Val
Torniamo alla LIRA
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione,
combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building.
A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale.
Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio.
Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi)
o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva.
Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici
è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo,
incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali.
Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale
dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema.
Tutto giusto, no?
No, tutto sbagliato.
Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici
fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.
Un commentary uscito su Nature Geoscience pochi anni fa stima che,
solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh),
potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35),
quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10)
e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame.
E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.
Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti.
Per fare un esempio, mediamente in un giacimento di rame il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%.
Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia.
Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno.
Ma non basta.
Come si produce l’alluminio?
Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti,
sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica).
E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti.
Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh l’anno di energia rinnovabile,
potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.
E non è finita qui.
Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti,
le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili.
L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal,
avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo.
Il fabbisogno di materiali dell’industria fotovoltaica vs attuale produzione 2030-2050
(la linea nera indica l’attuale disponibilità a livello mondiale)
Dy: Disprosio; Nd: Neodimio; Pr: Praseodimio; Tb: Terbio.
Fonte: Commissione Europea
È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil.
L’ONU, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe:
serviranno moltissime risorse naturali in più.
Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: PNAS, Science, Nature.
Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”,
da Le Scienze alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto,
così enorme e così contraddittorio.
La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no.
Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma.
Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita
e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni.
Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia,
si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare
(una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale)
La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande.
Su Econopoly ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19
mettesse in luce che la Scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media
(Sul clima impazzito ascoltate gli scienziati. Ok, ma quali?).
In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde”
si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali.
Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani:
per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più,
distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua,
spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali.
Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.
Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse:
la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea
e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo.
Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche.
Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale.
combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building.
A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale.
Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio.
Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi)
o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva.
Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici
è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo,
incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali.
Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale
dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema.
Tutto giusto, no?
No, tutto sbagliato.
Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici
fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.
Un commentary uscito su Nature Geoscience pochi anni fa stima che,
solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh),
potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35),
quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10)
e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame.
E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale.
Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti.
Per fare un esempio, mediamente in un giacimento di rame il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%.
Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia.
Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno.
Ma non basta.
Come si produce l’alluminio?
Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti,
sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica).
E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti.
Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh l’anno di energia rinnovabile,
potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più.
E non è finita qui.
Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti,
le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili.
L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal,
avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo.
Gli scenari ipotizzati dall’Unione Europea
Il fabbisogno di materiali dell’industria fotovoltaica vs attuale produzione 2030-2050
(la linea nera indica l’attuale disponibilità a livello mondiale)
Dy: Disprosio; Nd: Neodimio; Pr: Praseodimio; Tb: Terbio.
Fonte: Commissione Europea
È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil.
L’ONU, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe:
serviranno moltissime risorse naturali in più.
Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: PNAS, Science, Nature.
Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”,
da Le Scienze alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto,
così enorme e così contraddittorio.
La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no.
Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma.
Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita
e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni.
Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia,
si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare
(una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale)
La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande.
Su Econopoly ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19
mettesse in luce che la Scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media
(Sul clima impazzito ascoltate gli scienziati. Ok, ma quali?).
In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde”
si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali.
Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani:
per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più,
distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua,
spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali.
Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.
Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse:
la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea
e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo.
Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche.
Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale.