Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo



Viene riportato quanto segue:

“Ha aperto le danze ieri Di Maio: “Prima di parlare di sforamento del deficit bisogna procedere alla spending review”. Sorprendendo il Pd al punto tale che alcuni capannelli l’hanno ribattezzato Luigi Katainen, dal cognome del vicepresidente della Commissione Ue, considerato tra i più ferrei alfieri dell’austerità. La capogruppo a Strasburgo Patrizia Toia ha ironizzato: “Tra un po’ Di Maio lo supererà. Per rassicurare l’Ue fa preoccupare noi: ormai parla come un falco del rigore”.”

La capogruppo Patrizia Toia lo ha soprannominato LUIGI KATAINEN!

Già si erano tirati indietro sul REDDITO DI SCHIAVITÙ:

“…..per i più poveri c’è già il reddito di inclusione che quando sarà a regime arriverà a 2,5 milioni di famiglie. E visto che il M5S calcola il reddito di cittadinanza per 2,7 di famiglie, più o meno i numeri sono quelli, si tratterebbe solo di attuare il trasferimento degli uffici che seguono la pratica: dai comuni ai centri per l’impiego”

QUINDI PRENDERANNO IL REDDITO DI INCLUSIONE RENZIANO E SPOSTERANNO LA SUA GESTIONE DAI COMUNI AI CENTRI PER L’IMPIEGO (facendolo proprio):



ma neanche sforare il 3%:



Questo partito è quanto più di meschino sia mai apparso sulla faccia del pianeta terra assieme a Syriza di Tsipras.

Ha ragione Luigi Di Mario:



Rimpiangeremo IL SALSICCIAIO.

Ad maiora.
 
associazione di idee

Barnard: cucù, l’Occidente sta investendo miliardi su Putin
17/3 •

Sono le 05:59 del mattino del 12 marzo a Londra. Parte un ordine di acquistare in massa titoli di Stato di un paese straniero da parte di Xxxx Global Assets Associates, tizi con 807 miliardi nel portafoglio clienti. Sono le 23:59 a New York, parte un ordine da Xxxxx Investment Management, gente con 1.230 miliardi nel portafoglio clienti, di acquistare in massa gli stessi titoli di cui sopra. E alla stessa ora, su differenti time-zones, partono identici ordini da simili colossi della finanza speculativa, sempre per comprare quei titoli. Il tutto si assomma in un totale di 6.8 miliardi di dollari in ordini per titoli di Stato di un paese straniero particolarmente appetibile. Quando quelli che devono sapere la verità in geopolitica su un dato governo scuciono somme da Tesoro di Atlantide per comprare dei titoli di quel particolare governo, significa che loro sanno che il governo che vende quei titoli di Stato è al sicuro da veri pericoli letali. Questo, e solo questo, è il motivo per cui vi buttano miliardi. Magari quel governo potrà essere colpito da rogne cosmetiche, tipo gli allarmi delle agenzie di rating, o tipo i bollettini dell’Ocse (vedi Italia anni 2012-16), o dalle pietose ‘sanzioni’ di un continente morto che cammina (Ue). Ma loro, i veri padroni, sanno che nessuno farà davvero fuori quel governo che oggi hanno scelto per investire. Please welcome: Russia & Vladimir Putin.
Mentre tutti gli ‘esperti’ e gli ‘autorevoli commentatori’ vi stanno dicendo che adesso Putin – il quale non solo avrebbe truccato le elezioni Usa, ma avrebbe anche tentato di uccidere l’ex spia russa Sergei Skripal a Londra – è nella merda fin sopra i capelli e gli asfalteranno la sua Russia indietro nella preistoria a forza di sanzioni e di minacce di guerre… be’, mentre questo accade e gli allarmismi vi riempiono i notiziari, chi comanda il mondo invece… investe in Putin. Ops? Credo che sia necessario riscriverlo: chi comanda il mondo invece… investe in Putin. Allora, ’sta pagliacciata Occidente-Nato vs Russia-Putin, ormai è ovvia. Partiamo dalla base: Theresa May sa benissimo che Putin non ha un accidenti a che fare con Sergei Skripal. Così come lo Special Us Counsel Robert Mueller sa benissimo che Putin non ha mai davvero truccato le elezioni in America. Il caso Skripal esiste solo a causa dei miserabili affari domestici di un partito conservatore inglese che è alla disperazione terminale per la sua ignobile incapacità di tenere testa a Bruxelles nel Brexit. Il caso Mueller-Putin esiste solo a causa dei miserabili contorcimenti del partito democratico americano che sa perfettamente che ha perso ancora più consensi da quando Trump è stato eletto, e che ha messo truppe in Siria da cui non sa più uscire, per cui gli serve una “distrazione di massa” chiamata Special Us Counsel Robert Mueller.
Come detto, chi possiede il Tesoro di Atlantide, in questo momento è rilassato sulla performance dei titoli di Stato russi a 11 anni e a 29 anni di scadenza. Rileggete: 11 anni e 29 anni, sono date da super-tranquilli, almeno oggi. Significa che già oggi 17 marzo 2018, i super investitori come Xxxx GlobalAssets Associates, o Xxxxx Investment Management e altri giganti globali, sanno direttamente dalle stanze del potere politico che conta, che alla fine Putin è intoccabile. Vladimir Putin è un intoccabile. Cos’è il giornalismo? E’ forse una dispensa di verità finali per un pubblico? No, quello è quel cornetto Algida di Travaglio. Il giornalismo è l’incessabile inchiesta di menti libere di fronte a fenomeni apparentemente inspiegabili, ma che ci suggeriscono dati. Il giornalista non è il cretino che, come su “Comedonchisciotte.org” o il “Fq”, dopo un paio di annetti vi dice con cerrrrrtezza chi manovra la Siria, cosa esattttttamente succede in Ucraina o se davvvvvvvero Berlusconi incontrò in Venezuela le cosche.
Il vero giornalismo osserva fenomeni immensi, e, se è vero giornalismo, serve alle persone come voi che leggete a essere intelligenti, che è sempre sinonimo di farsi la domanda successiva a quella iniziale che sta in bocca a tutti. Quindi… Perché Vladimir Putin fa con diligenza il gioco buffonesco di tutta la Nato, della stampa internazionale, e poi della May, di Macron, della Merkel, di Mueller e del panico democratico-siriano, opponendo solo proteste di facciata tipo camomilla, mentre gli investitori padroni del mondo corrono a comprargli i titoli? Io sono un intellettuale orribile, perché vero. Vi lascio con questo: no risposte da Barnard. Vi ho dato un quadro, ora voi dovete pensare… cioè think.
(Paolo Barnard, “Putin, perché fa il gioco della Nato?”, dal blog di Barnard del 17 marzo 2018).
Sono le 05:59 del mattino del 12 marzo a Londra. Parte un ordine di acquistare in massa titoli di Stato di un paese straniero da parte di Xxxx Global Assets Associates, tizi con 807 miliardi nel portafoglio clienti. Sono le 23:59 a New York, parte un ordine da Xxxxx Investment Management, gente con 1.230 miliardi nel portafoglio clienti, di acquistare in massa gli stessi titoli di cui sopra. E alla stessa ora, su differenti time-zones, partono identici ordini da simili colossi della finanza speculativa, sempre per comprare quei titoli. Il tutto si assomma in un totale di 6.8 miliardi di dollari in ordini per titoli di Stato di un paese straniero particolarmente appetibile. Quando quelli che devono sapere la verità in geopolitica su un dato governo scuciono somme da Tesoro di Atlantide per comprare dei titoli di quel particolare governo, significa che loro sanno che il governo che vende quei titoli di Stato è al sicuro da veri pericoli letali. Questo, e solo questo, è il motivo per cui vi buttano miliardi. Magari quel governo potrà essere colpito da rogne cosmetiche, tipo gli allarmi delle agenzie di rating, o tipo i bollettini dell’Ocse (vedi Italia anni 2012-16), o dalle pietose ‘sanzioni’ di un continente morto che cammina (Ue). Ma loro, i veri padroni, sanno che nessuno farà davvero fuori quel governo che oggi hanno scelto per investire. Please welcome: Russia & Vladimir Putin.

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Piccole alchimie parlamentari per un paese in rottamazione

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Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che torna protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite finanziaria che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.
Tiene banco, ancora, il surreale connubio tra i 5 Stelle e i rottami del Pd, cioè il “nemico” dei grillini; accordo invocato da quell’Eugenio Scalfari che, a Di Maio, avrebbe preferito l’odiato Berlusconi. Tra i “pontieri”, dopo Scalfari, figurano personaggi come Gustavo Zagrebelsky e Salvatore Settis, Barbara Spinelli e Massimo Cacciari. Un giornalista come Marco Travaglio accusa Di Maio di non ascoltarli. Arrivare primi con quasi il 33% significa partire favoriti per l’incarico di formare un governo – scrive Travaglio sul “Fatto” – ma questo non conferisce «il diritto divino di fare un governo con i voti altrui, per giunta gratis». E’ vero che l’inciucio lo vogliono solo i due “trombati” del 4 marzo, cioè Berlusconi e Renzi, «terrorizzati dalle rispettive ininfluenze e soprattutto da nuove elezioni», ma una maggioranza parlamentare va costruita, «facendo ai partner una proposta che non possano rifiutare». Ovvero? «La cosa sarebbe meno difficile se Di Maio aprisse la sua squadra di esterni ad altri indipendenti di centrosinistra, per un governo senza ministri parlamentari, e bilanciasse la sua premiership lasciando la presidenza di una Camera alla Lega». E poi «è sul programma che dovrebbe garantire il cambiamento che gli elettori hanno appena chiesto». Già: quale programma?
Travaglio ricorda la proposta di Grillo nel 2013: «Eleggiamo Rodotà al Quirinale e poi governiamo insieme». E aggiunge: «Fu il Pd napolitanizzato e lettizzato, cioè berlusconizzato, a rifiutarla» (per Travaglio, dunque, il grande manovratore era Berlusconi, cioè l’omino ricattato e brutalmente disarcionato, due anni prima, dai padroni della Borsa). L’obiettivo di Napolitano, all’epoca: mantenere i 5 Stelle lontano dall’area di governo, dato che nel 2013 i grillini facevano ancora paura (più che al “povero” Silvio, ai veri poteri forti rappresentati da Napolitano: quelli che con Draghi e Trichet firmarono la condanna dell’Italia, affidata al commissario Monti). E oggi? Tutto è cambiato; da Scalfari in giù, è il vecchio mainstream a tifare per un’intesa che pare spaventi solo Renzi. Piccoli tatticismi, dove a contare non sono tanto le mosse dei leader, quanto il futuro dei rispettivi elettorati. Un italiano su quattro si è rifiutato di votare. Tra i votanti, il 55% ha scelto Di Maio, Salvini e la Meloni per gridare un “no”, forte e chiaro. Se il reddito di cittadinanza (arma vincente per mietere voti) è una misura ascrivibile alla voce welfare (sinistra), è piuttosto la Lega a sfidare il sistema europeo, con il taglio delle tasse (destra), sia pure da un’angolazione ancora liberista.
Tra veti incrociati e opposte convenienze, resta solo lo spiraglio per il mini-governo a cui starebbe lavorando Mattarella, inevitabilmente imbottito di “tecnici” per incoraggiare tiepide convergenze eterodosse. Niente a che vedere, in ogni caso, con il “no” proclamato dalla maggioranza assoluta degli elettori italiani, cui si aggiunge l’astensionismo del 25% della popolazione, che non ha letto niente di convincente (o realisticamente praticabile) né sul programma grillino né su quello leghista. Se siamo a questo non-risultato, ribadisce Gianfranco Carpeoro, è perché – ancora una volta – abbiamo votato “contro” qualcuno, innanzitutto (votare “per qualcosa”, probabilmente, era impossibile). E senza una gestione nazionale autonoma, la regia delle operazioni passerà alla consueta “sovragestione” internazionale. E’ il potere-ombra che – licenziati Andreotti e Craxi – da 25 anni fa dell’Italia quello che vuole: fabbricando partiti, movimenti e leader senza idee né progetti, costruiti per durare una sola stagione, prima di essere rottamati da altri, futuri rottamandi. Una spirale senza fine, dove a essere rottamata è l’Italia, a cui è stato raccontato che il debito pubblico (cioè lo sviluppo, il benessere diffuso) è roba che non ci possiamo più permettere.
Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che deve tornare protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate alla finanza anglosassone o, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.

Moro, storia da riscrivere: prigioniero in una casa
 
associazione di idee

Moro, storia da riscrivere: prigioniero in una casa dello Ior

17/3 • segnalazioni

Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda».
L’ombra del Vaticano spunta «a cominciare dall’individuazione, nella zona della Balduina, in via Massimi 91, di una palazzina di proprietà Ior, la cosiddetta banca vaticana, (posseduta attraverso la società Prato Verde srl, e gestita da Luigi Mennini), abitata (o frequentata) da cardinali (Vagnozzi e Ottaviani), da prelati e dallo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus», scrive Maria Antonietta Calabrò. Nello stabile aveva sede una società americana che lavorava per la Nato, e vivevano in affitto esponenti tedeschi dell’Autonomia, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate Rosse. «Complesso edilizio che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato – si legge nel documento – per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista». La relazione, grazie a nuovi testimoni, dimostra addirittura che per alcuni mesi, nell’autunno del 1978, in quello stabile si sarebbe nascosto Prospero Gallinari (il britagatista carceriere di Moro) insieme alle armi usate dal commando che in via Fani sterminò la scorta di Moro. L’alloggio di via Massimi 91 è stato anche il covo-prigione in cui fu detenuto il presidente della Dc? E’ un’ipotesi che la commissione non scarta.
Soprattutto, sottolinea l’“Huffington”, grazie alla declassificazione di una grande quantità di atti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, «la commissione ha accertato che la “narrativa” ufficiale sul sequestro e la morte di Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, altro non è che una “versione ufficiale e di Stato” del caso Moro, preparata a tavolino molti anni prima che essa approdasse sul tavolo di Francesco Cossiga». In altre parole, «l’unica verità “dicibile” per chiudere l’epoca del terrorismo». Una verità di comodo, «messa a punto da magistrati (Imposimato, Priore: citati con nome e cognome), esponenti delle forze dell’ordine e naturalmente dai brigatisti». Valerio Morucci divenne addirittura consulente del Sisde, il servizio segreto interno di allora. La stessa vicenda del suo arresto e di quello di Adriana Faranda in casa di Giuliana Conforto (figlia «del più importante agente del Kgb in Italia», come l’ha definito il professor Christopher Andrew nel suo libro “L’Archivio Mitrokhin”), per la commissione «è stata oggetto di una completa rilettura, che ha consentito di mettere finalmente alcuni punti fermi sulla scoperta del rifugio di viale Giulio Cesare 47, ma anche di evidenziare uno scenario più complesso, che chiama in causa la possibilità che l’arresto di Morucci e Faranda sia stato negoziato».
Alla luce delle indagini compiute, comunque, scrive Fioroni, «il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale». Ancora: «Al di là dell’accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell’azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell’omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse». Al riguardo, Fioroni parla di «martirio laico» di Moro, sacrificato sull’altare della guerra fredda: gli americani preoccupati dall’apertura al Pci, che avrebbe avvicinato l’Italia alla Jugoslavia di Tito, e i sovietici allarmati dall’eurocomunismo di Berlinguer, polemico con Mosca e virtualmente contagioso per gli altri partiti comunisti europei, a partire da quello francese.
Un capitolo particolare, aggiunge Maria Antonietta Calabrò, è dedicato alle “protezioni” che hanno messo al sicuro la latitanza di uno dei brigatisti presenti in via Fani, Alessio Casimirri. «La primula rossa delle Br, tuttora latitante, prima di giungere in Nicaragua, riuscì più volte, in maniera rocambolesca, a sfuggire alla cattura. Per l’ex brigatista, di cui anche nei mesi scorsi è stata sollecitata l’estradizione, ci fu però un momento in cui mancò veramente un nulla ad ammanettarlo. A riconoscerlo, proprio nei dintorni di San Pietro, fu il padre di Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, uno dei più noti cantautori italiani». Mario Cherubini, che era un gendarme vaticano, riconobbe Casimirri, già latitante, per strada, «Corse a denunciarlo, ma non si riuscì a fermarlo», racconta Vero Grassi, vicepresidente della commissione Fioroni. Il cantante toscano ha raccontato a “Vanity Fair” di quando la famiglia Casimirri, a metà degli anni ‘70, invitava i Cherubini nella casa di campagna a Monterotondo, dove Alessio (provetto sub) gli mostrava i suoi trofei di pesca. Il padre di Casimirri, Luciano, è a sua volta un personaggio leggendario: sopravvissuto allo sterminio nazista della Divisione Acqui a Cefalonia dopo l’8 settembre del ‘43 (come il protagonista del film “Il mandolino del capitano Corelli”, con Nichoals Cage e Penelope Cruz), era poi stato responsabile della sala stampa vaticana sotto tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, quello che rivolse lo storico appello agli “uomini delle Brigate Rosse” per la liberazione di Moro – sequestrato e trattenuto, si apprende ora, in un palazzo di proprietà del Vaticano.
Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda
 
Orizzonte48
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.































venerdì 16 marzo 2018
L'ECCEZIONE IMPERDONABILE ALLA PROVA POST-ELETTORALE: PILOTA AUTOMATICO E ADDENDUM BCE [/paste:font]



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1. Mentre si dipanano le ipotesi (mere) di trattative, possibili e impossibili, per la formazione di una maggioranza di governo in una situazione di terremoto elettorale (rispetto agli auspici dell'UE=mercati), conviene ribadire quale sia lo scenario entro cui inevitabilmente si troveranno a muoversi le forze politiche. Che ne siano consapevoli o no; che intendano dare all'Italia una diversa collocazione, nell'interesse nazionale democratico, o no.

2. Lo scenario, dovrebbe essere chiaro, è quello della globalizzazione per via di trattati e regole di diritto internazionale che mirano esplicitamente a denazionalizzare l'azione dei governi, destrutturando de-fi-ni-ti-va-men-te gli Stati da enti generali retti da Costituzioni democratiche, - che indicano gli interessi sociali comunitari (cioè nazionali) da perseguire come priorità inderogabili-, a sub-holding che perseguono esclusivamente gli interessi di elites capitalistico-finanziarie cosmopolite (qui, p.8).
Per avere un preciso quadro storico-economico e geo-istituzionale di questa situazione odierna facciamo riferimento a due post che chiariscono il punto. Ne consigliamo la rilettura consecutiva per poter tenere sempre bene a mente lo scenario e i limiti di azione imposti alla "politica" interna italiana:
a) LA GLOBALIZZAZIONE-BUONA E I TITANISTI ANTISOVRANI
b) LE CITTA' GLOBALI E LA DENAZIONALIZZAZIONE-GLOBALIZZAZIONE "BUONA": LA "COSMESI FINALE"
3. E' interessante notare come il grado di "cogenza", cioè di affermazione mediante varie forme di enforcement, di questo schema sovranazionale di de-sovranizzazione degli Stati democratici, operi ormai come pilota automatico (rammentiamo: una locuzione escogitata da Milton Friedman e solo poi ripresa, a posteriori, da Draghi), raggiungendo il suo più avanzato perfezionamento entro il quadro della costrizione €uropea (sì proprio "costrizione", non "costruzione").
Va assolutamente rammentato in tal senso, che l'esistenza del "pilota automatico" non significa che le regole rimangano costanti nel tempo: al contrario, significa che PRIMA DI TUTTO, si è automatizzato un meccanismo normativo che può produrre costantemente nuove regole super-primarie (cioè che pretendono di elevarsi al di sopra delle Costituzioni), al di fuori di qualsiasi parvenza di emanazione rappresentativo-parlamentare (nazionale o pseudo-europea che sia), e ancor più, proprio per l'affermazione della soft law come fonte privilegiata (qui, pp.2-3), al di fuori di qualsiasi parvenza della Rule of Law correttamente intesa (che i trattati europei sono geneticamente volti a forzare in una incessante opera autocreativa di diritto e di desovranizzazione privatizzante).
Lo stesso Kelsen, non a caso, indicava l'essenza fenomenologica della Costituzione nello stabilire la norma sulla normazione (o fonte sulle fonti), cioè nell'attribuzione ad un soggetto predeterminato del potere-competenza a dettare le norme giuridicamente vincolanti e gerarchicamente superiori: il che definisce anche la titolarità effettiva della stessa sovranità.

4. Perciò, proprio mentre partiti e massime istituzioni italiane, sono alle prese con quello che dovrebbe essere il momento di maggior delicatezza nella determinazione democratica dell'indirizzo politico, entra in vigore l'Addendum della BCE sui nuovi criteri di svalutazione dei crediti deteriorati. Come avevamo puntualmente anticipato (alla faccia della presa in giro delle "consultazioni"), sulla scontata adozione di una disciplina che mettesse sulla griglia specialmente (se non solo) l'Ital-tacchino, le svalutazioni, e quindi le conseguenti esigenze di ricapitalizzazione, operano anche "anche su npl derivanti da crediti già erogati".
Certo, poi si gioca sulle tortuose definizioni e postille contenute nell'Addendum per limitare il previsto impatto patrimoniale; ma si tratta di pie illusioni, considerate sia le obbligate riclassificazioni come NPL dei vasti debiti preesistenti unlikely to pay, che le diffusissime rinegoziazioni "novative" di vecchi crediti in sofferenza, con centinaia di migliaia di debitori in difficoltà, che inevitabilmente allargheranno, entro pochi mesi, l'ambito della discrezionalità assoluta che la vigilanza BCE si è riservata.
E questo, specialmente, se il "lo vuole l'€uropa" porterà, in un crescendo di minacciati o reali "stati di eccezione", alle manovre schiacciasassi di "austerità espansiva" che l'€uropa ci vuole imporre al più presto per ridurre il debito pubblico (aumentandolo puntualmente in rapporto al PIL) e, quindi, alla "vivace" ripresa di insolvenze di imprese e famiglie determinate dal consolidamento fiscale e dall'inevitabile inasprirsi del credit crunch.

5. Le ragioni per cui questi abitini (o camicie di forza) su misura per l'Italia sono entusiasticamente confezionati dalle potenze dominanti del processo europeistico (con la fondamentale compartecipazione delle nostre elites del Quarto Partito), vanno fatte risalire alla intollerabile efficienza del nostro modello socio-economico costituzionale nel garantire, nel dopoguerra (pur con alterne vicende, tipiche di tutto il "trentennio d'oro"), la crescita e l'importanza della nostra economia.

5.1. Ci aveva in proposito rammentato Arturo (che traduco):
Lato economico: europeismo “antirestrizionista” = neoliberismo (Caffè, 1945).
Lato politico: scaricare la colpa del conflitto sulla comunità sotto attacco, perché resiste o potrebbe resistere, è un espediente vecchio quanto l’imperialismo: diciamo dal dialogo dei Meli e degli Ateniesi in poi.
In ogni caso, commentando lo scritto di Keynes riportato nel post, Skidelsky osserva ("Keynes. The Return of the Master", Penguin, Londra, 2010, s.p.) che l'idea che la ‘globalizzazione’ possa condurre alla guerra, e che la "national self-sufficiency" alla pace, costituitiva naturalmente un completo ribaltamento dell'insegnamento tradizionale”; tuttavia, aggiungendo la citazione di questo passo, conclude che “Keynes era a favore di un internazionalismo qualificato”.
Dico, ove mai qualcuno avesse avuto il sospetto che si debba “scegliere” fra l'art. 4 Cost. (cioè diritto al lavoro inteso dai Costituenti come obbligo del perseguimento di politiche effettive di piena occupazione) e l'art.11 Cost. (cioè adesione italiana alle organizzazioni internazionali solo per promuovere la pace e la giustizia tra le Nazioni e in rigorose condizioni di parità con gli altri Stati).

5.2. Sicchè, risulta poi importante precisare:
Ma a leggersi, ad es;, "La nascita dell'economia europea" di Eichengreen, se ne ricava che la scelta tra l'art.4 e l'art.11, fu invece fatta ab initio: si intese (almeno nella visione del nostro) la piena occupazione esattamente come quello spettro di cui Caffè parla in via di prevenzione (inascoltato), e l'apertura delle economie come garanzia di pace, nel senso di superamento delle ragioni di diffidenza francese nei confronti della Germania e del Regno Unito nei confronti di...tutti (significativa l'imposizione USA della convertibilità delle riserve, da cui la mitigazione obbligata del Piano Marshall).

Al di là della reinterpretazione neo-classica del trentennio d'oro, - e noi sappiamo quanto il Quarto Partito pesasse, proprio in Italia- la verità che è l'art.4 sul "diritto al lavoro", fu inteso da subito in senso "enfatico" - come ci ha ricordato Francesco nell'analisi storica delle decisioni della Corte costituzionale-, e la cooperazione economica =pace, (soltanto) come apertura progressiva dei mercati.

Si può però dire che in Italia si verificò un'anomalia: l'industria pubblica funzionò molto meglio di quanto i modelli di crescita US-imported prevedessero e sviluppò competitività, ricerca e innovazione contro ogni di ESSI logica (qui, pp.4-5, cioè Caffè e De Cecco).
E, inoltre, consentì una ragionevole stabilizzazione salariale verso "l'alto", che faceva crescere domanda interna e investimenti dei privati "incubando" la vitalità produttiva delle PMI italiane (qui, v. Addendum).

Insomma, l'Italia, proprio l'Italia, era un'eccezione imperdonabile, perché dimostrava che, nonostante le interpretazioni di art.4 e art.11, la connessione di tali previsioni (ben chiara ai Costituenti) con il resto della Costituzione economica, operasse nel senso della crescita.
E non ci sarà mai più perdonato..."

6. Questa situazione gravissima, direttamente discendente dal pilota automatico e dalla €-fonte sulle fonti che ha GIA' desovranizzato la Repubblica italiana fondata sul lavoro, incombe come una spada di Damocle, lasciata lì, con nonchalance, a costante memento sui partiti affaccendati in complesse trattative: ma sia chiaro, ci dice l'€uropa, lo sceriffo è sempre lo stesso. Qualunque cosa possiate concepire, "la guerra continua".
Le riforme strutturali, cioè la distruzione del welfare e della tutela del lavoro, proseguiranno perché non avete scelta.
E il vero problema è che la schiacciante maggioranza delle forze politiche o non se ne vuole rendere conto, o, addirittura, è d'accordo. Peraltro d'accordo, in modo bipartisan (o multipartisan).
 
il
attualita' marzo 18, 2018 posted by Guido da Landriano
PRONTI PER IL REFERENDUM CHE SUGGELLERA’ L’ACCORDO


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Oggi il Fatto Quotidiano ci dà la notizia della sempre maggiore spinta , all’interno del PD, affinchè si tenga un referendum (o un re-defuntum, vista la situazione) per dare il via all’appoggio del partito ex di sinistra al governo con il Movimento 5 Stelle.

Tradizionalmente in Italia quando un referendum viene deciso da chi è al potere non è per ascoltare il popolo, ma per suggellare una decisione già presa da altri. Ricordiamo, ad esempio, i plebisciti dell’Unificazione, dove le maggioranze erano più che bulgare, o i referendum elettorali di epoca fascista, quando si votava “Si” per il listone del Regime.

Anche in questo caso se il partito ha deciso di sentire gli iscritti è perchè la deliberazione è già presa. Com ho più volte scritto il PD esiste solo per il potere, è la quintessenza della brama insaziabile del potere, e senza di esso non esiste. Come sarebbe stato se no possibile fondere due tradizioni , due ideali, completamente diversi come quello cattolico tradizionale e quello comunista, senza lo sporco sensale dell’esercizio del potere?

Il potere sporca, il potere logora, la fame del potere distrugge. Essere in grado di reggere l’opposizione, al contrario , purifica, rafforza, sviluppa i muscoli della ragione e e sentimento. A questo punto anche il Movimento Cinque Stelle ha fme di potere, una fame che deriva dalla sua corruzione e che porterà inevitabilmente , al suo decadimento, in tempi ancora non intelleggibili.

Pensate stia esagerando? Vi invito a leggere questo articolo dell’Abathe di Theleme, che fa un’analisi degli eletti nel glorioso movimento innovatore.

(III)Movimento Cinque Stelle: la più grande truffa elettorale dell’Italia repubblicana?

Interessante l’elenco dei candidati eletti nel Cinque Stelle, puri innovatori della nazione e figli dell'”Hanestas” più pura ed assoluta, vergini agnelli pasquali.

Nell’interessante elenco abbiamo amici della finanza, e della Fratellanza, islamica come Paolo Biancone, Amici di Soros e dei Clinton come Alberto Bonisoli, abbiamo maestri Massoni come David Zanforlini e come Vitiello, quindi una miniloggia pentastellata, Abbiamo gli ex democristiani-piddini Petro Landi (Lucca) e Bruno Azeboni (Reggio) e Steni di Piazza. Non bisogna trascusare nessuno, per cui abbiamo il forzitaliota Andrea Mura o il socialista Aldo Penna. In Campania la purezza ha sbiancato Vincenzo Spadafora, ex Udeur, ex Margherita, ex Forza Italia, come ex Udeur è anche il lucano Cillis. E non dimentichiamo la Ex UDC Io Sud Patty L’Abbate.

Leggete l’articolo e vedrete una lista di riciclati della politica impressionante. Con persone del genere il Movimento NON può che essere di POTERE, assoluto, totale e, quindi totalmente corrotto.

Bene arrivati nell’Italia pura a cinque stelle. Pura, e quindi
 
Fasanella: sabotare l’Italia, tutti complici dei killer di Moro

Scritto il 18/3/18 • nella Categoria: Recensioni Condividi


Poi qualcuno si domanda com’è che siamo caduti così in basso – cioè con un tizio come Romano Prodi, il rottamatore dell’Iri, trasformato in paladino del popolo (s’intende: il popolo oppresso dall’Uomo Nero, quello delle tevisioni, delle olgettine e della P2). Al Cavaliere di Arcore, dagli anni ‘90 il copione oppose Prodi, advisor europeo della banca d’affari più famigerata del pianeta, la Goldman Sachs, nonché presidente dell’istituzione più medievale, l’infame Commissione Europea. Lo stesso Prodi che, quando ancora si stava posizionando nella galassia Dc, se ne uscì con una storia pittoresca su Aldo Moro: il nome “Gradoli”, presentato come possibile indizio sulla località della prigionia dello statista sequestrato dalle Brigate Rosse, disse che gli era stato rivelato nientemeno che nel corso di una seduta spiritica. Ancora oggi ci si domanda per quale servizio segreto lavorasse, quel famoso spiritello chiacchierone, mentre c’è chi – come Giovanni Fasanella, autore del bestseller “Il golpe inglese”, scritto con Mario José Cereghino – nel quarantennale della tragica scomparsa di Moro ha le idee più chiare. Dal suo lavoro emerge uno scenario ben poco “spiritico” e molto geopolitico: a eliminare il presidente della Dc sarebbero stati gli stessi poteri che ce l’avevano a morte con l’Italia, al punto da far assassinare il patron dell’Eni, Enrico Mattei, esploso in volo nel 1962 insieme al suo aereo dopo aver terrorizzato le Sette Sorelle offrendo condizioni eque ai paesi petrolieri.
Tutta da riscrivere, la verità su Moro: ora lo sa anche la magistratura, che ha appena ricevuto la dirompente relazione della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. Nel suo nuovo lavoro, “Il puzzle Moro”, edito da Chiarelettere, Fasanella riassume le sconvolgenti conclusioni della commissione: tutti i grandi poteri concorsero al rapimento, affidato alla manovalanza Br. Ma l’autore aggiunge un elemento inedito, altrettanto pesante, tratto dalle carte desecretate dell’archivio di Stato britannico: rivela l’iniziativa di Londra per “sovragestire” l’Italia, con il concorso dei maggiori servizi segreti, a cui Moro (vivo) faceva paura. Fasanella ne ha parlato in due recenti interviste, con Claudio Messoria su “ByoBlu” e poi con Stefania Nicoletti a “Border Nights”, offrendo una sintesi decisamente vertiginosa. Punto primo: nel 1976, due anni prima del sequestro, la Gran Bretagna propone di organizzare un classico golpe militare, in Italia, per bloccare l’azione politica di Moro, considerato una minaccia mortale per gli interessi post-coloniali inglesi, in Medio Oriente e in Africa, dove l’Italia – come già all’epoca di Mattei – sta ridiventando un interlocutore privilegiato per i paesi poveri, in via di sviluppo, impegnati nella grande impresa della decolonizzazione. Seconda notizia: la Francia appoggia con entusiasmo l’idea di schierare carri armati nelle strade italiane. Ma a inglesi e francesi – terza notizia – si oppongono tedeschi e americani.
La Germania, ancora divisa in due e impaurita dall’Urss, teme che possa vacillare lo scudo Nato di fronte alla prevedibile reazione della sinistra italiana, allora fortissima, di fronte a un colpo di Stato militare in stile greco. Quanto agli Usa, la loro intelligence ha ancora le ossa rotte dopo la scandalo Watergate che ha appena travolto Nixon: meglio non impelagarsi in qualcosa di orrendo (e imbarazzante) in Italia. Al che, racconta Fasanella, Londra fa scattare il Piano-B: un progetto “eversivo” per sabotare l’Italia, dall’interno. Il progetto è ancora protetto dal segreto, ammette il giornalista, ma il titolo del dossier compare negli archivi: è la prova che la Gran Bretagna ha programmato precise azioni per destabilizzare il nostro paese. «Non a caso, da allora, esplose in modo inaudito la violenza politica tra gli opposti estremismi». Fino alla crescita rapida ed esponenziale delle Brigate Rosse, che culmina con il caso Moro: un delitto perfetto. Soddisfatti gli inglesi, che insieme ai francesi hanno coronato il loro disegno neo-coloniale (amputare la politica estera italiana, filo-araba e filo-africana), e soddisfatti anche gli americani e i sovietici: i primi temevano che l’apertura di Moro al Pci trasformasse l’Italia in una nuova Jugoslavia, mentre i secondi vedevano in Berlinguer un pericoloso “eretico”, capace di allontanare dall’ortodossia di Mosca gli altri partiti comunisti europei.
Questo spiegherebbe la sostanziale collaborazione di tutte le strutture di intelligence, amiche e nemiche: le une e le altre, interessate a incassare la fine di Moro come risultato politico. Obiettivo principale, in Europa: mortificare le aspirazioni dell’Italia, congelandone la politica. Non andò esattamente così: con Craxi, il paese divenne un protagonista del G7, e l’Italia rialzò la testa anche in politica estera (inaudita la crisi di Sigonella). Quindi, dopo l’inevitabile liquidazione del leader socialista ribelle, arrivò la normalizzazione definitiva: il rigore Ue, la camincia di forza dell’Eurozona, il vecchio Prodi rimesso in campo per raccontare agli italiani le meraviglie dell’euro. Caduto l’ultimo alibi (Berluconi, l’Uomo Nero da odiare) ora affiorano verità scomode, incresciose, che risalgono agli anni ‘70. La trama è sempre la stessa: l’ha raccontata anche Gioele Magaldi, nel bestseller “Massoni”. Tema: impedire, ad ogni costo, che l’Italia diventi importante. Tutte le volte che ci ha provato – con Mattei e Moro, persino con Craxi – ha mandato nel panico i “sovragestori”, i veri signori dell’élite finanziaria (ieri industriale) che detesta la democrazia. Gli unici italiani tollerati, nei salotti che contano, sono quelli prontissimi a obbedire: Prodi e Ciampi, Draghi e Napolitano. Ora – dopo 40 anni – si scoperchia la vera tomba di Moro. Compaiono i veri killer, e si scopre che i mandanti sono ancora in circolazione. Stanno lassù, come sempre, godendosi lo spettacolo del nostro “populismo” inconcludente: una protesta elettorale che non fa paura a nessuno.
(Il libro: Giovanni Fasanella, “Il puzzle Moro”, Chiarelettere, 368 pagine, euro 17,60).
Poi qualcuno si domanda com’è che siamo caduti così in basso – cioè con un tizio come Romano Prodi, il rottamatore dell’Iri, trasformato in paladino del popolo (s’intende: il popolo oppresso dall’Uomo Nero, quello delle tevisioni, delle olgettine e della P2). Al Cavaliere di Arcore, dagli anni ‘90 il copione oppose Prodi, advisor europeo della banca d’affari più famigerata del pianeta, la Goldman Sachs, nonché presidente dell’istituzione più medievale, l’infame Commissione Europea. Lo stesso Prodi che, quando ancora si stava posizionando nella galassia Dc, se ne uscì con una storia pittoresca su Aldo Moro: il nome “Gradoli”, presentato come possibile indizio sulla località della prigionia dello statista sequestrato dalle Brigate Rosse, disse che gli era stato rivelato nientemeno che nel corso di una seduta spiritica. Ancora oggi ci si domanda per quale servizio segreto lavorasse, quel famoso spiritello chiacchierone, mentre c’è chi – come Giovanni Fasanella, autore del bestseller “Il golpe inglese”, scritto con Mario José Cereghino – nel quarantennale della tragica scomparsa di Moro ha le idee più chiare. Dal suo lavoro emerge uno scenario ben poco “spiritico” e molto geopolitico: a eliminare il presidente della Dc sarebbero stati gli stessi poteri che ce l’avevano a morte con l’Italia, al punto da far assassinare il patron dell’Eni, Enrico Mattei, esploso in volo nel 1962 insieme al suo aereo dopo aver terrorizzato le Sette Sorelle offrendo condizioni eque ai paesi petrolieri.

Tutta da riscrivere, la verità su Moro: ora lo sa anche la magistratura, che ha appena ricevuto la dirompente relazione della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. Nel suo nuovo lavoro, “Il puzzle Moro”, edito da Chiarelettere, Fasanella riassume le sconvolgenti conclusioni della commissione: tutti i grandi poteri concorsero al rapimento, affidato alla manovalanza Br. Ma l’autore aggiunge un elemento inedito, altrettanto pesante, tratto dalle carte desecretate dell’archivio di Stato britannico: rivela l’iniziativa di Londra per “sovragestire” l’Italia, con il concorso dei maggiori servizi segreti, a cui Moro (vivo) faceva paura. Fasanella ne ha parlato in due recenti interviste, con Claudio Messora su “ByoBlu” e poi con Stefania Nicoletti a “Border Nights”, offrendo una sintesi decisamente vertiginosa. Punto primo: nel 1976, due anni prima del sequestro, la Gran Bretagna propone di organizzare un classico golpe militare, in Italia, per bloccare l’azione politica di Moro, considerato una minaccia mortale per gli interessi post-coloniali inglesi, in Medio Oriente e in Africa, dove l’Italia – come già all’epoca di Mattei – sta ridiventando un interlocutore privilegiato per i paesi poveri, in via di sviluppo, impegnati nella grande impresa della decolonizzazione. Seconda notizia: la Francia appoggia con entusiasmo l’idea di schierare carri armati nelle strade italiane. Ma a inglesi e francesi – terza notizia – si oppongono tedeschi e americani.

La Germania, ancora divisa in due e impaurita dall’Urss, teme che possa vacillare lo scudo Nato di fronte alla prevedibile reazione della sinistra italiana, allora fortissima, di fronte a un colpo di Stato militare in stile greco. Quanto agli Usa, la loro intelligence ha ancora le ossa rotte dopo la scandalo Watergate che ha appena travolto Nixon: meglio non impelagarsi in qualcosa di orrendo (e imbarazzante) in Italia. Al che, racconta Fasanella, Londra fa scattare il Piano-B: un progetto “eversivo” per sabotare l’Italia dall’interno. Il progetto è ancora protetto dal segreto, ammette il giornalista, ma il titolo del dossier compare negli archivi. E’ la prova che la Gran Bretagna ha programmato precise azioni per destabilizzare il nostro paese: la strategia della tensione. «Non a caso, da allora, esplose in modo inaudito la violenza politica tra gli opposti estremismi». Fino alla crescita rapida ed esponenziale delle Brigate Rosse, che culmina con il caso Moro: un delitto perfetto. Soddisfatti gli inglesi, che insieme ai francesi hanno coronato il loro disegno neo-coloniale (amputare la politica estera italiana, filo-araba e filo-africana), e soddisfatti anche gli americani e i sovietici: i primi temevano che l’apertura di Moro al Pci trasformasse l’Italia in una nuova Jugoslavia, mentre i secondi vedevano in Berlinguer un pericoloso “eretico”, capace di allontanare dall’ortodossia di Mosca gli altri partiti comunisti europei.

Questo spiegherebbe la sostanziale collaborazione di tutte le strutture di intelligence, amiche e nemiche: le une e le altre, interessate a incassare la fine di Moro come risultato politico. Obiettivo principale, in Europa: mortificare le aspirazioni dell’Italia, congelandone la politica. Non andò esattamente così: con Craxi, il paese divenne un protagonista del G7, e l’Italia rialzò la testa anche in politica estera (inaudita la crisi di Sigonella). Quindi, dopo l’inevitabile liquidazione del leader socialista ribelle, arrivò la normalizzazione definitiva: il rigore Ue, la camincia di forza dell’Eurozona, il vecchio Prodi rimesso in campo per raccontare agli italiani le meraviglie dell’euro. Caduto l’ultimo alibi (Berluconi, l’Uomo Nero da odiare) ora affiorano verità scomode, incresciose, che risalgono agli anni ‘70. La trama è sempre la stessa: l’ha raccontata anche Gioele Magaldi, nel bestseller “Massoni”. Tema: impedire, ad ogni costo, che l’Italia diventi importante. Tutte le volte che ci ha provato – con Mattei e Moro, persino con Craxi – ha mandato nel panico i “sovragestori”, i veri signori dell’élite finanziaria (ieri industriale) che detesta la democrazia. Gli unici italiani tollerati, nei salotti che contano, sono quelli prontissimi a obbedire: Prodi e Ciampi, Draghi e Napolitano. Ora – dopo 40 anni – si scoperchia la vera tomba di Moro, e si scopre che i mandanti sono ancora in circolazione. Stanno lassù, come sempre, godendosi lo spettacolo del nostro “populismo” inconcludente: una protesta elettorale che non fa paura a nessuno.

(Il libro: Giovanni Fasanella, “Il puzzle Moro”, Chiarelettere, 368 pagine, euro 17,60).

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La disinformazione al potere
Giancarlo Marcotti 19 marzo 2018 0 Commenti
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Quando crollarono le Torri Gemelle tutto, ma proprio tutto, si polverizzò. Non rimase nemmeno un frammento di un tavolo, di un computer, e sì che ce ne saranno stati tanti in quei due giganteschi edifici. Ovviamente poi non è rimasto nemmeno un brandello degli “aerei” che le avevano colpite, niente, solo polvere, tonnellate e tonnellate di polvere …

Ma …

Miracolosamente …

Fu rinvenuto, un po’ sporco, ma quasi intatto … il passaporto di uno dei “terroristi”. E poi c’è ancora chi sostiene che i miracoli non esistono …

I miracoli non solo esistono, ma si possono anche ripetere. Si ritrova così il documento di identità di Anis Amri, l’attentatore col camion ai mercatini natalizi di Berlino, quello di Said Kouachi (strage di Charlie Hebdo) ed anche quelli degli attentatori di Parigi e Nizza.

Insomma, o la caratteristica principale di tutti gli attentatori è la “distrazione”, oppure, più probabilmente, quei documenti non sono stati dimenticati, ma hanno un altro scopo, quello di rendere facilmente identificabile la matrice, sì, insomma, sono una specie di rivendicazione.

Ed allora anche Vladimir Putin avrà pensato di lasciare il proprio documento di identità sulla panchina dove sono stati ritrovati in fin di vita l’ex spia russa Sergej Skripal e la figlia Yulia, poi, riflettendoci su, il Presidente russo si sarà ricordato che quel documento gli sarebbe servito oggi per andare a votare ed allora?

Come “firmare” quegli omicidi?

Ed ecco la trovata geniale del Presidente russo: il gas nervino!

Ma come far arrivare il gas nervino in Inghilterra ed uccidere soltanto l’ex spia e la figlia?

Questo ce lo spiega perfettamente il Corriere della Sera con l’articolo a firma di Luigi Ippolito dal titolo “Skripal, l’ex spia russa avvelenata: il gas nervino in un regalo della figlia”, leggetelo perché è davvero esilarante.

E fin dall’inizio il racconto è fantastico, gli sceneggiatori di James Bond, al confronto, sono delle persone prive di fantasia. Ci sono infatti i russi (cattivoni) che, “pazientemente”, attendono l’anniversario della morte della moglie di Skripal perché sanno che la figlia da Mosca raggiungerà il padre a Londra per andare, come ogni anno, a deporre un fiore sulla tomba della madre.

Ed allora cosa escogitano?

Un piano diabolico.

Certamente la figlia non si presenterà dal padre a mani vuote, gli porterà un regalo, forse un maglione, o un profumo, ed allora, ve la immaginate la scena?

Siamo all’aeroporto di Mosca, Yulia Skripal al check-in consegna il bagaglio per l’imbarco, ed ecco che entrano in gioco quelli del Kgb che, al riparo da occhi indiscreti, nella zona non accessibile al pubblico dove vengono smistati i bagagli, indisturbati, aprono la valigia, vedono il profumo o il maglione destinato al padre, che individuano con facilità perché, essendo un regalo, era ben impacchettato, quindi con cura lo aprono e versano una certa quantità di gas nervino. Poi reimpacchettano il tutto e richiudono la valigia. La figlia trasporterà quindi inconsapevolmente il suo carico di morte fino in Inghilterra.

Ma i due sventurati non moriranno o non rimarranno intossicati all’apertura di quella valigia, quel giorno non succede nulla, stanno ancora benone, ed anche il giorno successivo pare che i due non accusino alcun malessere, pranzano in un ristorante italiano, che ha anche buone recensioni su Tripadvisor (quindi si escludono cozze avariate), e poi vanno in un pub nelle vicinanze, lì non viene specificato cosa abbiano consumato, il fatto è che poco dopo verranno trovati su una panchina.

Ed è proprio su questo punto che Il Corriere della Sera dà il meglio di sé, questo il racconto di quanto accaduto secondo il giornalone di Via Solferino:

“Yulia è arrivata a Salisbury col suo carico mortale sabato 3 marzo: il giorno dopo lei e il padre sono andati in centro, hanno pranzato al ristorante italiano Zizzi e poi si sono spostati in un pub. Poco dopo li hanno trovati accasciati su una panchina: chiaramente avevano aperto in casa il pacco avvelenato e la sostanza tossica in poco tempo ha fatto il suo corso.”

“Chiaramente”

Come no!

Bene, carissimi lettori, ditemi: ma voi, nel leggere una cosa del genere, non provate un profondo senso di rabbia?

Non vi viene da pensare “ma questi … come si permettono di trattare tutti noi da decerebrati”!!!

Secondo voi questa si può chiamare informazione?

Eh no! Questo è un insulto all’intelligenza umana, un’offesa per tutti coloro che sono dotati di un cervello anche minimamente funzionante!

Tuttavia è inutile prendersela con Il Corriere della Sera, questa testata (chiamiamola così) non fa altro che adeguarsi alla grottesca versione che è stata data dal Governo inglese e che viene riportata da TUTTI i media occidentali, giornali e televisioni di mezzo mondo accumunati nel ridicolo.

Ci trattano tutti come idioti, raccontandoci balle ciclopiche, senza nemmeno sforzarsi di renderle perlomeno minimamente verosimili.

Tuttavia la rassegnazione non deve sopraffarci, qualche barlume di verità (anche se la dobbiamo mascherare con l’ironia) la riusciamo a trovare, anche sui media mainstream, ed ecco che quindi voglio lasciarvi con un sorriso.

Stephen Colbert, l’anchor-man della CBS che ha preso il posto del leggendario David Letterman nel celeberrimo “Late Show”, recentemente, nel suo monologo iniziale, ha perfettamente descritto la differenza che esiste fra il nostro Occidente, libero e democratico e la Russia, autoritaria e dispotica:

“Una delle ragioni per cui sono andato in Russia è che loro hanno un uomo forte come leader, mentre noi in America ne abbiamo uno che vorrebbe sembrare forte e se ci riuscisse, se davvero vivessimo sotto un uomo forte, la Russia ci insegnerebbe che la cosa migliore sarebbe diventare un oligarca, che in Russia sta per un uomo ricco … ma non chiedergli da dove vengono i soldi.

Sì, così funzionano le cose in Russia, in quel Paese il sistema politico è controllato da un gruppo di miliardari che si comperano i favori e che tirano i fili del Governo, mentre in America … beh … accade la stessa cosa, solo che parliamo inglese”.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro
 
La Prova suprema.

Attenzione: qualunque cosa tirino fuori nei prossimi giorni, è la più spregiudicata operazione,


I VACCINI FANNO MALE ANCHE AI MILITARI. LO DICE IL PARLAMENTO.
Maurizio Blondet 17 marzo 2018 45 commenti

Da qualche tempo ho sulla scrivania l’ultimo libro di Marcello Pamio, “Vaccinazioni – Armi chimiche contro il cervello e l’evoluzione dell’uomo” (Uno Editori, 187 pagine, 12,90 €) e non riesco a recensirlo. Tanto enorme la massa dei dati sulle patologie prodotto nei bambini, tanto schiacciante il capo d’accusa sui profitti oltraggiosi delle farmaceutiche, tanto odiose le prove della complicità anti-umana del governo Gentiloni-Lorenzini che Pamio raccoglie, che uno finisce per dubitare. Si ha un bell’aver avvertito, sulla scorta

 
Si gonfia la “fake” che deve portare alla soppressione del “populismo”
Maurizio Blondet 19 marzo 2018 55 commenti

Avrete già sentito i media citare “Cambridge Analytica”, e ancor più ne sentirete parlare nei prossimi giorni. Vi spiegano che è una “controversa” azienda che raccoglie megadati per “profilare” interi elettorati ed avrebbe influenzato (sedotto? Ipnotizzato? Posseduto psichicamente?) decine di milioni di americani a votare per Trump, milioni di inglesi a votare per la Brexit e adesso, milioni di italiani a votare per Salvini.
 

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