Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

associazione di idee
A sostegno di questa tesi, Enrico Gianini aggiunge un racconto: «Quando la nostra azienda ha dato degli incentivi per “esodare” il personale, per fare un “refresh”, in un reparto di 20 persone, in 16 su 20 hanno chiesto l’incentivo per l’abbandono del posto di lavoro. E il reparto era Weight and Balance, il reparto di bilanciamento. Ammetterete che la coincidenza è davvero forte: se in 16 se ne vogliono andare via da un reparto che fa il bilanciamento dell’aeromobile, mi vien da pensare che dovevano tener conto di tolleranze che non erano dichiarate in maniera troppo cristallina». In aviazione le tolleranze in genere sono tre, riassume Gianini: una leggera, una più seria e una invalicabile. «La prima la posso superare in caso di necessità: avverto il comandante, che può “rognare” ma alla fine deve partire lo stesso. La seconda la posso superare se ho il permesso esplicito del comandante, perché vuol dire che vado a intaccare non dico la sicurezza dell’aeromobile, ma il lavoro della macchina, in maniera tale che il comandante lo deve correggere. Quindi è lui che deve decidere se vuol fare la correzione, se è possibile farla, e mi deve dare il nulla osta per farla. La terza tolleranza invece non si deve superare mai, perché è il margine di sicurezza».

Quando Alitalia ha fatto il de-hubbing, trasferendo la flotta da Malpensa a Fiumicino, di colpo è stata istituita una compagnia tedesca, chiamata Lufthansa Italia, che aveva in forza un congruo numero di Airbus 319. «Il bilanciamento di questi aeromobili veniva fatto da una società (mi dicevano, perché non ho potuto controllare) che risiedeva in Sudafrica», racconta Gianini. «Questa società ha creato enormi problemi a noi, sotto bordo, perché dava un bilanciamento spinto in una maniera… cioè, volevano 60 bagagli nella stiva anteriore del 319, quello che carichiamo ancora da dietro. Lufthansa Italia no, caricava tutto davanti. E volevano 60 bagagli (che non ci stanno – ce ne stanno al massimo 45-50). Volevano 60 bagagli davanti e assolutamente niente dietro. Cioè: c’era da rischiare di lasciare bagagli a terra, con la stiva dietro completamente vuota. Litigate infinite…». Per Enrico Gianini, questo del carico resta un giallo: c’è del peso non dichiarato, in coda? Ci sono serbatoi-fantasma? «Indipendentemente da dove arrivano, le scie, qualcuno mi deve spiegare perché la fisica, dal 2000 al 2018, è cambiata», se è vero che in coda non c’è peso non dichiarato, e quindi gli aerei volano benissimo, col muso all’insù, senza più dover appesantire la parte posteriore.

Con Rosario Marcianò di “Tanker Enemy”, Gianini ha parlato di un’ipotetica “pipeline Nato”, per il trasporto protetto di carburante destinato agli aeroporti. «Qui entriamo in un discorso di sicurezza nazionale, quindi dovete prendere per buono che il corridoio preferenziale c’è, ma non si sa bene qual è», premette l’operatore di Malpensa. «Noi abbiamo un oleodotto che parte dal porto di Genova e arriva fino alla raffineria di Trecate, che a mia memoria esiste da almeno 40 anni. Stranamente, nel 1990 – a 250 metri dalla raffineria – hanno aperto un pozzo di petrolio: vedi il caso», dice Gianini. «Addizionare i carburanti in aeroporto è praticamente quasi impossibile: non perché non si possa fare, ma perché le quantità in gioco sono talmente grandi che la cosa verrebbe all’occhio, diventerebbe visibile». Quindi, aggiunge, «mi sono dato questa spiegazione: che i maggiori componenti atti alla geoingegneria siano dentro il carburante, e sugli aerei vengano caricati solo i catalizzatori, che possono essere diversi, più le polveri (come ho visto io, nei liquidi sgocciolati dalla fusioliera)». Gianini ipotizza un’operazione «a più stadi». Impossibile sapere con precisione come funziona. «Se il componente aggiuntivo è più che altro acqua, io carico le polveri quando gli aerei sono in sosta e vanno in hangar per lamanutenzione ordinaria», e così «metto quell’aereo in condizione di lavorare sulla geoingegneria per una settimana, due. Alla terza lo ricovero un’altra volta, e vado avanti così».

«Guardate che a Malpensa succede così», conferma Gianini. «Non dico quale compagnia lo fa, però succede: vanno in hangar tutte le sere 2-3 aerei a rotazione. Sono 20 in tutto, 3 al giorno. Fate voi i conti. Però, ripeto, è un’ipotesi». Ma non è tutto: «Su una compagnia a lungo raggio, che usa i Boeing 737-800, più di una volta ho trovato acqua in stiva. M’è successo 3-4 volte. Ho chiamato i meccanici. E quando un meccanico accantona scuse, c’è qualcosa che non va. Quindi ho capito che quell’acqua non doveva essere lì». Secondo Enrico Gianini, questo alimenta un sospetto: «Vuol dire che i sistemi di irrorazione non sono perfetti, ogni tanto hanno qualche “bug”, e quando ci sono i “bug” i comandanti si arrabbiano tantissimo, perché i tecnici non glielo dicono mai. E allora io, che sono un bastardo, lo dico direttamente al comandante. Così scende, lo vede, s’incazza come una bestia, però dopo vola lo stesso: perché sa che non può fare altro». Secondo Gianini, il comandante del Boeing «si fida dei percorsi progettati nelle macchine per far percolare i fluidi. Però non dovrebbe volare in quelle condizioni. Ma vola lo stesso (perlomeno: quello ha volato lo stesso)».

Domanda ineludibile: chi è al corrente di queste stranezze? «Tutti i tecnici», secondo Enrico Gianini. «I controllori di volo lo sanno per un motivo molto semplice: non usano più i radar attivi, ma radar passivi. L’aereo deve trasmettere il segnale col Transponder. Ma se io spengo il Transponder e tu non hai più il radar attivo? Tu non mi vedi più. Se prendete “Fly Radar 24” e controllate tutti gli aerei che avete sopra la testa, ne troverete qualcuno che non vi appare. Però “Fly Radar 24” non usa il Transponder dell’aereo, usa un altro sistema – mi sembra che si chiami Adm. Ma nessuno mi impedisce di spegnere il Transponder, se ho il permesso dell’aeronautica militare. L’aeronautica mi vede perché ha i radar attivi». Dunque i militari gestiscono parte del traffico? Quello degli aerei di linea che “spariscono”? «Con “Fly Radar” sono riuscito a capire che davano ai voli degli identificativi farlocchi», continua Gianini. «Mi è capitato una volta di vedere due voli con lo stesso identificativo che viaggiavano in parallelo. Quelli sono errori secondo me voluti, per farci capire che c’è qualcosa che non va. Come fanno in America i piloti, che fanno le figure nel cielo. C’è qualcuno che ha disegnato degli organi genitali maschili, le faccine “smile”. Non si divertono, i piloti. Vi stanno dicendo: datevi da fare, perché noi non possiamo fare niente. Quindi: ci sono le elezioni? Rompete le palle a chi dovete votare. Chiedete di questa cosa, perché in aeroporto la sanno tutti».

Secondo Gianini «la sanno i controllori di volo, i piloti, e ovviamente chi fa il bilanciamento». Senza contare i tecnici: «Vuoi che i meccanici non lo sappiano? Lo devono sapere per forza. Perché se mi danno le spiegazioni sbagliate, e io capisco che sono sbagliate, vuol dire che lo sanno. In pratica è il segreto di Pulcinella. Lo sanno tutti, che il Re è nudo, ma qualcuno lo deve dire. Che io sappia, per adesso, sono il primo – il primo che lavora ancora lì, non so ancora per quanto (ma non mi interessa)». I colleghi “sordomuti”? «Capisco le pressioni: l’argomento è scomodo è molto pericoloso, perché di mezzo ci sono i servizi», afferma Gianini. «E quando di mezzo ci sono i servizi, il braccio armato del servizio segreto è sempre la mafia. Non si scappa: se fai una stupidata, presto o tardi la paghi. E quindi se ne stanno ben zitti, anche perché l’ambiente aeroportuale è teso al “cover up”», alla massima riservatezza d’ufficio, se non altro perché, oltretutto, «abbiamo problemi di terrorismo» e sicurezza in generale. In più c’è il codice deontologico: «Non possiamo trasgredire, pena il licenziamento. Sono tanti, i filtri. E alla fine, dopo, arrivi alle minacce. Penso che un meccanico, se si azzardasse a fare una dichiarazione del genere, verrebbe radiato in tempo zero». Conclude Gianini: «Non so cosa dire, è una cosa che c’è a livello globale. E una volta che lo sai, che fai? Lo dici alla polizia, anche se sai che gliel’hanno già detto? Io gliel’ho detto, alla polizia, però non han fatto niente. E ormai lo sanno da tanto».
 
i-ministri-di-di-maio-989949.jpg

27 feb 2018 20:54

LA MONTAGNA DI MAIO HA PARTORITO IL TOPOLINO! - ECCO A VOI IL GOVERNO MONTI, SENZA MONTI. GIGGETTO SVELA LA SQUADRA: SI TRATTA DI OSCURI PROFESSORI E SECONDE FILE DELLA BUROCRAZIA. AL WELFARE PASQUALE TRIDICO, DOCENTE A ROMA TRE. ALL'AGRICOLTURA LA CAPO SEGRETERIA DEL MONTIANO OLIVERO. ALLA P.A. GIUSEPPE CONTE, PROF DI DIRITTO PRIVATO. SI AGGIUNGONO A FIORAMONTI E AL FORESTALE COSTA. SE QUESTI SAREBBERO I MINISTRI, PENSA I SOTTOSEGRETARI!

-



Dall’uva la formula anti-età
Vuoi liberarti dalle Rughe? Allora questo devi leggerlo subito

La Stampa.it



I ministri di Di Maio

Con la stessa strategia con cui le multinazionali anticipano il lancio dei loro prodotti, il Movimento 5 stelle offre un boccone alla volta al suo pubblico i nomi dei possibili ministri di un governo Di Maio. La lista, per la verità, è già completa e questa mattina ha già avuto modo di riunirsi per la prima volta, ma l’attenzione mediatica va ravvivata intorno al leader e alle sue aspirazioni, e così, dopo aver candidato il generale Sergio Costa all’Ambiente e il professore Lorenzo Fioramonti all’Economia, Luigi Di Maio annuncerà questa sera da Giovanni Floris tre nuovi uomini della sua futuribile squadra.



luigi di maio lorenzo fioramonti emilio carelli

Al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, nei desiderata del candidato grillino, c’è Pasquale Tridico, economista e docente all’università di Roma Tre. Un uomo fidato, che ha dato il via alla sua collaborazione con il Movimento già da tempo offrendo consulenze e consigli ai Cinque stelle. Per il dicastero che si occuperà di Politiche agricole c’è invece Alessandra Pesce, dirigente che già conosce bene le stanze e i corridoi di palazzo per aver lavorato a capo della segreteria tecnica del vice ministro all’Agricoltura Andrea Olivero.



Infine, al ministero della Pubblica amministrazione, della Deburocratizzazione e della meritocrazia, Giuseppe Conte, professore di Diritto privato all’università di Firenze e presidente della commissione del Consiglio di Stato che si è occupata del caso dell’ex magistrato Francesco Bellomo.

lorenzo fioramonti luigi di maio



La lista completa di tutti i ministri scelti dai vertici del Movimento verrà inviata invece già oggi al Quirinale con una e-mail. Una questione di «cortesia istituzionale» nei confronti del Capo dello Stato, ripetono gli uomini del Movimento, visto che tali scelte sono da considerare del tutto provvisorie e informali.



Di mezzo, infatti, ci sarebbe la vittoria alle elezioni con la maggioranza assoluta. O almeno un mandato perlustrativo assegnato dal capo dello Stato, in caso di una maggioranza relativa che non dia quindi numeri sufficienti per governare a una sola forza politica. Con tutti i compromessi che eventuali accordi con gli altri partiti porteranno in dote.
 
i-ministri-di-di-maio-989949.jpg

27 feb 2018 20:54

LA MONTAGNA DI MAIO HA PARTORITO IL TOPOLINO! - ECCO A VOI IL GOVERNO MONTI, SENZA MONTI. GIGGETTO SVELA LA SQUADRA: SI TRATTA DI OSCURI PROFESSORI E SECONDE FILE DELLA BUROCRAZIA. AL WELFARE PASQUALE TRIDICO, DOCENTE A ROMA TRE. ALL'AGRICOLTURA LA CAPO SEGRETERIA DEL MONTIANO OLIVERO. ALLA P.A. GIUSEPPE CONTE, PROF DI DIRITTO PRIVATO. SI AGGIUNGONO A FIORAMONTI E AL FORESTALE COSTA. SE QUESTI SAREBBERO I MINISTRI, PENSA I SOTTOSEGRETARI!

-



Dall’uva la formula anti-età
Vuoi liberarti dalle Rughe? Allora questo devi leggerlo subito

La Stampa.it



I ministri di Di Maio

Con la stessa strategia con cui le multinazionali anticipano il lancio dei loro prodotti, il Movimento 5 stelle offre un boccone alla volta al suo pubblico i nomi dei possibili ministri di un governo Di Maio. La lista, per la verità, è già completa e questa mattina ha già avuto modo di riunirsi per la prima volta, ma l’attenzione mediatica va ravvivata intorno al leader e alle sue aspirazioni, e così, dopo aver candidato il generale Sergio Costa all’Ambiente e il professore Lorenzo Fioramonti all’Economia, Luigi Di Maio annuncerà questa sera da Giovanni Floris tre nuovi uomini della sua futuribile squadra.



luigi di maio lorenzo fioramonti emilio carelli

Al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, nei desiderata del candidato grillino, c’è Pasquale Tridico, economista e docente all’università di Roma Tre. Un uomo fidato, che ha dato il via alla sua collaborazione con il Movimento già da tempo offrendo consulenze e consigli ai Cinque stelle. Per il dicastero che si occuperà di Politiche agricole c’è invece Alessandra Pesce, dirigente che già conosce bene le stanze e i corridoi di palazzo per aver lavorato a capo della segreteria tecnica del vice ministro all’Agricoltura Andrea Olivero.



Infine, al ministero della Pubblica amministrazione, della Deburocratizzazione e della meritocrazia, Giuseppe Conte, professore di Diritto privato all’università di Firenze e presidente della commissione del Consiglio di Stato che si è occupata del caso dell’ex magistrato Francesco Bellomo.

lorenzo fioramonti luigi di maio



La lista completa di tutti i ministri scelti dai vertici del Movimento verrà inviata invece già oggi al Quirinale con una e-mail. Una questione di «cortesia istituzionale» nei confronti del Capo dello Stato, ripetono gli uomini del Movimento, visto che tali scelte sono da considerare del tutto provvisorie e informali.



Di mezzo, infatti, ci sarebbe la vittoria alle elezioni con la maggioranza assoluta. O almeno un mandato perlustrativo assegnato dal capo dello Stato, in caso di una maggioranza relativa che non dia quindi numeri sufficienti per governare a una sola forza politica. Con tutti i compromessi che eventuali accordi con gli altri partiti porteranno in dote.

bene

abbiamo scherzato

li ho votati ma finisce qui

i miei 2 voti domenica li regalo a Matteo...

Salvini
 
Elezioni-farsa in un paese invaso, dal Piano Marshall all’Ue

28/2 •

«Siamo un paese occupato. E in un paese occupato, le elezioni non sono soltanto inutili, sono una farsa». Proprio per questo, infatti, «non c’è un solo partito o sedicente tale che si presenti alle elezioni raccontandovi la verità». Su “Come Don Chisciotte”, Francesco Mazzuoli è esplicito: al netto della propaganda, «le elezioni avvengono in un paese occupato militarmente da più di settanta anni». Le basi militari Usa ufficialmente dislocate in Italia sono 59 e, «secondo gli stessi americani, la condiscendenza del governo italiano nei loro confronti è senza riserve». La cosa non deve destare meraviglia, aggiunge Mazzoni: «Il servilismo da noi è ereditario». La tesi: prima, il paese (sconfitto, nella Seconda Guerra Mondiale) è stato “comprato” coi miliardi del Piano Marshall, e poi è stato declassato al rango di sub-colonia, nell’Unione Europea “imperiale” e anti-russa, affidata alla Germania. Mazzuoli ricorda che, a guerra non ancora conclusa, nel libro “Lettere dall’Italia perduta” (Sellerio) lo storico Gioacchino Volpe «scriveva amaramente alla moglie che l’Italia si avviava a diventare un paese irrilevante, una grande Grecia». Volpe sognava un futuro «in cui i giovani si sarebbero ribellati al loro destino di bagnini». Per Mazzuoli «parole profetiche col senno di poi, ma di semplice buon senso per chi non si fosse venduto alla propaganda dei vincitori».

Il mito della “liberazione” già imperversava in un paese bombardato, «di straccioni in ginocchio con il piattino dell’elemosina in bocca», scrive Mazzuoli dell’Italia dell’immediato dopoguerra: un paese «indebitato con la carta straccia delle Am-lire, e comprato a saldo stralcio con i soldi del Piano Marshall: come non avere davanti agli occhi lo squallido spettacolo di De Gasperi, ritornato dal viaggio in Usa sventolando il nostro nuovo vessillo, l’assegno con il quale era stata appena comprata la fedeltà italiana?». Basterebbe dare un’occhiata al libro che Cossiga licenziò nei suoi ultimi anni, dal titolo emblematico, “Fotti il potere”, per comprendere che in Italia non si è mai mossa foglia che lo Zio Sam non volesse, «a partire dal condizionamento delle elezioni del 1948, operazione che costituisce uno dei primi grandi successi della Cia, creata soltanto un anno prima». Venne poi il “miracolo italiano”, all’interno della più generale prosperità dell’Europa occidentale: «Benessere – si badi bene – voluto dai padroni americani per disporre di nuovi mercati e allontanare le sirene della propaganda social-comunista». Finita l’onda lunga del consumismo industriale, mentre negli Stati Uniti la componente finanziaria «acquisiva sempre più rilevanza e spingeva per un diverso modello di sfruttamento economico dei paesi occupati», anche attorno all’Italia «cominciò a stringersi il cappio insaponato dell’europeismo».

Non fu il parto spontaneo di pacifisti ispirati da alti valori umani di collaborazione tra i popoli: come mostrato dallo storico Joshua Paul, il disegno europeista «altro non è che un progetto americano, teso a tenere sotto il proprio tallone l’Europa occidentale e impedire che una potenza antagonista possa mai ergersi a minacciare la supremazia americana in quest’area geopolitica cruciale». Secondo Mazzuoli, lo dimostra anche lo sforzo prodotto dal cinema: con il famoso film “Vacanze Romane”, «Hollywood riuscì a trasformare una commediola sentimentale in un pretesto per parlare della bontà e necessità della cooperazione tra i popoli europei». La pellicola è degli anni ‘50, e proprio nel 1957 Roma fu scelta come sede dello storico accordo fondativo della Cee. Poi, a fine anni ‘80, il crollo dell’Urss «fornì l’occasione per dare una vertiginosa accelerazione al progetto europeista, con la riunificazione tedesca», inutilmente osteggiata da Andreotti («Amo così tanto la Germania preferisco averne due»). Pietra tombale: il famigerato Trattato di Maastricht «che ci avviava, nel silenzio dei media, verso le nostre magnifiche sorti e regressive».

Il progetto, continua Mazzuoli, è stato costruito dagli strateghi americani attorno alla Germania, conferendole «un esorbitante vantaggio al fine di tenerla saldamente legata al carro atlantico e di distoglierla da tentazioni di liaisons con la Russia, esiziali per gli interessi geopolitici a stelle e strisce». In questo quadro, «l’euro nasce appositamente per conferire alla Germania uno straordinario vantaggio economico: ed è per questa ragione che non può essere smantellato». Ecco perché l’appello No-Euro «è soltanto un argomento demagogico per raccogliere consenso». Coincidenze? Avvicinandosi alle elezioni, l’uscita dalla moneta unica è «sparita magicamente, e all’unisono, da tutti i programmi partitici». Salvini? Ha dichiarato che «la Nato non si discute». Di Maio? E’ volato a Washington «a giurare fedeltà al padrone». Dopo anni di propaganda, convegni e pubblicazioni come il libriccino “Basta euro”, «al momento di fare sul serio e di proporsi come potenziale forza di governo, la Lega ci presenta come soluzione alla morte del paese, l’emissione dei “mini bot”, perché – udite – non violano i trattati. Ci rendiamo conto di quale dichiarazione di sudditanza, di impotenza, di servilismo e di mancanza di coraggio è contenuta in questa proposta da piattino in bocca?».

Nessuno di questi “statisti” che oggi chiedono il voto degli italiani oserà mai svelare come stanno davvero le cose: «C’è infatti una tragica verità, che nessun politico vi dirà mai». Ovvero: «L’unificazione europea prevede il sacrificio dell’Italia, la colonia più servile, la più indifesa, per motivi storici e antropologici», scrive Mazzuoli. «Chi si opponeva a questo progetto di marginalizzazione del paese (Moro, Craxi, parte della Dc) è stato eliminato con Tangentopoli e il paese è stato immolato agli interessi americani e dei loro alleati privilegiati», cioè «in primis la Germania e subito dopo la Francia». Finti alleati, che il nostro paese «lo divorano a brani, grazie allo zelante collaborazionismo della nostra classe dirigente, che quando non è venduta è perché non trova acquirenti». Siamo ancora in piedi, conclude Mazzuoli, solo grazie alla ricchezza reale che ci è rimasta. E adesso «attendiamo fiduciosi l’ultima aggressione al succulento boccone del nostro risparmio», che ancora regge il sistema-Italia, «assieme alle pensioni e alle case di proprietà (i soprammobili sono già al Monte dei pegni)». Il Belpaese? «Un territorio». L’Italia «non è mai stata una nazione e non è più nemmeno uno Stato». La minaccia più grave e immediata? «Oltre il 30% di disoccupazione effettiva». Questa è la storia, «il resto è propaganda».

«Siamo un paese occupato. E in un paese occupato, le elezioni non sono soltanto inutili, sono una farsa». Proprio per questo, infatti, «non c’è un solo partito o sedicente tale che si presenti alle elezioni raccontandovi la verità». Su “Come Don Chisciotte”, Francesco Mazzuoli è esplicito: al netto della propaganda, «le elezioni avvengono in un paese occupato militarmente da più di settanta anni». Le basi militari Usa ufficialmente dislocate in Italia sono 59 e, «secondo gli stessi americani, la condiscendenza del governo italiano nei loro confronti è senza riserve». La cosa non deve destare meraviglia, aggiunge Mazzoni: «Il servilismo da noi è ereditario». La tesi: prima, il paese (sconfitto, nella Seconda Guerra Mondiale) è stato “comprato” coi miliardi del Piano Marshall, e poi è stato declassato al rango di sub-colonia, nell’Unione Europea “imperiale” e anti-russa, affidata alla Germania. Mazzuoli ricorda che, a guerra non ancora conclusa, nel libro “Lettere dall’Italia perduta” (Sellerio) lo storico Gioacchino Volpe «scriveva amaramente alla moglie che l’Italia si avviava a diventare un paese irrilevante, una grande Grecia». Volpe sognava un futuro «in cui i giovani si sarebbero ribellati al loro destino di bagnini». Per Mazzuoli «parole profetiche col senno di poi, ma di semplice buon senso per chi non si fosse venduto alla propaganda dei vincitori».
 
LA BONINO SI SUICIDA A 4 GIORNI DAL VOTO: PIÙ TASSE PER TUTTI! - ‘REINTRODURRE L’IMU SULLA PRIMA CASA: MEGLIO PAGARE POCO SULLA CASA CHE MOLTO SUL LAVORO’ - VIA L’IVA AGEVOLATA AL 10%, SU FARMACI, ALIMENTARI E LIBRI, TUTTO AL 22%: ‘SIAMO COME UNA FAMIGLIA INDEBITATA CHE DEVE PENSARE PER PRIMA COSA A RIPAGARE I DEBITI’ - PER CHIUDERE, BASTA DETRAZIONI SUL MUTUO DELLA PRIMA CASA: ‘POI TRA TRE ANNI ABBATTIAMO L’IRPEF’. AUGURI…
 



Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio ha condiviso il video di Sveglia Popolo Italiano.
· 2 h ·


27260162_228476837696481_999797845965930496_n.jpg

-PAXP-deijE.gif





Italiano
1 febbraio alle ore 14:34 ·


Di Maio ieri a Londra, parlando con banche e fondi esteri, ha detto che si impegna ad accellerare le procedure di pignoramento dei beni ipotecati per aiutare le Banche.
Votateli, eh! ALTRO CHE AIUTARE GLI ITALIANI!
AIUTERANNO LE BANCHE.

Mostra tutti e 13 i commenti





Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio ha condiviso un link.
· 2 h ·


Avvocato Mori (Cpi): “La legge Scelba? Usiamola, ma per sciogliere il Pd”
Il noto avvocato Marco Mori annuncia che presenterà a breve, insieme a CasaPound, una denuncia per sciogliere il Pd, Leu e +Europa in base alla…

ilprimatonazionale.it|Di Il Primato Nazionale






Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 6 h ·
VOTA PD! DALLA PARTE DELLE BANCHE con responsabilità e fiducia !!!



Renzo Di Ruzza
Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 9 h ·
Bassa manovalanza teleguidata



Rimuovi
12800301_478411572360408_1977585465487012900_n.jpg






Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 11 h ·
Tra tutti gli economisti italiani che il Movimento Cinque Stelle poteva scegliere, ha scelto proprio lui. Ma chi è il professor Fioramonti? Un simpatico personaggio dal passato molto interessante interessante, in una geografia punteggiata da nomi che tutti conoscono: dalla Casata Rotschild a George Soros

http://www.libreidee.org/…/fioramonti-guru-5-stelle-tra-ro…/

Fioramonti, guru 5 Stelle, tra Rothschild, Soros e Rockefeller | LIBRE
Chi è Lorenzo Fioramonti, il guru neoliberista di Di Maio? Nel suo curriculum Soros, Aspen, Rothschild e Rockefeller
libreidee.org
 
Israel Is Why A Popular Academic Is Pulling Out Of This Year’s Water Summit

https://www.thedailyvox.co.za/prominent-academic-pulls-water-conference/

As South Africa’s drought intensifies, the Mail and Guardian in conjunction with the South African Department of Water and Sanitation has organised Water Summit 2016 to focus on issues of water management for poverty alleviation. Director of the Centre for the Study of Governance Innovation and economist at the University of Pretoria, Professor Lorenzo Fioramonti, was set to be a panellist at the event.

He predicted the water crisis early and has been widely published, but pulled out of the event after hearing Israeli ambassador to South Africa Arthur Lenk would also be speaking on the panel, and that there is an entry fee of US$ 50. We spoke to Prof Fiaramonti more about his decision.

1) You are involved with issues regarding “water governance” and the panel is about water security, a serious topic in which your skills are surely needed. Why did you withdraw?

My work on governance transformation in general has been quite relevant to shift the political and economic debate in South Africa from simplistic technical discussions (the so-called “techno fixes” all too often presented as magic bullets to solve all sort of problems) to a comprehensive analysis of the water crisis as a result of a broken development paradigm, a commodification of a public good and a system of consumption that is highly unequal and unsustainable.

In 2014 I predicted the imminent water crisis and, when it broke out in late 2015, I got numerous invitations to give public lectures and interviews. Everybody seemed surprised, when for me it was clear that this was a crisis in the making and that a complicit approach to economic governance has made it possible.

Against this backdrop, I saw the invite by the Mail&Guardian Africa and the Department of Water and Sanitation to be a keynote speaker at the Water Summit 2016 as a sign that a serious debate about transformative actions in water governance had finally arrived. The organisers themselves indicated to me that the summit would focus on water governance in light of the sustainable development goals and the quest for poverty eradication. The summit seemed to have a transformative socio-economic agenda, which I endorsed.

As it turns out, things were quite different. First of all, besides being hosted by a government department, those interested in my talk would have been expected to pay a 50 US dollar fee (about R800). This inevitably cut out a lot of civil society voices, as well as individual citizens interested in participating in an open conversation about the future of water in this country. Moreover, as I learned from the media, a public official from Israel would be participating on the panel, apparently to present Israel’s advancements in desalination and drip irrigation as a potential best practice for South Africa. No African voices were invited to speak. Nobody from the water caucuses or even local administrations, which deal with water shortages every day and need to be involved in a public conversation about the future of this precious resource.

This was very problematic to me.

Charging such a high participation fee was likely to turn the event into a “talk shop” for the wealthy upper class. Moreover, there is an international academic boycott against Israel’s public officials, which is supported by progressive groups both in Israel and Palestine, and has a lot of support in South Africa too. This boycott is key to help the cause for sustainable and equitable peace in the Middle East, highlighting how behind the facade of technological solutions lies a systematic exploitation of Palestinian communities.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto