La Fed sta di fatto “salvando” le banche europee e la Merkel paga pegno? Ma il rischio di controparte è alle stelle
Di
Mauro Bottarelli , il 23 dicembre 2015
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“Il sistema bancario italiano è solido e non lo cambierei con quello tedesco. Dobbiamo risolvere alcune piccole situazioni ma non cambierei il sistema italiano con quello tedesco delle Sparkassen. Per l’amor di Dio, non voglio avere nulla a che fare con quel sistema”. Così parlò l’altro giorno Matteo Renzi nel corso di un’intervista al Financial Times e alla vigilia del rinnovo delle sanzioni alla Russia fino al prossimo luglio votato dal Consiglio Europeo su spinta tedesca.
Perché quell’attacco al sistema bancario tedesco? Per distogliere l’attenzione dal caso Etruria e compagnia bella? Oppure c’è qualcosa che lega la scelta tedesca di ignorare la linea italiana di maggiore attendismo nei confronti di Mosca al suo sistema bancario? Insomma, ancora una volta Angela Merkel non ha potuto dire di no a Barack Obama? E poi perché quel brutto e irrituale rimpallo di responsabilità tra il Commissario europeo per la Stabilità finanziaria, il britannico Jonathan Hopkin Hill e Bankitalia sui presunti veti dell’Europa all’utilizzo del Fondo per la tutela dei depositi nella questione Etruria e soci? E ancora, perché quell’attacco a freddo di Mario Draghi sull’occupazione in Italia che cresce meno che in Grecia, una sconfessione netta del Jobs Act?
Può esserci una spiegazione, ancorché ardita e per qualcuno di voi magari anche complottista. Poco male, io la trovo verosimile e cerco di raccontarvela. Partendo da questo grafico,
il quale ci mostra che attraverso l’espansione del suo stato patrimoniale fino a 4,5 trilioni di dollari negli ultimi sette anni, la Fed ha garantito, come diretta conseguenza, un aumento delle riserve in accesso detenute verso varie banche fino a oltre 2,5 trilioni di dollari. Il grafico mostra la diretta correlazione tra l’ammontare di riserve in eccesso nel sistema e le detenzioni cash delle banche.
Ma è questo altro grafico
a mostrarci forse la cosa più interessante: se infatti 1,4 trilioni di quel denaro è detenuto dalle banche statunitensi, sia grandi che piccole, 1,15 trilioni di dollari rimangono parcheggiati nella filiali statunitensi delle banche straniere. Mentre questo altro grafico,
ci mostra la particolarità insita in questa dinamica, stando a quanto accaduto dal dicembre 2008 al dicembre 2012: in quel periodo, la Fed ha pagato alle banche europee operanti negli Usa qualcosa come 6 miliardi di dollari semplicemente come interessi sulle riserve in eccesso che detengono.
E veniamo a oggi, visto che nonostante l’inflazione CPI negli Usa sia ben lontana dal livello obiettivo, la scorsa settimana la Fed ha alzato i tassi dallo 0-0,25% allo 0,25-50%: questo significa che ha alzato anche il tasso di interesse che paga alle banche europee negli Usa per detenere le riserve in eccesso. Questo grafico
ci mostra come dal febbraio 2013 a oggi, le filiali statunitensi della banche europee (e in parte molto minore giapponesi) abbiano ricevuto altri 9 miliardi di dollari di pagamenti di interessi cumulativi da parte della Fed, arrivando a un totale di circa 15 miliardi nel periodo esteso.
Ma questo grafico
ci mostra come con il raddoppio del tasso IOER allo 0,50%, nei prossimi 12 mesi – mantenendo le riserve in eccesso delle banche europee al medesimo livello di 1,15 trilioni di dollari – gli istituti del Vecchio Continente operanti negli Usa si vedranno elargiti altri 6 miliardi in interessi, salendo quindi dagli attuali 15 a 21 miliardi.
Ma non è tutto, perché questi calcoli partono dal presupposto che la Fed non alzerà più i tassi nel 2016, mentre stando a documenti del FOMC ci si aspetta quattro rialzi l’anno prossimo (marzo, giugno, settembre e dicembre), portando il tasso IOER dall’attuale 0,50% a 1,50%.
E questo grafico
ci mostra come se così accadesse, le banche straniere non metterebbero le mani su interessi per detenzione di riserve in eccesso pari a 6 miliardi di dollari ma solo nel corso del 2016 riceverebbero 11 miliardi di dollari, chiudendo l’anno con 26 miliardi di interessi cumulativi da parte della Fed. Insomma, a Washington stanno garantendo un profitto “risk-free” alle banche europee, di fatto una sorta di bail-out transoceanico e segreto.
E, come avete visto, la faccenda va avanti dal dicembre 2008. Non è che Angela Merkel ha detto sì al prolungamento delle sanzioni Ue alla Russia e, forse, si schiererà con chi chiede l’addio di Assad come precondizione per un accordo alla conferenza di New York sulla Siria, perché qualche banca “too big to fail” sta traballando pesantemente? E non è che le parole di Matteo Renzi dalle colonne di Financial Times, non un giornale qualsiasi, dovevano suonare come un monito a Berlino? Della serie, so come siete messi.
E’ ovviamente difficile dirlo e ancor più provarlo ma qualcosa rimanda segnali sinistri sul mercato, come ci mostra questo grafico,
dal quale scopriamo come l’indice di rischio bancario di controparte, il cosiddetto TED-Spread, sia salito del 45% in due soli giorni nel fine settimana, il massimo dal settembre 2008 e dal crollo Lehman. Perché le banche si coprono a questi livelli? Di più, il TED-Spread compara i tassi di interesse sull’interbancario con i tassi a breve termine sul debito Usa e ci offre un proxy di come le banche vedano la solidità del credito nel settore finanziario: altra brutta correlazione, l’ultima volta che si è arrivati a questo livello era la fine del 2011, proprio quando stava esplodendo la crisi del debito sovrano e degli spread europei.
Insomma, tra le altre cose, la scelta della Fed di alzare i tassi ha rappresentato anche un implicito bail-out delle banche europee, come spiegato prima? Il problema è che questo grafico
ci mostra come l’incremento sul TED-Spread sia davvero spaventoso e degno di un qualcosa di sistemico. Dovremo prepararci a leggere qualche grande nome del settore bancario sulle prime pagine dei giornali dove fino a ieri campeggiava Banca Etruria? Quando nel 2008 quell’indicatore arrivò a questi livelli, la Fed tagliò infatti i tassi di 75 punti base nel 2008 e al meeting di Jackson Hole del 2011 scatenò ulteriore QE: echi del caso Lehman? Questo grafico
ci dice che l’indicatore cross-assets di fragilità del mercato di Bank of America è ai massimi proprio dal crollo del gigante di Wall Street del 2008. Certo, due indizi non fanno una prova. Ma fanno comunque paura.
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