi attivi di conto corrente in una valuta europea autonoma ossia in franchi svizzeri (moneta di norma correlata con il valore intrinseco del marco tedesco e/o alla valuta rappresentante l’economia germanica), possibilmente trasferendo il proprio cash nella Confederazione Svizzera.

In tale modo, in caso di rottura dell’euro, non ci sarebbero dubbi sulla valuta effettivamente detenuta in conto corrente ad esempio da un residente italiano.

Published by Ofcs.report
 

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