stockuccio
Guest
se nel mondo si fanno fuori i paradisi fiscali mica mi offendo
ARTICOLO DI CAMILLA CONTI E LORENZO DI LENA
Cosa succederebbe se lo stress test sulla solidità patrimoniale delle banche Usa fosse applicato anche per le big del credito italiane? Guardando i numeri rischierebbe di trasformarsi in un crash test da cui, con l’eccezione di Ubi, il cui coefficiente patrimoniale “tangibile” si ridurrebbe comunque, la forza patrimoniale degli istituti nostrani verrebbe quasi dimezzata. Oggi in America inizieranno gli stress test sull’adeguatezza patrimoniale delle principali banche americane, come aveva preannunciato nei giorni scorsi il ministro del Tesoro Timothy Geithner. La novità è che i test utilizzeranno come indicatore di criticità non il tier 1, ovvero il coefficiente patrimoniale di base calcolato sugli attivi ponderati per il rischio, ma piuttosto il cosiddetto Tce ratio (Tangible common equity), ossia un rapporto che tiene in considerazione le sole attività materiali e include nel computo del patrimonio le sole azioni ordinarie. In sostanza il Tce indica quanto gli azionisti ordinari otterrebbero in ipotesi di scioglimento della società, ed esclude dal calcolo titoli ibridi e soprattutto e i beni intangibili, come l’avviamento, i marchi e le altre attività immateriali. Utilizzando questo rigido criterio di valutazione, l’amministrazione Obama vuole verificare in modo ultimativo la capacità delle banche statunitensi di stare in piedi da sole, per poi decidere il da farsi.
Ma cosa succederebbe se il Tce dovesse essere usato come nuovo standard di valutazione della solvibilità delle banche anche in Europa e Italia? Certo, per adesso si tratta solo di un esercizio. Comunque utile per far capire la solidità “materiale” delle big del sistema creditizio sui cui bilanci pesano gli avviamenti da fusioni accumulate negli ultimi anni. In America il caso esemplare è quello di Citigroup: mentre il Tier 1 è all’11,8%, ben al di sopra del livello richiesto per considerare una banca ben capitalizzata, il Tce, stando almeno alle rilevazioni effettuate lo scorso 31 dicembre, è solo all’1,5%, ben al di sotto del 3%, livello che gli investitori considerano accettabilmente sicuro. E le banche italiane quanto sono “stressate”? Partiamo dal vertice della top ten del credito. E prendiamo come riferimento il rendiconto al 30 settembre del 2008 insieme all’attivo e patrimonio tangibile al 30 giugno. Ebbene, se Unicredit oggi può contare su un coefficiente di base (tier 1) del 7,34% (includendo l’effetto dell’aumento di capitale da 3 miliardi), lo stress test farebbe emergere un coefficiente di base tangibile al 3,34 per cento. Intesa Sanpaolo ha un coefficiente di base del 6,90%, cui corrisponde un patrimonio netto tangibile pari al 3,58% dell’attivo tangibile. Non se la passerebbero tanto meglio il Banco Popolare con un tier 1 del 5,70% ma un Tce del 3,40% e il Monte dei Paschi, che dopo l’operazione Antonveneta ha un Tier 1 del 5,20% e un tangibile book ratio del 3,30 per cento. Più morbida la caduta di Ubi che oggi presenta un coefficiente patrimoniale di base del 7,59% e in caso di stress test scenderebbe a un 5,10% di Tce. In tutti i casi, comunque, va rilevato che il Tce ratio, per quanto ridimensionato rispetto al tier1, resterebbe sopra la soglia (ritenuta) di sicurezza del 3%.
L’esercizio appena fatto è puramente teorico. Ma utile, se considerato come una sorta di check up dello stato di salute del credito. E in questo caso la “prognosi” sarebbe riservata. Secondo i prezzi di mercato le banche oggi valgono molto meno del valore di libro, in qual che caso appena il 20-30% del patrimonio netto contabile, quello “ufficiale” che risulta dai bilanci. Ciò significa che gli operatori ritengono che molte attività siano da svalutare o che la redditività sia destinata a peggiorare in futuro, per effetto di una grave crisi che comporterà perdite sensibili su crediti e simili (o un mix delle due cose). Lo stress test varato negli Usa, servirebbe inoltre a dimostrare se e quali banche abbiano un patrimonio netto “fittizio”, dato da avviamenti immaginari, che come tale non ha alcuna rilevanza dal punto di vista dei coefficienti patrimoniali. Dimostrando magari che se la crescita fosse stata davvero “sana”, ovvero attraverso aumenti di capitale reali, ora avrebbero coefficienti patrimoniali tangibili molto più alti, in certi casi doppi.
Ieri il presidente della Fed, Ben Bernanke ha ribadito che il governo sta fissando le condizioni per sostenere le banche sottolineando però che i fondi non vengono elargiti «per far sì che le banche facciano ciò che vogliono delle risorse ottenute». E che lo stress test previsto nel piano di Obama ha come obiettivo quello di determinare il capitale necessario ed è condotto «su un’orizzonte temporale di due anni». Di certo, se i 20 grandi istituti di credito americani non superassero l’esame, dimostrandosi in grado di garatirsi in autonomia la sopravvivenza in un contesto economico in peggioramento, il governo Usa è già pronto a pretendere quote azionarie con diritto di voto in cambio dei suoi interventi.
....mamma mia che stress. Che dite mi pagheranno lo stipendio per un altro annetto ?
Vorrei andare in vacanze in Sud Tirolo e farmi un nuovo giradischi.
Poi al diavolo, meglio la cassa integrazione. Sono stressato!
Saluti
PJ
22 anni di contributi x 44 anni di età + 1 anno di servizio di leva.
non sono vecchio, non sono giovane.
Ecco, cosa sono ?
Ciao e grazie per il tentativo di consolarmi
Pierluigi