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E' ancora lì.........

Camera dei Deputati.
Il centrodestra ottiene 260 deputati,
seguito dal Movimento 5 Stelle che se ne aggiudica 221.

La quota più consistente va al Movimento 5 Stelle, primo partito italiano grazie al 32,66% delle preferenze che equivalgono a 133 deputati; sommati agli 88 vinti con il meccanismo uninominale.

Il centrodestra fa registrare il primato della Lega, che con il 17,37% dei consensi si aggiudica 73 deputati,
seguita da Forza Italia, con il 14,01% e 59 seggi. Diciannove deputati vanno a Fdi (4,35%).
Sommandoli ai risultati uninominali, il centrodestra porta a casa 260 deputati.

Per quanto riguarda il centrosinistra, il Pd ottiene il 18,7% dei voti, che equivalgono a 86 seggi del proporzionale; due seggi per Svp.
Nessuno seggio arriva dalle liste alleate (+Europa, Civica popolare e Insieme).
Il conteggio totale dei seggi conquistati dal centrosinistra, con i 24 collegi uninominali, è di 112 deputati.

Gli ultimi 14 seggi finora assegnati col sistema porporzionale vanno a Liberi e Uguali,
che pur avendo perso tutti gli scontri nei collegi uninominali, recupera i propri esponenti di spicco, tra cui Laura Boldrini e Pir Luigi Bersani.

Il Viminale non ha ancora chiuso i conteggi per assegnare tutti i seggi del Senato.
Restano da scrutinare le circoscrizioni estere e 20 sezioni laziali.

Sono stati finora assegnati 306 senatori su 315.

Il centrodestra per ora ha 135 senatori; M5S 109; il centrosinistra 57; Liberi e Uguali 4.
 
Ahahahahah le finte dimissioni. Notate bene cosa ha detto.

Ventiquattr’ore di silenzio, per digerire la sconfitta e far partire la reazione.
Poi Matteo Renzi si presenta, ieri sera, nella sala stampa del Nazareno e le sue parole sono una dichiarazione di guerra.

Guerra innanzitutto interna: mette sul tavolo delle formali dimissioni: «è ovvio che io lasci la guida del Pd», dice.
Ma non ora: la «fase congressuale» si aprirà solo «al termine dell’insediamento del Parlamento e della formazione di un nuovo governo», cioè tra settimane o mesi.

Senza alcuna nomina di «traghettatori» o «reggenti» che verrebbero «scelti da caminetti»:
sarà lui, da segretario ancorché dimissionario, a dare le carte e pilotare la complessa fase di inizio legislatura.
Dettando subito i paletti politici che intende mettere, e che vengono così segnalati anche al Colle più alto,
oltre ovviamente a chi nel Pd coltivasse simili tentazionil:
«Mi sento garante di un impegno morale e politico con gli italiani: no al governo con gli estremisti.
Ci hanno definiti come il peggio del peggio: fate il governo senza di noi, se siamo quelli che avete detto.
Il nostro posto è all’opposizione delle forze anti-sistema, non diventeremo la loro stampella. Saremo responsabili, sì»
 
E fuoco alle polveri

Roma La svolta improvvisa arriva dopo una giornata di infiniti summit, riunioni, conciliaboli, telefonate incrociate.

Con un unico obiettivo: stabilire un percorso di exit strategy pilotata dalla leadership del segretario sconfitto, e aprire una nuova fase nel Pd.

Solo che il diretto interessato non ci sta, fa trapelare per tutto il giorno segnali di ira e di sfida e alla fine annuncia,
a sera, che si dimette ma resta, a presidiare un percorso che collochi il Pd all'opposizione.

Perché, spiegano i suoi, nel Pd rischia di partire un «tana liberi tutti» che - è il sospetto renziano - potrebbe spingere i Dem, in nome della «responsabilità»
chiesta dal Colle, ad appoggiare tentativi di governo grillino o di centrodestra.
«Ci offriranno la presidenza della Camera, poltrone di commissione, la garanzia di una legislatura lunga. E possono trovare orecchie attente»,
dicono. E c'è chi fa anche esempi: «Dario Franceschini rifiuterebbe la poltrona più alta di Montecitorio?».

Renzi lancia la sua sfida fragorosa e la reazione è immediata e pesante.
Tanto da far temere l'implosione.

Il primo a parlare è il capogruppo uscente al Senato Zanda, franceschiniano:
«La decisione di Renzi è incomprensibile, serve solo a prendere tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno, e quando si decide si danno senza manovre».
Al Pd servirebbe «massima collegialità», non «inspiegabili» rinvii con l'obiettivo di «continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali».
Quando si dimisero Veltroni e Bersani, ricorda Zanda, «un attimo dopo non erano più segretari».

La novità è che, secondo le interpretazioni fornite, alla dura contraerea del capogruppo avrebbe dato un avallo anche Palazzo Chigi.

È l'inizio di uno scontro senza esclusione di colpi, che fa tremare le mura di un Pd già tramortito dalla batosta elettorale.

Il ministro Andrea Orlando parla di un Renzi con la «sindrome del bunker», che non si assume
«la piena responsabilità di fronte alla sconfitta più grave della storia della sinistra italiana del dopoguerra»,
nonostante abbia «potuto definire, in modo pressoché solitario, la linea politica, gli organigrammi e le liste».

Gianni Cuperlo chiede «l'immediata convocazione della direzione»,

il minnitiano Nicola Latorre accusa il «senatore Renzi» di «non voler agevolare un processo che possa rilanciare il progetto politico del Pd».

Un'altra ministra, Anna Finocchiaro, incalza: «Annunciare le dimissioni, e non darle, dopo avere subito una sconfitta di queste dimensioni
è vistosamente in contrasto con il senso di responsabilità di lealtà e di chiarezza dovuti al partito ai suoi militanti ai suoi elettori».

Tocca a Lorenzo Guerini rispondere alle raffiche che arrivano da ogni corrente Dem contro il segretario asserragliato al Nazareno:
nessuna «dilazione», le dimissioni di Renzi «sono verissime». Il punto è un altro, tutto politico:
«il Pd è all'opposizione, in coerenza con quanto detto in campagna elettorale da tutto il partito».
E che ora molti, sospetta Renzi, si vorrebbero rimangiare.
 
e per ultimi gli "scafessi".........ahahahah


A spoglio praticamente appena chiuso, Luigi Di Maio perde già alcuni dei seggi conquistati.

Sono quelli degli "impresentabili" - furbetti dal rimborso falso, indagati e "massoni" - scoperti a liste già chiuse e consegnate al Viminale:
il candidato premier grillino li ha ufficialmente espulsi dal movimento e ha assicurato che avrebbero rinunciato alla poltrona in caso di elezione.
Con un documento che - come abbiamo raccontato più volte su queste pagine - di fatto ha valore pressocché nullo,
dal momento che la decisione sulle loro sorti spetta all'Aula che sarà convocata solo il 23 marzo.

E non è automatico che le "dimissioni" vengano accettate.
Soprattutto perché in caso di elezione all'uninominale l'eletto non può essere automaticamente sostituito dal secondo dei non eletti.

Di fatto, quindi, sono almeno quattro i Cinque Stelle non più Cinque Stelle eletti sotto l'egida dei Cinque Stelle e che non è ancora chiaro a quale gruppo si iscriveranno.

Sono, ricorda anche YouTrend in un tweet,
Andrea Cecconi
("pizzicato" da Le Iene nello scandalo Rimborsopoli),
Salvatore Caiata
(presidente del Potenza indagato per riciclaggio),
Antonio Tasso
(in passato condannato per aver smerciato cd taroccati e che ora ha battuto persino Minniti) e
Catello Vitiello (ex massone, all'insaputa dello staff).

Difficile non vederli in Parlamento: passeranno al gruppo misto o cederanno alla corte di altre forze politiche?
Tutti loro hanno continuato a far campagna elettorale. Il passo indietro? Non pervenuto.

E poi c'è Emanuele Dessì, il candidato al Senato a Latina con la casa popolare a 7 euro al mese a Frascati.
Se ha perso all'uninominale,per lui è praticamente fatta al proporzionale.

E lui commenta: "È una bellissima nottata".

E non solo: cosa ne sarà di Carlo Martelli e Maurizio Buccarella, entrambi in buona posizione nel seggio al proporzionale?
 
Esclusi quasi certi ....non si sa mai cosa salta fuori dai gangli del potere

Partiamo da Massimo D’Alema che esce con le ossa rotte dal confronto con la grillina Barbara Lezzi che ha vinto il collegio senatoriale di Nardò col 40%.
Il ‘lider Maximo’ si classifica quarto ottenendo soltanto il 3,9% e solo 574 voti personali.

Pippo Civati, ormai, non spera più nel calcolo dei resti per il collegio plurinominale. Nelle prossime ore conosceremo da chi sarà composta l’esigua pattuglia di LeU.

Gli esponenti Pd che restano a bocca asciutta
Chi, invece, dentro il Pd, ha già issato bandiera bianca come l’ex senatore Stefano Esposito “Gli elettori hanno dato il loro responso. Ho perso. Con queste elezioni si chiude il mio impegno politico a tempo pieno. Tra qualche giorno ritornerò al mio lavoro in Prefettura."

Male anche la giornalista Francesca Barra. “Ho portato ai miei bimbi i ciucci di provola lucani. Si sono svegliati felici perché la mamma è qui con loro.
Sono tornata e adesso mi godo questo momento speciale. Ho combattuto sapendo che sarebbe stata un'impresa quasi impossibile. E ho vinto tanto affetto. Che non dimenticherò”.

Senza 'poltrona' anche Lucia Annibali. “E’ sempre difficile commentare una sconfitta, ma voglio vedere qualcosa di buono anche in questi risultati pesantemente negativi.

Per i ministri bocciati nelle sfide dei collegi uninominali, bisognerà attendere l’esito finale dei collegi plurinominali.
Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, sonoramente battuto a Pesaro, spera di passare come capolista nella circoscrizione Campania 2 (collegio 3) o Veneto 1 (collegio 1).
Il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, sconfitto nella sua Ferrara, è, invece, capolista nel collegio plurinominale Emilia Romagna 1.
Roberta Pinotti, titolare della Difesa, confidano rispettivamente nel collegio 2 e in Toscana nel collegio 1.
Il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli avrà una seconda chance grazie al collegio 1 della Lombardia.

In casa grillina forte delusione per l'ex capitano di fregata Gregorio De Falco e per l’ex Iena, Dino Giarrusso. "Sono felice di essermi candidato, benché fossi in un collegio praticamente impossibile da vincere."

Molto male anche la quarta gamba del centrodestra ‘Noi con l’Italia’ che, non avendo raggiunto il 3%, lascia a casa gente come Roberto Formigoni e lo stesso Raffaele Fitto
 
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Per un posto caldo e sicuro si è disposti a fare di tutto.....ma non tutti sono disponibili.
Solo le mezze calzette.

In conferenza stampa li chiama "caminetti". Ma dietro le telecamere Matteo Renzi fa nomi e cognomi di chi,
al primo sentore di dimissioni da parte del segretario, stava già preparando un accordo con il Movimento Cinque Stelle
per andare al governo nonostante la sonora batosta ricevuta dalle urne.

"Ragazzi, ma vi pare che facciamo un accordo con Grillo?", avrebbe detto l'ex premier ai fedelissimi secondo un retroscena raccontato da Repubblica -
"Saremmo morti, finiti. Diventeremmo come il Pasok greco, destinati all' estinzione. Mentre loro farebbero Tsipras".

E rivela le trame della di chi è già pronto a consegnarsi a Di Maio: "Il punto è la linea politica", spiega,
"L' ho spiegato a Franceschini e agli altri, che lavoravano all' accordo con i grillini: è uno scenario che ci ammazza.
Poi capisco che c'era chi voleva ragionare con il Movimento soltanto per ottenere la presidenza di una delle due Camere...".

Proprio Dario Franceschini, che avrebbe ottenuto lo scranno più alto di Montecitorio.
O Luigi Zanda, pronto a sedersi al posto di Pietro Grasso e che ieri è stato il primo a criticare la decisione di Renzi di "congelare" le proprie dimissioni.
 
Questo di industriale ha veramente poco....ma di sinistra tanto.........e se ragiona così...poveri industriali.
D'altra parte, chiamarlo "industriale" ........con un'azienda che fattura 40 milioni dei quali il 30% all'estero
ed un centinaio di dipendenti ............sono proprio messi male.

"È un partito democratico, non fa paura". Confindustria rompe il silenzio nel post-voto
e di fatto commenta i risultati delle elezioni che hanno visto la crescita del Movimento Ciqnue Stelle,
il crollo del Pd e la vittoria del centrodestra come prima coalizione.

"Riteniamo che alcuni provvedimenti abbiamo dato effetti sull’economia reale in questo momento storico,
in particolare il Jobs Act e il piano Industria 4.0. Smontarli - avverte - significa rallentare,
invece dobbiamo accelerare se vogliamo ridurre il divario e aumentare l’occupazione nel paese
abbiamo bisogno di una precondizione che si chiama crescita"

Sul reddito di cittadinanza, uno dei punti principali del programma grillino:
"Bisogna vedere cosa hanno veramente in mente, quanto è la quota in termini di costo per lo Stato,
e quindi quanto incide dal punto di vista di deficit e debito pubblico. Quest’ultimo - aggiunge - non è una questione europea, è una questione italiana.
Tra l’altro siccome nei prossimi anni avremo sicuramente un aumento dei tassi di interesse prima riduciamo il debito pubblico e meglio è per il Paese".
 
O povera Italia......succede anche questo.....

Bastavano venti euro per portarsi a casa una divisa originale dei carabinieri. Completa di tutto, giacca, pantaloni e persino numero identificativo.

Era in vendita su una bancarella in un mercato rionale di Salerno, chiunque sganciando una banconota azzurra, avrebbe potuto travestirsi da tutore dell’ordine.

Peccato, però, che non avrebbero potuto metterla in vendita così, senza nemmeno annotare nel registro previsto dalla legge,
i numeri di serie e gli acquirenti che, per le normative vigenti, possono essere solo militari o agenti di polizia che, all’atto dell’acquisto,
debbono esibire il loro tesserino di riconoscimento. Su quel banco, però, non c'erano avvisi né registri.
 

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