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La politica nel mirino dei mercati
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1 FEBBRAIO 2016 – Ci incontriamo in un caffè del centro di Londra a tarda notte, perché «Scusa, I’m very busy», la sua agenda in questi giorni è fitta. Parliamo di gestori illuminati sulla via della politica e di crediti deteriorati che sembrano miniere d’oro. Non occorre incalzarlo, Bruno Livraghi. Il trader italiano che ha fatto fortuna nella City parla volentieri con i giornalisti, non si sottrae e anzi, ammicca.

Vorrei che mi aiutasse ad esplorare gli intrecci che legano il mondo del risparmio e quello dei decisori, politici e non…

Partiamo da un assunto fondamentale: il mondo dei gestori si divide sostanzialmente in due grandi gruppi. Da una parte ci sono i gestori descritti dalla “Grande Scommessa”, il film sulla crisi del 2008. Sono spesso dei matematici, sono molto tecnici e studiano le incongruenze dei mercati da un punto di vista quantitativo; costruiscono dei modelli proprietari ed intervengono dopo lunghe analisi e riflessioni, a volte si muovono con tempistiche sbagliate e tendenzialmente precedono i grandi movimenti. Il loro successo è legato al timing dei loro interventi.

La seconda categoria è molto più complessa: si tratta infatti di gestori che influenzano la vita politica ed economica dei Paesi in cui operano. Tra questi ci sono i cosiddetti “attivisti”, ossia coloro che tramite partecipazioni aziendali tendono ad influenzare le scelte dei consigli di amministrazione delle società in cui investono.

Dove vuole arrivare ?

Voglio arrivare a parlarle di quelli che influenzano, o tentano di influenzare, la vita politica. Questo è un mondo a parte perché il gestore, di fatto, è un uomo di relazioni, si muove nei palazzi di potere con disinvoltura, si veste bene, è forbito, fa beneficienza, è onnipresente agli eventi politico mondani, da del tu a ministri e banchieri. Non somiglia a Gordon Gekko, per intenderci. E’ sempre impeccabile, non ha scheletri nell’armadio, molto spesso dispensa consigli non richiesti ed è anche telegenico.

Buoni da una parte, cattivi dall’altra?

Guardi, non si faccia ingannare dall’etica. Non esiste in finanza, e non appartiene a nessuna delle due categorie. Chi fa soldi è pagato per far soldi. L’importante è muoversi tutti nel rispetto delle regole, il problema può nascere quando il rapporto tra regolato e regolatore diventa ambiguo.

Mi sta prendendo in giro?

Zero, e ora le spiego perché.

La prima categoria di gestori molto spesso è rappresentata dagli artefici dei grandi crolli dei mercati. Sono quelli che capiscono i limiti del sistema, sono specializzati nel far esplodere le bolle e di solito raggiungono dei risultati spettacolari in brevi cornici temporali. Infine tornano silenti, a studiare.

I secondi, invece, intervengono sulle macerie, sono quelli che elargiscono soluzioni, spingono o affossano candidati politici; sono quelli che hanno un dialogo vivo con i governanti. Queste persone agiscono nelle fasi di ricostruzione ed investono su operazioni spesso garantite dalla politica. La loro sfera di influenza è ampia e va dalle riforme all’introduzione di strumenti innovativi generosamente suggeriti – da loro stessi o tramite banker – ai dicasteri finanziari di stati sovrani.

In estrema sintesi si può dire che i secondi corrono meno rischi dei primi? Potrebbe approfondire questo aspetto?

Ha letto l’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari?

Sì, ma cosa c’entra?

Deterritorializzazione e riterritorializzazione, sono termini a lei familiari? Le spiego come siano perfetti per la finanza dei giorni nostri e come un libro del 1972 sia ancora così attuale.

Semplificando, per deterritorializzazione intendo la distruzione della norma, che nei mercati vuol dire abbattere le consuetudini concettuali, vuol dire far esplodere le bolle, pensi ad esempio alla deflagrazione dei mutui subprime e al disastro che ciò ha prodotto a livello globale. Per riterritorializzazione intendo invece la costruzione di una nuova norma, fondata su mercati efficienti. Ad esempio? L’intervento delle Banche Centrali con conseguente Quantitative Easing. Si tratta di due fasi distinte nelle quali gli attori cambiano: nella prima fase a prevalere è la furia distruttrice del mercato libero; nella seconda la forza restauratrice della politica ovvero del regolatore, inteso come figura paterna che ripristina l’ecosistema perfetto.

Tradotto in termini più concreti?

Più concreto di così! La fase che allo stato attuale maggiormente ci interessa è quella restauratrice. Perché comprenda appieno cosa intendo dirle, rubo un’espressione di Deleuze, “capitalismo di stato”. In sostanza il mercato non esiste più, la politica rischia di essere eterodiretta dalla finanza e l’unico imperativo è ricostruire le condizioni di massima efficienza nel funzionamento del mercato. Questa è la fase delle riforme indotte in nome dell’emergenza, la fase in cui il legislatore diventa iperattivo. E’ la fase più delicata per una nazione che debba decidere se cedere alle pressioni del mercato o all’ambizione dei suoi statisti. Alla moneta oppure alla morale.

Ad esempio?

Sono pronto a scommettere che a breve, in Italia, verrà varata una riforma sul diritto fallimentare e verrano accelerate tutte le procedure; verranno limitati i diritti dei debitori e questa riforma potrà essere servita su un piatto d’argento ai compratori di Npl’s che dovranno recuperare i crediti deteriorati.

Allora parliamo di crediti deteriorati. Cosa pensa dell’accordo tra il governo italiano e la commissione europea sulla Bad Bank raggiunto la scorsa settimana a Bruxelles?

Chi è pronto a comprare Npl’s ha tirato un sospiro di sollievo: il pericolo era una gestione centralizzata della vendita dei crediti deteriorati, in altre parole i gestori temevano che il processo di vendita si compisse sotto l’egida della trasparenza. Ma i fondi vogliono comprare gli Npl’s direttamente dalle banche con trattative private perché la verità è che non amano la concorrenza, e quindi il mercato. La sorprende?

Mi sta dicendo che i cantori del mercato libero e della concorrenza perfetta alla fine preferiscono nebulose trattative riservate?

Certo che sì, perché così comprano tanto al chilo da venditori incompetenti, e dentro la busta trovano spesso delle perle.

Come possono riuscirci?

Vede, Draghi pochi giorni fa ha parlato di granularità dei crediti in sofferenza, questo vuol dire che i crediti dovrebbero essere venduti, per così dire, anche al dettaglio. Ma se vengono venduti all’ingrosso il compratore ha un vantaggio maggiore perché determina il prezzo nella parte bassa dello spettro.

Ma allora perché il risparmio gestito domestico non si avventa su questa opportunità di investimento?

Perché sarebbe troppo complicato, le tranche junior delle cartolarizzazioni non sono strumenti che rientrino nella sfera dei titoli comprabili dai fondi armonizzati UE. Ma la vera miniera d’oro sta nell’equity, ovvero nella parte a più alto rischio. Quella preclusa alla maggioranza.

Quindi gli Npl’s sono un investimento per pochi?

Le rispondo con un’altra citazione, stavolta da «Il capitale del XXI secolo» di Thomas Piketty: il capitolo 12, che è passato sotto traccia, parla delle gerarchie del risparmio e in sostanza analizza l’andamento dei patrimoni a seconda della loro entità. Il risultato è sorprendente: perché i grandi patrimoni dal 2007 al 2013 sono cresciuti con ritorni a doppie cifre mentre i piccoli patrimoni sono addirittura scesi? Lei sa spiegarsi il motivo?

Forse perché i gestori migliori gestiscono i grandi patrimoni mentre quelli mediocri si occupano dei piccoli investitori?

Troppo semplicistico, esiste un più alto livello di comprensione. La risposta sta negli strumenti a disposizione dei diversi gestori. Prendiamo in considerazione due casi estremi. Nel primo caso abbiamo il cliente di una piccola banca regionale italiana che investe i suoi risparmi a seconda di quanto gli viene consigliato dall’operatore allo sportello: titoli bancari subordinati emessi dallo stesso istituto di credito, azioni e fondi comuni. Il risultato è tristemente noto a tutti.

Nel secondo caso, il titolare di un grosso patrimonio con Family Office all’estero, seleziona diversi gestori tra cui hedge fund non armonizzati che poi comprano gli Npl’s della banca semi fallita che ha venduto i bond subordinati al primo cliente e ottiene ritorni a due cifre.

Intendo dire che i grandi patrimoni, al contrario delle persone comuni, hanno accesso a strumenti di investimento più esclusivi e meno rischiosi. Quando la banca dei piccoli risparmiatori collassa, interviene un fund manager che va a rovistare nelle macerie ed estrae pepite d’oro.

La falla sta nella circolarità di questo processo che massacra i piccoli e fa fare soldi a palate ai più grandi.

Mi scusi, ma lei è parte in causa? Perché mi racconta tutto questo?

Lo faccio perché non esisto, sono solo il personaggio di un libro.

Un’ultima domanda, quanto costa partecipare al WEF di Davos?

150 mila euro, jet privato escluso (ride, ndr)
 
giovedì 19 maggio 2016
ULTIM'ORA CLAMOROSA! È uscito fuori un dossier SEGRETO su Banca Etruria. Renzi rischia grosso.

L'incubo Etruria terrorizza il premier
Dal dossier segreto sui prestiti della banca a babbo Tiziano agli aiutini dell'amico economista Bini Smaghi: ora Renzi trema
Fabrizio Boschi
Altro che selfie. Altro che dirette Facebook, e-news settimanali e cinguettii. Altro che annunci, sorrisoni e tele promozioni. La verità è che il ciclone che ha travolto Banca Etruria e la famiglia della sua ministra prediletta, Maria Elena Boschi, sta tormentando i sonni di Matteo Renzi.
A minare la terra attorno al premier ci ha pensato anche il fumantino avvocato penalista, Maurizio Bianconi, che in quanto aretino conosce molto bene i meccanismi della sua città. Prima berlusconiano, poi verdiniano, poi fittiano, dal 2008 Bianconi ha litigato praticamente con tutti, e oggi è deputato dei Conservatori e Riformisti. In un'interrogazione ricostruisce i passaggi che vanno dalla vendita di crediti in sofferenza cinque giorni prima del «decreto salvabanche», agli incastri di Banca Etruria con Chianti Banca, un altro istituto toscano vicino al Pd, nato dalle ceneri del Credito Cooperativo fiorentino, la banca fallita di Denis Verdini. Al centro dell'interrogazione c'è l'economista fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea e presidente della Société Générale (azionista di Chianti Banca), ovvero la banca d'affari francese, nominata da Banca d'Italia advisor per la vendita di Banca Etruria (cioè sceglierà l'acquirente). Il 10 aprile 2016, guarda un po', Bini Smaghi (famoso per non essersi voluto dimettere dal board della Bce su richiesta del premier Berlusconi nel 2011, rallentando così la nomina di Mario Draghi a governatore Bce) è stato nominato anche presidente di Chianti Banca. Insomma, un sistema che ruota tutto intorno a Bini Smaghi, «l'economista di fiducia del giglio magico» ora accusato di un grave conflitto di interesse.
Fa bene, dunque, Renzi ad aver paura. Inoltre, dagli ambienti vicini alla procura, ma non solo, arrivano singolari indiscrezioni. L'ultima riguarda suo padre Tiziano, ancora in mezzo ad un'altra grana. Le recenti perquisizioni della Guardia di finanza nella sede centrale dell'istituto di credito, sarebbero solo un depistaggio. I pm, infatti, seguirebbero ben altre piste, molto più rilevanti: da mesi sarebbero in possesso di carte scottanti che metterebbero in difficoltà Renzi e la sua famiglia, e che dimostrerebbero gli intrecci poco trasparenti con Banca Etruria. Prove imbarazzanti, capaci di far vacillare l'intero governo. Non è escluso, infatti, che i pm ne vengano a capo nei prossimi giorni, proprio alla vigilia delle elezioni amministrative del 5 giugno. Questi documenti riguarderebbero, nello specifico, i prestiti concessi alle aziende di babbo Tiziano, nonché alla famigliola del ministro Boschi.
Ovviamente il presidente del Consiglio dissimula tutto e attraverso la sua ultima invenzione, #matteorisponde, fa la faccia schifata quando gli domandano circa le buonuscite milionarie date ai dirigenti della banca fallita: «È squallido».
Ma un'altra bordata che potrebbe travolgere il premier arriva dal liquidatore fallimentare nominato da Banca d'Italia, Giuseppe Santoni. Dopo aver messo nero su bianco tutti gli sperperi operati dai vertici di Banca Etruria nelle sue relazioni relative alla bancarotta, Santoni sta preparando un'integrazione nella quale emergono aspetti ancora più sconcertanti. Nel mirino «l'esplosione delle spese di consulenza nel biennio 2013-14» e le emissioni di subordinate nel giugno 2013, quando la banca era già in una buca. Santoni parla di «carenze nel collocamento dei prestiti obbligazionari» e un capitolo è dedicato alle mancate fusioni con altre banche, come quella con la Banca Popolare di Vicenza alla quale si oppose strenuamente l'allora sindaco di Arezzo, Giuseppe Fanfani (oggi al Csm in quota Renzi).
Se a tutto questo si aggiungono i pasticci in Rai (vedi Virus) e lo strano caso di Marco Carrai sulla cybersecurity che hanno turbato persino l'imperscrutabile capo dello Stato, Sergio Mattarella, è facile immaginare il clima di tensione che si respira oggi negli androni di Palazzo Chigi.

Fonte: L'incubo Etruria terrorizza il premier - IlGiornale.it
 
E’ il turno di CariCesena. Ma interviene il FITD e non il fondo Atlante.
Scritto il 9 giugno 2016 alle 11:11 da Danilo DT



Ennesima puntanta della saga “risparmio tradito”, con protagoniste banche italiane che si ritrovano in difficoltà e con l’onere di dover far digerire al mercato degli aumenti di capitale, pena la chiusura dei battenti.

Tutto avviene in sordina. Ma anche un’altra realtà italiana sta scricchiolando non poco e, in suo aiuto interverrà non Atlante, impegnato con altre operazioni, ma il vecchio e tradizionale FIDT, il fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. La banca in oggetto è Caricesena.

Come scritto dal Resto del Carlino, .il consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di Cesena ha approvato all’unanimità il Bilancio 2015, il Piano industriale 2016-2020 e deliberato l’aumento di capitale necessario per il rafforzamento patrimoniale. La banca spiega in una nota che è stato deliberato un aumento di capitale fino a 280 milioni di euro riservato allo Schema Volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e l’attribuzione di warrant gratuiti da assegnare in opzione agli azionisti esistenti. Una scelta che secondo l’istituto è stata presa per dare agli azionisti «una prospettiva di parziale recupero dei valori patrimoniali, avendo questi ultimi fino a 5 anni di tempo per valutare se esercitare o meno i suddetti diritti». Il Consiglio di Amministrazione ha chiesto all’Assemblea di prossima convocazione di avere delega per eseguire il suddetto aumento di capitale ad un prezzo compreso tra euro 0,1 ed euro 0,8 per azione.

Storie già viste in passato, dico bene? Agli investitori storici un pugno di mosche (essendo sottoscrittore dell’aumento di capitale il FITD, ai nuovi azionisti la possibilità di sottoscrivere a prezzi risibili, e una marea di risparmi che vengono polverizzati.
Per il FITD è la prima operazione di questo tipo. Sarà anche l’ultima? L’impressione è che non dipende dalle sue volontà ma dallo stato di salute delle banche italiane.

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Danilo DT
 
Banche più sicure: la classifica aggiornata
15 giugno 2016, di Alberto Battaglia
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MILANO (WSI) – Se n’è parlato molto in questi mesi assai travagliati per il sistema bancario italiano, ma molti risparmiatori ancora si chiedono come valutare se la propria banca possa essere considerata sicura ed evitare anche solo la lontana possibilità di perdere una parte dei propri risparmi.

E soprattutto, qual è la classifica aggiornata delle banche più sicure?


Ponderando una media dei tre principali indicatori di solidità patrimoniale, quelli che permettono di valutare le risorse che la banca ha per coprire eventuali perdite, Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi ha stilato una lista delle banche più solide per Corriere Economia.

I parametri valutati sono il Core Equity Tier 1 ratio (Cet1), che mette in rapporto le attività della banca ponderate per il rischio con il capitale proprio di pronto utilizzo, il Tier 1, che include nel rapporto altri tipi di asset della banca come le azioni di risparmio, e il Total capital ratio (Tcr), che include tutto il patrimonio della banca.

Per il Cet1, l’indicatore più popolare, il minimo stabilito dalla Bce è l’8%, una soglia oltrepassata nella direzione sbagliata da istituti come Veneto Banca ( 7,23% nel 2015) o Popolare di Vicenza (6,65% in dicembre) che infatti hanno dovuto imboccare la strada degli aumenti di capitale.


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Pop Vicenza, “bancomat di Zonin”. Bce fa i nomi dei soci privilegiati
22 giugno 2016, di Laura Naka Antonelli
Tyupkin, il malware che deruba i bancomat
In risposta alla richiesta da parte di un’istituzione finanziaria, i Kaspersky Labs hanno condotto un’analisi forense relativa a un attacco contro diversi ATM situati nell’Europa dell’Est scoprendo così un malware, identificato col nome di Backdoor.MSIL.Tyupkin, che permette di infettare i bancomat che eseguono una versione di Windows a 32 bit consentendo ai cybercriminali di rubare [...]
ROMA (WSI) – Dopo le perquisizioni della Guardia di Finanza, le ultime rivelazioni su quello che è ormai uno scandalo vero e proprio, lo scandalo Popolare di Vicenza, arrivano dalla Bce, che fa i nomi dei soci più facoltosi, una ventina circa, che hanno beneficiato di prestiti per un importo minimo di 250.000 euro, nell’ambito di quella che gli ispettori hanno definito “ assistenza finanziaria fornita da parte della banca”.

“Si tratta di clientela dotata, singolarmente o a livello di gruppo, di una struttura patrimoniale apparentemente adeguata”. In totale tali soci hanno ricevuto prestiti per un valore di 274 milioni, ed erano al contempo titolari di oltre 4,25 milioni di azioni per un controvalore di 265 milioni di euro. Tali clienti avrebbero successivamente ottenuto il riacquisto del pacchetto azionario da parte della banca, a dispetto dei piccoli azionisti che invece hanno perso tutto.


Questo è quanto risulta dalla Bce:

Nove di questi clienti erano gestiti da Roberto Rizzi del punto private di Vicenza: le condizioni economiche sono di un tasso pari all’1,2% con spese di affidamento azzerate. Il gruppo della famiglia Ravazzolo-Pilan che opera nell’abbigliamento sartoriale, ha ottenuto un tasso dello 0,8% su due linee da 10 milioni ciascuna. Complessivamente la società di famiglia, la Confrav, era affidata per 92,5 milioni e in portafoglio figuravano titoli per 69 milioni di euro. La società Solfin spa ha strappato un tasso dello 0,75% su un finanziamento a breve termine di 5 milioni di euro e in pancia aveva 5 milioni di euro in titoli. Per un fido in conto corrente di 2,9 milioni, il gruppo vicentino Dalla Via, attivo nella pelletteria, ha ottenuto un costo del denaro dello 0,9% (a fronte di un credito di 6,7 milioni aveva azioni per 6,5 milioni). Nell’elenco figura l’azienda del lusso Renè Caovilla, famosa per le sue scarpe gioiello, segnalata per un prestito accordato di 8 milioni a cui corrispondono acquisti per 8,2 milioni. Al patron del pastifico Zara sono stati accordati 15,5 milioni: nel suo portafoglio, oltre 200mila titoli Bpvi per un valore di allora di quasi 12,9 milioni. Alla famiglia , il Della Rovere cui cognome rimanda ad Ambrogio Dalla Rovere, già vicepresidente di Cariverona, prestiti per 12,5 milioni e titoli per 9,9 milioni. Alla famiglia Morato, proprietaria dell’omonima azienda alimentare, sono stati accordati 39,6 milioni, di cui utilizzati 29,6 milioni, pari pressappoco al valore delle 410 mila azioni in portafoglio. Tranquillo Loison, già presidente orafi di Apindustria, risultava affidato per 12,8 milioni con un utilizzato per 8,2 milioni e azioni comprate per 7,6 milioni.

Alcuni di questi nomi erano stati anticipati da un’inchiesta del quotidiano La Repubblica, come risulta da un articolo dello scorso 6 giugno:

Per capire come le azioni di BpVi siano crollate in pochi mesi da 62,5 euro a dieci centesimi, e poi rastrellate da Fondo Atlante, basta leggere le 25 pagine della relazione depositata il 21 agosto 2015 dall’audit interno a Francesco Iorio, subentrato nel maggio a Samuele Sorato come amministratore delegato e direttore generale. Un documento che la gestione Zonin ha nascosto, ma che oggi è agli atti dell’inchiesta della procura vicentina, con indagati per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza
Zonin, Sorato e altri quattro ex manager di BpVi. Il report dimostra che a Vicenza c’era una “banca nella banca”, riservata a un’élite. E i danni ricadono sui piccoli soci. Il ricorso alle “operazioni baciate” comincia “prima del 2008” con “primari clienti storici come i fratelli Ravazzolo, Piergiorgio Cattelan, Ambrogio Dalla Rovere, Francesco Rigon”. Per consolidarsi nel 2009 con operazioni di importo significativo, rivolte a “soci amici” per supportare “esigenze svuota-fondo”. A trattare con i soci sono Sorato e Giustini (anche lui indagato), suo vice e responsabile dei Mercati. Le operazioni baciate o “big ticket”, attivate e chiuse in sei mesi, prevedevano che al socio disposto ad acquistare azioni fosse garantito un compenso pari alla differenza fra dividendo e costo del finanziamento, cui si aggiungeva la plusvalenza ricavata dalla vendita dei titoli. In pratica, guadagnava due volte. Alle operazioni baciate si aggiungeva il metodo messo in atto da Roberto Rizzi, gestore Private dell’area vicentina: l’erogazione di un finanziamento di importo superiore al valore delle azioni acquistate e un compenso fra 1 e 1,5 percento accreditato al socio direttamente sul conto corrente. L’audit sospetta vi fossero irregolarità nei contratti e nei meccanismi di giroconto.

Così ha commentato ieri la notizia delle perquisizioni delle Fiamme Gialle nella sede della Pop di Vicenza, sul Blog di Grillo, Jacopo Berti, portavoce M5S Veneto

“Potrebbe essere arrivata l’ora della verità per la Banca popolare di Vicenza. Questa mattina sono scattate perquisizioni della Guardia di Finanza nella sede dell’istituto. «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato», spiegano le carte. Il riferimento è ai manager indagati della vecchia gestione: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta. Noi del M5S avevamo denunciato da tempo uno “Schema Zonin”, oggi al centro delle indagini. E’ grazie alla nostra coerenza che domenica scorsa sono potuto andare a testa alta, unico politico, al funerale di Antonio Bedin, il piccolo azionista suicidato proprio a causa di questo schema, attraverso il quale la cricca di BpVI ha bruciato i suoi risparmi di una vita. Ho guardato negli occhi la gente lì presente, siamo la loro unica speranza mi hanno detto. La mia promessa è che non molleremo mai fino a che giustizia non sarà fatta”

E ancora, sui “prestiti facili, quelli senza garanzie”:

A chi hanno prestato questi soldi? Ad esempio allo stesso Zonin e le aziende ad esso collegate: 48 milioni di euro! Questo avvenne il 6 agosto 2015, quando già da due mesi a Vicenza era arrivato il nuovo consigliere delegato Francesco Iorio, il consiglio di amministrazione, secondo i dati riportati dal prospetto Consob pubblicato il 21 aprile 2016, approvò all’unanimità e con voto favorevole di tutti i sindaci effettivi finanziamenti per oltre 48 milioni di euro a società riconducibili all’allora presidente, compreso un prestito personale di 2,4 milioni di euro a Zonin. Sono tutti complici, nessuno escluso, vecchi e nuovi membri del cda.

Intanto in mattinata è arrivata la smentita del Fondo Atlante che con una nota ha definito le voci riportate da alcuni media sul rumor secondo cui il Fondo Atlante sarebbe sul punto di cedere “notizia priva di ogni e qualsiasi fondamento”.
 
Breaking News
Draghi: è il momento di affrontare la vulnerabilità delle banche
In occasione del Forum della BCE il governatore Mario Draghi ha indicato l'urgenza di risolvere la questione delle vulnerabilità bancarie
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In occasione del Forum della BCE a Sintra, in Portogallo, il governatore Mario Draghi ha indicato alcune priorità, su tutte l’urgenza di risolvere la questione delle vulnerabilità bancarie.

Draghi, nello specifico:

1. Vede la riduzione della crescita del PIL per i prossimi 3 anni
2. È preoccupato che il Brexit porti a svalutazioni competitive
3. Crede sia il momento di affrontare le vulnerabilità delle banche
4. Pensa che ‘Non possiamo permetterci di non’ correggere le vulnerabilità delle banche
5. Prevede che la recessione dovuta dalla Brexit possa influenzare i mercati valutari
6. Stima che il voto Brexit taglierà il PIL dell’Eurozona fino a 0,5 punti percentuali


Da “I Diavoli” (Rizzoli, 2013) il protagonista Massimo dice a Derek Morgan «(…) Sei preoccupato. Per la prima volta da quando ti conosco, sei preoccupato sul serio. E considerando che lo spread riesci ancora a manipolarlo, allora il problema è un altro. Il tuo problema è il panico. La paura potete controllarla, ma il terrore no, quello no. Immagina la coda agli sportelli, immagina migliaia di persone a ritirare i depositi con l’Europa che ci impedisce di salvare le banche. Se va davvero così, in dieci giorni l’euro è morto. L’avete sempre combattuto. Dovrebbe farti piacere.»
 
Ok della Commissione Ue al sostegno governativo per le banche italiane
Ok della Commissione Ue al sostegno governativo per le banche italiane - MilanoFinanza.it




Già da domenica l'Italia può utilizzare garanzie statali a supporto del sistema. La conferma arriva da un portavoce di Bruxelles. Piano di liquidità da 150 mld approvato sotto le regole straordinarie di crisi per gli aiuti di Stato
di Valentina Pop, Gabriele Steinhauser e Giovanni Legorano


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La Commissione Europea già da domenica scorsa ha autorizzato l'Italia a utilizzare garanzie del governo per creare un programma di supporto precauzionale per le banche del Paese. Lo ha confermato una portavoce della Commissione, puntualizzando che il piano è stato approvato sotto "le regole straordinarie di crisi per gli aiuti di Stato". Il programma di liquidità include fino a 150 miliardi di garanzie del Governo, ha affermato un funzionario dell'Unione europea.

La portavoce non ha specificato l'ammontare delle garanzie, ma ha confermato che il budget richiesto dal governo italiano è stato giudicato proporzionato. Il ministero dell'Economia non commenta. La portavoce ha poi puntualizzato che solo gli istituti di credito solvibili possono eventualmente usufruire del piano di sostegno che è stato autorizzato fino a fine 2016. "Non c'e' alcuna aspettativa sul fatto che possa sorgere la necessità di utilizzare questo schema", ha comunque aggiunto la fonte. "Questa decisione, cosi' come altre precedenti, dimostra che c'è un numero di soluzioni che possono essere messe in campo nel pieno rispetto delle norme Ue per affrontare le turbolenze del mercato", ha concluso la portavoce.


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