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PUTIN VIETA IMPORT ALIMENTARE DA EUROPA e Usa. Il Cremlino ha approvato un decreto per limitare o bloccare per un anno le importazioni di prodotti agricoli e alimentari dai Paesi che hanno agito contro Mosca

In risposta alle sanzioni dell'Occidente imposte dopo le turbolenze in Ucraina, la Russia ha deciso di vietare tutte le importazioni di cibo dagli Usa e dall'Europa, cancellando miliardi di d...ollari di affari tra le potenze mondiali.

Andranno in fumo miliardi di euro: rappresaglia dalla Russia per le sanzioni dell'Occidente sull'Ucraina.

Per l’export italiano si potrebbe trattare di una perdita grave: nel 2013 le esportazioni verso la Russia sono state quantificate in 10,4 miliardi di euro di valore.

Ecco perché le borse vanno giù...altro che le cazzate che ci propongono i mezzi di obnubilamento di massa... Altro...






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Loris Persello Che lo mantenga a vita il divieto per USA, grande Putin...
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Giaco Mini Putin in italia
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5 ore fa


LA CENSURA AVANZA: VOGLIONO TAPPARCI DEFINITIVAMENTE LA BOCCA ANCHE SU INTERNET

Il Governo italiano ha ingaggiato una società – la Hagakure srl – per censire chi, sul web e sui social network, deride l’immagine dei componenti delle alte ca...riche governanti.

Come già accadde pochi mesi fa a chi aveva realizzato un fotomontaggio osè della deputata e Presidentessa della Camera Laura Boldrini. Un lavoro che apparentemente sembra in stile repressivo sovietico o delle odierne dittature comuniste Il tutto finanziato con i soldi dei contribuenti italiani.

D’ora in avanti gli utenti iscritti sui social sorpresi a postare immagini non originali che denigrano i nostri parlamentari e le altre cariche pubbliche potranno essere segnalati e denunciati per diffamazione e quindi processati.

http://ripuliamolitalia.wordpress.com/2014/08/04/presto-denunciati-gli-utenti-che-diffondono-attraverso-internet-materiale-lesivo-alle-cariche-dello-stato/ Altro...


Presto denunciati gli utenti che diffondono attraverso internet materiale lesivo alle cariche...
ripuliamolitalia.wordpress.com

Il Governo italiano ha ingaggiato una società - la Hagakure srl - per censire chi, sul web e sui social network, deride l’immagine dei componenti delle alte cariche governanti. Segnaleranno e chied...








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10 ore fa


ROVESCIAMENTO SISTEMATICO DEI GOVERNI NON SOTTOMESSI ALLO SFRUTTAMENTO ANGLO-AMERICANO. COME SI SMEMBRA UNA NAZIONE IN 5 MOSSE

LO SCHEMA E’ SEMPLICE E SEMPRE LO STESSO:

FASE 1: Si aiuta la gente insoddisfatta a scendere in piazza, sovven...zionandone i leaders e promuovendoli tramite i media. Non è difficile trovare gente insoddisfatta in qualsiasi paese. Il movimento scende in piazza sfidando il governo.

FASE 2: I CECCHINI. Come avvenne in Venezuela nel colpo di stato contro Chavez nel 2002: bande armate appostate sui tetti sparano nel mucchio sulla folla. Le immagini dei morti e dei feriti, montate ad arte dai media statunitensi ed europei addossano la colpa al governo ufficiale, che viene accusato di massacrare il proprio stesso popolo. La popolazione stessa cade in confusione, incomincia a dubitare del proprio governo e a pensare che il proprio leader sia un dittatore, le manifestazioni si fanno sempre più violente: si va verso la guerra civile e il paese sprofonda nel caos. . La stampa occidentale etichetta quel governo come “Stato Canaglia”

FASE 3: I TERRORISTI FINANZIATI DALL’OCCIDENTE: A quel punto vengono inviati quelli seri, MERCENARI e GRUPPI ESTREMISTI vengono fatti affluire e convergere al profumo dei dio denaro e sguinzagliati contro il Regime Ufficiale. Degli esempi sono le brigate di ISIS sotto il Califfo Al Baghdadi oggi in Siria ed Iraq e Al Qaeda in molti paesi africani. Questi, armati, ben finanziati e addestrati, si uniscono alla rivolta portando devastazione e morte, facendo sembrare che il Governo Ufficiale sia divenuto una minoranza. E’ gente sufficientemente fanatizzata e disposta a commettere qualsiasi atrocità per 800 dollari al mese. Spuntano le armi pesanti e il paese viene messo a ferro e fuoco.

FASE 4: L’OPERAZIONE UMANITARIA: Se questo ancora non basta a rovesciare il governo , che continua a resistere, allora si passa all’ultima fase, quella dell’ ”OPERAZIONE UMANITARIA”: “Dobbiamo salvarli” “per il loro bene” “ dobbiamo liberarli dalla feroce dittatura” e a quel punto interviene la NATO spazzando via quel che resta delle truppe governative e d uccidendo il suo Leader.

FASE 5: Viene instaurato un GOVERNO FANTOCCIO gestito dall’Occidente. Il sistema bancario locale viene smantellato e sostituito con una BANCA CENTRALE GESTITA DALL'OCCIDENTE Rothschild). I gruppi filo-occidentali prendono il potere e incominciano a svendere a privati le maggiori imprese statali.. Ma chi è in grado di acquistare imprese tanto grandi se non chi detiene già enormi ricchezze, o meglio, chi i soldi li stampa?

Per la ricostruzione del paese devastato vengono generosamente “elargite” cifre astronomiche dal Fondo Monetario e da vari ISTITUTI BANCARI OCCIDENTALI facendo sprofondare l’intera economia nella SPIRALE DEL DEBITO

https://www.youtube.com/watch?v=WPf-a-nz1co
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COME L'OCCIDENTE ROVESCIA I GOVERNI NON SOTTOMESSI

Qualcuno ritiene che sia per proteggere i civili, altri dicono sia per il petrolio, ma alcuni sono convinti che l'intervento in Libia sia tutto per via del p...








Mauro Pellegrini dopo la guerra capito? 5 ore fa
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Ieri


ALCUNE DELLE CURE PER IL CANCRO AFFOSSATE E DEMOLITE DALL'INDUSTRIA FARMACEUTICA GLOBALE

UN VIDEO DOCUMENTARIO DI MASSIMO MAZZUCCO

https://www.youtube.com/watch?v=1RUrIO3Emws


CANCRO LE CURE PROIBITE a cura di Massimo Mazzucco

GUARDA ANCHE QUESTO FILAMATO!: http://www.youtube.com/watch?v=c5e2Pk4PC98&list=UUOPqCtX2HwDF9tt0ylel9xQ&index=0&feature=plcp CANCRO, LE CURE PROIBITE, a cur

 
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giovedì 7 agosto 2014

DRAGHI RISCUOTE LA SOVRANITA' (MENTRE SI PREPARANO NUOVE ELEZIONI POST-ILLUSIONE FINANZIARIA?)



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Forse una delle cose più verosimili tra quelle che vengono anticipate in questi giorni è quella sulla "profonda" revisione delle detrazioni e deduzioni fiscali. Un vecchio cavallo di battaglia che risale alle manovre estive double-dip di Tremonti, con previsioni "salvaguardia" che non furono mai attuate ma che furono ritrascinate nella finanziaria di Monti e poi reimmesse nella legge-delega fiscale.
Rammentare questo non è inutile: la riforma delle detrazioni e deduzioni fiscali, che doveva originariamente servire per ottenere il pareggio di bilancio entro il 2014, è rimasta inattuata persino da Monti. Letta ha in parte rimodulato nella parte finale della sua fase governativa, ma non "abbastanza".


Ora, bisogna distinguere, - cosa così elementare che può sfuggire solo a causa della confusione alimentata dai media filogovernativi (cioè tutti, seppure con crescenti perplessità)-, tra manovra correttiva sull'esercizio 2014 e legge di stabilità 2015.
E' ovvio che il Padoan di turno si riserva di sparare le sue cartucce sulla seconda, laddove il premier, a sua volta, ha infatti l'interesse a non smuovere troppo le acque, imponendo nuovi sacrifici che si rimangerebbero ufficialmente gli effetti fantomatici degli 80 euro.
Risultato:
a) non ci sarà una "vera" nuova manovra (attenzione: nel senso di nuove tasse, perchè il taglio della spesa pubblica viene considerato, da media e opinione pubblica concordi, la principale misura espansiva!), ma ci si accontenterà di campicchiare in attesa del varo della manovra di stabilità, anche perchè il governo punta tutte le sue carte sulla "assicurazione sulla vita", cioè sulla riforma del Senato e la legge elettorale, un combinato che può dare ad un partito che veleggi intorno al 40% il controllo praticamente incontrollato di tutte le istituzioni e, con ciò, consentirgli di perpetuare il proprio potere in modo da porsi come interlocutore obbligato persino alle istituzioni UE;


b) questo disegno, peraltro, è di incerta riuscita, dato che la golden share elettorale europea vantata da Renzi è stata ormai giocata, in un unico colpo andato a vuoto, nella grosse Koalition che sostiene Juncker e la governance dell'euro-delirio può ora dormire sonni (della ragione) alquanto tranquilli.
E una volta ricreata la continuità di vertice nelle istituzioni UE, queste possono proseguire imperturbabili nel disegno che era in agenda prima delle elezioni e che può sfruttare il fatto che la dispersione della sovranità degli Stati, in specie per l'Italia (il bersaglio grosso dell'intera strategia ordoliberista-internazionalista), è ormai un fatto compiuto; cioè che rende inutile, nel senso di irrilevante, il consolidamento di uno o l'altro tipo di assetto istituzionale "interno" in Italia;


c) all'attuale governo, dunque, non resta che un unico punto di forza: il consenso interno ottenuto con il metodo degli 80 euro e la imposizione, anche in sede europea, di una certa composizione del nuovo potere italiano. Cioè il messaggio che si vorrebbe far passare è che l'Italia ha un "garante" e uno solo possibile. E che quindi non si avrebbero alternative praticabili che consentano ai padroni €uropei di ripetere l'esperienza Monti, sostituendo l'attuale governo come si era fatto con Berlusconi;


d) non a caso, Delrio si ribadisce fiducioso che il PIL si riprenderà nel secondo semestre, che ulteriore spending review, superiore alle attese, alla fine opererà nel senso di far quadrare i conti. E rassicura che le pensioni in godimento (rispetto all'ipotesi di ricalcolo contributivo di quelle in tutto o in parte elargite col sistema retributivo) non saranno toccate.
A ciò va aggiunto che il piatto forte della legge di stabilità, come detto all'inizio, potrebbe essere costituito dalla riforma delle detrazioni e deduzioni ma fatta, in perfetto stile 80 euro, per "classi di reddito", cioè andando ad incidere solo sui redditi più alti su cui, per questa via sarebbe intensificata la pressione fiscale effettiva, lasciando esenti i redditi più bassi.
Unendo ad un nuovo gettito così "concentrato" (si dovrebbe trattare di qualcosa come 15-20 miliardi di inasprimento delle imposte dirette, per stare alle coperture nonchè alle correzioni imposte dall'UE) opportuni ulteriori tagli di spesa - che potrebbero anche implicare "tetti" alle pensioni, meno invisi del ricalcolo retributivo generalizzato, sfruttando la marea livorosa e prescindendo da ogni proporzione coi contributi in precedenza versati...e incamerati senza corrispondere alcun corrispettivo- la manovrona sarebbe compiuta;


e) gli italiani, - dando per scontata l'adeguata copertura mediatica a reti e giornaloni unificati-, sarebbero mediamente contenti: colpita sarebbe la maggioranza dei "ricchi" (pensionati e percettori di reddito...rimasti in Italia), con lo stesso grado di soddisfazione del corpo elettorale livoroso di riferimento, perseguendo quella Schadenfreude che ha già funzionato con gli 80 euro.
Inutile dire che alla fine quello che conterebbe sono i saldi: un mix di inasprimento della pressione fiscale (rozzamente offerta come redistribuzione) e di tagli della spesa, per circa 1,5 punti di PIL, porterebbe nel 2015 ad una recessione almeno di 2,2 punti di PIL (non vi devo rispiegare il moltiplicatore "Sapir", di cui tante volte abbiamo parlato);


f) però, ed è questo il "bello", tutti (espertoni e giornalisti) sarebbero concordi che non sarebbe una manovra recessiva, agendo sulla redistribuzione (non è vero ma basterà ripeterlo: in realtà è un mero inasprimento fiscale e non attribuisce alcuna nuova ricchezza alle fasce non colpite) e sul taglio della spesa, che, ormai, ci si è persuasi, a livello di dogma collettivo goebbelsiano, che non solo non diminuisca il PIL ma che addirittura lo aumenti.


Siccome, tuttavia, persino in questo governo è insorto un qualche sospetto che un consolidamento fiscale di almeno 20 miliardi qualche effetto sul PIL 2015 lo avrebbe, la manovra di stabilità preluderà al tentativo coevo (almeno di facciata) di far andare in porto la riforma costituzionale e la legge elettorale. Magari solo la seconda, visti i tempi dell'art.138 e la difficoltà che il probabile referendum confermativo della riforma costituzionale possa svolgersi in tempo, prima del grande "temporale" recessivo che investirà ufficialmente l'Italia.
E dunque entro la prossima primavera, prima che si inizino a registrare i dati della nuova dilagante recessione, diviene probabile che si svolgano nuove elezioni, in cui si ripeta il successo europeo degli 80 euro.
E pure con la opportuna dialettica (apparente) di una controparte politica spaghetti tea-party, che, mimando una presunta diversificabilità delle politiche fiscali perseguibili, strillerà sdegnata che si doveva "solo" tagliare la spesa pubblica, a tappeto, unico modo per ridurre la pressione fiscale "insostenibile per le imprese". E ritirare fuori l'abolizione integrale dell'art.18 come unico modo per ricreare posti di lavoro.


Una manna per Renzi, che potrebbe proporsi alla maggioranza livorosa dell'elettorato come un protettore delle fasce sociali deboli, dei giovani e dello stesso "lavoro".
E notare che questa "commedia dell'ars politicorum" italiana, come vedremo del tutto patetica agli occhi dei padroni €uropei, è tanto più grottesca quanto più la questione "euro" è ormai totalmente uscita dalla scena politica nazionale.


Questo disegno, deve apparire alquanto scoperto nelle alte sfere ordoliberiste €uropee: a cui interessa essenzialmente la questione del mercato del lavoro, cioè la flessibilizzazione totale in uscita. Senza neanche preoccuparsi della "illusione finanziaria" mantenibile come retaggio di altri tempi (quando un governo doveva legittimarsi elettoralmente)proprio perchè l'Europa ormai, scampato il pericolo elezioni dell'europarlamento, è fermamente convinta di imporre la logica tecnocratica efficientista che scalza i fastidiosi parlamenti; e l'ultima delle sue preoccupazioni è quella di quale sia l'esito di una consultazione elettorale nazionale, in un paese dove si è rinunciato ad ogni resistenza alla moneta unica.
Specialmente in Italia, dove la questione "euro" è definitivamente uscita di scena e le contese politiche interne appaiono una ridicola pantomima tra aspiranti feudatari che, nel loro insieme, risultano solo dei goffi esecutori di un diktat ormai fissato e ripetuto fino alla nausea.


Questo spiega perchè, subodorando l'andazzo, e richiamando all'ordine con un primo avvertimento gli inutili contendenti-apparenti delle varie fazioni italiane del PUO (cioè ordoliberisti post-ortodossi "nuovisti" e spaghetti tea-party), Draghi ribadisce che è giunto il momento di cedere la sovranità all'€uropa sulle riforme strutturali: cioè competitività (mercato del lavoro) e..."giustizia" (un alibi per dissimulare il via libero alla valanga degli IDE che devono riassettare l'Italia nel noto esito finale della colonizzazione).
Insomma, il messaggio è: "litigate pure tra di voi, per cordate e poltrone, ma solo se questo non ritarda il disegno che siamo comunque in "diritto" di completare direttamente.Ovverosia: ragazzi non ci fate perdere tempo: avete perso, non siete più sovrani e le vostre quisquilie politiche interne non contano ai nostri occhi."




Pubblicato da Quarantotto a 19:20
 
L’ascesa del Petroyuan e l’erosione dell’egemonia del dollaro

agosto 7, 2014 3 commenti

Tyler Durden Zerohedge 05/08/2014
Per 70 anni uno dei fondamenti cruciali del potere statunitense è stato il dollaro quale moneta più importante del mondo. Negli ultimi 40 anni, pilastro del primato del dollaro è stato il ruolo dominante del verdone nei mercati energetici internazionali. Oggi, la Cina sfrutta l’ascesa a potenza economica e di mercato sempre più importante per gli esportatori di idrocarburi del Golfo Persico e dell’ex-Unione Sovietica, circoscrivendo il predominio mondiale del dollaro nell’energia, con possibili profonde implicazioni per la posizione strategica degli USA.
Dalla seconda guerra mondiale, la supremazia geopolitica degli USA riposava non solo sulla forza militare, ma anche sulla posizione del dollaro quale principale valuta di transazione e di riserva mondiale. Economicamente, il primato del dollaro deriva dal “signoraggio”, la differenza tra costo per la stampa del denaro e il suo valore, sugli altri Paesi, minimizzando il rischio del cambio per le aziende degli USA. La sua reale importanza, però, è strategica: il primato del dollaro permette agli USA di colmare il cronico deficit di bilancio e correntizio mediante l’emissione di ulteriore moneta, proprio come Washington finanzia la propria proiezione di potenza da oltre mezzo secolo. Dagli anni ’70, pilastro del primato del dollaro è stato il ruolo di moneta dominante sui prezzi di petrolio e gas, con cui le vendite internazionali di idrocarburi sono fatturate e liquidate. Ciò permette di mantenere alta la domanda mondiale di dollari, nutrendo anche l’accumularsi tra i produttori di energia delle eccedenze in dollari, rafforzandone la posizione di prima riserva patrimoniale del mondo “riciclabile” nell’economia degli Stati Uniti per coprirne i deficit. Molti ritengono che la preminenza del dollaro nei mercati dell’energia deriva dallo status di maggiore valuta transazionale e di riserva mondiale. Ma il ruolo del dollaro in questi mercati non è naturale e né basato su una posizione dominante. Piuttosto, fu ideata dai politici statunitensi dopo il crollo dell’ordine monetario di Bretton Woods nei primi anni ’70, ponendo fine alla versione iniziale del primato del dollaro (“egemonia del dollaro 1.0″). Collegare il dollaro alla negoziazione internazionale del petrolio fu la chiave per crearne la nuova versione (“egemonia del dollaro 2.0″) e, per estensione, finanziare altri 40 anni di egemonia statunitense.
Egemonia oro e dollaro 1.0
Il primato del dollaro fu sancito in occasione della conferenza di Bretton Woods del 1944, dove gli alleati non comunisti degli USA aderirono al progetto di Washington per un ordine monetario internazionale del dopoguerra. La delegazione della Gran Bretagna guidata da Lord Keynes, e praticamente ogni altro Paese partecipante salvo gli Stati Uniti, favoriva la creazione di una nuova valuta multilaterale con il neonato Fondo monetario internazionale (FMI) quale principale fonte di liquidità globale. Ma ciò avrebbe ostacolato le ambizioni statunitensi per l’ordine monetario dollaro-centrico. Anche se quasi tutti i partecipanti preferivano l’opzione multilaterale, la potenza schiacciante degli USA fece sì che, alla fine, le sue preferenze prevalessero. Così, con il gold exchange standard di Bretton Woods, il dollaro fu ancorato all’oro e le altre valute al dollaro, facendone la principale forma di liquidità internazionale. C’era però una contraddizione fatale nella visione basata sul dollaro di Washington. L’unico modo con cui gli USA potevano diffondere abbastanza dollari per soddisfare le esigenze di liquidità mondiali, era il disavanzo a tempo indeterminato. Mentre Europa occidentale e Giappone recuperavano e riconquistavano competitività, il deficit cresceva. Gettandosi nella domanda crescente di dollari per finanziare l’aumento dei consumi, l’espansione dello stato sociale e la proiezione di potenza globale, gli USA presto offrirono più moneta statunitense di quella pari alle proprie riserve auree. Dagli anni ’50, Washington agì per convincere o costringere i titolari di dollari stranieri a non cambiare i verdoni con l’oro. Ma l’insolvenza non poteva essere scongiurata per molto: nell’agosto 1971, il presidente Nixon sospese la convertibilità dollaro-oro, ponendo fine al gold exchange standard; nel 1973, anche i tassi di cambio fissi scomparvero.
Tali eventi sollevarono interrogativi fondamentali sulla solidità a lungo termine dell’ordine monetario basato sul dollaro. Per conservarne il ruolo di primo fornitore di liquidità internazionale, gli Stati Uniti avrebbero dovuto continuare a mantenere i disavanzi delle partite correnti. Ma questo deficit si espanse, avendo l’abbandono di Washington di Bretton Woods intersecatosi con altri due sviluppi cruciali: gli USA diventarono importatori netti di petrolio nei primi anni ’70 e l’affermazione sul mercato dei membri chiave dell’organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) nel 1973-1974, causando un aumento del 500% del prezzo del petrolio, aggravando la pressione sulla bilancia dei pagamenti. Con il legame tra dollaro e oro reciso e tassi di cambio non più fissi, la prospettiva che il deficit degli Stati Uniti divenisse sempre più grande aggravò le preoccupazioni sul valore a lungo termine del dollaro. Tali preoccupazioni ebbero risonanza speciale per i grandi produttori di petrolio. Il petrolio sui mercati internazionali era valutato in dollari almeno dagli anni ’20, ma per decenni la sterlina fu usata almeno con la stessa frequenza dei dollari negli acquisti di petrolio transnazionali, anche dopo che il dollaro aveva sostituito la sterlina come prima valuta commerciale mondiale e di riserva. Finché la sterlina era ancorata al dollaro e il dollaro era “buono come l’oro”, ciò era economicamente sostenibile. Ma dopo che Washington abbandonò la convertibilità dollaro-oro e la transizione mondiale passò dai tassi di cambio fissi a quelli fluttuanti, il regime di valuta nel commercio del petrolio era in palio. Con la fine della convertibilità dollaro-oro, i principali alleati degli USA nel Golfo Persico, Iran dello Scià, Quwayt e Arabia Saudita, favorirono il passaggio del sistema dei prezzi dell’OPEC dai prezzi in dollari a un paniere di proprie valute. In tale contesto, molti alleati europei degli USA ripresero l’idea (già affrontata da Keynes a Bretton Woods) di fornire liquidità internazionale sotto forma di valuta multilaterale emessa dal FMI, governata dai cosiddetti “diritti speciali di prelievo” (DSP). Dopo che l’aumento dei prezzi del petrolio gonfiò i loro conti correnti, Arabia Saudita e gli altri alleati arabi del Golfo degli Stati Uniti spinsero l’OPEC ad iniziare le fatturazioni in DSP. Inoltre approvarono le proposte europee per riciclare gli avanzi in petrodollari nel FMI, per incoraggiarne l’emersione quale principale fornitore di liquidità internazionale post-Bretton Woods. Ciò avrebbe significato che Washington non poteva continuare a stampare dollari, mentre voleva sostenere l’aumento di consumi, spese sociali e grande proiezione di potenza globale. Per evitarlo, i politici statunitensi dovettero trovare nuovi modi per incentivare gli stranieri a continuare a mantenere sempre più grandi eccedenze di ciò che erano ormai dollari fiat.
Egemonia petrolio e dollaro 2.0
A tal fine, le amministrazioni degli Stati Uniti dalla metà degli anni ’70 misero a punto due strategie. massimizzare la domanda di dollari come valuta transazionale ed invertire le restrizioni di Bretton Woods sui flussi di capitali transnazionali; con la liberalizzazione finanziaria, gli USA potevano fruttare ampiezza e profondità dei propri mercati di capitali, e coprire il cronico deficit di bilancio e partite correnti attirando capitali stranieri a costi relativamente bassi. Forgiare stretti legami tra vendita di idrocarburi e dollaro si dimostrò cruciale su entrambi i fronti. Creando tali collegamenti, Washington estorse efficacemente ai suoi alleati arabi del Golfo un silenzio condizionato garantendosi la loro propensione ad aiutare finanziariamente gli Stati Uniti. Rinnegando le promesse ai partner europei e giapponesi, l’amministrazione Ford spinse clandestinamente l’Arabia Saudita e altri produttori arabi del Golfo a riciclare quote sostanziali delle loro eccedenze in petrodollari nell’economia degli Stati Uniti, tramite intermediari privati (in gran parte degli Stati Uniti), piuttosto che attraverso il FMI. L’amministrazione Ford chiese anche il supporto del Golfo arabo a una Washington in ristrettezze finanziarie, concludendo accordi segreti con le banche centrali di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per acquistare grandi quantità di titoli del Tesoro USA al di fuori delle aste normali. Tali impegni aiutarono Washington ad impedire al FMI di soppiantare gli Stati Stati quale principale fornitore di liquidità internazionale, dando anche un fondamentale impulso alle ambizioni di Washington nel finanziare il deficit riciclando avanzi dei dollari esteri tramite mercati finanziari privati e l’acquisto di titoli di Stato statunitensi. L’impegno dell’OPEC al dollaro come moneta per le vendite internazionali del petrolio fu fondamentale per l’ampia adozione del dollaro quale valuta transazionale dominante sul mercato petrolifero. Pochi anni dopo, l’amministrazione Carter siglò un altro accordo segreto con i sauditi, per cui Riyadh s’impegnava ad esercitare la propria influenza per garantire che l’OPEC mantenesse i prezzi del petrolio in dollari. Quando il sistema di prezzi amministrati dell’OPEC crollò a metà degli anni ’80, l’amministrazione Reagan incoraggiò l’uso universale dei dollari nelle vendite di petrolio internazionali nelle nuove borse del petrolio di Londra e New York. I prezzi quasi universali del petrolio e poi del gas, in dollari, furono rafforzati dalla probabilità che le vendite di idrocarburi non fossero solo espresse in dollari, ma anche trattate, generando il costante sostegno alla domanda di dollari in tutto il mondo.
In breve, queste occasioni furono fondamentali nella creazione dell'”egemonia del dollaro 2.0″. E sostanzialmente ressero nonostante la periodica insoddisfazione araba del Golfo verso la politica mediorientale degli Stati Uniti, il fondamentale allontanarsi degli Stati Uniti da altri importanti produttori del Golfo (Iraq di Sadam Husayn e Repubblica islamica dell’Iran), e dall’interesse sul “petro-euro” nei primi anni 2000. I sauditi, in particolare, hanno vigorosamente difeso i prezzi del petrolio esclusivamente in dollari. Mentre Arabia Saudita e altri grandi produttori di energia accettavano il pagamento delle loro esportazioni di petrolio in altre valute principali, la quota maggiore delle vendite mondiali di idrocarburi continuava ad essere regolata in dollari, perpetuando lo status del dollaro a prima valuta transazionale del mondo. Arabia Saudita e altri produttori arabi del Golfo completarono il sostegno al nesso petrolio-dollari con grandi acquisti di armi avanzate statunitensi; la maggior parte agganciò le proprie valute al dollaro, un impegno che alti funzionari sauditi descrivono come “strategico”. Mentre la quota del dollaro nelle riserve globali è scesa, il riciclaggio dei petrodollari del Golfo arabo permette di mantenerlo come valuta di riserva mondiale.
La sfida della Cina
Eppure, storia e logica cautela delle pratiche attuali non sono scolpite sulla pietra. L’ascesa del “petroyuan” verso un regime valutario meno dollaro-centrico nei mercati energetici internazionali, con implicazioni potenzialmente gravi per la posizione del dollaro, è già in corso. Mentre la Cina è emersa quel principale attore sulla scena energetica mondiale, ha anche intrapreso un’estesa campagna per internazionalizzare la propria valuta. Una quota crescente del commercio estero della Cina viene espressa e regolata in renminbi; l’emissione di strumenti finanziari denominati in renminbi è in crescita. La Cina persegue un processo prolungato di liberalizzazione essenziale alla piena internazionalizzazione del renminbi in conto capitale, permettendo maggiore flessibilità dei tassi di cambio dello yuan. La Banca Popolare di Cina (PBOC) ha ora accordi di swap con oltre 30 altre banche centrali, il che significa che i renminbi è già un’efficace valuta di riserva. Guardando al futuro, l’uso del renminbi nella vendita degli idrocarburi internazionale sicuramente aumenterà, accelerando il declino dell’influenza statunitense nelle regioni-chiave produttrici di energia. I politici cinesi apprezzano i “vantaggi di agente storico” di cui il dollaro gode; il loro scopo non è il renminbi che sostituisce il dollaro, ma affiancare lo yuan al verdone quale valuta transazionale e di riserva. Oltre ai benefici economici (ad esempio, riducendo i costi di cambio per le imprese cinesi), Pechino vuole, per motivi strategici, rallentare ulteriormente la crescita delle sue enormi riserve in dollari. La Cina ha visto aumentare la propensione statunitense ad escludere Paesi dal sistema finanziario statunitense come strumento di politica estera, e si preoccupa di come Washington cerchi di sfruttare ciò; l’internazionalizzazione del renminbi può mitigare tale vulnerabilità. In generale, Pechino comprende l’importanza del potere del dollaro nel dominio statunitense; intaccandolo la Cina può contenere l’eccessivo unilateralismo degli Stati Uniti.
La Cina da tempo ha inserito gli strumenti finanziari nei suoi sforzi per accedere agli idrocarburi stranieri. Ora Pechino vuole che i principali produttori di energia accettino il renminbi come valuta transazionale, anche per concludere l’acquisto di idrocarburi, incorporando il renminbi nelle riserve della banca centrale cinese. I produttori sono motivati ad accettarlo. La Cina è nel prossimo futuro, di gran lunga il principale mercato in crescita per i produttori di idrocarburi nel Golfo Persico e dell’ex-Unione Sovietica. Le ampie aspettative di lungo termine sull’apprezzamento dello yuan rendono l’accumulazione delle riserve di renminbi una “bazzecola” in termini di diversificazione del portafoglio. Mentre gli USA sono sempre più visti come potenza egemone in declino, la Cina è vista come potenza in ascesa per eccellenza. Anche per il Golfo arabo, che da tempo si affida a Washington come ultimo garante della sicurezza, ciò fa sì che più stretti legami con Pechino siano un imperativo strategico. Per la Russia, i rapporti deterioratisi con gli Stati Uniti spingono a una maggiore cooperazione con la Cina, contro ciò che Mosca e Pechino considerano i declinanti, ma ancora pericolosamente instabili ed iperattivi USA. Per diversi anni, la Cina ha pagato le importazioni di petrolio dall’Iran in renminbi; nel 2012, la BoPRC e la Banca Centrale degli Emirati Arabi Uniti istituirono uno swap in valuta da 5,5 miliardi di dollari, ponendo le basi per la conclusione in renminbi delle importazioni di petrolio cinesi da Abu Dhabi, un’importante espansione dell’uso del petroyuan nel Golfo Persico. L’accordo sul gas sino-russo da 400 miliardi di dollari concluso quest’anno, prevede l’acquisto cinese di gas russo in renminbi; se completato, ciò darà un ruolo apprezzabile al renminbi nelle transazioni di gas transnazionali.
Guardando al futuro, l’uso del renminbi nelle vendite di idrocarburi internazionali sicuramente aumenterà, accelerando il declino dell’influenza statunitense nelle regioni-chiave produttrici di energia. Rendendo anche più difficile per Washington finanziare quello che la Cina ed altre potenze in ascesa considerano una politica estera interventista; una prospettiva su cui la classe politica statunitense ha appena cominciato a riflettere.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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L’MH17 una false flag della CIA che non vola

agosto 5, 2014 4 commenti

F. William Engdahl Nsnbc 2 agosto 2014
Il mondo ha già visto tali sceneggiate. Ha visto l’incidente sotto falsa bandiera del Golfo del Tonchino durante la guerra del Vietnam. Ha visto l’episodio del finto gas Sarin di CIA e sauditi, nel 2013, che ha portato il mondo sull’orlo della guerra mondiale. Ha visto l’episodio dell’uranio yellowcake fasullo del Niger usato per costringere il Congresso degli Stati Uniti alla guerra contro l’Iraq di Sadam Husayn nel 2003, per le cosiddette armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Ora il mondo vede di nuovo le frenesie del dipartimento di Stato degli Stati Uniti e della CIA per cercare d’accusare la Russia di Putin di fornire ai separatisti dell’Ucraina orientale armi antiaeree altamente sofisticate russe che sarebbero state utilizzate per abbattere l’aereo delle Malaysia Airlines. Putin, accusa il segretario di Stato John Kerry su cinque (!) talk show del 20 luglio, di non controllare i ribelli dell’Ucraina orientale. La prova di tutto questo? I “social media”, secondo il portavoce ufficiale del dipartimento di Stato. La buona notizia per quelle anime sobrie che non desiderano vedere la terza guerra mondiale tra Cina-Russia e Paesi BRICS contro USA/NATO, trasformando l’Europa occidentale in un Trümmerfeld devastato per la terza volta in un secolo, è che tale tentativo d’incolpare la Russia di Putin si ritorce contro, anche s’è stato deciso.
Domande senza risposta
Una delle caratteristiche più scioccanti della copertura dei media mainstream occidentali sul caso del MH17 è la totale mancanza di un serio e prudente giornalismo investigativo, esistente solo pochi anni fa. Invece di peccare per eccesso di cautela prima di giudicare una situazione che potrebbe facilmente innescare una nuova Guerra Fredda o, peggio, CNN, New York Times, Washington Post e la maggior parte dei media UE, tra cui quelli tedeschi, hanno semplicemente citato i funzionari del governo di Kiev, tra cui dei neo-nazisti, come se fossero credibili. Una vera inchiesta deve esaminare le domande insolute. In primo luogo dovremmo cominciare con molte domande, senza risposta, assai cruciali, prima di decidere cosa sia successo al Boeing 777 del MH17, quel 17 luglio.
Screenshot da FlightAware.com compilato da Vagelis Karmiros che collaziona tutte le rotte del MH-17 tracciate da FlightAware mostrando come, mentre tutti gli ultime 10 rotte passano tranquillamente a sud della regione di Donetsk, sorvolando il Mare di Azov, solo il 17 luglio, il tragico volo MH17 passò proprio sul Donetsk.
Il primo è il motivo per cui il controllo del traffico aereo di Kiev del ministero dell’Aviazione dell’Ucraina, ordinò al MH17 di deviare dalla rotta pianificata che evitava la zona di guerra nell’Ucraina orientale? Secondo rapporti iniziali di FlightAware.com, che traccia online tutti gli aeromobili civili, il 17 luglio il Boeing 777 del Volo MH17 delle Malaysia Airlines, dall’aeroporto Schiphol di Amsterdam a Kuala Lumpur in Malesia, deviava in modo significativo in altitudine e rotta da tutti gli altri voli commerciali che dall’inizio della guerra civile in Ucraina orientale, ad aprile, volano a sud della regione in conflitto. Le domande chiave prima d’incolpare qualcuno, furono completamente ignorate dal governo ucraino a Kiev, dall’amministrazione Obama a Washington, dalla maggior parte dei media occidentali, è perché il pilota deviò dalla rotta? Perché sorvolò lo spazio aereo vietato? E quali istruzioni diede il controllo aereo di Kiev al pilota, nei minuti prima della tragica esplosione? Curiosamente, dopo che i dati di FlightAware furono pubblicati inizialmente, il sito cambiò versione sulla rotta del MH17. Perché l’ha fatto?
Il falso video della ‘pistola fumante’ di Kiev
La maggior parte delle argomentazioni dell’amministrazione Obama su chi sia responsabile del MH17 cita i funzionari del governo di Kiev. Eppure hanno mentito ripetutamente dal colpo di Stato del 22 febbraio 2014, che li ha messi al potere illegalmente con le armi. Poche ore dopo la notizia dell’abbattimento dell’aereo, l’intelligence ucraina diffuse ciò che sosteneva essere la “prova” che il MH17 era stato abbattuto dai separatisti agli ordini diretti della Russia. Il video su YouTube di 2:23 minuti pretese di dimostrare che “i militanti del ‘gruppo Bes’, usando un missile antiaereo russo, avevano abbattuto l’aereo di linea Boeing 777 delle Malaysia Airlines da Amsterdam a Kuala Lumpur‘. L’intelligence ucraina presentò ciò che pretendeva essere le registrazioni delle conversazioni tra un separatista filo-russo e il suo coordinatore Vasil Geranin, che sarebbe un colonnello del Primo direttorato dell’Intelligence dello Stato Maggiore Generale delle Forze Armate russe. Si parla dell'”abbattimento di un jet”, senza capire se si tratta di un jet civile o militare, potendo anche riferirsi a un Su-25 ucraino abbattuto alcune ore prima nei combattimenti. Nel video su YouTube non c’è modo di provare che l’audio non sia semplicemente un copione letto da due attori in uno studio. La “pistola fumante” di Kiev, il video, scomparve dai media quando diligenti ricercatori informatici scoprirono che data/ora mostravano che il fu messo online il 16/07/2014 alle 19:10 ora di Kiev, il giorno prima dell’abbattimento del MH17. Ops! Tornate a studiare a Langley, ragazzi. Questo per quanto riguarda la credibilità del governo di Kiev, che ha sempre mentito fin dal primo giorno al potere.
Le simultanee manovre USA/NATO
Ora passiamo a una coincidenza molto interessante. Proprio come avvenne negli attacchi al World Trade Center del settembre 2001 e al cosiddetto attentato di Boston, e numerosi altri episodi terroristici, vi furono importanti manovre NATO in Ucraina nei giorni prima e dopo l’incidente del MH17. Secondo lo spifferatore di Washington della NSA Wayne Madsen, la NATO e l’esercito ucraino partecipavano ad “esercitazioni” militari congiunte di dieci giorni, nome in codice ‘Sea Breeze‘, comprendenti l’utilizzo di aeromobili da guerra elettronica e intelligence elettronica, come il Boeing EA-18G Growler e il Boeing E-3 Sentry Airborne Warning e Control System (AWACS). Sea Breeze, secondo Madsen, includeva l’incrociatore lanciamissili classe AEGIS USS Vella Gulf. Dal Mar Nero, “il Vella Gulf poteva seguire il Malaysia Airlines MH17, nonché eventuali missili lanciati contro l’aereo“. Inoltre, gli aeromobili AWACS e d’intelligence elettronica (ELINT) sorvolavano la regione del Mar Nero quando MH17 volava sull’Ucraina. Gli aerei Growler possono bloccare i radar dei sistemi terra-aria. L’esercitazione NATO coincise con l’abbattimento del 17 luglio del MH17, a soli 40 miglia dal confine con la Russia. “Navi ed aerei della NATO controllavano le regioni di Donetsk e Lugansk con i radar e la sorveglianza elettronica“. (Una nota curiosa è il ricorrente ruolo centrale del vicepresidente Joe Biden negli eventi Ucraina. Biden v’è coinvolto personalmente dall’inizio delle proteste. Ed insolitamente, non fu la NATO, ma il sito dell’ufficio del vicepresidente Joe Biden che per prima annunciò le manovre militari statunitensi Sea Breeze e Rapid Trident II, il 21 maggio 2014. Così, con uno sfacciato conflitto di interessi, il figlio di Biden, Hunter, è il direttore della nuova società energetica ucraina Burisma Holdings, Ltd., di proprietà di Igor Kolomoiskij, l’oligarca mafioso ucraino-israeliano noto come il “Camaleonte”).
La domanda scottante è perché è il governo degli Stati Uniti non ha svelato le immagini del tracciato del volo MH17 del 17 luglio, mostrando con precisione dove volava e dove fu colpito? Forse per paura di rivelare ciò che teme essere un boomerang sui falchi di Washington? Non solo le agenzie statunitensi hanno dati satellitari sul volo MH17, hanno anche immagini precise della batteria lanciamissili che probabilmente aveva sparato il missile che ha distrutto MH17. Secondo il pluripremiato ex-giornalista di Newsweek Robert Perry, una fonte attendibile gli ha detto che “le agenzie d’intelligence degli Stati Uniti hanno dettagliate immagini satellitari della probabile batteria lanciamissili che ha sparato il missile fatale, ma la batteria sembrava essere sotto il controllo delle truppe governative ucraine, vestite con ciò che sembrano uniformi ucraine”. Potrebbe essere questa la ragione per cui, finora, l’amministrazione Obama non ha rilasciato le prove dettagliate per dimostrare le sue affermazioni sui “ribelli ucraini appoggiati da Mosca” che avrebbero sparato il missile mortale? Potrebbe mostrare, infatti il contrario, le forze legate a Kiev.
Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti cambia storia
La guerra di propaganda contro la Russia sull’abbattimento del MH17 è diretta, proprio come nel golpe di Majdan, da una cabala di neoconservatori del dipartimento di Stato degli Stati Uniti. La viceportavoce di Victoria Nuland ed ex-addetta stampa della CIA, Marie Harf, nella conferenza stampa del 21 luglio a Washington, affrontò domande insolitamente persistenti e critiche da diversi giornalisti, che chiesero perché, se il segretario John Kerry e il governo degli Stati Uniti possedevano prove “inconfutabili” del coinvolgimento russo e dei ribelli sul caso MH17, si rifiutavano di renderle pubbliche, come fecero gli Stati Uniti in casi precedenti, come nella crisi dei missili di Cuba del 1962. Sulla difensiva e irritata dalle domande, Harf rispose, riferendosi alle dichiarazioni di Kerry del 20 luglio, “secondo la nostra valutazione si trattava di un missile SA-11 sparato dal territorio controllato dai separatisti filo-russi”. Ma, incredibilmente, qual era la prova che i giornalisti chiedevano? Harf rispose, “sappiamo, l’abbiamo visto nei social media e poi i video, abbiamo visto le foto dei separatisti filo-russi vantarsi di avere abbattuto un aereo…” Mi scusi, signore e signori per il sussulto. “L’abbiamo visto nei social media… poi abbiamo visto le foto dei separatisti filo-russi vantarsi...”, la CIA si occupa anche di fotografie? Con il governo e l’intelligence militare russi rilasciare le proprie prove, l’amministrazione Obama s’è lanciata freneticamente nel “limitare i danni”. Alle 17:57, ora di Washington del 22 luglio, decise di organizzare una conferenza stampa di “anonimi alti funzionari.” “Con anonimi alti funzionari” di solito ci si riferisce ai vertici del governo o agli assistenti dei segretari. Diversi “anonimi alti funzionari statunitensi” tennero una conferenza stampa a Washington. Ufficiali dell’intelligence USA dichiararono che, mentre i russi armavano i separatisti nell’Ucraina orientale, “gli Stati Uniti non avevano alcuna prova diretta che il missile utilizzato per abbattere l’aereo passeggeri provenisse dalla Russia“. Questa era nuova per Washington. I funzionari dell’intelligence USA continuarono a dire che non sapevano chi avesse sparato il missile o se eventuali operatori russi erano presenti al lancio del missile. Era “incerto” che l’equipaggio del lanciamissili sia stato addestrato in Russia… su chi abbia sparato il missile, dichiararono “Non sappiamo il nome, non sappiamo il grado e non siamo nemmeno al 100 per cento sicuri della nazionalità…
Sembrando dei goffi personaggi di un brutto remake hollywoodiano di Laurel & Hardy, gli ‘alti’ ufficiali dell’intelligence degli Stati Uniti, quando gli chiesero dettagli sulle prove, ripeterono il mantra di Marie Harf del dipartimento di Stato. I ‘vertici’ dell’intelligence ebbero la faccia tosta di affermare che “ci basiamo in parte sui messaggi e video dei social media resi pubblici nei giorni scorsi dal governo ucraino“, anche se apertamente ammisero che non potevano autenticarli tutti. Ad esempio, citarono il video di un lanciamissili che avrebbe attraversato il confine russo dopo il lancio che sembrava privo di un missile. Ma più tardi, interrogati, i funzionari riconobbero che non avevano ancora verificato se il video era esattamente ciò che pretendeva di essere. L’ultimo pezzo della conferenza stampa è sorprendente, perché indicava che qualche briefing, forse della CIA o del dipartimento di Stato, informò il presidente degli Stati Uniti (che presumibilmente ebbe poco tempo per le indagini…), quando poi andò alla televisione nazionale, il 21 luglio, per dire che l’aereo delle Malaysia Airlines, “è stato abbattuto sul territorio controllato dai separatisti filo-russi in Ucraina”, dicendo anche che la Russia aveva addestrato i separatisti “armandoli con attrezzature militari e armi, comprese armi antiaeree”. Quel discorso avvicinava il mondo alla Guerra Fredda con la Russia, che facilmente poteva divenire calda. Il giorno dopo, qualcuno assai esperto nell’amministrazione statunitense, chiaramente decise di ridurre massicciamente il confronto.
F. William EngdahlRussiaToday
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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LA RUSSIA ABBANDONA L'OCCIDENTE (AL SUO DECLINO): PRONTO UN ACCORDO ANCHE CON L'INDIA PER IL GAS, E ADDIO EUROPA.

sabato 9 agosto 2014
LONDRA - Sembra che Vladimir Putin abbia trovato un altro importante cliente per il gas russo. Infatti dopo aver concluso contratti di fornitura con Cina e Giappone adesso il governo russo e' in trattative col governo indiano per la costruzione di un gigantesco gasdotto che permetta all'India di importare gas dalla Russia.
Da anni il governo indiano e' alla disperata ricerca di fornitori affidabili per soddisfare il suo fabbisogno energetico e la Russia, grazie alle sue immense riserve di gas naturale, e' il partner ideale e per tale motivo il premier indiano Narendra Modi si e' incontrato con Vladimir Putin per discutere i dettagli di tale accordo.
I costi di questo gasdotto sono stimati in 40 miliardi di dollari e al momento sono allo studio due possibili rotte, una che colleghi direttamente India e Russia passando dall'Himalaya e un'altra che passi attraverso il Khazakstan, l'Uzbekistan, il Turkmenistan, l'Afghanistan e il Pakistan.
Ovviamente realizzare questo progetto non sara' affatto facile ma il governo indiano e' determinato a approviggionarsi dalla Russia e il governo russo e' piu' che felice di trovare nuovi clienti per il suo gas cosi' da poter compensare la perdita del mercato europeo con buona pace di coloro che ancora insistono nell'imporre sanzioni alla Russia.
Da parte nostra speriamo che quest'inverno la Russia non decida di interrompere le forniture di gas all'Europa ma qualora dovesse accadere sapremo a chi dare la colpa e di certo non a Putin.
GIUSEPPE DE SANTIS

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RUSSIA PUTIN GAS INDIA ACCORDO NUOVO GASDOTTO FORNITURA EUROPA INVERNO IN ARRIVO http://www.ilnord.it/index.php?cerca_art=
 
Fonte: http://www.studiolegalemarcomori.it/mario-draghi-chiede-di-cedere-la-sovranita-nazionale/

Diritto penale, Euro ed Unione europea, In Evidenza
di Marco Mori

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In data odierna Mario Draghi, il Governatore della banca centrale europea, ha pronunciato una dichiarazione a dir poco surreale. Draghi, cittadino italiano e come tale soggetto al rispetto delle leggi di questa nazione, ha espressamente invitato i paesi UE a cedere la loro sovranità per le riforme strutturali.
Ora come noto l’art. 11 Cost. recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Pertanto la cessione di sovranità, al contrario della mera limitazione, e’ un fatto palesemente illecito. Ma non solo, e’ un atto ostile contro la personalità dello Stato e dunque un reato.
L’art. 243 c.p. punisce: “Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”.
Trattasi di disposizione normativa che mira a tutelare l’interesse del mantenimento della pace e dell’esclusione, nello svolgimento delle relazioni internazionali, di interferenze da parte di soggetti non autorizzati (ad esempio Mario Draghi), conniventi con lo straniero, capaci di compromettere i rapporti e la pacifica convivenza tra i popoli.
Il verificarsi dell’evento bellico non è elemento necessariamente richiesto per la consumazione del reato in parola per il quale è sufficiente l’avvenuta intelligenza con lo straniero a tale fine o a quello di compiere anche altri atti altrimenti ostili alla nazione che è proprio ciò che interessa in questa sede.
Tenere “intelligenze” significa semplicemente stringere un accordo con lo straniero (ovvero ciò che Draghi ha chiesto di fare oggi), accordo che ai fini del reato in parola può anche essere assolutamente palese e non già occulto.
La stipula di un trattato o un qualsiasi accordo internazionale è pacificamente un atto d’intelligenza con lo straniero.
La qualificazione giuridica meno immediata è invece quella che definisce appunto il concetto di “atto ostile”.
Atti di ostilità sono tutte le azioni d’inimicizia diverse dalla guerra stessa che risultino dannose per la personalità giuridica del paese, anche qualora non coercitivi o non violenti.
L’ordinamento democratico della Repubblica Italiana si basa ovviamente sulla nostra Costituzione che all’articolo 1 attribuisce espressamente la sovranità al popolo. Tale passaggio costituisce l’essenza di una democrazia nel senso proprio del termine.
Un atto d’intelligenza con lo straniero che comporta la sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale in violazione degli artt. 1 e 11 Cost. deve necessariamente qualificarsi come atto ostile a quel bene giuridico che si può definire personalità dello Stato Italiano.
Non vi è infatti azione più ostile nei confronti di una nazione di quella diretta a cancellarne la sovranità o a menomarne l’indipendenza. Ogni evento bellico è per sua definizione il tentativo di sottomettere un altro Stato menomandone proprio la sua sovranità e la sua indipendenza.
La cessione di sovranità dell’Italia in favore di organismi stranieri rappresenta indiscutibilmente la fine dell’Italia quale nazione libera ed indipendente, ciò è esattamente quello che accadrebbe in caso di occupazione militare del paese. Siamo in presenza di un atto oggettivamente ostile alla personalità dello Stato.
Se si parla di interessi nazionali la valutazione dovrà quindi essere esclusivamente giuridica e non di mera opportunità.
Anche se si ritenesse che la cancellazione dell’Italia come Stato possa essere atto compiuto nell’interesse del popolo italiano stesso ciò non toglierebbe la qualifica di atto ostile ad un trattato che disponga suddetta cancellazione.
Ergo il carattere ostile di un atto è in re ipsa nella cessione di sovranità compiuta in violazione di principi fondamentali della nostra costituzione indipendentemente dal fatto che si possa pensare o meno che tale cessione migliorerà la qualità della vita nel nostro paese.
Dunque un discorso come quello di Mario Draghi di cui si è già detto ove si enfatizza il disegno di cedere la sovranità nazionale in favore dell’Europa dei mercati non può lasciare francamente indifferenti.
A questo punto e’ doveroso chiedere alla Procura di Roma quali siano le loro intenzioni perché l’inerzia stavolta sarebbe davvero inaccettabile anche alla luce del fatto che Matteo Renzi (ovvero il Presidente del Consiglio) si e’ detto d’accordo nel procedere con le cessioni di sovranità
 
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RIFORME E ALTO TRADIMENTO




Fonte: http://marcodellaluna.info/sito/2014/07/30/2032/

In tutta l’Europa occidentale, con le riforme iniziate alla fine degli anni 70, il modello di sviluppo economico e giuridico favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito con un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide, subordinando a questo fine antisociale e incompatibile coi principi costituzionali. Questo disegno, già ampiamente realizzato dall’UE e dalla politica italiana, è la radicale eversione del fondamento di legittimità dello Stato sancito dall’art. 1 e dall’art. 3 della Costituzione, laddove questo fonda la Repubblica sul “lavoro”, sulla democraticità, sull’eguaglianza giuridica e sostanziale (a tacere di molti altri principi basilari e inalterabili della Costituzione italiana e non solo di quella italiana). Quindi, come ampiamente documenta il magistrato Luciano Barra Caracciolo nel suo recente saggio Euro e (o?) democrazia costituzionale, l’insieme delle riforme e dei trattati introdotti in esecuzione di questo piano è radicalmente anticostituzionale e – aggiungo io – penalmente illecito siccome attentato contro la Costituzione commesso con mezzi violenti consistenti nel cagionare rischi di default pubblico e nel diffondere disoccupazione, allarme e grave sofferenza sociale.

*

Il grande mutuo (Antonino Galloni, Editori Riuniti, Roma 2007) preannunciava l’imminente esplosione di un’imponente crisi finanziaria e di liquidità dopo l’inizio, anni prima, delle problematicità nell’economia reale. Quasi contemporaneamente, in epoca di grandi promesse europeiste al pubblico, un altro saggio,Basta con questa Italia (Marco Della Luna, Arianna Editrice, 2008), scritto nel 2007, anticipava che l’Italia, come sistema paese, con le sue aziende pubbliche e private meno competitive di quelle straniere, sottocapitalizzate, sotto finanziate, strozzinate, vessate da fisco e pubblica amministrazione, incapaci di significativi avanzamenti tecnologici, sarebbe stata rilevata dal capitale straniero, che la avrebbe riformata e gestita secondo i propri interessi, e certo non secondo quelli degli Italiani.

Esattamente questo sta avvenendo puntualmente e con la collaborazione della politica e delle istituzioni di questo paese nonché dell’Unione europea e della Banca centrale europea, che hanno creato ad arte le condizioni affinché ciò avvenisse. Queste condizioni sono essenzialmente una grave carenza di liquidità, che si pretende di combattere con misura fiscali e budgetarie che invece la aggravano, gettando il Paese nelle mani del capitalismo imperialista appoggiato dalla BCE.

L’eversione costituzionale consiste essenzialmente nel sostituire, con l’inganno e le crisi create ad hoc, il sistema socioeconomico legittimante stabilito nella Costituzione con uno incompatibile con esso perché antidemocratico ed oligarchico. In tutta l’Europa occidentale, con le riforme iniziate alla fine degli anni 70, il modello di sviluppo economico e giuridico democratico, favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito, a colpi di emergenze preordinate, con un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide, subordinando a questo fine antisociale e incompatibile coi principi costituzionali, la crescita economica, la quale in effetti è stata quasi arrestata, e trasformando strumentalmente gli ordinamenti giuridici e costituzionali dei paesi interessati. Di questo si è più ampiamente parlato nel precedente articolo dal titolo Dove portano queste riforme.

Per completezza, evidenziamo qui tre circostanze.

La prima: non ostante tutto, le imprese italiane esportano più di quanto il sistema Italia importi – quindi hanno un buon potenziale medio di profitto, sono interessanti, fanno gola.

La seconda: la Germania ha fatto e fa imbrogli di tutti i generi ma ha fatto anche una delle cose giuste fino a due anni fa: investimenti dei privati in innovazione tecnologica che riducono il clup (costo del lavoro per unità di prodotto); ma le imprese tedesche hanno potuto farlo perché disponevano di ciò di cui non dispongono le imprese italiane, ossia di un ceto politico-amministrativo abbastanza non dedito al “mangiare”, abbastanza competente, capace di progettualità di medio-lungo termine. Disponevano anche di un mercato interno con un reddito e una capacità di assorbimento non in contrazione strutturale.

La terza: da due anni la stessa Germania sta contenendo la propria domanda interna ed è in uno squilibrio dovuto a eccesso di avanzo commerciale che corrisponde al disavanzo di altri. E’ vero che a tale avanzo non corrisponde un disavanzo dell’Italia, ma nondimeno quell’avanzo è utilizzabile per comperare, in Italia, servizi in via di privatizzazione. Poi dobbiamo tenere presenti le decisioni di Draghi del 5 giugno scorso, o meglio le sue promesse di intervenire miratamente per sostenere il credito bancario all’economia reale, “nei limiti del mandato della BCE”. Espressioni allusive, indeterminate, ambigue, che prospettano una variabile ad oggi ancora tale.

Il trasferimento a costo tendenzialmente nullo o quasi delle aziende italiane al capitale soprattutto straniero o apolide è avvenuto e sta avvenendo attraverso due primari strumenti.

Innanzitutto l’euro, quale blocco degli aggiustamenti fisiologici dei cambi quindi delle bilance dei pagamenti, che ha l’effetto di rendere meno esportabili le produzioni italiane favorendo invece quelle dell’area del marco, di aumentare l’indebitamento estero dell’Italia, di rendere più difficile ottenere crediti in Italia.

In secondo luogo, la tempistica della riduzione del costo del lavoro quindi del costo di produzione per unità di prodotto: la Germania, aiutandosi slealmente con lo sforamento del limite del 3% del deficit sul Pil (autorizzato dall’Italia), nonché con trucchi contabili e con illeciti aiuti di Stato alle imprese, ha ridotto prima di Italia e altri paesi il suo costo del lavoro per unità di prodotto. Lo ha fatto anche introducendo forme di impiego a 250 e € 450 al mese, dette minijob e midijob.

Avendo ridotto il costo del lavoro per unità di prodotto prima dell’Italia e beneficiando del blocco dei cambi che deprezzava il suo cambio “naturale”, ha potuto esportare verso l’Italia e altri paesi periferici molto più di quanto importava da essi, realizzando così per molti anni forti saldi attivi della bilancia dei pagamenti, ed indebitando quei paesi verso di sé, tanto più che prestava loro soldi per importare i suoi prodotti (caso estremo: la Grecia). Ciò le ha permesso e le permette di rastrellare a basso costo aziende valide o potenzialmente produttive e redditizie di quei paesi per integrarle nei propri cicli produttivi lasciando ad esse, cioè in Italia, le briciole dei margini di utile, e chiudendo o convertendo quelle di esse che siano in contrasto o concorrenza con imprese tedesche. Gli utili di queste aziende a rastrellate vengono trattenuti o deportati in Germania.

L’operazione di rastrellamento si sta estendendo, con la partecipazione della Francia, al settore dei servizi pubblici, il quale, beneficiando di posizioni di monopolio di fatto o di diritto, e rivolgendosi a una domanda rigida, cioè incapace di ridursi significativamente a fronte di incrementi tariffari, è un settore che produce fortissimi utili con caratteristiche di vendite. Utili e rendite che vengono raccolti e che saranno sempre più raccolti dalle tasche dei cittadini e delle imprese italiane per essere deportati in Germania e in Francia. Probabilmente l’asse franco-tedesco per dominare l’UE si basa su accordi di questo tipo.

Al fine di massimizzare l’utile di questa operazione, sia sul settore manifatturiero che su quello dei servizi, questo capitalismo mercantilista e imperialista ha bisogno di fare le cosiddette riforme, le quali in sostanza sono riduzioni dei diritti economici e non economici dei lavoratori anche autonomi, aumento della loro sudditanza al datore di lavoro, aumento dei livelli di precariato e di disoccupazione sotto occupazione in funzione di battere la forza contrattuale dei lavoratori. Analogamente vengono colpiti i piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, commercianti, che non si prestano al piano di conquista dell’imperialismo mercantile franco tedesco.

Per realizzare pienamente questa operazione di take-over sui servizi pubblici, è necessario farli privatizzare. A questo fine essi vengono, attraverso opportune campagne mediatiche, presentati come inefficienti, corrotti, dispendiosissimi, costosi, parassitari. Non si dice che investire in essi aumenterebbe la loro efficienza in quanto li doterebbe di strumenti oggi mancanti, e avrebbe un sicuro effetto di moltiplicatore del Pil, mentre il togliere loro fondi ha un effetto demoltiplicatore. Come ulteriore strumento per sabotarli, li si sta sovraccaricando di oneri e spese anche attraverso la politica di immigrazione di massa senza limitazioni, che sta ponendo un onere crescente e potenzialmente enorme alla spesa pubblica per l’accoglienza, mantenimento, cure sanitarie, alloggio, ricongiungimenti familiari.

Quando la situazione diverrà esplosiva per i crescenti costi così suscitati da una parte e per la crescente disoccupazione e recessione dall’altra, con ulteriori maggiorazioni delle tasse, la popolazione stessa chiederà la privatizzazione estesa dei servizi sociali ora ancora in mano pubblica. A quel punto, capitali stranieri entreranno e occuperanno queste posizioni di mercato collegate a rendite monopolistiche.

Sottolineo che la Germania e i suoi satelliti riescono a sfruttare questo processo perché hanno eseguito prima dell’Italia e di altri paesi le riforme consistenti nella riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, acquisendo grazie ciò, per una mera ragione di anteriorità temporale ovviamente studiata apposta, quei vantaggi commerciali, quegli attivi negli scambi con l’Italia, quei conseguenti crediti verso di essa, che poi spendono ora per rastrellare le imprese e i servizi italiani.

La Banca centrale europea, l’Unione Europea, Maastricht, l’euro, vertici istituzionali, tutti concorrono a questo scopo strategico, spingendo per le riforme che l’Europa ci chiede. Ossia, tutti questi soggetti lavorano per cedere trasferire al capitale straniero le risorse e le aziende del paese e insieme per trasformare i lavoratori italiani in forza lavoro sottopagata e sottomessa dei nuovi padroni finanziari stranieri. In compenso di questa prestazione di tradimento, la nostra casta politica si riserva il ruolo di complice dei capitali stranieri, onde mantenere le sue poltrone e i suoi privilegi.

Intorno a questo progetto, la partitocrazia italiana si è ora saldamente unita in modo trasversale, destra e sinistra, per realizzare di corsa le famose riforme. Riforme che non c’entrano col rilancio economico. L’Italicum è stato concordato tra Renzi e Berlusconi per sopprimere i partiti piccoli e autonomi, non radicati nel controllo della spesa pubblica. Soprattutto la nuova legge elettorale e il nuovo Senato, che hanno la funzione di blindarla contro la protesta, il dissenso, il potenziale voto contrario dei cittadini traditi e derubati dai partiti. Si noti che il Senato viene preposto alla regolazione della spesa pubblica e consegnato agli uomini degli apparati partitici regionali, ossia la parte peggiore, più vorace, della partitocrazia. Potranno mangiare più che mai, spalleggiati e legittimati anche dagli interessi stranieri.

È già in programma anche una riforma della giustizia per mettere a guinzaglio quei giudici che restano fedeli alla Costituzione e alla Repubblica. La voteranno tutti insieme, trasversalmente. Sono già d’accordo. E poi qualcuno avrà diritto alla grazia.

Ribadisco che le promesse di risanamento e rilancio entro il modello economico vigente sono pura menzogna. Per tornare alla crescita e all’occupazione è indispensabile, innanzitutto, spiegare il complotto alla gente, specialmente agli imprenditori e ai lavoratori, uscire dalla struttura sopra descritta, dall’Euro, dall’UE e disfarsi dei personaggi politici e istituzionali che la assecondano.

In parallelo, occorre avviare una revisione del concetto di moneta oggi in uso, la fiat currency, e capire-far capire, con tutte le conseguenze, che essa non è una merce né una materia prima, ma un simbolo, generato col computer e senza costi; non ha quindi senso logico parlare di scarsità o mancanza di mezzi finanziari per gli investimenti necessari e utili alla società, anzi è un crimine eversivo e contro l’umanità fingere che vi sia una tale scarsità o mancanza, e usare questa finzione per impadronirsi di un paese e della sua economia reale, e per deprimere i salari e i livelli occupazionali.

E, ancora più fondamentalmente, occorre capire e far capire che l’illusione che i mezzi monetari siano una merce, che abbiano un valore intrinseco, costino a prodursi, siano oggettivamente limitati, è il principale e indispensabile strumento per far accettare alla società e, soprattutto, ai ceti produttivi il progetto dominante della politica da qualche decennio, ossia il graduale trasferimento-accentramento dei redditi, della ricchezza esistente e dei diritti (civili e politici) dalle mani dei lavoratori (dipendenti e autonomi) alle mani del cartello dei produttori dei mezzi monetari che in cambio non produce e non dà alcuna ricchezza reale alla società.

27.07.14 Marco Della Luna e Antonino
 
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Sessanta camion di pesche per una rivoluzione.

domenica 10 agosto 2014
Sessanta camion frigoriferi sono stati bloccati ad una delle frontiere che portavano le merci europee, in questo caso italiane, trattandosi di pesche piemontesi mature, all'interno del mercato russo. Accaduto perché Mosca ha stabilito l'embargo simmetrico a quello deciso dalla UE, nei confronti dei prodotti dell'Unione Europea e dato che l'Italia fa parte - maledettamente - dell'Unione Europea, adesso le aziende agricole da cui provenivano questi 12.000 - dodicimila - quintali di pesche possono serenamente fallire. Si immoleranno sull'altare delle "sanzioni" volute dalla Nato per conto della Casa Bianca contro il Cremlino, reo di aver annesso la Crimea con l'aggravante di offrire un retroterra d'aiuti e di sostegni ai ribelli - d'etnia russa - delle regioni dell'Est Ucraina, abitate all'80% (in alcune aree si sfiora il 100%) da popolazioni russe - per l'appunto - fino alla radice dei capelli.
L'Unione Europea s'è dimostrata essere ciò che è: una nullità politica. Sessanta camion di pesche da buttare a macero sono il migliore esempio per capire il nonsense di un'istituzione incapace di difendere gli Stati che la compongono e di offrire una propria visione, un proprio indirizzo che dia dignità alla parola Europa.
L'Europa non esiste. E' e rimane una colonia americana. Anche un cretino capirebbe che tornare indietro nella Storia al clima della Guerra Fredda è esattamente ciò che vuole Obama: dividere il Vecchio Continente dalla Russia per impedire che l'unione di queste due forze produca come conseguenza il declino dell'Impero americano sull'Occidente.
Sessanta camion di pesche - tra l'altro - sono poca cosa rispetto il danno che sta per subire la Germania della cara signora Merkel, dalle sanzioni anti russe.
Spero sappiate - di certo lo sanno i tedeschi - che la Russia rappresenta il primo mercato - altro che UE - per le industrie della Germania, che proprio in Russia esporta la maggior parte di quanto produce. E in ogni settore.
L'embargo però - per l'Italia - non si ferma alla frutta matura. Le associazioni di categoria del settore agricolo hanno calcolato un danno di almeno un miliardo di euro. Interi settori produttivi italiani, salumi, formaggi, prodotti caseari in genere, saranno letteralmente piallati dall'embargo russo.
La Bulgaria un paio di mesi fa ha annunciato che chiederà il rimborso dei danni "da sanzioni" alla UE. Renzi invece tace. La Germania anch'essa tace, ma in silenzio prepara un piano di pace assieme a Putin per far terminare la guerra in Ucraina dell'Est e allo stesso tempo salvare l'arrivo del gas russo senza il quale la locomotiva tedesca si ferma di schianto.
Renzi invece l'unica cosa che è riuscito a pensare è stata la proposta di nomina dell'innominabile signorina Mogherini a ministro degli Esteri UE, una scemenza clamorosa.
In tutto questo, i dati complessivi dell'economia dell'Eurozona fanno rabbrividire: produzione industriale affondata (in Germania è in calo del 3,2%) esportazioni azzerate, disoccupazione a livelli del dopoguerra. E il segnale è uniforme, nell'Eurozona. Resta da capire se Renzi si stia rendendo conto che il suo tempo sta per scadere.
Oggi, il Financial Times gli ricorda che "la luna di miele con la UE è finita" e che le sue politiche economiche "sono deludenti" e che "adesso deve dare risposte convincenti a Bruxelles".
Non si hanno notizie di una replica dell'interessato, che a fronte di tutto ciò non trova di meglio da fare che andare a trovare i Boyscout da qualche parte in Toscana.
L'inadeguatezza di Renzi sfonda nel patetico, ha il tratto involontariamente provinciale che suscita arrivati a questo punto più pietà che rabbia.
In un Paese che avesse dignità guidato da un governo che avesse a cuore prima di ogni altra cosa l'onore di rappresentare la massima istituzione nazionale, quei 60 camion di pesche pronte a marcire per colpa della sciagurata imbecillità di rivoltanti burocrati da quattro soldi chiusi nelle stanze di Bruxelles a gestire unicamente i loro sordidi interessi assieme a banchieri gangster e vecchi, viscidi oligarchi del calibro di Juncker, diverrebbero un'arma atomica. Sarebbero il detonatore di una rivolta italiana alla dittatura UE, colonia della Casa Bianca gestita dal peggior presidente della storia americana, il signor Obama.
Ma Renzi non ha dignità perchè non ha maturità e non ha coraggio. Rappresenta fino in fondo l'italietta provinciale stupida e codarda adattata ad ogni bisogna, anche la peggiore: calarsi le braghe.
E quindi, cari italiani che avete votato Pd-Renzi, guai a voi se ora vi lamentate. L'avete voluto, ve lo tenete.
Finchè non scoppierà la rivoluzione. Allora sì, che fare tutto un conto.
A presto.
max parisi

 

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