Trecento miliardi di franchi
in fuga dai caveau svizzeri
Mauro Spignesi
Stavolta potrebbe essere un siluro.
Un siluro lanciato contro la portaerei bancaria svizzera da tre corazzate: Francia, Germania e Italia.
I tre paesi confinanti stanno preparando lo scudo fiscale.
E già si fanno ipotesi di fuga di capitali, e si calcola una perdita possibile attorno ai 200 miliardi di euro (circa 300 miliardi di franchi).
Come viene fuori questa cifra?
“Secondo gli orientamenti italiani l’aliquota da pagare sulle somme denunciate, dal 2,5 per cento dell’amnistia-Tremonti (2001-2003) potrebbe salire al 10 per cento.
A Bonn e Parigi la penale era più alta e qui potrebbe crescere ancora oltre il 20 per cento.
Inoltre non ci sarebbe più la possibilità di lasciare i soldi nelle banche estere, variabili da non sottovalutare”, spiega Ferdinando Bruno, docente di Fiscalità internazionale all’Università di Lugano.
La volta scorsa dalla Svizzera “riemersero” in Italia 49 miliardi di euro (su un totale di 77 nascosti in tutti i paradisi fiscali).
“Secondo me, azzardando, stavolta potrebbero arrivare 70-80 miliardi complessivamente: soldi di clienti italiani.
Altrettanti francesi e tedeschi. E la cifra triplicherebbe”. Si arriverebbe dunque a 200 miliardi di euro, circa 300 miliardi di franchi.
È possibile? “È pur vero che l’aliquota probabilmente tenderà a salire ma è altrettanto vero che la pressione contro gli evasori è aumentata e i paradisi fiscali stanno perdendo appeal.
Quindi chi ha soldi in nero è accerchiato e i correntisti all’estero sono più propensi a riportare i loro capitali, ecco perché calcolo cifre più alte dei precenti scudi fiscali.
Naturalmente - riprende Bruno - stiamo parlando di ipotesi, di certo, di scientifico, non c’è nulla”.
Ma 300 miliardi di franchi in fuga non sono pochi se si pensa che in Svizzera, dove vengono gestiti circa il 30 per cento dei patrimoni privati nel mondo (fonte associazione dei banchieri), i clienti privati stranieri possiedono depositi attorno a 2000 miliardi, non solo dei paesi Ue e non tutti soldi in nero.
In Ticino, invece, si stima una cifra complessiva vicino ai 400 miliardi di franchi, buona parte di clienti italiani.
Provando a disegnane uno scenario futuro c’è da tenere presente la politica dell’Unione europea. Bruxelles sostiene che 2000 miliardi di euro, provenienti dai suoi paesi, sono depositati nei paradisi fiscali di tutto il mondo: li rivuole indietro per tassarli.
E aggiunge che nel 2014 il segreto bancario dovrà necessariamente cadere. Nel passato, esattamente dal 2001 al 2003, gli appelli del ministro italiano Giulio Tremonti per denunciare i capitali in nero, a fronte di 500 miliardi di euro calcolati dai suoi esperti del Tesoro, ne fecero appunto affiorare complessivamente 77.
Ma 31 restarono nelle casseforti estere (il 71 per cento in Svizzera) dopo la regolarizzazione mentre 46 rientrarono materialmente in Italia (il 58 per cento dalla Confederazione), e nelle casse dell’erario di Roma arrivarono 2 miliardi di euro.
Per molti, non ultimo Hans Kaufmann, consigliere nazionale di Zurigo dell’Udc, la fuga di capitali, se avvenisse davvero, porterebbe alla perdita da 10 a 30 mila posti di lavoro.
Di questi il 20 per cento sarebbe su a Lugano e dintorni.
Un impatto, quindi, anche sul mondo del lavoro. Ma non tutti ci credono. Alessandro Pumilia, direttore generale della De Vittori, una delle fiduciarie internazionali più importanti in Ticino, avverte: “Io non penso che lo scudo fiscale possa intaccare più di tanto la Svizzera.
E questo perché il nostro sistema continua a essere il più competitivo, sicuro e affidabile. Al massimo qualcuno potrà dichiarare capitali perché ha necessità, per esempio, di acquistare una casa o di fare una spesa importante.
Questa d’altronde è una tendenza generalizzata che ho notato nelle diverse piazze dove lavoriamo”. Ma stavolta potrebbe arrivare più d’uno scudo fiscale.
E chi creerà più problemi, l’Italia, la Francia o la Germania? “Francamente – riprende Pumilia - qualche preoccupazione potrebbe arrivare da Berlino, perché i tedeschi sono più duri”.
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