PER QUEST'ANNO LASCIATE PERDERE LA PROVA COSTUME... VI VEDO PIU' PRONTI PER LA PROVA DEL CUOCO

Mettiamoci nei panni del silvio. Relegato a comparsa nel centro destra,
cosa può pensare ? Metto il piede nell'altra scarpa, cerco un accordo con il renzino,
cerco di portarmi a casa qualcosa .........la grandeur ormai è passata.........e le idee
- se mai ci sono state - ....pure. Stai in costa azzurra, silvio, e goditi il mare.

Durante la trasmissione “Di Martedì” su La7, Silvio Berlusconi è intervenuto dichiarando esplicitamente
la sua contrarietà a non usufruire del MES:

“Per il futuro ci vorrà davvero un governo rappresentativo degli italiani,
ma adesso ci interessa di più aiutare Conte a non commettere gli errori che sta facendo.
L’errore sul Mes sarebbe quello, clamoroso, di dire all’Europa ‘faremo da soli’.”

Il premier Giuseppe Conte in un’intervista dei giorni precedenti aveva dichiarato infatti le intenzioni del governo di non sfruttare il Mes:
“La nostra principale battaglia è quella di un fondo finanziato con gli Eurobond”.

Inequivocabile dunque la posizione di Berlusconi e il suo appello di risposta al premier: “Non dobbiamo dire di no al Mes.”


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In un articolo de “Il giornale” spiega inoltre:

“Il MES non va demonizzato. Non c’è nulla di sbagliato, in linea di principio, nel fatto che i Paesi ad economia più solida
chiedano garanzie rafforzate per finanziare Paesi più a rischio. La cosa sbagliata è che queste garanzie
si trasformino in uno strangolamento dell’economia di una nazione già in sofferenza e addirittura in un esproprio della sua sovranità nazionale.
Il PD non ha trovato niente di meglio che esporre l’ennesimo prelievo fiscale,
cioè la cosa peggiore da fare quando invece occorre immettere liquidità nel sistema economico.”
 
Come molti di voi sanno il decreto “Cura Italia” ha previsto la possibilità di sospendere
il pagamento delle rate dei mutui sulla prima casa per tutti i cittadini.

Tuttavia, le modalità di attuazione del provvedimento sono ancora un oggetto misterioso,
nonostante le rassicurazioni di Banca d’Italia e Abi, l’associazione che riunisce tutte le banche italiane.

Di più, emergono da parte di alcuni istituti persino pratiche scorrette.

E’ quasi scontato sottolineare che in un momento di grave difficoltà come questo,
come cittadini ci saremmo aspettati un comportamento più responsabile.

Ma le banche italiane, si sa, non perdono il vizio.

Un caso in particolare merita attenzione: lo spot di UniCredit sulla sospensione dei mutui per l’emergenza Covid-19.

Vi spieghiamo perché.


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Cosa dice lo spot di UniCredit
UniCredit segnala già da tempo sul suo sito la possibilità per i clienti di sospendere il pagamento
delle rate dei mutui sulla prima casa per via dell’emergenza Coronavirus.

Tuttavia, la comunicazione della banca non fa riferimento alcuno al decreto “Cura Italia”.

Per avere maggiori informazioni UniCredit mette a disposizione un numero verde e invita, poi, a mettersi in contatto con il proprio consulente.

Il settimanale Vita, tra primi a sollevare il caso, ha chiamato il numero verde per ottenere le informazioni (qui l’audio).

Già da questa conversazione emerge chiaramente che la proposta di UniCredit ai propri clienti
è qualcosa di diverso da quanto previsto dal decreto “Cura Italia”.

La banca illustra la possibilità di sospendere il pagamento delle rate del mutuo per sola parte relativa alla quota capitale.

Il pagamento della quota capitale potrà avvenire in quattro modalità diverse:

in qualsiasi momento;
al termine del periodo di sospensione (fino a un massimo di 12 mesi);
al termine del piano di ammortamento del mutuo;
contestualmente all’eventuale estinzione anticipata del mutuo.


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L’inghippo degli interessi sulle rate sospese
Fin qui tutto bene.

I problemi iniziano quando si affronta il discorso del pagamento degli interessi,
quelli maturati dalla quota capitale del mutuo oggetto della sospensione.

UniCredit afferma (e mette per iscritto sul suo sito ufficiale):
“Questi interessi verranno pagati unitamente alla quota capitale sospesa secondo le opzioni sopra rappresentate”,
cioè le quattro modalità di cui abbiamo parlato.

Bene, peccato che non si faccia alcuna menzione a quanto previsto dal decreto “Cura Italia”,
secondo cui il cittadino dovrà rimborsare solo il 50% degli interessi maturati durante la sospensione
perché il restante 50% è coperto dal Fondo di solidarietà.

Quindi UniCredit sta proponendo ai suoi clienti una soluzione “meno conveniente” (per essere gentili…) di quella prevista dal decreto Cura Italia.

La verità è che UniCredit non solo non rende esigibile un diritto dei propri clienti, ma
“cerca di lucrare sul loro stato di bisogno spingendoli a scegliere un’opzione meno vantaggiosa per loro.
E tutto questo viene fatto anche attraverso spot equivoci”, scrive su Vita Lorenzo Maria Alvaro.

Siamo del tutto d’accordo con lui.

Il silenzio del governo
Di questa brutta faccenda, l’ennesimo ceffone per i clienti delle banche italiane si stanno occupando anche alcune associazioni di consumatori.

«Siamo in contatto con Abi e con tutti i nostri referenti. Stiamo monitorando tutte le situazioni e gli istituti di credito
»,
spiega Isabella Mori responsabile nazionale del PIT e del settore dei Servizi Bancari e finanziari di Cittadinanzattiva,
«nelle prossime ore confidiamo di avere un quadro preciso della situazione e valuteremo tutte le azioni da intraprendere per la tutela dei cittadini».

Quello che più colpisce, però, è il silenzio del governo.

UniCredit e le banche in generale possono saltare a piè pari così il disposto di un decreto Legge?

Non ci risulta che sia possibile, a meno che esistano delle deroghe di cui né i cittadini, né le associazioni dei consumatori sono stati messi al corrente.
 
Lo stanno invocando in tanti, ricorrendo più o meno tutti alla stessa formula:

“Ma se il Mes esiste ed è stato spogliato delle condizionalità, perché non approfittarne?”.

Una linea condivisa da Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, l’intramontabile Romano Prodi, tanto per citare qualche nome.

E da un numero crescente di esponenti del Partito Democratico, oltre che da una parte di Confindustria.

Tutti convinti che una versione “light” del Fondo Salva-Stati sia un’occasione da non perdere per il nostro Paese,
che potrebbe attingerne per garantirsi soldi da investire sul fronte sanitario senza impegni.

Ma le cose stanno davvero così?

Pensare che sia possibile snaturare il Mes e trasformarlo in una vera e propria arma a nostra disposizione,
senza più trappole nascoste dietro il suo utilizzo, è in realtà un’operazione pericolosissima.

Perché lo strumento nasce comunque come creditore privilegiato, e una volta che ha prestato soldi a uno Stato,
pretende di essere soddisfatto per primo in caso di default.


Il che comporterebbe la trasformazione dei titoli di Stato in circolazione in subordinati.

Considerando che gli italiani sono per natura un popolo di risparmiatori e che proprio i loro risparmi
sarebbero a forte rischio in un simile scenario, diciamo che non si tratta di un’ipotesi propriamente rosea per il nostro avvenire.


Perché mai, allora, dovremmo ricorrere a un simile creditore quando abbiamo accesso al mercato dei capitali
con emissioni mediamente richieste in misura superiore al 50% di quanto offerto e tassi minimi?

E perché, inoltre, attivare uno strumento che può garantire al massimo il 2% del Pil
quando la Bce potrebbe mettere in piedi un vero e proprio bazooka economico ben più efficace per affrontare la crisi?


Eventualità, quest’ultima, valida ovviamente solo in caso di superamento dei veti che i Paesi del Nord ancora pongono,
capeggiati dalla solita Germania e da una combattiva Olanda.

Resta, inoltre, l’incertezza di fondo di uno strumento le cui condizionalità cambiano con una facilità estrema,
eccessiva per poterle accettare davvero a cuor leggero.

Chi ci garantisce che un Meccanismo così facilmente rivisto e rivedibile non ci porti con sé, un domani,
un conto molto più salato di quanto possiamo oggi prevedere?

Insomma, il Mes nella migliore delle ipotesi è una soluzione peggiore di tante altre,
nella peggiore rischia di trasformarsi in una vera e propria trappola.


Col rischio di tenere l’Italia ancora più legata ai lacci voluti da Bruxelles.

Ma a certe latitudini politiche l’idea non deve evidentemente dispiacere poi molto.
 
Chi c’è dietro la task force voluta dal presidente Giuseppe Conte
per traghettare l’Italia verso la cosiddetta fase due?

Risponde su #Byoblu24, con la sua personale analisi, il direttore di ImolaOggi Armando Manocchia.

Una task force – spiega il direttore – al servizio dell’Unione Europea e di organizzazioni che fanno gli interessi dei grandi capitalisti,
delle multinazionali straniere e dell’alta finanza. “Cosa hanno a che vedere queste élite con i popoli?”, si chiede in maniera retorica Manocchia.

 
Cacciari: addio democrazia, il virus ci consegna ai più forti


La storia non ha fini.

Non ci attende la terra promessa né il suo rovescio, che è la catastrofe.

Questa crisi irrompe nel mezzo di un processo già in atto da tempo e ne accelera straordinariamente i tempi.

Aumenta la velocità con cui il sistema tecnico-scientifico si muove verso il centro della scena del mondo,
liquidando la funzione preminente della politica e riducendo la spazio dell’autonomia del politico.

La tecnica e la politica diventano un tutt’uno. Non si può dare l’una senza l’altra.

Basta guardare come stanno gestendo la crisi tutti i paesi del mondo.

I capi di Stato e gli scienziati: gli uni accanto agli altri.

C’è chi pensa che l’arresto a cui ci ha obbligati il contagio sia un punto di svolta che può rifondare tutto,
farci tornare sui nostri passi, immaginare un altro mondo possibile, costruire tutto daccapo.

È un’illusione ottica.

Siamo noi che ci siamo fermati, non i processi dentro cui siamo immersi da anni.

Il trauma è un evento imprevedibile che ci tormenta, ripetendosi nell’inconscio.

Un contagio globale, invece, era nell’ordine del possibile.

E soprattutto, non è un incubo: è la realtà.

Per comprendere il capitalismo, è più utile leggere Schumpeter che Freud.

Il capitalismo è crisi.

È distruzione e creazione.

È contraddizione: discontinuità nella continuità.

È conflitto.

Salti improvvisi, movimenti forsennati, squilibrio.

Non ha niente della serena linea retta con cui molti si figurano il movimento della storia.

Lo potremmo paragonare all’undici settembre?

Non è un evento che va letto nel breve periodo: la paura di prendere l’aereo, come accadde allora,
oppure la paura di avvicinarsi all’altro, come dicono alcuni ora.
Ci sarà una strepitosa accelerazione verso il capitalismo politico e una riduzione ai minimi termini
degli spazi di rappresentanza della democrazia tradizionale.
Se i nostri sistemi liberali non saranno capaci di salire all’altezza delle sfide di questo tempo,
riorganizzando la propria vita completamente, la pagheranno cara.
Lo Stato d’eccezione permanente spinge verso il decisionismo. Il modello cinese si potrebbe imporre su scala mondiale.

Può cambiare il segno della globalizzazione? È un’ipotesi realistica.
La globalizzazione è nata sotto la spinta degli Stati Uniti d’America. Oggi la Cina può diventare la nuova protagonista.
È l’unico paese che si trova nella posizione di mettere in campo un colossale piano di ristrutturazione.
Possiede parte del debito americano, e del nostro. Viceversa, nessun paese occidentale controlla il debito cinese.
Ecco perché potremmo assistere a una grande svolta geopolitica.

Uso il condizionale, perché la partita è aperta. I capitalismi politici sono diversi: c’è quello cinese, quello russo, quello americano.
I caratteri sono molteplici. La competizione tra loro, violenta. La crisi accelererà anche il confronto tra di essi.
Capiremo quali tra questi spazi imperiali ha le armi per affermarsi.

L’Europa? È un microbo, in questo scenario planetario. Il fatto che nemmeno di fronte a una situazione del genere
abbia trovato la forza di reagire in maniera unitaria – dopo l’avvertimento della crisi dei debiti sovrani
e dopo l’allarme della crisi migratoria – dimostra che non ha più cervello.

L’Europa che si aggrappa alla difesa dell’avanzo commerciale tedesco, oppure all’autonomia di uno Stato semi-canaglia come l’Olanda,
uscirà dalla crisi in una posizione ancora più subalterna, e si candida ad affidarsi alla benevolenza di questo o quell’altro impero.

Il mio europeismo vacilla: se le cose continueranno ad andare così, sarò costretto anch’io a piangere sulle mie giovanili utopie e metterci una croce sopra.

Perché ho giocato tutti i miei risparmi su Conte, che è uno dei più deboli nella debole Europa?
Perché, se Conte fallisse, perderei comunque tutto. Il paese si sfascerebbe. Andremmo a nuove elezioni.
Lo spread schizzerebbe a seicento punti percentuali. Esploderebbero conflitti sociali laceranti.

Ecco l’illusione di Renzi e Salvini: credere che sia il momento di tirar fuori Draghi. Sono fuori tempo.
I Draghi nascono dalla catastrofe di questo governo e da un appello disperato di Mattarella.
Ora, è il momento di prepararci a una manovra finanziaria tremenda, sul modello di quella fatta da Giuliano Amato negli anni novanta.
Se non saremo in grado di farla, senza casini, franerà tutto.

Riaprire? Il governo non è stato ancora capace di articolare un discorso oltre lo state-tutti-a-casa.
Io capisco i medici: è il loro mestiere. Il lavoro dei politici, però, è diverso. Dovrebbero disegnare uno scenario.
Dire: “Adesso la situazione è questa. Ma noi abbiamo un piano per la ripresa. O, almeno, ci stiamo lavorando.
Le modalità saranno le seguenti. Prima partirà questo, poi quello. Ovviamente, con tutte le misure di sicurezza necessarie”.

Un paese non può sopravvivere a lungo se rimane chiuso. È la realtà. Si muore di coronavirus.
Ma senza lavoro mi posso ammazzare. Cosa stiamo aspettando? Che non ci sia più un contagiato?
Un morto? Che le rianimazioni siano vuote? Qual è l’orizzonte? Ecco cosa non è chiaro.

Ma pensate che gli italiani abbiano ritrovato improvvisamente la fiducia nella politica?
Obbediscono perché glielo dicono i medici. Appena la situazione cambierà, anche solo di una virgola,
quando i problemi saranno di nuovo di scelta politica ed economica, vedrete come tornerà lo scontro.

Non c’è nessuna rottura nella storia: le teste di cazzo sono rimaste proprio uguali, identiche a com’erano prima del coronavirus.

(Massimo Cacciari, dichiarazioni rilasciate a Nicola Mirenzi per l’intervista “La casa è un inferno”, pubblicata dall’”Huffington Post” il 5 aprile 2020).


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Come ho scritto ieri, giudico - prima di tutto - RIDICOLA - questa presa di posizione
che altro non è che il tentativo di risalire la china di un personaggio perso nel nulla,
con un partito che raccoglierà - sì e no - il 5% dei voti alle prossime elezioni.

E' la sua ultima change per "mostrarsi", quando farebbe meglio a "rilassarsi".

Il sogno è durato tanto, ma ora è finito. Come è finito quello del Milan.
Che sta cercando di ripetere con il Monza.

Dutur forse qualche errorino l'ha fatto.

Ma analizziamo a fondo cosa sono questi 35 miliardi.
Soldi da utilizzare esclusivamente per "uso sanitario".

Non soldi o finanziamenti da dare ai cittadini, non da dare alle imprese,
ma da utilizzare per "esclusivo uso sanitario".

Avete presente gli scandali della sanità degli scorsi anni e decenni ?
Ritengo che riuscirebbero a spendere TUTTI questi soldi in CAGATE MOSTRUOSE.

E questo leccapiedi rilancia con un'espediente falso, il mes sanitario,
ben sapendo che nulla ha a che fare con gli aiuti ai cittadini ed alle imprese
che potranno essere dati solo il mes "cappio al collo stile Grecia".

«D'altronde - spiega Tajani - quello del Mes non è un problema che riguarda l'unità del centrodestra.
La nostra anche stavolta è una posizione pragmatica: abbiamo messo nel Mes 14 miliardi
e ora possiamo averne 36-37 in modo più vantaggioso che sul mercato, perché rinunciarvi
quando sono molto utili agli italiani e l'alternativa potrebbe essere la patrimoniale?

Le uniche condizioni che ci impongono sono di utilizzare non più del 2 per cento del Pil e solo per interventi di sanità.

Certo, il Mes non basta, fa parte di una strategia più complessa, insieme al Sure, ai fondi di Bei e Bce, al Recovery fund.
Tutti segnali che l'Europa si sta muovendo, anche se in ritardo, e che senza non si va da nessuna parte».
 
Questo è il classico discorso che ti fa un avvocato quanto inizia a valutare la tua pratica e ti "indora il percorso".
Quando - dopo la sentenza - hai perso. Ti dice "è stata dura, abbiamo fatto il possibile, ma avevamo poche change di vittoria".
DOPO..........

Conte ha chiesto di aspettare per valutare solo il pacchetto completo, dopo il Consiglio europeo del 23 aprile:

"Solo allora potremo valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone,
e solo allora potremo discutere se quel regolamento è conforme al nostro interesse nazionale.
E questa discussione dovrà avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento,
al quale spetterà l'ultima parola", ha sottolineato.

Come riporta Repubblica, si tratta di un'apertura ma anche di un modo per rassicurare il Movimento 5 Stelle.

I pentastellati sono infatti convinti che esistano condizionalità e vincoli del passato. Su posizioni opposte il Pd.

Il premier ha quindi cercato di fare da mediatore assicurando che continuerà a battersi in Europa per ottenere gli eurobond,
la risposta considerata più soddisfacente e necessaria per affrontare l'emergenza che vive il nostro Paese e tutta l'Europa.
Ma senza chiudere del tutto la porta al Mes.

"Ad alcuni miei omologhi che, a fronte di questa emergenza, hanno pensato di affidare al Mes la risposta europea ho replicato:
il Mes è un meccanismo inadeguato e anche insufficiente per reagire a questa sfida epocale.
Ha un regolamento pensato per shock asimmetrici e per reagire a tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi",
ha sottolineato aggiungendo che ora "occorre una risposta forte, unitaria, tempestiva.
Insieme ad altri 8 Paesi Membri abbiamo lanciato una sfida ambiziosa all'Europa invitandola
a introdurre nuovi strumenti per affrontare e superare al più presto questa crisi".

Il dibatto degli ultimi giorni si è concentrato sulle condizionalità.

"Alcuni - ha aggiunto Conte - sostengono che esiste il rischio che rimangano le tradizionali condizionalità macroeconomiche,
altri ritengono che, pur se non previste nella prima fase, alcune condizionalità potrebbero essere inserite in un secondo tempo,
altri ancora prevedono che si arriverà a cancellare tutte le condizionalità ad eccezione del vincolo di destinazione per le spese di cura e di prevenzione del contagio. All'ultima riunione dell'Eurogruppo è stato compiuto un deciso passo avanti perché nel paragrafo corrispondente
è richiamata espressamente la sola condizione dell'utilizzo del finanziamento per le spese sanitarie e di prevenzione, dirette e indirette".

Poi ha ammonito: "Discutere e valutare adesso significa logorarsi in un dibattito meramente astratto e schematico.
Bisognerà attendere prima di valutare se questa nuova linea di credito sarà collegata a meccanismi e procedure diversi da quelli originari.
Se questo nuovo strumento finanziario presenterà caratteristiche effettivamente differenti dal Mes, per come finora utilizzato.
Se vi saranno condizionalità o meno lo giudicheremo alla fine, quando saranno concretamente elaborati il term sheet
(contenente le principali caratteristiche del nuovo strumento), i terms of reference (che definiranno termini e condizioni della linea di credito)
e, infine, il Financial Facility Agreement, le condizioni di contratto che verranno predisposte per erogare i singoli finanziamenti".

Solo al termine di questi passaggi, secondo il premier, si potrà "valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone,
e solo allora potremo discutere se quel regolamento è conforme al nostro interesse nazionale.
E questa discussione dovrà avvenire in modo pubblico e trasparente. Prima di allora potremo disquisire per giorni e settimane, ma inutilmente".

Infine, ha concluso Conte, "parlo da Premier e da avvocato, prima di dire se un finanziamento conviene o meno al mio Paese
voglio prima battermi perché non abbia, in linea di principio, condizioni vessatorie di alcun tipo.
Dopodiché voglio leggere e studiare con attenzione il regolamento contrattuale che condiziona l'erogazione delle somme.
Solo allora mi sentirò sicuro di poter esprimere, agli occhi del Paese, una valutazione compiuta e avveduta".
 
La cattiva infermiera
di Toni Capuozzo

Oggi voglio distrarre me stesso e voi raccontandovi una storia legata a un altro dramma ( i drammi degli altri sono più facili da sopportare).

Mi è venuta in mente quando mi sono reso conto che l’altro ieri, il 14 aprile,
era l’anniversario della morte di Fabrizio Quattrocchi in Iraq.

Avrei potuto e dovuto ricordarlo, ma l’ho già fatto tante volte, sin dall’inizio, in una della molte battaglie perse del mio giornalismo.

Da lì ho pensato agli ospedali iracheni: i primi, quando c’era ancora Saddam, e ti portavano a vedere le conseguenze dell’embargo americano sui malati.

Ma nel nuovo secolo non avevo molti ospedali nei taccuini, a parte quelli da campo militari e quello, che fu per me un’oasi,
della Croce Rossa italiana a Baghdad, che in un primo momento fu da campo e poi andò a occupare un piano di un ospedale iracheno,
curando i grandi ustionati (l’oasi ? Andavo a trovare il mio amico Enrico Santinelli, che aveva una scorta di salami proibiti,
e mi preparava un panino che aveva il profumo di casa). E poi non ricordo altri ospedali.

Mi ricordo le ambulanze sui luoghi degli attentati, gli americani che arrivavano sul posto in cui una roadside bomb aveva colpito qualcuno dei loro,
con le iniezioni di morfina già in mano, ma non gli ospedali. E neppure medici o infermieri.

Così il pensiero si è spostato su Israele, e le ambulanze sui luoghi degli attentati terroristi,
con i volontari di un’organizzazione ortodossa che raccoglievano ogni brandello di vita, o di morte.
Ma anche lì, non sono mai andato negli ospedali.
Solo funerali, che da una parte diventavano lamenti, o un picchetto che sparava per omaggiare il commilitone ucciso.
Dall’altra diventavano manifestazioni e c’era da stare attenti ai proiettili di kalashnikov in ricaduta..

Ho pensato a medici e infermieri, e mi è tornata in mente lei, l’infermiera cattiva.

Ora ogni categoria ha le sue pecore nere –anche i medici e gli infermieri che sono gli eroi di questi giorni- e i giornalisti e gli avvocati.

Ma Wafa Idris, 28 anni, non fu protagonista di una storia di cronaca nera,
come certe infermiere che dalle nostrte parti uccidevano i pazienti per turbe psichiche.

No, lei fu una lucida militante, e fu la prima donna terrorista suicida, il 27 gennaio del 2002, tanto che Time le dedicò una copertina.

I terroristi suicidi – che molti miei colleghi si ostinano a chiamare kamikaze, insultando la memoria di militari giapponesi
che si uccidevano e uccidevano militari, non civili, nelle pieghe di una guerra – sono stati una piaga, all’inizio di questo secolo,
suturata da quel cerotto orrendo che è il muro di separazione.

Una barriera di cemento che ha diviso vite e uliveti, attratto fotografi, senza però che mai nessuno notasse
come la costruzione del muro abbia ridotto, quasi azzerato, il numero degli attentati.

I sostenitori della causa palestinese(non dei diritti dei palestinesi, che sono cosa diversa)
sostengono che lo scemare degli attentati è figlio di un ripensamento, di un cambio di strategia delle organizzazioni militanti palestinesi.

A lungo, come potete immaginare, il terrorismo suicida è stato un incubo per gli israeliani.

C’era un montatore, un ebreo argentino di nome Michael, con cui lavoravo, che aveva due figli in età scolare.
Li mandava a scuola, quando non poteva accompagnarli, su due autobus diversi della stessa linea, prima uno poi l’altro,
anche se la scuola era la stessa, per non perdere, nel caso, entrambi i figli.

Alla fine di marzo del 2002 ero in Israele. Non ricordo dove avessimo in mente di andare, io e Garo, l’operatore armeno che per me è come un fratello.
So che c’è un modo di dire cinico ma efficace, tra gente che fa questo lavoro e deve correre dove c’è stato un attentato o è scoppiata una bomba, o un missile:
devi essere abbastanza vicino da arrivare presto, prima che sigillino la scena, e abbastanza lontano da non esserne colpito.

Viaggi con la radio accesa, e i finestrini sempre un po’ abbassati per sentire meglio sirene o esplosioni.

Se si tratta di un bombardamento aereo, c’è una colonna di fumo che ti guida come una tragica stella cometa, un ago magnetico nella bussola della guerra.

Quel giorno eravamo abbastanza vicini, e arrivammo sul luogo, l’ingresso di un supermercato, che ancora dovevano tendere i nastri della scena del crimine.
Si vedevano ancora dei corpi a terra, e i barellieri affannarsi, fino a quando le ambulanze hanno coperto la visuale dell’orrore.

Naturalmente non sapevamo nulla, e non avremmo saputo per ore chi era l’attentatore e chi la vittima, o le vittime.

Con il passare delle ore si capì che una vittima era il vigilante che stava davanti al mercato,

Un ruolo non da prima linea, aveva 55 anni e si chiamava Haim Smadar.
E per qualche ora ancora continuò a girare la voce che gli altri due corpi, due ragazze, fossero quelli di due attentatrici suicide, o maldestre.

Poi venne fuori che una era Ayat al Akhras, la terrorista di 18 anni, e l’altra Rachel Levy, una diciassettenne che stava entrando nel supermercato
per comprare qualcosa, e non era stato facile distinguere l’una dall’altra.

Nei giorno successivi le indagini appurarono che Ayat era stata accompagnata in auto nei pressi del suo bersaglio da un’altra militante,
che aveva lavorato proprio in quel supermercato.
Prima di dirigersi verso l’entrata aveva mormorato qualcosa a due donne palestinesi che vendevano le loro verdure davanti al market, e queste si erano allontanate.

La cosa aveva insospettito il vigilante, che cercando di fermare Ayat aveva salvato molte vite, ma non quella di Rachel Levy, e la sua propria.

Quello che era seguito apparteneva a un copione ormai consolidato: la rivendicazione, la messa in onda di un testamento video della terrorista,
i parenti che celebrano il martirio (davanti alle case vengono offerti dolcetti come per una festa, qualcuno lancia parole d’ordine,
le madri trattengono le lacrime trasformandole in un sorriso d’ordinanza, a mostrare la fierezza di avere un figlio martire).
La casa verrà poi distrutta dai bulldozer israeliani, come impotente mossa a frenare i terroristi suicidi.
E le famiglie riceveranno per sempre una specie di pensione dall’organizzazione militante,
in questo caso le Brigate Al Aqsa, legate a Fatah, il movimento di Yasser Arafat.

L’unico dettaglio diverso dal copione fu che le autorità israeliane, due anni dopo, restituirono il corpo di Ayat alla famiglia, che potè celebrare dei funerali.

E che un documentario raccontò la storia delle due madri, il microcosmo dolente di una tragedia collettiva.
C’erano per me, però, due cose indimenticabili: il fatto che la terrorista avesse ucciso, per caso, una sua coetanea.
Che le due ragazze addirittura si somigliassero: minute, capelli bruni.

E il fatto che, nel campo profughi di Deheishe a Betlemme,, dove era cresciuta, in una famiglia di quattro maschi e sette femmine,
si fosse rivelata una brava studentessa e sognasse di fare la giornalista.
Un fratello maggiore era stato arrestato due volte durante la prima intifada, e una ventina di giorni prima dell’attentato
un vicino di casa era stato ucciso da un proiettile vagante, sparato dagli israeliani.

Cercai di dimenticare quelli che sapevo essere i commenti italiani – ecco dove porta la disperazione, eccetera –
mi interrogai su quella passione, il giornalismo, che non era riuscita a distoglierla dal terrore
e mi arresi davanti alle convinzioni religiose che sempre accompagnano l’ultimo messaggio del terrorista suicida.

Però cercai di capire chi erano le altre due.

Perché Akhras era la terza donna suicida, in quell’inizio del 2002.
La seconda era stata Darin Abu Aysheh, 21 anni.

Si era fatta saltare a un posto di blocco israeliano nei territori occupati.
Era cresciuta in un villaggio vicino a Nablus, e studiava in quella università.
Aveva lasciato un messaggio molto bellicoso: “Il codardo Sharon sappia che ogni donna palestinese partorirà un esercito di martiri,
e il suo ruolo non sarà solo quello di accudire a un figlio, un marito, un fratello, ma di diventare anch’essa martire”.

I fratelli – sette sorelle e due fratelli – la descrissero come molto religiosa, e dissero che alla vigilia del martirio trascorse lunghe ore a recitare il Corano.
Uscì di casa senza aver mangiato, senza salutare in modo particolare la madre, si avvicinò in auto a un posto di blocco, scese,
e si fece saltare, provocando solo il ferimento di quattro militari israeliani. L’operazione era stata preparata da Hamas.

Il 2000 avrebbe dovuto essere, come ovunque, un anno beneaugurale del secolo, e in quelle terre si registrarono solo 5 attentati.
Nel 2001 furono 40. Il 2002 avrebbe superato quella cifra, ma sarebbe stato ricordato perché il 27 gennaio
il secondo attentato dell’anno sarebbe stato compiuto da una donna, Wafa Idriss, la prima donna a buttare la propria vita pur di uccidere il nemico,
facendosi esplodere nel mucchio. Wafa aveva 28 anni, passati nel campo profughi di Amari, vicino Ramallah.
Aveva appena 12 anni al tempo della prima intifada e si era impegnata in un lavoro di assistenza umanitaria,
distribuzione di cibo, assistenza alle famiglie dei prigionieri. Si era sposata con un cugino a soli sedici anni (entrambe le cose non sono così rare, in quella società).

Aveva faticato a diventare madre: restò incinta a ventitrè anni, ma perse il bambino in un aborto spontaneo.
Probabilmente in conseguenza a questo, il marito aveva divorziato, e lei era tornata a vivere con la madre e il fratello.
E aveva preso a fare servizio volontario con la Mezzaluna Rossa, seguendo dei corsi di formazione e prestando la sua opera specie il venerdì,
quando dopo la preghiera, c’erano gli scontri (non sorprenda: era un appuntamento fisso per noi delle televisioni e per i fotografi, come un’agenda).

Idriss quel 27 gennaio 2002 riuscì a raggiungere il centro di Gerusalemme, Jaffa Road, una specie di Corso Buenos Aires a Milano.
Portava l’esplosivo in uno zainetto, invece che legato al corpo. Uccise, oltre a se stessa, solo un anziano di 81 anni, e ferì 100 persone.
La tecnica dello zainetto, il fatto che non avesse lasciato alcun testamento video,
lasciò per un po’ l’ incertezza se fosse davvero la prim terrorista suicida o solo una terrorista morta sul lavoro.

Ma le brigate di Al Aqsa rivendicarono l’operazione , con qualche giorno di ritardo: come se ci fosse stata incertezza e discussione sul ruolo della donna,
su questa grottesca raggiunta parità di genere. La sua famiglia dichiarò che, da infermiera, aveva visto troppo ragazzini feriti e uccisi durante le sassaiole,
in quell’impari scontro tra ciottoli e proiettili di gomma che spesso uccidevano.

La stampa araba parlò di lei come di una donna ferita dalle violenze del nemico:
“che si è fatta esplodere, e con lei ha fatto saltare tutti i miti sulla debolezza la sottomissione, la schiavitù delle donne”.

Neanche una parola, ovviamente, sull’ottantunenne, vittima collaterale di questi gloriosi traguardi.

Nel giro di due mesi, le altre due ragazze ne avrebbero seguito l’esempio: la cattiva infermiera, o l’infermiera cattiva,
un lavoro che presuppone la compassione e la cura delle sofferenze altrui come una qualifica professionale, aveva fatto scuola.

Torneremo al virus un’altra volta, e teniamoci stretti i nostri infermieri.
 
Rilancio con grande piacere questa splendida sintesi di Grossi che, da ex addetto ai lavori,
spiega con DISARMANTE CHIAREZZA E SEMPLICITA’ ( cui faccio i più sentiti complementi)
COME DA DECENNI I NOSTRI POLITICI CI STANNO SVENDENDO ALLA FINANZA SPECULATIVA
E AI POTENTATI PSICOTICI TEDESCHI E NORD EUROPEI IN GENERE,
CHE CONTROLLANO IN MODO FERREO LA COMMISSIONE EUROPEA.

Tutto questo è stato reso possibile da un’informazione pubblica e privata quasi tutta schierata a favore degli interessi degli stessi NEMICI DEL PAESE!

Non c’è da farla tanto lunga, siamo stati traditi dai politici che ci stanno rappresentando, perché l’incompetenza c’è,
ma dopo anni di bombardamento da parte di decine e decine di tecnici, economisti, filosofi, esperti, ex addetti ai lavori,
ex direttori di Ministeri, giudici presidenti di sezione del Consiglio di Stato, presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ecc., ecc.
l’ignoranza è impossibile.

Tutti i cittadini che hanno aperto gli occhi e capito la gravità di quanto è già successo e la ancor più grave minaccia,
per il bene individuale e collettivo degli italiani tutti, che ora incombe su tutti noi dobbiamo darci da fare,
abbandonare gli ego personali (pompati da 40 anni di individualismo neoliberista pompato in tutti i modi da tutti i media),
armarci di umiltà, spirito collettivo e UNIRE LE FORZE PER UNA REAZIONE DEMOCRATICA FORTISSIMA PER AVERE UN NUOVO GOVERNO
NON COLLABORAZIONISTA, CON PERSONE DI PROVATA ESPERIENZA
(NON UN FILOLOGO MINISTRO DEL TESORO E UN AVVOCATO CHE NON HA MAI GESTITO NEANCHE UNA CIRCOSCRIZIONE ) NEI POSTI CHIAVE.

L’ALTERNATIVA: PATRIMONIALI, FALLIMENTI BANCARI CON RISPARMI BRUCIATI DAL BAIL-IN,
TAGLIO DEGLI STIPENDI E/O LICENZIAMENTI DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI DIPENDENTI PUBBLICI,
TAGLIO DRACONIANO DELLE PENSIONI IN ESSERE, SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE, ECC., ECC.

LO STESSO FILM HORROR GIA’ VISTO IN GRECIA E ANCHE LI GUALTIERI
(IL FILOLOGO PRESTATO ALLA MACROECONOMIA) HA DATO IL SUO AMOREVOLE CONTRIBUTO:

  1. È stato relatore per la modifica dell’articolo 136 del Trattato di Lisbona che istituisce il MES

  2. Nel 2011 è stato, insieme a Guy Verhofstad, membro della squadra che aveva il compito di convincere i governi europei ad accettare il “Fiscal Compact”

  3. HA DIRETTO il Financial Assistance Working Group, finalizzato a verificare che la Grecia facesse “bene le riforme”
  4. (quelle che ho elencato poco sopra!) cioè tagli alla spesa (macelleria sociale) e cessione del patrimonio pubblico in cambio degli aiuti europei.
Una mossa diabolica mettere Gualtieri al tesoro:

sul grembiule “rosso” gli schizzi di sangue si vedono meno, per questo gli ex “compagni”
si sono stati trasformati dopo Tangentopoli nella spietata TRIVELLA DEL NEOLIBERISMO!!
 
Una trattativa fasulla. Perchè erano già d'accordo.

conte ha prima fatto finta di battere i pugni, "altrimenti faremo da soli",
poi ha mandato gualtieri a fare il lavoro sporco accordandosi su un accordo VERGOGNOSO
ma continuando a dire che il mes non l'avrebbe mai firmato.

Ora, giravolta delle giravolte, afferma che prima di dire no, occorrerà valutarne le condizionalità.

In pratica ha già detto, tra le righe, che firmerà un mes rimaneggiato nella facciata, ma uguale nella sostanza,
giusto per dare quel po' di fumo negli occhi per intortare l'opinione pubblica
già pronta ad essere inondata da strepiti di giubilo dei giornaloni su quanto questo accordo sia buono e giusto.

Questi non sono incompetenti (o non solo), sono TRADITORI.
 

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