PER QUEST'ANNO LASCIATE PERDERE LA PROVA COSTUME... VI VEDO PIU' PRONTI PER LA PROVA DEL CUOCO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Perché non si parla di cosa succede nel Lazio di Zingaretti?

Esattamente come in Lombardia, molte case di riposo e persino ospedali pubblici
si sono trasformati in cimiteri del Covid-19, ma Travaglio tace e la magistratura non apre inchieste

“Lombardia canaglia”, intonano le testate giornalistiche più appiattite a difendere, nella trincea della guerra mediatica,
le vacillanti posizioni di conte e del suo governo sempre più a trazione Pd.

Le Procure fanno il loro lavoro e davanti alle “notitiae criminis” agiscono, come nel caso del Pio Albergo Trivulzio di Milano,
della Rsa di Mediglia e di altri luoghi di morte.

Curioso che le notitiae criminis arrivino solo il Lombardia, solo da sindacalisti o da organizzazioni di consumatori legate alla sinistra.

Così anche le inchieste danno nuova linfa agli aspiranti Travaglio, che rilanciano accuse contro i vertici regionali indigesti a Roma.

Già, Roma.

Ma da quelle parti, laddove il governatore si chiama Nicola Zingaretti, va tutto bene?

Se Travaglio e soci ponessero questa domanda a Frosinone, a Roma, a Civitavecchia, la risposta sarebbe: “nient’affatto, anzi”.

Nel Lazio che, giusto il 27 febbraio vedeva il suo presidente planare a Milano per bere aperitivi solidali sui navigli
e poi rintanarsi in casa colpito dal virus, le cose non vanno meglio.

Anche qui la morte aleggia sopra le Rsa, le case di riposo, persino gli hospice oncologici:
anche se le storie non sono raccontate per non disturbare certi conducenti.

Storie vere, con il loro carico di morte, di dolore e di atroci sospetti.

In provincia di Frosinone il coronavirus ha colpito subito duro al San Raffaele di Cassino,
poi anche alla struttura Hermitage di Fiuggi, e si è portato via decine di vite di anziani.

È di questi giorni il caso di Celleno, in provincia di Viterbo, diventato quarta zona rossa della Regione
a causa dell’altissimo numero di casi di Covid-19 riscontrati nella casa di riposo Villa Noemi.

Però è, forse, quello di Civitavecchia il caso più clamoroso, in cui non solo le strutture sanitarie convenzionate
ma, anche e soprattutto, quelle ospedaliere hanno mostrato una vulnerabilità incredibile.

Nella città portuale è stata la Rsa Madonna del Rosario a far registrare, probabilmente i primi casi, ma certezza non c’è.

Il coronavirus è stato registrato sia in quella struttura sia nel reparto di medicina del locale ospedale San Paolo,
dove ha dilagato fino a far pensare addirittura alla chiusura della struttura.

Alla fine, sia la Rsa che il reparto di medicina sono stati trasformati in centri Covid, quindi isolati dal resto del mondo,
ma il pedaggio pagato ai ritardi della Regione è stato pesantissimo.

Sia in termini di morti che, soprattutto, di contagi nel personale sanitario:
circa 70 tra medici e infermieri risultano nell’elenco dei positivi e, cosa gravissima,
prima di essere messi in quarantena, alcuni medici hanno operato in altri reparti.

Risultato: casi positivi in Pronto soccorso, tra gli operatori di altri reparti e persino in ostetricia,
con il drammatico risultato di quattro mamme trasferite con i loro neonati al Bambin Gesù: altro che Alzano.

Tornando alla Madonna del Rosario, i parenti delle vittime sono ora sul piede di guerra davanti a numeri
che di un conflitto richiamano in effetti il pesante pedaggio pagato: ben 42 pazienti contagiati su 55
(ovvero 4 su 5 e il numero non è aggiornato) dei quali 14, purtroppo, deceduti.

E, ancora, 16 operatori su 39 risultati positivi, dato anche questo non aggiornato.

Il comitato parenti che si è dovuto formare ha non solo fornito questi dati, ma contestato quelli dell’Asl e presentato formale denuncia:

“In relazione agli avvenimenti che coinvolgono, o hanno coinvolto, i nostri familiari degenti presso la Rsa Madonna del Rosario,
al cui interno si è sviluppato un focolaio Covid 19, abbiamo ritenuto opportuno presentare un esposto alla Pubblica Sicurezza
affinché si possa fare chiarezza su quanto accaduto”.

Peccato che, qui, la magistratura ancora non abbia aperto fascicoli,
inviato avvisi di garanzia e indetto conferenze stampa come fa quella lombarda.

Peccato che Marco Travaglio non abbia tempo per raccontarlo ai suoi lettori.
 

Val

Torniamo alla LIRA
.......e giusto per dare un punto a tutta questa manfrinata giocata dalla magistratura, a soli scopi politici
per una certa parte di politica, sarebbe sufficiente andare a rileggere gli articoli che venivano pubblicati in quei giorni.

Si scriveva di un "protocollo" attuato in tutta Italia, dove i posti in terapia intensiva erano - e lo sono ancora - minimi,
dove si diceva che venivano privilegiati pazienti non affetti da altre patologie e pazienti al di sotto di una
certa soglia di età. Questa è la pura e semplice verità.

I pazienti, ancora oggi, restano in casa e vengono ricoverati solo allo stadio pre-finale, sperando in Dio e la Madonna.

Per contro, perchè questa magistratura non ha mai indagato che ha fatto chiudere le strutture sanitarie ?

Chi ha tagliato a dismisura i letti di terapia intensiva ?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sembra di essere al circo....ma questi fanno piangere. E' desolante vedere come ci prendono per il kulo.
E tutti a dire beee beeee beeeeee



Altro che un uomo solo al comando.

I ministri del governo Conte «commissariano» il commissario per l'emergenza coronavirus Domenico Arcuri.

La struttura che affiancherà l'ad di Invitalia sarà composta da 39 persone.

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Quasi il doppio del numero (22) dei ministri che formano l'esecutivo giallorosso.

Un carrozzone per distribuire poltrone a consulenti, ufficiali delle forze dell'ordine,
funzionari di Palazzo Chigi, manager di Invitalia e collaboratori dei ministri.


Si ripropone un film già visto con la task-force guidata da Vittorio Colao.

Dove hanno trovato posto esperti della cerchia ristretta del premier Conte e dei ministri.

L'ordinanza (n.7 del 2020) che istituisce la struttura di crisi porta la data del primo aprile. Non c'è traccia dei compensi.

Ma nel provvedimento di costituzione si precisa che «la struttura commissariale dovrà muoversi in concerto con la Protezione civile».

Al vertice del governo per l'emergenza c'è Arcuri.

Poi a scendere sono state istituite delle micro-unità con compiti specifici.

I due angeli custodi di Arcuri sono Antonino Ilacqua e Massimo Paolucci.

Il primo sarà il legal advisor; si occuperà del controllo legale su tutti gli atti prodotti della struttura commissariale.
Ilacqua è il consigliere giuridico del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia.

Paolucci sarà il global advisor.
Avrà nelle proprie mani la responsabilità dell'acquisto di dispositivi e apparecchiature sanitarie.
Paolucci è una vecchia conoscenza della sinistra: ex parlamentare europeo,
oggi occupa la poltrona di capo della segreteria politica del ministro della Salute Roberto Speranza.

A delineare il profilo del braccio destro di Speranza è il giornale online Anteprima24:
Paolucci è un dalemiano di ferro che ha guidato, al fianco dell'ex governatore Antonio Bassolino,
il commissariato per l'emergenza rifiuti in Campania negli anni della crisi.

Da Napoli arriva anche il colonnello dei Carabinieri in pensione Rinaldo Ventriglia:
l'ufficiale dell'Arma avrà il controllo su voli e logistica.
In passato ha guidato il comando provinciale dei Carabinieri di Imperia.

Il team che avrà il monitoraggio sulle donazioni sarà composto da tre persone:
Luigi D'Angelo, un ex funzionario della Presidenza del consiglio,
Gabriella Forte, responsabile organizzazione e sviluppo di Invitalia,
e Federica Zaino, consulente di area Pd vicina al ministro del Sud Giuseppe Provenzano.

Ma la Zaino avrà anche la responsabilità delle relazioni istituzionali.
Del team relazione istituzionali oltre a Zaino faranno parte
Ermanna Sarullo, capo ufficio stampa ministro Boccia, e
Manuela Patella esperta in comunicazione istituzionale.

E tre saranno i componenti del team project management:
Raffaele Ruffo,
Silvia Fabrizi e
Davide Moriconi.

La struttura commissariale avrà una centrale unica per la raccolta dati.
L'unità sarà guidata da un manager di Invitalia: Mario Ettorre.

Per le richieste di incentivi da parte delle aziende è stato costituito un team ad hoc guidato da
Ernesto Somma, docente universitario di Politica industriale ed ex capo di gabinetto del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

Il nucleo analisi e programmazione sarà affidato alla guida di Andrea Urbani,
direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute.

Mentre la centrale unica per acquisti, contratti e gestione dei fornitori sarà guidata da Roberto Rizzardo (Invitalia).

Il colonnello dell'Aeronautica Tino Ivo, già alla Presidenza del consiglio,
avrà la responsabilità dei voli che trasportano il materiale sanitario.

Ma la distribuzione sarà di competenza del team guidato dal generale Pasquale Izzo,
ex gabinetto del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, considerato vicino al parlamentare dem Luca Lotti.

Un carrozzone di 39 persone.

Mentre un altro carrozzone, la task-force (17 persone) guidata da Vittorio Colao,
fatica a muovere i primi passi per dare avvio alla ripartenza.

«Un lavoro che è ancora in fase embrionale» spiega all'Huffpost uno degli esperti scelti da Conte

. Ieri c'è stata una prima riunione: un briefing di ascolto.

E si andrà avanti così, tra audizioni e riunioni, per i prossimi giorni. Il piano per la fase due è ancora molto lontano.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Le parabole si leggono ancora, il governo è riuscito in un altro miracolo :
ha moltiplicato le poltrone x gli amici e amici degli amici.

I compagni non si smentiscono la clientela la devi trattare bene e il negozio di voti va avanti.

Invece di moltiplicare i presidi sanitari indispensabili per tutelare tutti dal rischio di contagio, mascherine e camici, moltiplicano le poltrone.

Lui uno staff di 39 persone, Colao di 17: signori miei vi sembra cosa da niente ?

...altro DANNO ERARIALE.......ma la Corte dei Conti ??.. MAH...
 

Val

Torniamo alla LIRA
Mi sembra doveroso che ognuno di loro possa avere, di diritto, nello staff 9 portaborse,
10 reggipenne, 18 autisti, 14 portafazzoletti, 12 soffianaso, più almeno altri 17563 collaboratori per i collaboratori.

Chiedo al governo di assumere immediatamente gli altri o tutte queste task force non ce la faranno!
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ha definito il primo decreto di Conte “fuori legge” perché “non fissava un termine; non stabiliva le modalità di esercizio dei poteri”.

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale,
è stato molto duro con l’operato del premier nella gestione politica dell’emergenza coronavirus.

Lo ha ribadito ieri in un’intervista al quotidiano Il Dubbio, edito dal Consiglio nazionale forense.

Il giudizio sul premier

Il giurista ha spiegato che a palazzo Chigi siede un professore di diritto che avrebbe dovuto rimandare indietro i decreti e non firmarli.

Secondo Cassese, l’esecutivo ha emanato “una serie di norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme”.

Ed ha aggiunto che questo cattivo andamento è dovuto agli uffici di palazzo Chigi incaricati dell’attività legislativa.

L’accademico sottolinea come Parlamento e Presidente delle Repubblica siano rimasti esclusi nell’elaborazione delle norme,
“senza neppure il motivo dell’urgenza, perché l’uno e l’altro organo hanno corsie preferenziali o di emergenza”.


Quest’ultimo ha poi evidenziato che sarebbe bastato “ricorrere, almeno per quelli più importanti, a decreti presidenziali”
invece di abusare dei decreti del premier.

In sostanza, secondo il giurista si è verificata un’usurpazione dei poteri da parte del presidente del consiglio.

“Abbiamo assistito, da un lato, alla centralizzazione di un potere che era del ministro, nelle mani del presidente del Consiglio - ha precisato Cassese -.
Dall’altro, a una sottrazione di un potere che sarebbe stato ben più autorevole, se esercitato con atti presidenziali”.

Ieri è quindi venuta meno la fiducia dei poteri forti verso Conte.

Come riporta La Verità, non è solo l’emergenza coronavirus ad aver incrinato questo rapporto ma anche altri due fattori.

In primo luogo, la mancanza di un programma definito per la ripartenza e l’aiuto alle attività economiche.

In secondo luogo, la decisione del premier di attaccare duramente le opposizioni durante l’ultima conferenza stampa.

Per comprende cosa si stia muovendo dietro il malcontento dei giuristi verso Conte, occorre guardare alla Corte Costituzionale.

La Consulta è presieduta da Marta Cartabia, stimata da Cassese e da Matteo Renzi e in ottimi rapporti con Sergio Mattarella.

Secondo il quotidiano diretto da Belpietro, si sta pensando proprio a Cartabia come possibile successore di Conte, oltre a Mario Draghi.

A fine marzo la giurista è risultata positiva al coronavirus.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Chissà quante proposte demenziali circoleranno in futuro .....

L’arrivo della bella stagione – che per ora ci godiamo solo da finestre e balconi (i più fortunati anche dal giardino) –
ha portato gli italiani a chiedersi: “Quindi quest’anno niente mare?”.

Sta facendo il giro del Web, ed è già stata rimbalzata su tutti i media, l’idea di un’azienda modenese
che avrebbe proposto una strategia per “salvare le vacanze” agli italiani in tempi di distanziamento sociale da Coronavirus.

Che estate ci aspetta? In spiaggia sì, ma con dei box divisori in plexiglass…

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L’idea è venuta alla Nuova Neon Group 2, azienda modenese che ha proposto di “incapsulare” i bagnanti
con sdraio e ombrelloni in box di plexiglass che fungano da barriera anticontagio.

Una proposta che, nelle intenzioni dell’azienda, salverebbe le vacanze agli italiani,
ma anche gli stabilimenti balneari alle prese con le non facili gatte da pelare del distanziamento minimo,
dei due metri, del “droplet” e via dicendo.

Il progetto prevede box trasparenti con pareti di plexiglass e profili in alluminio, di 4,5 metri per lato
con un accesso da un metro e mezzo di ampiezza.

L’idea sarebbe di lasciare almeno tre metri tra un ombrellone e l’altro,
in aggiunta a barriere di plexiglass da interporre tra ogni coppia di lettini.



“Sparate estemporanee di qualcuno che vuole farsi pubblicità quando ora i problemi sono ben altri”
secondo Mauro Vanni, presidente della Cooperativa Bagnini Rimini Sud, altri hanno invece posto l’accento sul rischio effetto “sauna”.

Eppure le paratie anticontaminazione da Covid-19 sono già state previste in varie tipologie e dimensioni in plexiglass.

Barriere che per altro sono state studiate anche per scrivanie da ufficio, tavoli da bar e ristoranti,
banchi di vendita, banche, farmacie e qualsiasi tipo di attività commerciale…

Vedremo se la fantasia stavolta anticiperà la realtà o meno.

 

Val

Torniamo alla LIRA
Ora c’è l’ok da parte della Commissione e le aziende italiane possono finalmente accedere ai finanziamenti,
sia al 100% nel limite dei 25 mila euro, sia superiore con garanzie a scalare alla crescita del prestito.

Ci sono un bel po’ di pagine da compilare nell’allegato 4, scaricabile dal sito www.fondidigaranzia.it,
che magari analizzeremo con più calma, per chi vuole i 25 mila euro DI PRESTITO.

Perchè di prestito si tratta,soldi da rendere, anche se con garanzia dello Stato, ricordatevelo sempre.

Perchè un prestito? Per far risollevare l’economia? Forse, ma siamo sicuri che sia per questo?

Ricordiamo che, per ora le imposte sono state solo SOSPESE sino al 31 maggio.

Come sempre la sospensione prima o poi termina, e bisogna iniziare a pagare non solo le imposte successive,
ma, ratealmente, anche quelle precedenti. Se va bene rateizzeranno per 24-36 mesi senza interessi,
ma non cambia nulla: bisogna pagare, bisogna tirare fuori soldi liquidi, soldi liquidi che non ci sono.

Allora ecco giungere in aiuto lo stato: per i versamenti di giugno, che comprendono anche l’IMU
oltre che l’acconto su di una serie di imposte particolarmente importanti , come le imposte sui redditi e contributi per i lavoratori autonomi stessi.

Senza fatturato, senza incassi, come fare a pagare le tue tasse ed i tuoi contributi?

Semplice, con un bel prestito, e tutti vissero felici e contenti (o quasi).

Certo lo stato avrebbe potuto annullare, e non sospendere, le tre mensilità,
ma questo avrebbe necessitato un aumento del debito pubblico, che già toccherà il 150% del PIL ,
vista la riduzione prevista del PIL stesso, pari al 9% secondo le previsioni del FMI (noi lo diciamo da Gennaio, ma…. non siamo il FMI).

Allora l’idea è semplice: visto che il debito privato è ancora basso, rispetto a quello di altri paesi come Francia ed Olanda,
facciamo indebitare gli italiani, ma non lo stato, che interviene solo come debito implicito legato alle garanzie.

Il problema è che lo stato si può indebitare presso la Banca Centrale Europea, i privati no.

Lo Stato volendo, ha la possibilità di recuperare la potestà monetaria, il privato no.

Quindi, nella scelta lo stato ha preferito una propria (apparente) solidità a quella dei suoi cittadini.

Ora vedremo se i cittadini cadranno nella trappola del debito facile, o se saranno più coerenti rispetto ai propri governanti.

Perchè solo uno sconsiderato fa debito, quando non ha la certezza di poterlo ripagare, e lo Stato per ora questa certezza non la dà.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L'obiettivo di spostare il debito pubblico sulla ricchezza privata è sempre stato un desiderio dei nostri amici nord europei.

Questi nordici hanno sempre mal tollerato che la nostra ricchezza privata sia tra le prime tre del mondo.

La soluzione d'indebitarsi per pagare i debiti oltre che folle, si ripercuoterà sul debito pubblico in modo massiccio.

Inoltre è evidente che buona parte della ricchezza privata, di coloro che sono stati colpiti dal questa crisi, passerà a miglior vita.

Uno stato che non investe, massicciamente, a fondo perduto, ,in queste situazioni, a tutela, prima di tutto di se stesso,
è uno stato che non ha capito bene quale debba essere il suo ruolo, o peggio ha altre mire, alleanze particolari,
che non sono, ne potrebbero essere, nell'interesse nazionale.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La Commissione europea ha dato il via libera al cosiddetto “Decreto liquidità”
(Decreto legge n° 23/2020) con cui il Governo, per far fronte alle gravi conseguenze economiche
causate dall’emergenza derivante dall’epidemia di Covid-19 e dal conseguente lockdown
e in particolare per sostenere la liquidità delle imprese messe in crisi dal crollo dei fatturati
e dalla difficoltà di riscossione dei crediti, ha previsto un sistema di garanzie pubbliche sui prestiti concessi
da banche, istituzioni finanziarie ed altri soggetti abilitati all’esercizio del credito,
attraverso l’intervento di Sace spa per le imprese medio grandi nonché per quelle medio piccole,
lavoratori autonomi e liberi professionisti titolari di Partita Iva, che abbiano pienamente utilizzato
la loro capacità di accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

La pronta emanazione da parte dell’Associazione bancaria italiana di un’apposita circolare esplicativa
consente sin d’ora l’avvio delle pratiche presso gli istituti, anche se per l’effettiva erogazione
dei finanziamenti oltre i 25mila euro occorrerà attendere i regolamenti e le indicazioni di Sace e Fondo di garanzia,
e per quelli alle imprese di maggiori dimensioni (quelle con fatturato superiore a 1,5 miliardi o con più di 5mila dipendenti)
l’approvazione di un apposito decreto del ministro dell’Economia.

Ebbene, quali che siano le tempistiche, prima di attivarsi per la richiesta, è opportuno che i potenziali beneficiari,
valutino con attenzione i vincoli che la legge pone a loro carico una volta che avranno ottenuto il previsto finanziamento garantito da Sace.

In particolare, occorre porre molta attenzione a quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, lettera l) del Decreto liquidità:

“l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”.

Per quanto la norma si presenti generica e gravemente imprecisa, sollevando un complesso di interrogativi di non facile soluzione,
nei sui termini essenziali il precetto è chiaro: l’impresa che accede al finanziamento rinuncia al potere
di licenziare unilateralmente i propri dipendenti per ragioni economiche.


In altre parole, qualora intenda effettuare una riduzione di personale, anche di una sola unità,
il datore di lavoro dovrà ottenere il nulla osta del sindacato che, come esperienza insegna,
è poco probabile possa mostrarsi particolarmente aperto e disponibile al riguardo.

Sotto il profilo politico, non può non rimarcarsi l’assoluta inopportunità della previsione, al contempo irritante, costituzionalmente disarmonica e irrazionale.

Irritante perché appare con tutta evidenza figlia di una sempre più pervasiva e corrosiva ansia di moralizzazione,
laddove la morale, si sa, è per definizione appartenente alla sfera delle convinzioni personali
e mai dovrebbe fare ingresso nelle sedi dove si formano le leggi.

Costituzionalmente disarmonica in quanto assegna al sindacato un inedito potere di incidere sulle scelte dell’impresa,
ignorando il principio sancito dall’articolo 41, secondo cui l’iniziativa economica privata è libera
col solo limite che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana e con ciò alterando la geometria degli equilibri fra capitale e lavoro disegnata dai padri costituenti.

Priva di razionalità, perché legare per il futuro le mani ad imprenditori già sottoposti a forte stress economico-finanziario,
per di più per un periodo di tempo potenzialmente non brevissimo (fino a sei anni),
imponendo vincoli organizzativi ulteriori rispetto a quelli (assai stringenti) già esistenti,
rischia di compromettere il conseguimento degli obiettivi di fondo che la legge, a parole, si propone:
“contenere”, per le imprese, “gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica Covid-19
sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale” e quindi favorire la ripresa delle attività ed evitare il rischio di chiusure definitive.

Come può – vi è da chiedersi – un’impresa già oggi in difficoltà, con davanti scenari inediti e un futuro incerto,
impegnarsi per gli anni a venire a mantenere i livelli occupazionali?

O (che più o meno è la stessa cosa) ad adottare ogni decisione organizzativa in accordo col sindacato?

Anche passando al piano tecnico giuridico le criticità che emergono sono numerose,
al punto da rendere la norma così enigmatica che per la sua interpretazione
andrebbe invocata l’opera di un chiromante più che quella di un giurista.

Mi limiterò qui a segnalarne solo alcune, le più rilevanti.

Innanzitutto, la legge non stabilisce la durata del vincolo, che dunque dovrebbe coincidere con quella del finanziamento,
con potenziale estensione fino a sei anni, né quali siano i “livelli occupazionali” di riferimento:
quelli al momento dell’entrata in vigore del decreto, della richiesta di finanziamento, della sua erogazione,
o addirittura quelli man mano raggiunti in seguito, così che si potrà andare solo in avanti e mai indietro?

In secondo luogo, non viene specificato quale sia il soggetto abilitato a sottoscrivere gli “appositi accordi”, né il livello di questi ultimi.

Si può immaginare che lo strumento più adatto sia il contratto aziendale, stipulato dalle rappresentanze sindacali aziendali (Rsa o Rsu)
o, in mancanza di queste, un accordo con le organizzazioni sindacali a livello provinciale.

Ma un chiarimento sarebbe opportuno.

Così come sarebbe bene precisare se l’accordo possa essere concluso con qualunque sindacato o solo con quelli comparativamente più rappresentativi.

E ancora: non è chiaro in che modo la previsione debba raccordarsi con le regole procedurali vigenti in tema di licenziamenti collettivi
(articolo 4, 1egge n° 223 del 1991) o di licenziamento per motivo oggettivo nelle imprese medio grandi
cui si applichi l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (articolo 7, 1egge n° 604 del 1966).

I licenziamenti saranno validi solo laddove in sede di procedura sindacale (articolo 4, legge 223/1991)
o davanti all’Ispettorato del lavoro (articolo 7, legge n° 604/1966) venga raggiunto un accordo
(che entrambe le leggi peraltro configurano come eventuale)?

Non si tratta di questioni di poco conto dal momento che, trattandosi di una norma imperativa,
la sua violazione comporta la nullità del provvedimento adottato

. Il che, in altri termini, significa che, in caso di licenziamento, il datore di lavoro, a prescindere dal regime di tutela applicabile,
si vedrà applicata la sanzione più grave (reintegrazione e pagamento di tutte le retribuzioni e di tutti i contributi pregressi).

Senza contare che, trattandosi di una norma che assegna uno specifico diritto al sindacato, quest’ultimo, se by-passato,
potrebbe anche avvalersi della procedura di repressione della condotta antisindacale prevista dall’articolo 28
dello Statuto dei lavoratori (ancora una volta con gravi conseguenze per l’impresa).

Infine, “gestione dei livelli occupazionali” è termine estremamente generico e astrattamente idoneo a comprendere operazioni della più varia natura.

Che dire di una cessione di un ramo d’azienda?
O della scelta di non partecipare alla gara di appalto per il rinnovo di una commessa?

O della decisione di richiedere l’intervento della Cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria o l’attivazione della solidarietà?
O finanche (perché no?) del ricorso alla somministrazione di lavoro o dell’assunzione di lavoratori stagionali?

Non si tratta forse di operazioni che impattano sui i livelli occupazionali?

In conclusione, sperare in un passo indietro e in un’eliminazione della previsione forse è eccessivamente ottimistico
(il furore ideologico dei nuovi crociati appare troppo saldo), ma almeno un intervento chiarificatore,
casomai sulla scorta del consiglio di qualche esperto, in sede di conversione è il minimo che è lecito attendersi:
evitiamo alle imprese, già in difficoltà, inutili lacci e l’ulteriore carico rappresentato dall’incertezza del quadro regolatorio.
 

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