QUEST'ANNO IL VISCHIO ME LO SONO FUMATO

Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione,
combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building.

A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale.

Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio.

Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi)
o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva.

Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici
è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo,
incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali.

Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale
dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema.

Tutto giusto, no?

No, tutto sbagliato.


Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici
fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.

Un commentary uscito su Nature Geoscience pochi anni fa stima che,

solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh),

potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35),

quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10)

e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame.

E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.



Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti.

Per fare un esempio, mediamente in un giacimento di rame il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%.
Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia.

Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno.


Ma non basta.

Come si produce l’alluminio?

Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti,
sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica).


E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti.

Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh l’anno di energia rinnovabile,
potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.


E non è finita qui.

Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti,
le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili.

L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal,

avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo.



Gli scenari ipotizzati dall’Unione Europea



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Il fabbisogno di materiali dell’industria fotovoltaica vs attuale produzione 
2030-2050

(la linea nera indica l’attuale disponibilità a livello mondiale)




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Dy: Disprosio; Nd: Neodimio; Pr: Praseodimio; Tb: Terbio.
Fonte: Commissione Europea


È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil.

L’ONU, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe:
serviranno moltissime risorse naturali in più.

Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: PNAS, Science, Nature.


Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”,
da Le Scienze alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto,
così enorme e così contraddittorio.


La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no.


Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma.


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Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita
e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni.

Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia,
si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare
(una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale)

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La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande.

Su Econopoly ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19
mettesse in luce che la Scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media

(Sul clima impazzito ascoltate gli scienziati. Ok, ma quali?).


In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde”

si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali
.


Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani:
per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più,
distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua,
spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali.


Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.


Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse:
la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea
e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo.


Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche.


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Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale.
 
Non servirà a nulla, ma il messaggio è stato inviato ai radical chic del mondo.


Sono stati protagonisti di un’insurrezione sconvolgente e senza precedenti nel cuore della democrazia americana.

Come riporta il Corriere della Sera, a trainare la protesta dentro e fuori il Campidoglio sarebbero stati i “Proud Boys”,
espressione di quell’America profonda dimenticata dalla globalizzazione e dall’amministrazione Obama.

Insieme a loro, oltre a una schiera di manifestanti di varia estrazione, anche personaggi decisamente folkloristici,
che si sono introdotti nel Campidoglio vestiti con elmi e corna, maglie mimetiche, giubbetti antiproiettile,
con l’obiettivo di bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden.

Risultato raggiunto, con scene mai viste a Capitol Hill, che hanno scosso l’opinione pubblica mondiale.


Donald Trump ha chiesto ai manifestanti di “tornare a casa con amore ed in pace”.

“Queste cose succedono – ha scritto su Twitter – quando una sacra vittoria elettorale a valanga
è in modo così brutto ed esplicito sottratta a grandi patriori che sono stati trattati male e in modo ingiusto per così tanto tempo”.

“Ricordate questo giorno per sempre”, ha concluso Trump parlando ai suoi sostenitori.


I supporter del Presidente Usa rappresentano un universo piuttosto variegato
e che fa riferimento alla cosiddetta “far-right” americana.

Oltre ai già citati Proud Boys c’è il movimento dei Boogaloo Boys,
in alcuni casi vere e proprie milizie strutturate in maniera paramilitare,
oltre ai “cospirazionisti” che si ispirano a QAnon e alle immancabili bandiere “Don’t tread on me”.

I Boogaloo Boys traggono ispirazione dal film del 1984 Breakin 2: Electric Boogaloo.

Convinti del fatto che una seconda guerra civile americana sia inevitabile,
il movimento nato su 4chan è cresciuto notevolmente di dimensioni negli ultimi anni,
in particolare aiutato da dozzine di gruppi e pagine Facebook con decine di migliaia di membri e follower.

Per eludere le restrizioni di Facebook circa la parola “Boogaloo”, vengono spesso utilizzati termini alternativi come “Big Igloo”, “Boog” e “Big Luau”.

I Boogaloo Boys si oppongono con forza ai lockdown, che vedono visto come un segnale di tirannia e dittatura.

Quando ad aprile e maggio si sono svolti raduni anti-lockdown in diversi stati,
alcuni membri armati del movimento Boogaloo sono stati avvistati in diverse manifestazioni,
spesso indossando camicie hawaiane.


Oltre a loro ci sono i Patriot Prayer, nome salito all’onore delle cronache per via dei violenti scontri a Portland
con i manifestanti Antifa che hanno portato alla morte, lo scorso 31 agosto, di un sostenitore del presidente Usa.

Patriot Prayer è la creazione dell’attivista conservatore ed ex candidato al Senato di Washington Joey Gibson.
L’uomo che è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a Portland era un sostenitore di Patriot Prayer,
gruppo che non ha grande importanza a livello nazionale ma che è ben noto nel Pacifico nord-occidentale.

La vittima della sparatoria è stata identificata da Gibson come Aaron “Jay” Danielson, di Portland.


Secondo alcuni supporter del Presidente Usa Donald Trump,
le violenze del Campidoglio sarebbero state provocate da alcuni infiltrati “Antifa”.

Lo sostiene, ad esempio, il commentatore conservatore ed esperto di intelligence Paul Sperry,
secondo il quale “un autobous di teppisti Antifa” si sarebbe infiltrato fra i dimostranti pacifici del tycoon
al fine di screditare i supporter del Presidente Usa e mettergli in cattiva luce provocando i disordini.

In buona sostanza, un’operazione false flag.

Teoria rilanciata anche dall’avvocato Sidney Powell, la quale ha pubblicato una foto di uno dei manifestanti entrati al Campidoglio
e che sarebbe in realtà, un’attivista Antifa avvistato ad altre manifestazione in passato.
 
Negli scorsi giorni Coldiretti ci ha informato con due dati che solo l’uno la faccia dell’altro:


  • nel 2020 sono stati 4 milioni gli italiani che hanno dovuto chiedere un aiuto alimentare per tirare avanti,
  • cifra raddoppiata rispetto all’anno precedente.

  • Tra le categorie più deboli degli indigenti il 21% è rappresentato da bambini di età inferiore ai 15 anni,
  • quasi il 9% da anziani sopra i 65 anni e il 3% sono i senza fissa dimora.

  • I nuovi poveri comprendono nuovi disoccupati, piccoli commercianti,
  • persone che erano impiegate in lavoretti in nero, artigiani ed altre categorie colpite dai vari lockdown;

  • ed ecco l’altra faccia della stessa medaglia, con 9,6 miliardi di vini e prodotti alimentari non venduti
  • perchè non hanno trovato spazio nella catena di fornitura della ristorazione.

  • Del resto il calo del fatturato del settore è stato pari al 48% ed ha colpito tutta una filiera importantissima che dà lavoro a 3,8 milioni di persone.

Tutto questo è effetto delle politiche di lockdown a giorni alterni del governo,
che hanno creato solo paura, caos e disinformazione.

Si sono fatti sacrifici in autunno per salvare il Natale, ed essere premiati da una chiusura quasi totale fino alla Befana.

Dopo ? No si sa praticamente nulla.

Forse continueremo con dei lockdown a giorni alterni che sembrano essere fatti per deprimere le persone ed i consumi.


Conte non sa che fare, naviga a vista senza idee, interessato solo nella propria permanenza al potere
che, comunque, riesce a mantenere non per qualche capacità, ma solo per il caso, da un lato,
e dall’altro per le protezioni di cui gode in Alto, nei vari colli.



Per 6 mesi si sono elogiate le qualità miracolistiche dei vaccini,

l’incredibile abilità della commissione nell’acquistarne centinaia di milioni di fiale,

l’incredibile capacità della Protezione Civile e di Arcuri nell’organizzare tutta la correlata logistica con padiglioni etc, salvo scoprire che:

  • non ci sono vaccini sufficienti, a 60 mila vaccinazioni al giorno, come il 4 gennaio, ci vorranno due anni per vaccinare il 70% della popolazione;

  • i vaccini hanno delle controindicazioni molto pesanti e sono sperimentali.
  • Quindi sapremo efficacia effettiva ed eventuali danni a lungo termine solo dopo;

  • non esiste un vero e proprio piano vaccinale, si naviga a vista;

  • non si è fatto quasi nulla per migliorare le cure a domicilio.

Ora Sua Eccellenza l’Avvocato Professor Conte, fra una telefonata e l’altra per tenere in piedi il suo governo
a suon di “Responsabili” di tutti i partitucoli possibili e immaginabili, può informare gli Italiani
di quali siano le decisioni del governo “Guidato dalla Scienza”, nuova divinità laica, che però non sta guidando proprio un bel nulla.

Cosa intende fare, chiudere in casa gli italiani fino al prossimo Natale come vorrebbe un tizio di nome Pregliasco?

Ha intenzione di mettere altri 4 milioni d’italiani alla fame?

Pensa di trovare delle nuove vie, oppure di accettare i rischi e di lasciare che siano le persone a scegliere le proprie vite?


L’ambizione di per se non è un peccato, anzi è una spinta naturale,
ma diventa un disastro quando guidata da capacità non adeguate.


Ormai appare chiaro che l’ambizione di Conte non è adeguata ai mezzi,
un po’ come quei re che chiudono le proprie dinastie per la propria incapacità,
una specie di Valentiniano III in sedicesimo.


Però fino a quando il Quirinale e gli Italiani accetteranno questa minaccia mortale, molto più del covid-19 ?
 
Vi presentiamo due interviste, realizzate da RadioRadio, a un virologo italiano
che lavora negli ospedali ed istituti universitari medici svedesi da oltre 20 anni.

Con una conoscenza diretta dei protocolli che ha partecipato a compilare con membro del team scientifico che consiglia il Governo Svedese.


Alcuni punti che potrete apprendere da questi video:

  • nonostante la densità abitativa a Stoccolma sia molto elevata, più alta che a Napoli, per dire,
  • il governo non ha imposto lockdown, ma ha fornito delle indicazioni alle persone per il mantenimento del distanziamento sociale;

  • l’uso delle mascherine è molto limitato e solo quando non c’è possibilità di mantenere il distanziamento, come sui mezzi pubblici.
  • Il distanziamento è molto più importante, anche perchè è scientificamente provato che la mascherina non serve a molto,
  • se non appunto in particolari situazioni, anzi è negativa perchè dà una falsa sensazione di sicurezza;

  • Il Covid-19 appartiene, come contagiosità e pericolosità, alla famiglia dell’influenza, non a quella di virus più gravi.

  • Infatti l’OMS ha applicato proprio i protocolli legati all’influenza.


 
Il dibattito politico sul governo Conte, che attinge le vette surreali della nostra partitocrazia Ancien Régime
e ne mutua il vocabolario (rimpasto, rimpastino, crisi al buio, reincarico, comunicazioni alle Camere senza dimissioni,
dimissioni senza comunicazioni alle Camere, appoggio esterno, delegazioni al governo, eccetera eccetera)
dimostra che il nostro sistema politico funziona sempre in modo sui generis.

La normalità del “governo rappresentativo” gli è quasi sconosciuta.

Discutono su come e con chi ri-formare il governo con il sottinteso che però
il ricambio per effetto delle elezioni generali sia assolutamente vietato dalle contingenze sanitarie ed economiche.


Viene da chiedersi quale sia il senso della discussione se l’approdo ultimo a cui è preordinata non possa o non debba essere conseguito.

Il “non detto” del dibattito si rivela il cuore stesso del dibattito.


Un paradosso, una divagazione, una fatuità.


Infatti, chi ha acceso il dibattito non è un incendiario leader deciso al “costi quel che costi”,

ma un politico con piglio da contrada,

un parlamentare che orgogliosamente siede nel Senato che propose di abolire,

uno statista di panna montata senza guarnitura d’amarena.



La questione non riguarda la politica politicante ma l’essenza del governo parlamentare;

non i rapporti tra maggioranza e minoranza, ma il funzionamento della Costituzione;

non la contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra ma la “salus rei publicae”.


E tutto accade mentre il Parlamento in carica, costituzionalmente parlando, non esiste più.

I suoi deputati e senatori hanno deliberato di amputarlo e il popolo ha ratificato l’amputazione,

sicché un terzo dei parlamentari che manovrano la politica e disputano sul governo sono moribondi, anzi: già fantasmi.



Il governo di uno Stato democratico è sempre un “pezzo di ricambio”, se ci riferiamo alle persone che lo compongono,
mentre ne rimane un’istituzione strutturale la cui continuità non viene mai meno per effetto del cambiamento dei governanti che l’incarnano.

La paura sventolata di restare senza governo è esagerata, anche perché i governi parlamentari sono sempre precari alla mercè delle Camere.

L’arzigogolata diatriba sul governo in carica glissa sul punto centrale.


Se Giuseppe Conte e i suoi ministri, tutti o alcuni, sono inadatti a governare, devono essere cambiati.


E non solo perché, come ricordava spesso l’avvocato Gianni Agnelli, i cimiteri sono pieni di gente indispensabile,

ma perché l’essenza del sistema politico liberale consiste appunto nel potere del popolo o dei suoi rappresentanti,

democraticamente eletti, d’insediare e destituire pacificamente il governo,

specialmente un governo esitante e smarrito alla prova del fuoco.



Lo stato di necessità non deve diventare l’alibi per la sopravvivenza di un ministero inetto.


A giustificare, anzi imporre il ricambio governativo basterebbe questo:

l’articolo 43, comma 1, del codice penale: il delitto è colposo
quando l’evento si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.


Ogni giorno muoiono centinaia di persone
a causa della negligenza,
dell’imprudenza,
dell’imperizia di ministri,
assessori,
commissari.


Se un guidatore distratto investe un passante e lo uccide,
immediatamente con strepito viene istruito un processo e irrogata la condanna per omicidio stradale.


La maggioranza è affaccendata in giochini ai quali l’opposizione non disdegna di partecipare.


Nel frattempo, gl’Italiani periscono tra l’indifferenza della classe politica.


E la magistratura, sempre pronta ad impugnare l’obbligatorietà dell’azione penale,

volta le spalle agl’indifesi, ai deboli, ai contagiati, così vittime innocenti delle altrui colpe impunite.
 
Anno 1968.

Molti ragazzi non studiavano perché dovevano salvare il mondo,
sostenendo a gran voce eroi come Mao Tse Tung
(oggi Mao Zedong, secondo il politicamente corretto Pinyin)
Lin Piao, Ho Chi Minh.

Non sapevano perciò risolvere le equazioni, conoscevano qualche frase del Libretto Rosso,
ma nemmeno una poesia del poeta che avrebbero dovuto commentare.

Alle interrogazioni, però, rispondevano.

Non alla domanda rivolta, ma enunciavano ricette per ristabilire la democrazia,
spiegavano come la dittatura del proletariato avrebbe livellato il mondo, rendendo i geni uguali ai cretini.


In questi giorni ci rendiamo conto che cinquant’ anni sono passati invano.



Trinariciuti della vecchia sinistra difendono a spada tratta gli ex-alleati della destra,
e non hanno capito che la politica oggi non è più rossi contro neri,
è alfabetizzati contro analfabeti.

Perché il virus non vota, quello snobba chi non lo capisce e ride di quelli che sostengono gli incapaci.

Così un manipolo di salvatori della Patria lavora per distogliere l’attenzione dal nulla cosmico
della banda Giuseppe Conte-Luigi Di Maio-Domenico Arcuri, attirando l’attenzione su altro,
sui temi importanti, mica su questo insulso e innocuo microbetto.


Se persino in America si abolisce Omero accusando l’Odissea di essere razzista, non possiamo essere certo da meno.


Laura Boldrini
ha la conformazione somatica dello sdegno istituzionale,
ed è contornata da un manipolo di raffinati studiosi,
i quali le segnalano i pericoli gravi che incombono sulla Patria.

La pasta fascista, ad esempio.

Morire tutti di Covid non è grave, ma mangiare cibi non democratici, questo mai.

Ma forse aveva ragione lei, perché la Molisana ha chiesto scusa,
cosa che Arcuri non ha mai fatto per mascherine e siringhe,
Danilo Toninelli per non ricordare la firma sui decreti salviniani,
Conte per fare il duce a reti unificate invece di cercare soluzioni vere.


Il terrore nei confronti di una sinistra che si arroga il monopolio della cultura,

della correttezza politica e della verità assoluta è tale per cui una marca di ottima pasta

teme di perdere i clienti non per la qualità del prodotto, ma per gli aita-aita comunisti.

Ignorando pure la possibilità di diventare un simboletto, non solo per i nostalgici,

ma anche per le persone di buon senso, le quali dovrebbero ribellarsi a questa violenza oscurantistica.


Invece i moderati continuano ad essere una maggioranza silenziosa e pavida,

che subisce tutto, borbotta, ma continua a giocare in difesa contro attaccanti specialisti in falli che l’arbitro non osa fischiare.


Una situazione veramente moli(n)sana.
 
Matteo Renzi, oggi, è il Joker della politica italiana?

Forse sì, e non sembri irriguardoso l’accostamento dell’ex presidente del Consiglio
al personaggio uscito dalla matita di Bon Kane e riprodotto magistralmente da Todd Phillips nell’omonimo film.

Un Joker incruento, è ovvio, ma ugualmente capace di scombussolare gli schemi
e mettere in discussione lo status quo del cattivo governo,
un Joker creativo, in grado di elevarsi ad attore principale della crisi.


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Come in Joker, anche in Renzi convivono opacità e contraddizioni,
fra le quali quella di essere stato il principale ostetrico del governo giallo-rosso
e di essere, ora, il suo più agguerrito antagonista.

Ciò nonostante, si deve riconoscere che il documento “Ciao 2030”, consegnato a Palazzo Chigi
per imbastire la discussione di queste ore, coglie nel segno su molti aspetti.

Non si può dubitare, ad esempio, sulla correttezza della richiesta di dare corpo e anima al Recovery plan
con l’indicazione di nuovi investimenti in infrastrutture, opere viarie, case, scuole,
oppure sulla correttezza delle richieste di rivedere il piano vaccinale, di investire massicciamente in ricerca e innovazione,
di decentrate il controllo sui servizi segreti.


Cose da mettere in ordine, però, ce ne sono altre, ad iniziare dall’anomalia istituzionale che accompagna la figura del presidente del Consiglio.

È un aspetto centrale, forse il più importante di tutti in termini politici e dal quale discendono molte delle questioni irrisolte dal Governo in carica.

È soprattutto su questo, allora, che si gioca la credibilità dell’azione renziana.


Giuseppe Conte è apparso sulla scena pubblica dal nulla.

Non aveva una sua formazione, non era iscritto ad un partito e non aveva raccolto neppure un voto alle elezioni del 4 marzo 2018.

È nato per le “stravaganze” del Movimento 5 Stelle e per le incongruenze della legge elettorale,
che ha consegnato al paese maggioranze a formazione variabile.

Proprio per questi motivi, allora, la sua avrebbe dovuto essere vissuta come una chiamata di scopo:
fare uscire il Paese dallo stallo nel quale era precipitato dopo il voto e agevolare, con fare servente, la formazione di un Governo.

Esaurito questo compito, però, esso stesso si sarebbe dovuto fare da parte, così da lasciare spazio al fluire delle ordinarie regole democratiche.


Detto diversamente, un presidente senza radici politiche è un’anomalia, uno strappo al sistema,
accettabile e digerito dal sistema stesso solo se limitato nel tempo e nell’azione.

Così fu, infatti e correttamente, seppure in contesti diversi dall’attuale, per Giuliano Amato nel 1992,
per Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, per Lamberto Dini, nel 1995, e per Mario Monti, nel 2011.


In un sistema costituzionale come il nostro, nel quale è il presidente del consiglio
a dover “dirigere la politica generale del Governo” quale primus inter pares,
a dover mantenere “l’unità di indirizzo politico ed amministrativo”
e “promuovere e coordinare l’attività dei ministri”, l’investitura elettorale,
anche se non direttamente funzionale alla carica di capo del Governo,
è presupposto essenziale per il buon funzionamento dell’ingranaggio governativo.

È su una simile investitura, infatti, che si regge l’autorità sostanziale del presidente
ed è da essa che discende la sua autorevolezza, tanto più efficace e stabile quanto più vicina alla volontà degli elettori.

Se quell’investitura non c’è, il giuramento nelle mani del capo dello Stato e la fiducia raccolta o strappata alle Camere,
pur formalmente legittimanti la carica, non sono in grado di colmare il vuoto sostanziale che li precede.


Una legittimazione che sia totalmente staccata dal corpo elettorale, insomma,
è parziale e alla lunga infeconda e paralizzante, perché si pone fuori dal circuito della realtà,
sulla quale invece si radica la democrazia rappresentativa.


E allora, proprio perché parziale, infeconda e paralizzante,
ad un certo punto il sistema politico non può che espungerla
per non implodere nell’immobilismo e per non fare implodere con sé il Paese.
 

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