Val
Torniamo alla LIRA
Perché non si parla di cosa succede nel Lazio di Zingaretti?
Esattamente come in Lombardia, molte case di riposo e persino ospedali pubblici
si sono trasformati in cimiteri del Covid-19, ma Travaglio tace e la magistratura non apre inchieste
“Lombardia canaglia”, intonano le testate giornalistiche più appiattite a difendere, nella trincea della guerra mediatica,
le vacillanti posizioni di conte e del suo governo sempre più a trazione Pd.
Le Procure fanno il loro lavoro e davanti alle “notitiae criminis” agiscono, come nel caso del Pio Albergo Trivulzio di Milano,
della Rsa di Mediglia e di altri luoghi di morte.
Curioso che le notitiae criminis arrivino solo il Lombardia, solo da sindacalisti o da organizzazioni di consumatori legate alla sinistra.
Così anche le inchieste danno nuova linfa agli aspiranti Travaglio, che rilanciano accuse contro i vertici regionali indigesti a Roma.
Già, Roma.
Ma da quelle parti, laddove il governatore si chiama Nicola Zingaretti, va tutto bene?
Se Travaglio e soci ponessero questa domanda a Frosinone, a Roma, a Civitavecchia, la risposta sarebbe: “nient’affatto, anzi”.
Nel Lazio che, giusto il 27 febbraio vedeva il suo presidente planare a Milano per bere aperitivi solidali sui navigli
e poi rintanarsi in casa colpito dal virus, le cose non vanno meglio.
Anche qui la morte aleggia sopra le Rsa, le case di riposo, persino gli hospice oncologici:
anche se le storie non sono raccontate per non disturbare certi conducenti.
Storie vere, con il loro carico di morte, di dolore e di atroci sospetti.
In provincia di Frosinone il coronavirus ha colpito subito duro al San Raffaele di Cassino,
poi anche alla struttura Hermitage di Fiuggi, e si è portato via decine di vite di anziani.
È di questi giorni il caso di Celleno, in provincia di Viterbo, diventato quarta zona rossa della Regione
a causa dell’altissimo numero di casi di Covid-19 riscontrati nella casa di riposo Villa Noemi.
Però è, forse, quello di Civitavecchia il caso più clamoroso, in cui non solo le strutture sanitarie convenzionate
ma, anche e soprattutto, quelle ospedaliere hanno mostrato una vulnerabilità incredibile.
Nella città portuale è stata la Rsa Madonna del Rosario a far registrare, probabilmente i primi casi, ma certezza non c’è.
Il coronavirus è stato registrato sia in quella struttura sia nel reparto di medicina del locale ospedale San Paolo,
dove ha dilagato fino a far pensare addirittura alla chiusura della struttura.
Alla fine, sia la Rsa che il reparto di medicina sono stati trasformati in centri Covid, quindi isolati dal resto del mondo,
ma il pedaggio pagato ai ritardi della Regione è stato pesantissimo.
Sia in termini di morti che, soprattutto, di contagi nel personale sanitario:
circa 70 tra medici e infermieri risultano nell’elenco dei positivi e, cosa gravissima,
prima di essere messi in quarantena, alcuni medici hanno operato in altri reparti.
Risultato: casi positivi in Pronto soccorso, tra gli operatori di altri reparti e persino in ostetricia,
con il drammatico risultato di quattro mamme trasferite con i loro neonati al Bambin Gesù: altro che Alzano.
Tornando alla Madonna del Rosario, i parenti delle vittime sono ora sul piede di guerra davanti a numeri
che di un conflitto richiamano in effetti il pesante pedaggio pagato: ben 42 pazienti contagiati su 55
(ovvero 4 su 5 e il numero non è aggiornato) dei quali 14, purtroppo, deceduti.
E, ancora, 16 operatori su 39 risultati positivi, dato anche questo non aggiornato.
Il comitato parenti che si è dovuto formare ha non solo fornito questi dati, ma contestato quelli dell’Asl e presentato formale denuncia:
“In relazione agli avvenimenti che coinvolgono, o hanno coinvolto, i nostri familiari degenti presso la Rsa Madonna del Rosario,
al cui interno si è sviluppato un focolaio Covid 19, abbiamo ritenuto opportuno presentare un esposto alla Pubblica Sicurezza
affinché si possa fare chiarezza su quanto accaduto”.
Peccato che, qui, la magistratura ancora non abbia aperto fascicoli,
inviato avvisi di garanzia e indetto conferenze stampa come fa quella lombarda.
Peccato che Marco Travaglio non abbia tempo per raccontarlo ai suoi lettori.
Esattamente come in Lombardia, molte case di riposo e persino ospedali pubblici
si sono trasformati in cimiteri del Covid-19, ma Travaglio tace e la magistratura non apre inchieste
“Lombardia canaglia”, intonano le testate giornalistiche più appiattite a difendere, nella trincea della guerra mediatica,
le vacillanti posizioni di conte e del suo governo sempre più a trazione Pd.
Le Procure fanno il loro lavoro e davanti alle “notitiae criminis” agiscono, come nel caso del Pio Albergo Trivulzio di Milano,
della Rsa di Mediglia e di altri luoghi di morte.
Curioso che le notitiae criminis arrivino solo il Lombardia, solo da sindacalisti o da organizzazioni di consumatori legate alla sinistra.
Così anche le inchieste danno nuova linfa agli aspiranti Travaglio, che rilanciano accuse contro i vertici regionali indigesti a Roma.
Già, Roma.
Ma da quelle parti, laddove il governatore si chiama Nicola Zingaretti, va tutto bene?
Se Travaglio e soci ponessero questa domanda a Frosinone, a Roma, a Civitavecchia, la risposta sarebbe: “nient’affatto, anzi”.
Nel Lazio che, giusto il 27 febbraio vedeva il suo presidente planare a Milano per bere aperitivi solidali sui navigli
e poi rintanarsi in casa colpito dal virus, le cose non vanno meglio.
Anche qui la morte aleggia sopra le Rsa, le case di riposo, persino gli hospice oncologici:
anche se le storie non sono raccontate per non disturbare certi conducenti.
Storie vere, con il loro carico di morte, di dolore e di atroci sospetti.
In provincia di Frosinone il coronavirus ha colpito subito duro al San Raffaele di Cassino,
poi anche alla struttura Hermitage di Fiuggi, e si è portato via decine di vite di anziani.
È di questi giorni il caso di Celleno, in provincia di Viterbo, diventato quarta zona rossa della Regione
a causa dell’altissimo numero di casi di Covid-19 riscontrati nella casa di riposo Villa Noemi.
Però è, forse, quello di Civitavecchia il caso più clamoroso, in cui non solo le strutture sanitarie convenzionate
ma, anche e soprattutto, quelle ospedaliere hanno mostrato una vulnerabilità incredibile.
Nella città portuale è stata la Rsa Madonna del Rosario a far registrare, probabilmente i primi casi, ma certezza non c’è.
Il coronavirus è stato registrato sia in quella struttura sia nel reparto di medicina del locale ospedale San Paolo,
dove ha dilagato fino a far pensare addirittura alla chiusura della struttura.
Alla fine, sia la Rsa che il reparto di medicina sono stati trasformati in centri Covid, quindi isolati dal resto del mondo,
ma il pedaggio pagato ai ritardi della Regione è stato pesantissimo.
Sia in termini di morti che, soprattutto, di contagi nel personale sanitario:
circa 70 tra medici e infermieri risultano nell’elenco dei positivi e, cosa gravissima,
prima di essere messi in quarantena, alcuni medici hanno operato in altri reparti.
Risultato: casi positivi in Pronto soccorso, tra gli operatori di altri reparti e persino in ostetricia,
con il drammatico risultato di quattro mamme trasferite con i loro neonati al Bambin Gesù: altro che Alzano.
Tornando alla Madonna del Rosario, i parenti delle vittime sono ora sul piede di guerra davanti a numeri
che di un conflitto richiamano in effetti il pesante pedaggio pagato: ben 42 pazienti contagiati su 55
(ovvero 4 su 5 e il numero non è aggiornato) dei quali 14, purtroppo, deceduti.
E, ancora, 16 operatori su 39 risultati positivi, dato anche questo non aggiornato.
Il comitato parenti che si è dovuto formare ha non solo fornito questi dati, ma contestato quelli dell’Asl e presentato formale denuncia:
“In relazione agli avvenimenti che coinvolgono, o hanno coinvolto, i nostri familiari degenti presso la Rsa Madonna del Rosario,
al cui interno si è sviluppato un focolaio Covid 19, abbiamo ritenuto opportuno presentare un esposto alla Pubblica Sicurezza
affinché si possa fare chiarezza su quanto accaduto”.
Peccato che, qui, la magistratura ancora non abbia aperto fascicoli,
inviato avvisi di garanzia e indetto conferenze stampa come fa quella lombarda.
Peccato che Marco Travaglio non abbia tempo per raccontarlo ai suoi lettori.