Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

by Maurizio Gustinicchi
BREXIT: IL CALCOLO DEL DANNO PER I TEDESCHI

E mentre calano le prime ombre della sera, e il duo TozziFan e Filini giocano a fare i duri con UK:



gli inglesi, consapevoli della propria posizione di vantaggio, sono sempre piu’ convinti che la Brexit sia la miglior decisione per tutta l’isola:



Ma da cosa deriva loro la consapevolezza di una tale posizione di forza?

Dai dati economici degli ultimi anni:



Nel 2014 l’export tedesco in UK era 79 miliardi mentre l’import solo 39. Ballano 40 miliardi che, se perduti causa svalutazione Sterlina o per provvedimenti della UE, azzererebbero completamente la crescita tedesca.

Questo e’ il danno economico tedesco per la Brexit: 40 miliardi di PIL per anno!

E dove si trasferirebbe questo maggior PIL?



“…sending their growth higher without having to export more goods”

TORNA IN UK!

Al di la della retorica “Gorgiana”, come vedete i mercati finanziari, e Finfeed ne e’ un esponente, conoscono perfettamente il funzionamento della macroeconomia!

Ora vediamo, ad oggi, chi ha subito maggiormente la guerra psicologica relativa alla Brexit:









Come vedete proprio la Germania.

E pensare che siti colleghi sostenevano fermamente che la Brexit non sarebbe convenuta agli inglesi:



Che dite, TozziFan e Filini la spunteranno nella loro folle trattativa con la May ?

Purtroppo per loro Londra non e’ Roma…..UK come mercato pesa troppo per i tedeschi.

Driiiinnn Driiinnn: “Scusiiiii…. May e’ la UE”

“Merkel Dica”

“Ma come?…ma se ho fatto l’accento svedese!”

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Ad maiora.

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associazione di idee
La profezia di Blondet: trovato il passaporto, lo uccideranno
Scritto il 24/12/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Due poliziotti in mondovisione (nomi e cognomi, persiono le foto), uno di loro è ferito. E a terra, nella notte, a Sesto San Giovanni, un giovane tunisino: Anis Amri. «Era lui il killer di Berlino?», si domanda Massimo Mazzucco su “Luogo Comune”. «Vedete? Anche la polizia e i servizi tedeschi imparano presto», scriveva giorni fa Maurizio Blondet. «Prima si lasciano scappare il terrorista della strage di Natale; ma il giorno dopo, guardando meglio, scoprono che – come tutti i terroristi islamici – ha lasciato nel vano porta-oggetti il suo documento di prolungamento della permanenza in Germania, che è praticamente la prova della sua identità». Lo ha fatto uno dei fratelli Kouachi dopo aver sparato a quelli di Charlie Hebdo. E lo stragista di Nizza, Lahouaiej-Bouhlel? «Anche lui, prima di lanciarsi nella folle corsa omicida e suicida, pone in bella vista patente di guida, carta d’identità, telefonino, persino carte di credito». Ricorda la storia, semre uguale, dei documenti dei “terroristi” emersi tra le macerie dell’11 Settembre, in mezzo all’apocalisse. «Da allora, è una certezza per gli investigatori: cercate bene sui sedili, sotto la cenere, nella guantiera, e smetterete di brancolare nel buio». Un copione: diffondere ai media l’identità del “mostro” da braccare. Se intercettato, «invariabilmente risponde al fuoco gridando “Allah Akhbar!”. Sicchè non ne vien preso vivo uno. Succederà, possiamo profetizzarlo, anche al “tunisino “ identificato dalla polizia tedesca».
Queste righe, Blondet le scriveva il 21 dicembre, cioè quasi due giorni prima l’evento sanguinoso di Milano, che ha fatto il giro del mondo. «Ma com’è che ora si pubblica, oltre al nome e cognome, anche la fotografia del poliziotto che ha appena ucciso un terrorista?», si domanda Francesco Santoianni. «Una ipotesi: Marco Minniti – da tempo immemorabile tutor dei servizi segreti e ora anche ministro dell’interno – si era reso conto che la morte di Anis Amri – identificato come il responsabile della strage con il Tir a Berlino grazie ad un ennesimo documento di identità, miracolosamente ritrovato dopo 24 ore – per mano di un ignoto avrebbe legittimato in tutta l’opinione pubblica i sospetti che Anis Amri non fosse altro che un Patsy», cioè un capro espiatorio, paragonabile a Lee Harvey Oswald, l’apparente killer di John Kennedy. «Poliziotto – continua Santoianni, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – al quale auguriamo che – dopo il nome, la fotografia, l’account Facebook – non venga pubblicato anche il suo indirizzo di casa». Se le “stranezze” abbondano, irrompe l’inevitabile corredo di dietrologie: Federico Dezzani si spinge a ipotizzare «un assist anglomericano all’Italia, ai danni della Germania», contraria alla nazionalizzazione di Mps, “punita” ora con la dimostrazione di efficienza della polizia italiana, che dimostrerebbe l’inadeguatezza di quella tedesca.
«Poca gloria, ma in compenso molte domande», sintetizza “Piotr” su “Megachip”: «Come sapevano che era proprio questo tizio alla guida del camion che ha fatto strage a Berlino? Semplice. Come al solito, hanno trovato – toh, guarda – un suo documento nella cabina del camion, sotto il sedile. Come mai allora l’efficientissima polizia tedesca aveva arrestato un pakistano che non c’entrava nulla? Ci hanno messo veramente un giorno a trovare un documento sotto il sedile dell’arma del crimine? Ma va là». La sequenza, sottolinea “Megachip”, si ripete con un cliché incredibilmente monotono: prima un attentato “imprevisto”, poi il ritrovamento dei documenti degli attentatori sul luogo del crimine, quindi la dichiarazione che l’attentatore era già sospettato, magari sotto sorveglianza (però l’attentato lo riesce a fare lo stesso, invariabilmente). Quindi scatta la caccia all’uomo. Finale: «Conflitto a fuoco e uccisione del sospetto. Niente cattura e interrogatorio. Nemmeno per Osama bin Laden». Identica sceneggiatura: «Qualcuno sta usando sempre lo stesso canovaccio. Non chiedetemi chi. Non ho le prove», ammette “Piotr”. L’importante, conclude, è vedere che la narrazione ufficiale «non sta in piedi, ed è diventata mortalmente noiosa». Intanto, «gli innocenti continuano ad essere ammazzati, per la gloria di poche élite, pronte a scatenare tutte le loro speculazioni politiche e gli stati di emergenza sull’onda di una campagna di terrore e tensione».
Due poliziotti in mondovisione (nomi e cognomi, persiono le foto), uno di loro è ferito. E a terra, nella notte, a Sesto San Giovanni, un giovane tunisino: Anis Amri. «Era lui il killer di Berlino?», si domanda Massimo Mazzucco su “Luogo Comune”. «Vedete? Anche la polizia e i servizi tedeschi imparano presto», scriveva giorni fa Maurizio Blondet. «Prima si lasciano scappare il terrorista della strage di Natale; ma il giorno dopo, guardando meglio, scoprono che – come tutti i terroristi islamici – ha lasciato nel vano porta-oggetti il suo documento di prolungamento della permanenza in Germania, che è praticamente la prova della sua identità». Lo ha fatto uno dei fratelli Kouachi dopo aver sparato a quelli di Charlie Hebdo. E lo stragista di Nizza, Lahouaiej-Bouhlel? «Anche lui, prima di lanciarsi nella folle corsa omicida e suicida, pone in bella vista patente di guida, carta d’identità, telefonino, persino carte di credito». Ricorda la storia, semre uguale, dei documenti dei “terroristi” emersi tra le macerie dell’11 Settembre, in mezzo all’apocalisse. «Da allora, è una certezza per gli investigatori: cercate bene sui sedili, sotto la cenere, nella guantiera, e smetterete di brancolare nel buio». Un copione: diffondere ai media l’identità del “mostro” da braccare. Se intercettato, «invariabilmente risponde al fuoco gridando “Allah Akhbar!”. Sicchè non ne vien preso vivo uno. Succederà, possiamo profetizzarlo, anche al “tunisino “ identificato dalla polizia tedesca».

Queste righe, Blondet le scriveva il 21 dicembre, cioè quasi due giorni prima l’evento sanguinoso di Milano, che ha fatto il giro del mondo. «Ma com’è che ora si pubblica, oltre al nome e cognome, anche la fotografia del poliziotto che ha appena ucciso un terrorista?», si domanda Francesco Santoianni. «Una ipotesi: Marco Minniti – da tempo immemorabile tutor dei servizi segreti e ora anche ministro dell’interno – si era reso conto che la morte di Anis Amri – identificato come il responsabile della strage con il Tir a Berlino grazie ad un ennesimo documento di identità, miracolosamente ritrovato dopo 24 ore – per mano di un ignoto avrebbe legittimato in tutta l’opinione pubblica i sospetti che Anis Amri non fosse altro che un Patsy», cioè un capro espiatorio, paragonabile a Lee Harvey Oswald, l’apparente killer di John Kennedy. «Poliziotto – continua Santoianni, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – al quale auguriamo che – dopo il nome, la fotografia, l’account Facebook – non venga pubblicato anche il suo indirizzo di casa». Se le “stranezze” abbondano, irrompe l’inevitabile corredo di dietrologie: Federico Dezzani si spinge a ipotizzare «un assist anglomericano all’Italia, ai danni della Germania», contraria alla nazionalizzazione di Mps, “punita” ora con la dimostrazione di efficienza della polizia italiana, che comproverebbe l’inadeguatezza di quella tedesca.

«Poca gloria, ma in compenso molte domande», sintetizza “Piotr” su “Megachip”: «Come sapevano che era proprio questo tizio alla guida del camion che ha fatto strage a Berlino? Semplice. Come al solito, hanno trovato – toh, guarda – un suo documento nella cabina del camion, sotto il sedile. Come mai allora l’efficientissima polizia tedesca aveva arrestato un pakistano che non c’entrava nulla? Ci hanno messo veramente un giorno a trovare un documento sotto il sedile dell’arma del crimine? Ma va là». La sequenza, sottolinea “Megachip”, si ripete con un cliché incredibilmente monotono: prima un attentato “imprevisto”, poi il ritrovamento dei documenti degli attentatori sul luogo del crimine, quindi la dichiarazione che l’attentatore era già sospettato, magari sotto sorveglianza (però l’attentato lo riesce a fare lo stesso, invariabilmente). Quindi scatta la caccia all’uomo. Finale: «Conflitto a fuoco e uccisione del sospetto. Niente cattura e interrogatorio. Nemmeno per Osama bin Laden». Identica sceneggiatura: «Qualcuno sta usando sempre lo stesso canovaccio. Non chiedetemi chi. Non ho le prove», ammette “Piotr”. L’importante, conclude, è vedere che la narrazione ufficiale «non sta in piedi, ed è diventata mortalmente noiosa». Intanto, «gli innocenti continuano ad essere ammazzati, per la gloria di poche élite, pronte a scatenare tutte le loro speculazioni politiche e gli stati di emergenza sull’onda di una campagna di terrore e tensione».

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Una storia di terrorismo all’ombra delle tensioni italo-tedesche su MPS
Scritto il 24 dicembre 2016 by Federico Dezzani
Twitter: @FedericoDezzani

L’attentato di Berlino si è attenuto al solito copione: il terrorista, identificato grazie ai documenti rinvenuti sulla scena del crimine, è stato liquidato a distanza di pochi giorni, portandosi nella tomba gli scomodi ed inconfessabili segreti sull’attentato. C’è però una novità di rilievo: il tunisino Anis Amri è stato fermato e poi ucciso dalla polizia italiana, alle porte di Milano. C’è da chiedersi perché questo capitolo della strategia della tensione europea sia iniziato tragicamente in Germania e si sia concluso col lieto in fine in Italia, in un momento di forti tensioni italo-tedesche, ruotanti attorno al salvataggio di MPS ed al futuro dell’eurozona. L’insediamento di Marco Minniti al Ministero degli Interni non lascia dormire sonni tranquilli in vista delle prossime elezioni legislative.

Un assist angloamericano all’Italia, ai danni della Germania?
Il terrorismo che martoria l’Europa da ormai due anni è tanto sanguinario quanto prevedibile. Si potrebbe anzi dire che i diversi attacchi siano una variante dello stesso copione: strage, rivendicazione da parte dell’ISIS grazie alla solerte Rita Katz, rapida identificazione dei terroristi (spesso attraverso i documenti abbandonati sul luogo del crimine), breve latitanza, blitz delle forze dell’ordine che uccidono i terroristi, archiviazione del caso. Il lavoro degli investigatori e della magistratura, che un tempo si protraeva per anni se non per decenni, è stato ormai sostituito da questo schema da b-movie: crimine, caccia al cattivo, sparatoria, morte del cattivo, titoli di coda.

Non fa eccezione la recente strage di Berlino, di cui abbiamo già evidenziato tutte la caratteristiche che consentono di catalogarlo tra gli attentati di matrice ISIS/NATO: dinamica identica a quella di Nizza, concomitanza con l’assassinio dell’ambasciatore Andrei Karlov, attribuzione al Califfato grazie all’israeliana Rita Katz, svolta nelle indagini tramite il provvidenziale rinvenimento della carta d’identità del terrorista, etc. etc.

Il finale non ha riservato sorprese, avverando così la nostra facile profezia: il presunto responsabile dell’attentato, il tunisino Anis Amri, è stato ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia, portandosi nella tomba tutte le preziose informazioni di cui era in possesso. Il fatto che nessuno terrorista sia catturato vivo e portato in un’aula di Tribunale, consente di fare qualche congetturata sulla rete “dell’ISIS”: è un’organizzazione non verticale, caratterizzata cioè da una gerarchia a più livelli come la mafia o la camorra, bensì piatta, dove la manodopera (gli islamisti che compiono gli attentati) sono in diretto contatto con i membri dei servizi segreti occidentali. Ecco perché, a operazione conclusa, devono essere necessariamente eliminati: la loro testimonianza in un’aula di giustizia sarebbe dinamite.

C’è, però, una novità di rilievo nel caso dell’ultimo attentato tedesco: per la prima volta dalla strage di Charlie Hebdo, l’Italia gioca un ruolo di primo piano. Il tunisino è fermato e poi neutralizzato dalla polizia italiana, a Sesto San Giovanni, provincia di Milano: la trama dell’attacco terroristico, iniziata tragicamente a Berlino e proseguita con molti passi falsi da parte della autorità tedesche, si conclude così col lieto finale in Italia. È un caso fortuito, dovuto soltanto al peregrinare di Amri alla ricerca di un riparo, oppure nasconde un messaggio?

Nelle stesse ore in cui il tunisino entrava in Italia per andare incontro al suo destino, la notte tra il 22 ed il 23 dicembre, il governo Gentiloni varava il decreto “salva-risparmio” per la nazionalizzazione di MPS, sperando così di aggirare il salasso del “bail-in”, così caro all’establishment tedesco: “Mps, portavoce Dijsselbloem: aiuti Stato solo dopo bail-in” titola la Reuters nel pomeriggio del 23 dicembre1. C’è un nesso tra l’uccisione di Anis Amri e la ventilata nazionalizzazione di MPS? È possibile incastonare i due avvenimenti in un unico ragionamento coerente? Crediamo di sì.

Cominciamo col dire che l’epilogo di Anis Amri è, come il resto di questa triste vicenda, riconducibile alla galassia dei servizi segreti: tutto è stato scientificamente pianificato perché il tunisino arrivasse fino a Sesto San Giovanni e lì fosse liquidato in un conflitto a fuoco. La notizia del ritrovamento dei documenti e la conseguente “gigantesca caccia all’uomo” risale alla mattina del 21 dicembre: tutte le forze dell’ordine tedesche e quelle di mezza Europa sono mobilitate per stanare il tunisino.

Ciononostante, Anis Amri riesce ad aggirare i controlli non solo della Germania in pieno stato d’allerta, ma pure quelli di un altro Paese in emergenza terrorismo, la Francia. Anis Amri varca il confine franco-tedesco, si muove indisturbato nel territorio francese e raggiunge la Savoia: c’è da chiedersi se avrebbe potuto fare lo stesso in Austria o Svizzera, dove “l’ISIS” non è così “radicato”. Raggiunta Chambéry, Anis Amri prende nella prima serata del 22 dicembre un treno diretto in Italia e varca un altro confine senza problemi, quello franco-italiano: raggiunge quindi Torino alle 20.30

Si potrebbe dire: Anis Amri ce l’ha quasi fatta a fuggire! La meta del suo viaggio, quella Sesto San Giovanni dove conta forse di trovare rifugio presso la comunità mussulmana locale, è più vicina che mai: ha già percorso 1.500 chilometri e superato due frontiere senza essere scoperto e non dovrebbe certo incontrare ostacoli nell’ultimo miglio. Il tunisino è alla stazione di Milano verso l’una di notte: lì prendo un ultimo treno, quello che lo porta alla destinazione finale. Siamo a Sesto San Giovanni, tre di notte del 23 dicembre: la fuga di Anis Amri, cominciata a Berlino, può dirsi conclusa con successo.

Ed invece il destino, o meglio sarebbe dire i servizi segreti che hanno vegliato su Amri fino a quel momento, gli giocano un brutto scherzo.

Le tre di notte in piazza I Maggio, zona stazione. Una volante del commissariato viene inviata dopo una chiamata: qualcuno ha udito degli spari”2: una telefonata anonima, in seguito al rumore di presunti spari, fa correre una volante verso la stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni. Immaginiamo la scena: due poliziotti a bordo di una volante, notte fonda, una piazza semi-deserta, qualche immigrato che bazzica la stazione, una richiesta d’intervento per presunti spari.

C’è un uomo che cammina nella Piazza, “una persona sospetta di origine magrebina”3: come possa un magrebino essere sospetto alla stazione di Sesto San Giovanni, uno tra migliaia, è già un mistero. I due poliziotti comunque lo fermano: “non ho documenti, ma sono calabrese” è la risposta4. I solerti tutori della legge però non abboccano e chiedono all’uomo di svuotare sul cofano dell’auto il contenuto dello zaino che porta con sé. Scrive Repubblica5:

“A quel punto Anis Amri, invitato a svuotare lo zainetto, ha infilato la mano dentro il suo bagaglio e ha estratto la pistola con la quale ha cominciato a sparare ferendo alla spalla Christian Movio. A quel punto l’altro agente, Luca Scatà, che era a qualche metro di distanza dal tunisino, ha premuto il grilletto della sua pistola d’ordinanza e lo ha ferito mortalmente. (…). Nello zainetto Anis Amri non aveva nulla di particolare: uno spazzolino, un dentifricio e un sapone da barba. Durante la fuga dalla Germania verso l’Italia si era disfatto anche del suo telefonino.”

Davvero uno strano bagaglio, quello di Anis Amri: ha viaggiato per tre Paesi e per 1.500 chilometri, portando con sé uno zaino contente uno spazzolino, un dentifricio, una schiuma da barba ed una… pistola. Non gli conveniva viaggiare disarmato e spacciarsi semplicemente per uno dei milioni di clandestini che girano per l’Europa senza documenti? Ed il colpo sparato dalla sua calibro 22? Dritto alla spalla dell’agente di polizia, una parte del corpo tutt’altro che vitale, tanto che Christian Movio si farà immortalare, ferito ma sorridente, già la mattina successiva, in un servizio speciale di Repubblica.

Il terrorista, intanto, come i suoi compagni di Charlie Hebdo, del Bataclan, di Zavantem, di Nizza, etc. etc., è morto e testimoni che possano confermare o confutare la versione ufficiale di quel 23 notte, non ci sono. Nelle stesse ore, il neo-ministro degli Interni, Marco Minniti, darà la conferma: l’uomo ucciso è “senza ombra di dubbio Anis Amri6.

Se calcolassimo a tavolino le probabilità di questo evento si verifichi, che risultato avremmo? Uno su 1.000.000, uno su 10.000.000? Una volante, chiamata per presunti spari, ferma un magrebino in una stazione del milanese e, guarda caso, quell’uomo è l’autore della strage di Berlino del 19 dicembre, un fuggitivo che ha già percorso indisturbato 1.500 chilometri e varcato due confini, per poi finire ammazzato nel cuore della notte a Sesto San Giovanni. Crederci, è un atto di fede.

Ad apporre il sigillo dei servizi anglo-israeliani anche sulla morte del tunisino, interviene la solita Rita Katz: il cadavere di Anis Amri è appena arrivato all’obitorio e “l’ISIS”, appreso della sua morte, pubblica attraverso la sua agenzia di stampa Amaq (sic!) un video dove il giovane presta giuramento al Califfato. In sostanza i servizi segreti atlantici dicono: è una nostra operazione, dall’inizio alla fine.



Nelle mattina del 23 dicembre, i principali siti d’informazione non avevano però aperto con i fatti di Milano, bensì con la notizia che il Consiglio dei Ministri aveva varato un decreto “salva-risparmi” da 20 €mld e che la nazionalizzazione di MPS, fallito l’aumento di capitale sul mercato, era ormai imminente: la decisione del governo italiano di entrare con denaro pubblico nel capitale della banca è finalizzata ad evitare l’applicazione del “bail in”, i cui effetti sarebbero esplosivi e, come abbiamo più volte sottolineato, capaci di innescare la dissoluzione dell’eurozona. Il problema è che tra Roma e Bruxelles, o meglio tra Roma e Berlino, non è stata raggiunta nessuna intesa che dispensi l’Italia dall’adozione del “bail in” nel caso di MPS: nel pomeriggio del 23, il portavoce del presidente dell’Eurogruppo, il filo-tedesco Jeroean Dijsselbloem, ribadisce che l’intervento dello Stato italiano in MPS è subordinato alla preventiva applicazione del “bail in”. “Le regole sono queste”7 ripetono i falchi teutonici: una vera grana per il governo filo-atlantico di Paolo Gentiloni.

Nella precedente analisi avevamo già evidenziato come la strage di Berlino fosse un avvertimento lanciato dall’establishment euro-atlantico alla Germania, affinché non adottasse politiche tali da portare l’eurozona e l’Unione Europea al collasso. Dopo la guerra economica sferrata contro Volkswagen, e l’assalto speculativo di George Soros a Deutsche Bank, si passa all’artiglieria pesante col terrorismo: la situazione nell’eurozona è infatti critica e le probabilità che l’euro imploda, se Berlino non cede sul “bail in” e sul rigore fiscale, non sono mai state alte come adesso.

Il “finale” della strage di Berlino, con l’uccisione di Anis Amri per mano della polizia italiana dopo il fallimento delle forze dell’ordine tedesche, è coerente con questa interpretazione: la storia dell’attentato del 19 dicembre “racconta” che nel braccio di ferro tra Italia e Germania su MPS e sui conti pubblici, l’establishment euro-atlantico, quello che controlla anche l’ISIS, è dalla parte di Roma contro Berlino, a favore del salvataggio delle banche contro il “bail in”, per la salvaguardia dell’euro contro la sua implosione, per gli Stati Uniti d’Europa contro il ritorno agli Stati sovrani.

A qualcuno sembrerà fanta-politica: ma è un ragionamento coerente e basato sulle dinamiche internazionali sviluppatesi in questi ultimi anni. Servirà la strage di Berlino a piegare la classe dirigente tedesca e ad evitare il “bail in” del Monte dei Paschi di Siena? Considerando i precedenti fallimenti dei casi Volkswagen e Deutsche Bank, la risposta è no.

Concludiamo con una nota: l’ingresso ufficiale dell’Italia nella strategia della tensione targata “ISIS” è coinciso con l’insediamento di Marco Minniti al Ministero degli Interni. Già sottosegretario di Stato del governo Renzi con delega alla sicurezza ed ai servizi segreti, il neo-ministro ha assunto le redini del Viminale con la certezza che un attentato fosse imminente. Scrive Repubblica8:

Solo martedì scorso, al Viminale, nella riunione del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, i vertici delle nostre forze dell’ordine e della nostra Intelligence avevano misurato l’urgenza del cambio di passo dalle parole di Marco Minniti, il nuovo ministro dell’Interno che, non più tardi dell’autunno scorso, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza nazionale, avvertiva di quanto fosse “ragionevole l’aspettativa di un nuovo attentato in Europa”.

L’intuizione di Marco Minniti si è rivelata corretta, perché a distanza di due giorni il terrorista di Berlino “è piovuto” in Italia, consentendo così all’Italia di liquidarlo ed infliggere un pesante smacco alle autorità tedesche. L’affiatamento di Minniti con i servizi segreti atlantici risale a decenni addietro: ex-comunista, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi del governo D’Alema, “interventista” convinto a fianco della NATO durante le guerre di Jugoslavia, Afghanistan e Libia, entrato nell’orbita di Francesco Cossiga (il ministro degli Interni ai tempi del sequestro Moro), con cui ha dato vita alla fondazione Intelligence Culture and Strategic Analysis, Minniti è tra i massimi esperti italiani “di intelligence”. È, tradotto in poco parole, l’uomo cui i servizi angloamericani ed israeliani passano le direttive, poi trasmesse al governo di turno.

C’è da augurarsi che l’episodio di Sesto San Giovanni sia un caso isolato e non sia il prodromo, piuttosto, di una più ampia strategia della tensione in vista delle prossime elezioni. Gestita dal Viminale, obviously.
 
sull'abolizione della tassazione tributaria auriti aveva , e lo ha tutt'ora ad oggi , pienamente ragione , sulla proprietà della stampa del valore fiduciario ha torto completo , non può questa in nessun caso essere di proprietà dei cittadini .
La banconota fiduciaria non potrà mai più essere di proprietà dei cittadini , salvo quei rari casi che abbiamo avuto in passato di aretusa , mercurio e 20 dollari verdi voluti da kennedy , per una minima frazione di tempo ... anche il termine " moneta di proprietà dei cittadini " è errata come scrittura , moneta sovrana dei popoli che non genera mai interessi è certamente meglio indicato terminologicamente , nella produzione e nella scelta di funzione dell'uso .. ossia nella proprietà della coniazione e nell'utilizzo senza intermediari che ci speculino sopra , con relativo annullamento di tutto l'attuale governo federale , monarchico , repubblicano o di qualsiasi altra natura , ad eccezzion fatta della scrittura cristiana , ed in inerenza alla tassazione del contributo volontario di autotassazione della decima ... quel che produrrai , la decima parte ( e solo questa , non si è mai parlato del 50% , 60% o 70% ) .. ossia il 10% lo devolverai per il tuo prossimo ..
completerò a breve lo studio della moneta
 
Ultima modifica:
Tratto da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini [*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)

“Le anomalie di un bilancio […] la Banca d’Italia, nei propri bilanci, iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione. Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote (“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato “Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di essere, perché non significa nulla [1].
Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea).
Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi, avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare la moneta immessa in circolazione come una propria passività da iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un illecito annullamento dell’attivo [2].

Quindi l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il debito.
Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover pagare.
Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono invece indubbiamente attive.”
 
ciao caro....trattasi di lana caprina.nel senso che' nn accadra' mai , in quanto chi lo dovesse porre in essere, avra' si e no un'annetto di vita.........rimane prima di tutto una questione giuridica , come correttamente espresso dal procuratore generale della repubblica......Tarquini,,,,possiamo,giustamente avere diversita'di opinioni,,,giusto e normale...anzi.....doveroso,,,ma nella sostanza nn cambia.. purtroppo siamo debitori dei ns soldi....quano b.i afferma di nn essere proprietaria della carta moneta.,, di chi sono i soldi? per legge se nn vi e' un proprietaro, nn esiste ne un creditore né un debitore,e ritorniamo al principio giuridico di auriti.....un caro saluto
 
Ultima modifica:
L’attentato di Berlino e la strana morte di Anis Amri
dicembre 24, 2016 2 commenti

Aanirfan
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Il quartier generale del Mossad in Italia è a Milano. Hanno cercato di avvertirci.
Il 16 dicembre 2016 il carico del TIR fu caricato a Cinisello Balsamo, prima di recarsi a Berlino. Il 19 dicembre avveniva l’attentato al mercatino di Berlino. “Video mostrano Anis Amri in una moschea locale, il giorno dopo l’attentato“. Secondo la versione ufficiale, dopo l’attentato di Berlino, Anis Amri viaggiò senza problemi in almeno tre Paesi. Il 23 dicembre 2016, Anis Amri sarebbe stato ucciso a Milano, a Sesto San Giovanni. Dailymail/Dailymail
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All’inizio di dicembre 2016, la NATO effettuava l’esercitazione Summer Tempest/Eagle Meteor. L’esercitazione era diretta da Solbiate Olona, alla periferia di Milano.
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Sopra la foto del camionista polacco Lukasz Urban.
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Sopra, il capo di Urban e suo cugino, Ariel Zurawski. Zurawski potrebbe essere un cognome ebraico. Il nome compare nel processo Eichmann.
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Il 12 dicembre 1969, delle bombe esplosero in Italia. 17 persone furono uccise in quello che è nota come la strage di Piazza Fontana, a Milano. Gli attentati avviarono una lunga serie di attentati nota come “Strategia della tensione”. “Il loro obiettivo era evitare che il Paese cadesse nelle mani della sinistra, ingannando il pubblico facendogli credere che gli attentati fossero parte di una rivolta comunista“. (BBC 1969: esplosioni mortali in Italia)
In altre parole, l’idea era mantenere la ricca élite fascista al potere. In Italia, la ricca élite è composta da ricchi massoni fascisti, oligarchi fascisti e ricchi mafiosi. La strategia della tensione era parte dell’Operazione Gladio di CIA e NATO. Paolo Emilio Taviani, ex-ministro della Difesa ed ex-ministro degli Interni. dichiarò nell’agosto 2000: “Mi sembra certo che gli agenti della CIA siano stati tra coloro che diedero i materiali e confusero le indagini“. (Strage di piazza Fontana: Fatti)
Una delle armi utilizzate negli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 proviene da un trafficante di armi della Florida, coinvolto nelle operazioni Iran-Contra della CIA. Attentati di Parigi: venditore dice che un’arma proveniva dalla Florida/Arma collegata agli attentati di Parigi porta al trafficante d’armi della Florida implicato nell’Iran-Contras
Che altro sappiamo della strage di piazza Fontana a Milano? Nel 1998, David Carrett, ufficiale della Marina degli Stati Uniti, fu incriminato da un magistrato milanese con l’accusa di partecipazione alla strage di piazza Fontana. (Diritto)
Il giudice aprì un’indagine anche su Sergio Minetto, funzionario italiano della rete d’intelligence USA-NATO. Trent’anni dopo la strage di piazza Fontana, nel corso di un processo ad estremisti di destra, il generale Giandelio Maletti, ex-capo della contro-intelligence italiana, dichiarò che la strage fu effettuata da stay-behind dell’esercito italiano e da terroristi di destra su ordine della CIA. (ISN)
Gli eserciti segreti di Gladio, ‘Gruppi Stay Behind‘, furono svelati nell’agosto 1990, quando il primo ministro Andreotti confermò l’esistenza dell’Operazione Gladio, un gruppo dei servizi di sicurezza che manipolava l’opinione pubblica con il terrorismo. Uno degli agenti di Gladio disse, “Dovevi attaccare i civili, la gente, le donne, i bambini, persone inerme, gente sconosciuta lontano da ogni gioco politico. La ragione era molto semplice. Avrebbero dovuto costringere queste persone, il pubblico italiano, a volgersi allo Stato per chiedere maggiore sicurezza”.
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Pagina di Facebook di un uomo che sembrerebbe il fratello di Amri, mostra un recente video di Anis Amri. Il video di sette secondi fu caricato il 26 settembre 2016 e ripreso a May-Ayim-Ufer nei pressi del ponte Oberbaumbrucke di Berlino. (Bellingcat)
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Qui sopra vediamo un corpo nel punto in cui ‘sarebbe stato ucciso’ Anis Amri. Notare i pantaloni marroni e la giacca nera.
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Sopra vediamo un membro dei servizi di sicurezza curvo sul corpo. Il membro dei servizi di sicurezza indossa pantaloni marroni e giacca nera.
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Sopra vediamo un membro dei servizi di sicurezza sulla scena. Indossa giacca nera e pantaloni marroni.
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Qui si vede ciò che si suppone fosse Anis Amri morto.
La madre di Anis Amri, Nurahuda Hasani, disse di aver parlato con il figlio il 18 dicembre, il giorno prima dell’attentato a Berlino. Le chiese di cercare di risolvere il problema con la polizia tunisina e di assumere un avvocato per gestire il caso per poter tornare in Tunisia. Anis Amri, il sospetto di Berlino di Natale…
Ad Anis piaceva festeggiare e non ha mai avuto alcun pensiero religioso, uno qualunque“, dice la madre. Reuters riferiva, il 23 dicembre 2016, che il 24enne sospettato Anis Amri era stato ucciso. L’agenzia ANSA riportava che l’uomo ucciso dalla polizia di Milano era il sospettato del mercato natalizio di Berlino Anis Amri. Così, il capro espiatorio sembra essere stato ucciso.
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Il professor Shlomo Shpiro è un esperto di
 

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