PILLOLE DI SAGGEZZA LE ABBIAMO FINITE. PASSIAMO ALLE SUPPOSTE

Sentiamo spesso in televisione che l’euro ci avrebbe salvato dalla svalutazione (?)
e allora la narrazione mainstream ci ha costruito una narrazione per cui l’euro ci salva mentre tornare alla “liretta” sarebbe un disastro.


Non starò a ripetere il terrorismo mediatico, che conosciamo tutti a grandi linee
(inflazione alle stelle, crollo del PIL, raddoppio della benzina, perdita del potere d’acquisto ecc…)

Spesso chi sostiene queste “tesi”, sono persone che ignorano, o fanno finta di non sapere, questi semplici fatti.

1) Le oscillazioni monetarie sono la normalità, avvengono tutti i giorni (tranne weekend e festivi)

2) Le oscillazioni monetarie sono bilaterali: se c’è una moneta che si svaluta c’è simmetricamente l’altra moneta che si rivaluta (e viceversa)

3) Le oscillazioni di una moneta possono avere andamenti diversi fra le diverse monete (svalutare su A e contemporanemente rivalutare su B)

4) Anche l’euro guadagna o perde valore nei confronti delle altre valute mondiali.

Mi riallaccio all’ultimo punto, anche perché – ascoltando in TV i sostenitori dell’euro –
l’euro in questi anni sarebbe stato immune da questo fenomeno, ma ovviamente non è così.

Attraverso il servizio tassi di cambio della Banca d’Italia, analizzeremo l’andamento dell’euro nei confronti delle principali valute mondiali.

Prendiamo le quotazioni di: dollaro USA, sterlina, franco svizzero, yuan (la moneta cinese), yen giapponese e dollaro canadese.


Segue tabella con le medie annue dal 2008 al 2019.

Vediamo come si è comportata la moneta unica l’indomani del crollo della Lehman Brothers.

Il valore di 1€ in X valuta estera, un aumento dell’indice significa rivalutazione dell’euro, viceversa una svalutazione dell’euro.


Per comodità ho approssimato alla seconda cifra decimale, la tabella si legge così, vediamo un paio di esempi:

– nel 2008 un euro acquistava 1,47 dollari USA, mentre nel 2009 valeva 1,39$ dunque l’euro si è svalutato

– nel 2015 un euro valeva 0,73 sterline dopo un anno lo stesso euro acquistava 0,82£ dunque l’euro si è rivalutato

Bene chiarito come funziona la tabella, facciamo 100 il valore del 2008 e vediamo l’evoluzione del tasso di cambio rispetto alle 6 valute prese in esame


Altro esempio: nel 2008 un euro valeva 152 Yen, nel 2012 lo stesso euro 102 Yen.

Eseguiamo una semplice proporzione

152 : 100 = 102 : X

Con X che vale 67, dunque l’euro si era svalutato del 33% (avete mai letto titoli del tipo “Yen in caduta libera”?)

Con questi semplici passaggi calcoliamo tutti gli anni per tutte le monete prese in considerazione.

Ecco i risultati da cui è stato ricavato il grafico di prima.



LA SVALUTAZIONE DEL 2015
Nell’arco di tempo considerato, dal 2014 al 2015 si nota un crollo dell’euro su tutte e 6 le valute prese in esame

Se nel 2014 avevamo 1€ = 1,33$ l’anno dopo lo stesso euro valeva 1,11 dollari americani. Di quanto di è svalutato l’euro?

(1,33 – 1,11) / 1,33 = 0,165 che in percentuale diventa il 16,5%

Vale a dire una svalutazione del 16,5% rispetto all’anno precedente.

E sapete come titolavano i giornali di 5 anni fa?



Per esempio l’Huffington Post (foto sopra) celebrava così la svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro:
l’export mette il turbo, più turisti dall’America, benzina in calo, costi di importazione compensati dalle maggiori vendite all’estero.

Perché benzina in calo?
Per la diminuzione del costo del greggio che tuttoggi rimane al minimo storico.

Argomentazioni simili venivano riportata anche su “L’espresso“.



Niente cavallette come vedete…

GLI ANDAMENTI DEL 2019
Ecco com’erano le quotazioni rispetto al 2008, alla fine del passato anno

  • L’euro ha perso il 23,88% sul dollaro USA
  • L’euro ha guadagnato il 10,23% rispetto alla sterlina
  • L’euro si è svalutato del 29,92% sul franco svizzero
  • L’euro ha perso il 24,34% rispetto al yuan
  • L’euro si è svalutato del 19,97% sullo yen
  • L’euro ha perso il 4,74% rispetto al dollaro canadese
 
UN FOCUS SUL FRANCO SVIZZERO

In questo esame vince a mani basse la moneta elvetica.

Il franco svizzero è da sempre un bene rifugio, specie in caso di crisi.

Dopo la crisi del 2008 il franco svizzero era molto richiesto, questo ha causato il continuo apprezzamento del franco (e simmetricamente la svalutazione dell’euro).

Nel 2011 la banca centrale svizzera reputava pericoloso un così forte apprezzamento del franco sull’euro.

Dal settembre 2011 al gennaio 2015 la banca nazionale svizzera aveva attuato una misura chiamata “cambio minimo

Ecco in cosa consisteva, è stato spiegato dalla BNS in un video in italiano caricato sul loro canale YouTube.

Segue la trascrizione dal minuto 10:00 al minuto 11:31

« Come già avvenuto in precedenza, in tempi di grande incertezza, il Franco Svizzero (CHF) diventa una valuta ricercata.

Il Franco si è fortemente apprezzato raggiungendo valori record rispetto all’Euro e al Dollaro USA:
il drastico apprezzamento del Franco rischiava di causare gravi danni all’economia svizzera.


In tali circostanze critiche la Banca Nazionale ha deciso di acquistare valuta estera in grande quantità per frenare l’apprezzamento.
Nel settembre 2011 ha persino introdotto – temporaneamente – un tasso di cambio minimo rispetto all’Euro.


Philipp M. Hildebrand (Presidente della Direzione generale della BNS) il 6 settembre 2011 ha detto:
“A partire da questo momento non tollererà un cambio euro-franco sotto 1,20”.

Grazie alla soglia minima di cambio, la Banca Nazionale ha potuto arrestare l’apprezzamento del Franco.

Il cambio minimo è rimasto in vigore per oltre 3 anni, durante i quali l’economia svizzera si è ristabilita ed è tornata la fiducia nel Dollaro USA.

Verso la fine del 2014 è divenuto sempre più evidente che l’euro si sarebbe nettamente indebolito rispetto a tutte le altre principali valute.

Ciò faceva prevedere che il mantenimento del cambio minimo avrebbe comportato continui e ingenti acquisti di valuta estera.
Di fronte a tali circostanze, nel gennaio 2015, la Banca Nazionale ha abolito il cambio minimo rispetto all’euro.
»

Per quelli che “il problema è la casta e non l’euro”, la Svizzera non è un paese sospettabile di avere casta, cricca, corruzione
eppure la loro banca centrale – in un video ufficiale – ammette tranquillamente che ritrovarsi con una moneta sopravvaluta
avrebbe mandato l’economia elvetica a gambe all’aria!

E sapete che cosa è successo quando, nel gennaio 2015, la BNS ha abbandonato il cambio minimo?

Ecco qui un breve riassunto di 2 minuti.


CONCLUSIONI
Come avete visto, sinchè le monete seguono la legge della domanda e dell’offerta, il caso del franco prima citato penso sia lampante.

Se c’è richiesta del franco quindi il suo valore cresce, salvo – come avete visto – interventi dell’autorità monetaria nella direzione voluta,
in questo caso quello di impedire, temporaneamente, una rivalutazione nei confronti dell’euro (che poi ci fu lo stesso).

Facciamo un altro esempio che in molti già conoscono



FONTE: Banca d’Italia – rapporto annuale sul 1992 (pag 325)

Fino al settembre 1992, nel sistema monetario europeo, la Banca d’Italia interveniva per evitare la svalutazione della lira sul marco tedesco
attraverso la dilapazione delle sue riserve valutarie (48 miliardi di dollari…).

Se oggi tornassimo alla lira partiamo da una situazione in cui, da anni, la bilancia commerciale è complessivamente in attivo (fonte Istat).



Dunque non è affatto scontata una svalutazione della nostra nuova lira:
negli ultimi anni con Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera abbiamo una posizione di esportatori netti (foto sotto).

In assenza di interventi dell’autorità monetaria, la tendenza della nuova lira su dollaro USA, sterlina e franco svizzero seguirà la via della rivalutazione.



FONTE: elaborazione su dati MISE – Tabelle 5A e 5B

Verosimile invece una svalutazione sulla moneta cinese, al semplice scopo di riequilibrare i conti con l’estero.

Come avete visto su alcuni paesi dell’eurozona siamo in surplus (Francia e Spagna)
con altri in deficit commerciale (Germania, Paesi Bassi e Belgio),
bisognerebbe quindi vedere la posizione complessiva di tutti i restanti 18 paesi dell’area euro
(saldo Germania + Saldo francia ecc) per capire se serve o meno una svalutazione sull’euro.

Pertanto se domani dovessimo uscire dall’euro, e l’euro non crolla ma perde solo un membro,
una possibile svalutazione della nuova lira sul vecchio conio unionista sarà solo un bene per la nostra economia
(dopo oltre 20 anni di cambio fisso con i nostri competitor).



FONTE: Ministero dello Sviluppo Economico – Tabella 8B

Per chi non lo sapesse le principali importazioni dai paesi dell’eurozona sono i prodotti finiti, in particolare le automobili tedesche e francesi.
E in assoluto le automobili sono la principale voce di importazione del nostro paese,
sempre parlando del 2016-2017-2018, molto più che del petrolio greggio, pensate!

Chiusa parentesi, torniamo a parlare dell’euro: delle notevoli svalutazioni dell’euro (20-30%) che ci sono state in questi anni,
nessuno si è accorto di nulla… o avete visto carriole di euro al confine con la Svizzera?

Infine in questo momento il Regno Unito, che al contrario di noi è un paese importatore netto,
si ritrova con una sterlina più debole di circa il 10% sull’euro: vi risulta che gli inglesi si siano impoveriti del 10%?
Che hanno l’inflazione al 10%? Che il PIL sia crollato del 10%? Ovviamente no.

Se siete arrivati fino a questo punto avrete capito che le dinamiche dei cambi hanno ben poco effetto sulle vite quotidiane,
salvo fare ogni giorno la spesa a New York o a Pechino.

E che una svalutazione della nuova lira nei confronti dell’euro deve preoccupare
solo per chi lavora per gli importatori, in particolare le case automobilistiche tedesche…
 
Quale futuro in mano a questi pezzenti ?
italia-impic.jpg
 
Dopo 2 mesi di lockdown, ci ritroviamo con libertà calpestate, un’economia distrutta,
un governo che non ha ancora messo un euro vero nelle tasche di famiglie e imprese
preferendo aspettare l’Europa…cosa che non è avvenuta, né avverrà perché dovremo fare le riforme : il MES ce lo chiederà!

Ad oggi non è stata avviata nessuna defiscalizzazione, detassazione o sburocratizzazione
ed in questa situazione emergenziale sono misure che si possono rivelare essenziali
con la riduzione o la sospensione della tassazione e l’introduzione di una flat tax.

Sorge il sospetto che prolungare il lockdown serva più che altro a Conte per blindarsi a Palazzo Chigi,
allontanare i fantasmi di Draghi e Colao, per mantenere un governo traballante:
finchè si passa da una fase all’altra, ma sempre nell’emergenza e in un clima da democrazia sospesa
non è possibile nemmeno immaginare un cambio al timone.

Più fasi ci saranno, più il governo sarà stabile!

Ascoltando l’ ultimo discorso del Premier, dalle sue parole (ma riprese anche da esponenti di governo con Di Maio e d’Incà)
si deduce che ci sia la tentazione di approfittare dell’emergenza e della soppressione delle libertà costituzionali per dar vita
a qualche “esperimento di ingegneria sociale ed economica”.

Lo stesso Presidente ha di fatto preannunciato “una stagione intensa di riforme”,
parlato di “occasione per cambiare radicalmente le cose che non vanno”.

Parla quindi di riforme in pieno lockdown?

Con un parlamento che si riunisce a singhiozzo?

Con la metà dei parlamentari in aula e il minimo delle votazioni?

Con la gente chiusa in casa che non può manifestare,
i posti di blocco,
i diritti politici (di riunione e associazione) sospesi,
le elezioni rinviate?

Altra nota stonata del discorso sono alcune parole ripetute come mantra :
“noi concediamo…noi permettiamo…noi vietiamo…noi impediamo”…

Espressioni che mettono apertamente in discussione le libertà fondamentali dei cittadini e che sono garantite dalla Costituzione, scritte nel diritto naturale.


Per questi motivi, non si può pensare di essere fuori dal lockdown, fuori dalla FASE 1
perché vige ancora l’imposizione di una quarantena e con la solita promessa di un sostegno economico…
una promessa che a breve si trasformerà in carta straccia perché saranno migliaia le attività
che prima del 1 giugno dichiareranno fallimento e non potranno riaprire.

Gli italiani per due mesi hanno accettato di compiere sacrifici inimmaginabili, convinti che tutto questo
ci avrebbe portato a esser pronti nel momento della ripartenza.

Adesso invece emerge il timore che a essere più pericoloso del virus sia proprio chi ha il compito e il dovere di porre fine a questa tragedia.

E’ arrivato il momento per i leader delle opposizioni di assumersi la responsabilità di iniziative straordinarie,
perché il sospetto è che l’ora più buia non sia già alle nostre spalle, ma davanti a noi.
 
Mai dalla fine della seconda guerra mondiale un pdc si era spinto tanto in là con la violazione della costituzione,
calpestando diritti fondamentali inviolabili.

Se anche la maggioranza di governo è preoccupata (Delrio esorta conte ad abbandonare i dpcm per tornare a dar voce al parlamento)
direi che sta emergendo in maniera netta un serio problema democratico nel paese.

Sia le opposizioni che la stessa maggioranza stanno lanciando un allarme circa la democraticità del pdc, ma dal colle tutto tace.

Questi fatti sono gravissimi e dovranno essere affrontati nelle sedi opportune.

Conte dovrà rispondere di ciò che sta facendo.
 
Chi sa quali poteri si nascondano dietro Conte ? Questo non stupisce affatto.
Non stupisce nemmeno il rilascio di 400 capi mafia.
 
Gira voce che nel napoletano stanno girando per le case tizi con cesti alimentari,
si propongono per saldare le bollette e i pagamenti.

La mafia la stanno utilizzando come ammortizzatore sociale , non è un caso che li abbiano liberati.

Un domani chiederanno poi il ricambio dei favori fatti.

In questa emergenza la mafia sta lavorando egregiamente.

..........mi vien da pensare, ma sono proprio grullo, non è che m5s ha preso i voti tutti al sud e deve ricompensare.......
 
Ma questi decreti amministrativi che Giuseppe Conte sforna a getto continuo chi li scrive materialmente?

Chi sarà mai lo scrivano notturno che faticherà durante le ore destinate al sonno
per mettere sulla carta le disposizioni del capo del governo?

Non è facile identificarlo, ma una cosa si può dire con adeguata certezza:
la circostanza che Conte comunichi a reti unificate le sue deliberazioni verso le 20, cioè verso l’ora di cena,
obbliga l’ignoto scrivano a mettere nero su bianco verso le ore piccole e da qui forse, per stanchezza, gli strafalcioni.

Uno su tutti e di cui oggi molti parlano, riferito al termine “congiunto”,
cioè a quel Tizio che sarebbe possibile visitare subito dopo il 4 di maggio.

Il decreto non parla di parenti, di coniugi, benché separati, di affini (cioè i parenti del coniuge), di germani o di consanguinei,
tutti termini che sono giuridicamente significativi e che avrebbero permesso – anche attraverso la determinazione del grado di parentela
una individuazione certa delle persone che sarebbe stato possibile incontrare senza problemi.

No. Troppo facile.

Meglio usare un termine non giuridico e spiazzante in quanto di spiccato carattere sociologico: appunto, congiunto.

Ebbene, chi sarebbe questo congiunto?

Ipotizzando che congiunti siano già per definizione parenti, coniugi ed affini,
congiunto dovrebbe essere qualcuno che, pur non essendo nulla di tutto quello che precede,
tuttavia sarebbe a noi legato da un qualche vincolo “di congiunzione”.

E allora chi, di grazia?

Un fidanzato?

Un convivente?

E poi: che tipo di fidanzato o di convivente?

Infatti, non tutti i fidanzati e non tutte le fidanzate sono eguali.

Ci sono i fidanzamenti stabili – ci dice la presidenza del Consiglio – e quelli instabili: ringraziamo per l’informazione. Benissimo.

Quali sono i primi e quali i secondi?

E quando un fidanzamento può definirsi stabile?

Dopo un mese?

Dopo un anno?

E a partire da quando?

Dalla dichiarazione di uno dei due?

O dal primo bacio?

E poi come si fa a determinare con esattezza il momento iniziale, al fine di chiarire se si tatti di un fidanzamento stabile o non stabile?

E se due fidanzati stabili invece litigano non sarebbero più stabili?

E se il litigio, a sua volta, fosse poco stabilizzato, indirizzandoli verso una riappacificazione, tornerebbero ad essere stabili?

O no?

E cosa dovrebbero fare carabinieri e personale di controllo di fronte a queste evenienze, se non cercare di non impazzire del tutto?

E due amici – eterosessuali – se legati da sincero e virile affetto pluridecennale non potrebbero forse definirsi congiunti?

E in caso negativo, perché no?

Non son forse essi ancor più legati – congiunti – di quanto possano esserlo due fidanzati qualunque,
magari in perenne litigio e perciò a lor modo poco o niente affatto congiunti, perché non stabili?

Vogliamo investire la Corte di Cassazione – che evidentemente non ha altro da fare – di questa sottile disputa ermeneutica?

Tutte, evidentemente, domande surreali che non meriterebbero un minuto di tempo di attenzione,
ma necessarie per sciogliere gli enigmi inesplicabili che il decreto di Conte sollecita.

Ma tutte domande senza risposta o, se si vuole, a risposta multipla, che è come dire destinate alla inutilità presente e futura.

Per queste ragioni, viene spontanea la domanda su Conte, con tutto il rispetto.

È lui che detta queste parole, così lontane dal normale lessico del giurista?

O qualcun altro?

Che abbia qui un qualche ruolo il suo impagabile portavoce – noto esperto di diritto – Rocco Casalino?

E perché?

E Conte, prima di licenziare un testo, se lo rilegge?

O no?

E non sa Conte che le norme giuridiche non possono mai – proprio per la loro natura indeterminata –
dettare prescrizioni a partire dai sentimenti degli esseri umani?


E che per questo – per esempio – le norme del codice civile sul matrimonio non una sola volta parlano di amore?

Le regole del Codice civile sul matrimonio disciplinano infatti la convivenza, l’assistenza, la prole,
ma neppure per sbaglio mettono bocca sui reciproci sentimenti: questi non sono giuridificabili.


Questo sapeva il legislatore del 1942.

Ben altro fa quello odierno, che non capisce cose così semplici.

Ancora una volta, allora, annoto, malinconicamente: ma non si poteva evitare questo Circo Barnum di surreali interpretazioni inutili e nocive?

Si.

Si poteva.

Ma non si volle.
 
Lentamente comincia a crescere la consapevolezza che la ripresa
non è unicamente un problema di rilancio del lavoro, della produzione,
del commercio e dell’economia ma anche e soprattutto una questione di libertà.

La consapevolezza è che un Paese di sessanta milioni di cittadini non può rimanere all’infinito in uno stato di detenzione domiciliare,
interrotto da qualche ora d’aria, anch’essa esposta a controlli carichi di minacce di sanzioni.

La ripresa, quindi, prima che un problema economico è un problema di libertà,
deve quindi essere inevitabilmente segnata dalla riaffermazione
e dall’applicazione di quel valore che rappresenta il principio ispiratore della Costituzione repubblicana,
che ha visto la luce proprio per ribadire e difendere quella libertà che il popolo italiano
aveva faticosamente e drammaticamente recuperato dopo vent’anni di regime autoritario.

Neppure la celebrazione dell’anniversario della Liberazione è riuscita a far comprendere all’attuale governo
che la Fase due deve avere per la stragrande maggioranza del popolo italiano lo stesso significato
e comportare le stesse conseguenze della liberazione dal fascismo.

Si può anche pensare, come fanno alcuni esponenti dello schieramento governativo,
che sia stato un errore abituare gli italiani a non considerarsi più servi e sudditi
o come erano stati costretti ad essere durante i lunghi secoli di servaggio ai potenti di turno.

Ma il sapore della libertà è stato ormai assaporato ed è naturale che dopo un periodo di ritorno ad uno stato di segregazione,
seppur domestica, possa tornare il desiderio di una libertà perduta.

Un desiderio affiancato da un sentimento sempre più forte,
la paura di tornare a vestire i panni dei sudditi a causa del governo meno affidabile e più incapace della stori repubblicana.

Cresce, dunque, la necessità di uscire dalla detenzione domiciliare ma anche di liberarsi dei dilettanti
che non hanno la minima idea di come traghettare il Paese fuori dall’emergenza.
 
L’avevamo capito da tempo: ogni volta che una delle tante conferenze stampa di Giuseppe Conte
si apre con i soliti slogan banali, si chiude con il solito decreto
allo scopo di confermare costrizioni e limitazioni di libertà e diritti individuali,
qua e là temperate da minime concessioni.

Un decreto, quest’ultimo, che ha la pretesa di aprire la Fase due o della ricostruzione.

Rischiamo di essere noiosi a insistere su questa “decretite”,
se non fosse che ad ogni sua esternazione, con applicazione immediata,
si compisse un nuovo passo avanti nell’emarginazione del ruolo del Parlamento
e dunque dell’opposizione proprio nella sede che rappresenta la volontà popolare.

E già qualcuno osserva che stiamo viaggiando verso un colpo o “colpetto” di Stato.

A tal proposito non va dimenticato che la forza maggiore nel governo è quel Movimento 5 Stelle
che ha condotto già in tempi non lontani una campagna di delegittimazione dei “soliti politici corrotti” seduti in Camera e Senato,
e lo sventolio della bandiera col simbolo dell’uno uguale a uno nascondeva sotto un egualitarismo di facciata,
un populismo di pura demagogia occultando e negando, a sua volta, l’essenza stessa e la ragion d’essere della politica,
delle sue modalità, dei suoi luoghi di rappresentanza dove il pluralismo
ha a che fare con la complessità che prevede professionalità e idee, con i necessari scontri,
confronti e votazioni verso una sintesi, e assolutamente necessari all’azione di governo e alle sue scelte.

Conte, presidente di due governi di opposta maggioranza, era ed è un designato da questo movimento
e con le sue mosse diplomatiche ha bensì smorzato le accensioni vetero-pentastellate,
ma non in nome di quell’immaginario progetto rivoluzionario urlato sulle piazze da Beppe Grillo, ma del potere,
delle poltrone degli enti da spartire; eppure del grillismo ideologico conserva caratteristiche di fondo
come quell’agire sistematico per decreti che sfrutta l’emergenza
per scavalcare i luoghi consacrati all’obbligo della verifica fra maggioranza ed opposizione
.

La decretazione a getto continuo, spacciata per decisionismo e con il suffragio di innumerevoli commissioni di esperti,
diventa l’espressione di una sottaciuta aspirazione a un sistema autoritario in cui le libertà individuali
e le garanzie costituzionali sono sempre più compresse, senza lasciare ai cittadini quell’autodisciplina
che in tanti Paesi europei è invece un’arma decisiva contro il micidiale e sconosciuto virus.

Si nega così la fiducia nei comportamenti degli italiani che hanno mostrato, fino ad ora,
ordine ed obbedienza perché ritengono limitazioni e compressioni necessarie ma temporanee.

Qualche dubbio è lecito sollevarlo se davvero questa temporaneità sia riposta nell’operato di questi governanti
che alla fiducia nel popolo (parola di cui si riempiono la bocca) contrappongono ed impongono un decreto dopo l’altro.

Governare per decreto: oggi, domani e, magari, dopodomani.
 

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