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7 dic 2014 12:46 1. IL MARCIO NELLA “BANCA DEL PAPA” SEMBRA NON FINIRE MAI E PORTA DRITTO ALLE BAHAMAS - 2. SEQUESTRATI DUE CONTI, PER 16,8 MILIONI DI EURO, ALL’EX PRESIDENTE DELLO IOR, ANGELO CALOIA, E ALL’EX DIRETTORE GENERALE LELIO SCALETTI. I DUE AVREBBERO VENDUTO, PER CENTINAIA DI MILIONI, PRATICAMENTE TUTTO IL PATRIMONIO IMMOBILIARE DELL’ISTITUTO (29 APPARTAMENTI TRA ROMA E MILANO). ALCUNI DI QUESTI SONO STATI ACQUISTATI DA SOCIETÀ REGISTRATE ALLE BAHAMAS, E CONTROLLATE IN PARTE ANCHE DA CALOIA E SCALETTI - 3. I DUE, AL COMANDO DELLO IOR PER VENT’ANNI, SI SONO PAPPATI, QUASI 60 MILIONI DI EURO - 4. AVVISO AI NAVIGATI: CALOIA NON E’ UN POLITICUCCIO NE’ UNO SGHERRO DI CARMINATI MA UN PRINCIPE DELLA FINANZA CATTOLICA, VECCHIO DEMOCRISTIANO DALLE MILLE RELAZIONI. PROFESSORE ALLA "CATTOLICA", ESPONENTE DI QUELLA “BANDA DEGLI ONESTI” VICINA A GIOVANNI BAZOLI E PRESIDENTE DELLA VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO DI MILANO

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VATICANO, SEDE IOR
1 - «PECULATO IN AFFARI IMMOBILIARI» INDAGINE SUGLI EX VERTICI DELLO IOR
M.Antonietta Calabrò per il “Corriere della Sera”

Due conti sequestrati per 16,8 milioni di euro presso lo Ior, che per decenni l’ex presidente Angelo Caloia e l’ex direttore generale Lelio Scaletti hanno amministrato, dopo l’estromissione del vescovo Paul Marcinkus seguita al crac del Banco Ambrosiano.

Milioni che secondo il promotore di giustizia vaticano, Gian Piero Milano, potrebbero essere frutto di peculato dei due che nell’arco di sette anni (2001-2008) e sotto due Papi hanno venduto praticamente tutto il patrimonio immobiliare dell’Istituto per le opere di religione (allo Ior rimane in pratica un solo grande immobile in via della Conciliazione).
Angelo Caloia ex. Presidente IOR

Per la precisione, 29 immobili tra Roma (la gran parte ) e Milano. Una compravendita del valore di centinaia di milioni di euro. L’ipotesi accusatoria si basa sulle indagini della società di revisione Promontory, sull’ispezione interna condotta all’inizio del 2014 dall’Autorità per l’informazione finanziaria vaticana (Aif) e su una denuncia all’autorità giudiziaria vaticana dei vertici attuali dello Ior: Caloia e Scaletti avrebbero, in concorso con l’avvocato Gabriele Liuzzo, lucrato una cifra che sfiora i 60 milioni di euro. Promontory (chiamata in Vaticano dall’ex presidente von Freyberg) ha portato alla luce anche tutti i meccanismi attraverso i quali le compravendite sono avvenute e che avrebbero permesso l’illecito arricchimento.

CALOIA
Si tratta di un complesso giro di società paravento, di scatole cinesi, e soprattutto offshore, cioè di società domiciliate in paradisi fiscali, come le isole Bahamas, con un’imponente movimentazione di denaro contante.

Così è stato possibile che un indagato attualmente abiti a Roma sul colle Aventino in un appartamento che lo Ior ha venduto a una società offshore , società le cui quote sono però controllate dal medesimo indagato, che paga l’affitto a se stesso per abitare nell’appartamento che di fatto ora è suo. Al tempo stesso però quell’«affitto» finisce sistematicamente all’estero, al riparo dal fisco italiano.

Il Vaticano chiederà assistenza giudiziaria all’Italia, ma la stessa magistratura italiana potrebbe ora aprire sue indagini per la possibilità che le società «acquirenti» abbiano costituito un vero e proprio sistema per il riciclaggio che faceva perno sullo Ior e al tempo stesso era ad esso parallelo.

Il torrione Niccolò V, sede dello Ior niccolov
Gli acquirenti degli immobili sono tutti cittadini italiani. Il «regno» di Caloia al Torrione Pio V è durato esattamente vent’anni, dal 1989 al 2009, quando per decisione dell’allora segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, venne sostituito da Ettore Gotti Tedeschi. Ci si può chiedere come mai Caloia, Scaletti e Liuzzo abbiano mantenuto fino a oggi quasi 17 milioni di euro presso la banca vaticana.

Gotti Tedeschi
Una risposta a questa domanda va forse trovata nel fatto che il meccanismo messo in piedi si era bloccato poiché nel settembre del 2010, le segnalazioni dell’Uif della Banca d’Italia e le indagini della Procura di Roma portarono al blocco di tutti i conti dello Ior presso le banche italiane e alla creazione del primo nucleo delle nuove strutture antiriciclaggio vaticane.
«Siamo molto lieti che le autorità vaticane stiano agendo con risolutezza» ha commentato l’attuale presidente dello Ior Jean-Baptiste de Franssu.

2 - I PALAZZI COMPRATI ATTRAVERSO SOCIETÀ CON SEDE ALLE BAHAMAS
M.Antonietta Calabrò per il “Corriere della Sera”

Qualcuno ieri, dalle parti del Torrione di Niccolo V, sede dello Ior, ricordava una frase
che ogni tanto il ragionier Lelio Scaletti si lasciava sfuggire: «Se parlo io, crolla l’Italia». Oggi Scaletti ha 88 anni e dal crac dell’Ambrosiano di Roberto Calvi sono passati più di trent’anni, eppure il richiamo dei mari caldi delle Bahamas sembra essere stato irresistibile per i vertici dello Ior fino quasi ai giorni nostri. Sono infatti registrate a Nassau alcune società che hanno acquistato gli immobili dello Ior, oggetto della compravendita per cui gli ex vertici dell’Istituto sono sotto indagine vaticana.

Ettore Gotti Tedeschi
Scatole cinesi, offshore , che si mettevano in pancia i palazzi dello Ior, società che sarebbero state controllate in parte anche da Caloia e Scaletti. L’indagine è partita dall’operazione di pulizia dei conti, cioè dall’operazione per chiudere quelli di persone che allo Ior il conto corrente ce l’avevano, pur non avendone diritto.

Ed ecco che dal setaccio «emerge» il cospicuo conto del novantunenne avvocato Gabriele Liuzzo, che è appunto un professionista che non dovrebbe avere nessun rapporto con la banca vaticana. Vengono notate movimentazioni contestuali alle operazioni dei due ex dirigenti Caloia e Scaletti che in quanto pensionati hanno invece tutto il diritto di avere il conto. Liuzzo in un’intervista telefonica con la Reuters ha detto che le accuse del promotore vaticano sono «spazzatura».

ROBERTO CALVI E MOGLIE CON PAOLO VI
In realtà secondo Promontory (società di revisione che ha lavorato sui conti) gli immobili sono stati venduti a prezzi troppo bassi e le parcelle dei professionisti coinvolti erano eccezionalmente elevate. Ma quello che più ha allarmato è stato il sistema parallelo delle società offshore, una costellazione che acquistava e da cui andavano e tornavano sui conti dello Ior masse imponenti di denaro, decine di milioni di euro. Ancora una volta, dal Vaticano si arrivava a Nassau.

3 - LA TOLLERANZA ZERO DI PAPA FRANCESCO INGUAIA IL PRINCIPE DELLA FINANZA CATTOLICA
Alberto Statera per “la Repubblica”
ROBERTO CALVI CON LA MOGLIE CLARA

Diavolo di un Papa ( absit iniuria verbis). Roma è sottosopra per lo scandalo della Mafia Capitale, e Bergoglio che fa? Dà il via libera e fa rendere nota, con procedura inedita, l’inchiesta del Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano sull’Istituto per le Opere di Religione e i suoi precedenti vertici amministrativi.

Marcinkus
Tutt’altro che un caso fortuito, perché la banca della Santa Sede è coinvolta in tutti i più grandi scandali finanziari che hanno funestato l’Italia per decenni, da Tangentopoli alla scalata dei furbetti del quartierino, dalla Cricca delle grandi opere e della Protezione civile, fino a Calciopoli, dalla Carige alla Lux Vide di Ettore Bernabei.

Ma è anche uno dei terminali tradizionali usati dalla criminalità capitolina fin dai tempi della banda della Magliana e del suo capo Renatino De Pedis, il bandito ammazzato che fu sepolto come grande amico della Chiesa nella cripta di Sant’Apollinare. La leggenda metropolitana vuole che Renatino fosse figlio del vicario di Roma cardinale Ugo Poletti (non risulta abbia a che vedere col ministro in carica Giuliano, fotografato con la banda di grassatori capitolini). Ma i successori della malavita romana Gennaro Mokbel e Massimo Carminati sono tutt’altro che ignoti nel Torrione di Niccolò V.
WOJTYLA e Marcinkus

Stavolta la giustizia vaticana parte da un caso semplice semplice di peculato. Ma, misurato il peso degli indagati, si sa da dove muove, ma non si sa dove arriverà. Angelo Caloia e Lelio Scaletti, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale dello Ior, insieme a un avvocato, sono accusati di aver venduto a prezzi d’affezione parte del ricchissimo patrimonio immobiliare della banca a società da loro controllate per rivenderlo poi a prezzi di mercato. Quisquilie rispetto alla storia recente di un Istituto, nato come Ad Pias Causas, tappezzato di scandali epocali, come la maxitangente Enimont dei primi anni Novanta, ma anche di cadaveri: da Roberto Calvi a Michele Sindona fino al povero Giorgio Ambrosoli.
de pedis ispezioni basilica sant apollinare

Si dà il caso che Angelo Caloia non sia un politicuccio come l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ma un principe della finanza cattolica e un vecchio democristiano dalle mille relazioni. Professore di Economia politica alla Cattolica di Milano, democristiano d’antan, è esponente di quella “banda degli onesti” vicina al banchiere Giovanni Bazoli e, onore sommo, è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano.

Gianstefano Frigerio
Allo Ior ha regnato per un ventennio, dal 1989 al 2009, e tutto si può dire della sua lunga opera, fuorché sia riuscito a liberare la banca dall’influenza luciferina lasciata in eredità dal suo predecessore, l’arcivescovo Paul Casimir Marcinkus, che ne aveva fatto la sentina di quasi tutte le schifezze finanziarie italiche all’insegna del motto: “Non si può dirigere la Chiesa con le Ave Marie”. Infatti preferì maneggiare per decenni con disinvoltura lo “sterco del diavolo”.

È difficile immaginare uno come Caloia, che presumiamo timorato di Dio più del suo predecessore arcivescovo bon vivant, invischiato con il darwinismo criminale della “Terra di mezzo” capitolina, fatta di omicidi, di “spezzaossa” e di sottopolitica debole e corrotta. Ma poi vai a vedere e lo scopri affaccendato in frequentazioni poco commendevoli se non proprio indecenti. Avete presente lo scandalo dell’Expo di Milano?
SERGIO CATTOZZO

Bene, quel Gianstefano Frigerio col suo socio Sergio Cattozzo, come risulta dagli atti processuali, frequentavano l’esimio professore, che accettò di pranzare al milanese hotel Westin Palace, teatro degli affari di quella banda, presente anche un dirigente di Publitalia 80, la società di Berlusconi. Millanterie? No. Ma un pranzo naturalmente non fa un colpevole, anche se ormai pensar male è d’obbligo di fronte alle maleodoranti sorprese che il paese ci consegna giorno dopo giorno.

D’altra parte, c’è tra i giudici di Mani pulite chi ricorda che quando la Procura milanese gli chiese dettagli sulle tangenti passate per lo Ior, Caloia rispose: «Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale ». Deflette poi dal Caloia-Style, che dovrebbe essere quello di un grande banchiere per di più timorato di Dio, la storia col suo successore Ettore Gotti Tedeschi, che tentò di fare pulizia allo Ior.
maddalena e gianni letta

Insomma, il professore un giorno va in televisione e lascia intendere più o meno che il suo successore è coinvolto nei casi più oscuri della recente storia criminal-finanziaria, a cominciare da quello del banchiere Gianmario Roveraro assassinato nel 2006. Quello gli fa causa e non accetta di ritirarla, come richiedono gli avvocati di Caloia.

Quanto alla storia dei palazzi venduti a prezzi d’affezione, la spesa immobiliare a due soldi in Vaticano era quasi un vezzo dei potenti. Molti durante l’epoca di Berlusconi e dei suoi infiltrati in Vaticano tra i Gentiluomini di Sua Santità (vedi Gianni Letta e Angelo Balducci) hanno acquistato da Propaganda Fide qualche bell’appartamento o addirittura un palazzo nel centro di Roma, come ad esempio, tra i tanti, l’ex ministro Pietro Lunardi.
Angelo Balducci

Ma quando mai la magistratura vaticana si era mossa pubblicamente con questa determinazione, dopo decenni di rifiuto di ogni controllo esterno e di silenzio della magistratura interna?

Francesco, come è stato subito evidente, fa sul serio. Ben attento all’amministrazione, ha spazzato via quasi tutti gli uomini del cardinal Tarcisio Bertone, che tiene sotto tiro anche per la reggia che l’ex segretario di Stato si è fatto allestire in Vaticano e che ha inaugurato — narrano le cronache — con feste sardanapalesche. Per cui è difficile prevedere dove andrà a parare l’inchiesta su Caloia, ma si prevede lontano, molto lontano. E si sa: «è più facile che un cammello passi nella cruna dell’ago che un ricco entri nel regno dei cieli, come diceva qualche Vangelo.


 
a breve con le super loggie massoniche e i giri contabili dello i o r dove sul conto fondazione francis spellman passo la .............. da 130 miliardi di lire,,, unacacccola rispetto ad oggi della tangenti eni...... a firma marcinkus,donato de bonis, giulio Andreotti, il rpoblema che sul conto invece di 130 c'erano 320 miliardi ,,,,, gli altri de chi erano?????????????????????? erano di uno che si uccise a milano. alla prox............
 
l’oro di Putin rottama l’impero militare del dollaro

Scritto il 07/12/14 • nella Categoria: segnalazioni



L’oro di Putin contro le atomiche di Obama. Chi vincerà? La Russia, facendo crollare l’impero del dollaro, avendo con sé la Cina e la maggior parte della popolazione terrestre, a cominciare dalle economie emergenti dei Brics. Washingon è in trappola, sostiene Dmitry Kalinichenko, perché l’unica scorciatoia possibile – la guerra contro Mosca – non è un’opzione realistica: la Nato e il Pentagono non riuscirebbero né a invadere la Russia, né a uscire indenni da un eventuale attacco atomico contro il Cremlino. In ogni caso la situazione è drammatica, avverte Kalinichenko, anche se «tutti i media occidentali e i principali economisti occidentali non ne parlano, come fosse un segreto militare ben custodito». Parla da solo il fallimento dell’offensiva occidentale in Ucraina: «Non è né militare né politico, ma risiede nel rifiuto di Putin di finanziare i piani occidentali per l’Ucraina». Questione di soldi: Putin scommette sulla fine accelerata del dollaro. Come? Accumulando oro, comprato a basso costo: oro svalutato artificialmente dall’Occidente per tenere alto il valore del dollaro.
«La vera politica di Putin non è pubblica», afferma Kalinichenko in post ripreso da “Megachip”. Per questo, pochissimi capiscono le attuali mosse del Cremlino. «Oggi, Putin vende petrolio e gas russi solo in cambio di “oro fisico”», ma «non lo grida ai quattro venti, e naturalmente accetta ancora il dollaro come mezzo di pagamento». Ma, attenzione, «cambia immediatamente tutti i dollari ottenuti dalla vendita di petrolio e gas con l’oro fisico». Basta osservare la vorticosa crescita delle riserve auree della Russia e confrontarle con le entrate in valuta estera della Federazione Russa dovute alla vendita di petrolio e gas nello stesso periodo. Nel terzo trimestre 2014, gli acquisti da parte della Russia di “oro fisico” sono i più alti di tutti i tempi, a livelli record. Nello stesso periodo, le banche centrali di tutti i paesi del mondo hanno acquistato 93 tonnellate del prezioso metallo, dopo 14 trimestri di acquisti ininterrotti. Ma, di queste 93 tonnellate, ben 55 sono state acquisite dalla Russia.
Per gli scienziati britannici e la “Us Geological”, l’Europa non potrà sopravvivere senza l’offerta energetica russa, cioè se il petrolio e il gas della Russia saranno sottratti dal bilancio globale dell’offerta energetica. «Così, il mondo occidentale, costruito sull’egemonia del petrodollaro, si trova in una situazione catastrofica, non potendo sopravvivere senza petrolio e gas dalla Russia. E la Russia – aggiunge Kalinichenko – è pronta a vendere petrolio e gas all’Occidente solo in cambio dell’oro fisico». La svolta, nel gioco di Putin, è che il meccanismo della vendita di energia russa all’Occidente solo con l’oro «funziona indipendentemente dal fatto che l’Occidente sia d’accordo o meno nel pagare petrolio e gas russi con il suo oro, tenuto artificialmente a buon mercato». Questo perché la Russia, avendo un flusso regolare di dollari dalla vendita di petrolio e gas, «in ogni caso potrà convertirli in oro ai prezzi attuali, depressi con ogni mezzo dall’Occidente», attraverso le manovre della Fed e dell’Esf, (Exchange Stabilization Fund), che abbassano il prezzo dell’oro per sorreggere un dollaro dal potere d’acquisto artificialmente gonfiato dalle manipolazioni nel mercato.
Nel mondo finanziario, continua Kalinichenko, è assodato che l’oro sia un fattore anti-dollaro: nel 1971, Richard Nixon chiuse la “finestra d’oro”, ponendo fine al libero scambio tra dollari e oro, garantito dagli Stati Uniti nel 1944 a Bretton Woods. Ma ora, «Putin ha riaperto la “finestra d’oro”, senza chiedere il permesso a Washington». Premessa: «In questo momento, l’Occidente spende gran parte di sforzi e risorse nel comprimere i prezzi di oro e petrolio. In tal modo, da un lato distorce la realtà economica esistente a favore del dollaro statunitense, e d’altra parte vuole distruggere l’economia russa che si rifiuta di svolgere il ruolo di vassallo obbediente dell’Occidente». Oggi, oro e petrolio sono molto sottovalutati, rispetto al dollaro. Sicché, «Putin vende risorse energetiche russe in cambio di quei dollari artificialmente gonfiati dagli sforzi dell’Occidente, e con cui compra oro artificialmente svalutato rispetto al dollaro». Idem per l’uranio russo, da cui dipende «una lampadina americana su sei». Attenzione: «Putin usa questi dollari solo per ritirare “oro fisico” dall’Occidente al prezzo denominato in dollari Usa e quindi artificialmente abbassato dallo stesso Occidente». Ma la mossa dell’Occidente – svalutare l’oro per rivalutare il dollaro – gli si ritorce contro: quell’oro, Putin lo sta comprando sottocosto.
Il cervello della «trappola economica dell’oro tesa all’Occidente», aggiunge Kalinichenko, probabilmente è il consigliere economico di Putin, Sergej Glazev, non a caso incluso da Washington nella lista nera dei “sanzionati”. Minacce inutili: il piano è perfettamente condiviso dal leader cinese Xi Jinping. Dalla Banca Centrale di Russia, intanto, Ksenia Judaeva fa sapere che la Bcr può utilizzare l’oro delle sue riserve per pagare le importazioni, se necessario: importazioni ovviamente provenienti dai Brics, date le sanzioni occidentali. Conviene a tutti, a cominciare da Pechino: per la Cina, la volontà della Russia di pagare le merci con l’oro occidentale è molto vantaggiosa. Infatti, spiega Kalinichenko, Pechino ha annunciato che cesserà di aumentare le riserve auree e valutarie denominate in dollari. Considerando il crescente deficit commerciale tra Usa e Cina (la differenza attuale è cinque volte a favore della Cina), questa dichiarazione tradotta dal linguaggio finanziario dice: “La Cina non vende più i suoi prodotti in cambio dei dollari”.
«I media mondiali hanno scelto di non far notare questo storico passaggio monetario», rileva Kalinichenko. «Il problema non è che la Cina si rifiuti letteralmente di vendere i propri prodotti in dollari Usa». Come la Russia, anche la Cina continuerà ad accettare i dollari come mezzo di pagamento intermedio per i propri prodotti. «Ma, appena presi, se ne sbarazzerà immediatamente, sostituendoli con qualcosa di diverso», cioè l’oro. Di fatto, Pechino non acquisterà più titoli del Tesoro degli Stati Uniti con i dollari guadagnati dal commercio mondiale, come ha fatto finora. Così, «sostituirà i dollari che riceverà per i suoi prodotti, non solo dagli Usa ma da tutto il mondo, con qualcos’altro» appositamente «per non aumentare le riserve valutarie in oro denominate in dollari Usa». D’ora in poi solo oro, quindi, anche per i cinesi. Politica di fatto già inaugurata da Russia e Cina, per i loro scambi bilaterali: «La Russia acquista merce direttamente dalla Cina con l’oro al prezzo attuale, mentre la Cina compra risorse energetiche russe con l’oro al prezzo attuale». Il dollaro? Archiviato.
Tutto questo non sorprende, dice Kalinichenko, perché il biglietto verde non è un prodotto cinese, né una risorsa energetica russa. «È solo uno strumento finanziario intermedio di liquidazione». E se l’intermediario non conviene più, visto che i partner sono ormai in relazione diretta, viene escluso. Le speranze occidentali che Russia e Cina, per le loro risorse energetiche e beni, accettino in pagamento “shitcoin” o il cosiddetto “oro cartaceo” di vario genere, non si sono concretizzate: «Russia e Cina sono interessate solo all’oro, metallo fisico, come mezzo di pagamento finale». Il fatturato del mercato dell’oro cartaceo, quello dei “futures” sull’oro, è stimato sui 360 miliardi di dollari al mese, ma le consegne fisiche di oro sono pari solo a 280 milioni di dollari al mese. «Il che fa sì che il rapporto tra commercio di oro cartaceo contro oro fisico sia pari a 1000 a 1». Sicché, «utilizzando il meccanismo di recesso attivo dal mercato, artificialmente ribassato dall’attività finanziaria occidentale (oro), in cambio di un altro artificialmente gonfiato dall’attività finanziaria occidentale (dollaro), Putin ha così iniziato il conto alla rovescia della fine dell’egemonia mondiale del petrodollaro».
In questa maniera, prosegue Kalinichenko, il presidente russo «ha messo l’Occidente in una situazione di stallo, priva di alcuna prospettiva economica positiva». L’Occidente, infatti, «può usare la maggior parte dei suoi sforzi e risorse per aumentare artificialmente il potere d’acquisto del dollaro, nonché ridurre artificialmente i prezzi del petrolio e il potere d’acquisto dell’oro», ma il suo problema è che «le scorte di oro fisico in suo possesso non sono illimitate». Risultato: «Più l’Occidente svaluta petrolio e oro contro dollaro statunitense, più velocemente svaluterà l’oro dalle sue non infinite riserve». Il metallo prezioso detenuto da Usa ed Europa, e pesantemente svalutato, finisce quindi rapidamente in Russia e in Cina, ma anche in Brasile, in India, in Kazakhstan e negli altri paesi Brics. «Al ritmo attuale di riduzione delle riserve di “oro fisico”, l’Occidente semplicemente non avrà tempo di fare nulla contro la Russia di Putin, fino al crollo dell’intero mondo del petrodollaro occidentale». Scacco matto?
«Il mondo occidentale non ha mai affrontato eventi e fenomeni economici come quelli attuali», sostiene Kalinichenko. «L’Urss vendette rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio», mentre la Russia di Putin, al contrario, «acquista rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio», minando il monopolio finanziario del dollaro statunitense. «Il principio fondamentale del modello mondiale basato sul petrodollaro permette che i paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti vivano a spese del lavoro e delle risorse di altri paesi e popoli, grazie al ruolo della moneta statunitense, dominante nel Sistema Monetario Globale (Smg). Il ruolo del dollaro Usa nell’Smg consiste nell’essere il mezzo ultimo di pagamento. Ciò significa che la moneta nazionale degli Stati Uniti, nella struttura dell’Smg, è l’accumulatore finale degli attivi patrimoniali, e scambiarlo con qualsiasi altro bene non avrebbe senso». Quel che fanno ora i paesi Brics, guidati da Russia e Cina, consiste invece nel cambiare, di fatto, il ruolo e lo status del dollaro Usa nel sistema monetario globale: da «ultimo mezzo di pagamento e accumulazione del patrimonio», la moneta Usa «viene trasformata in un mero mezzo di pagamento intermedio, destinato solo allo scambio con un’altra attività finanziaria ultima: l’oro», che come il dollaro è «un bene monetario riconosciuto», col vantaggio di essere «denazionalizzato e depoliticizzato».
Impensabile, ovviamente, che gli Stati Uniti accettino una sconfitta epocale e planetaria così bruciante. E qui, infatti, entriamo in zona-pericolo. «Tradizionalmente, l’Occidente utilizza due metodi per eliminare la minaccia all’egemonia mondiale del modello fondato sul petrodollaro e ai conseguenti eccessivi privilegi occidentali. Uno di questi metodi è costituito dalle “rivoluzioni colorate”. Il secondo metodo, di solito applicato dall’Occidente se il primo fallisce, sono le aggressioni militari e i bombardamenti. Ma nel caso della Russia entrambi questi metodi sono impossibili o inaccettabili per l’Occidente», afferma Kalinichenko. Intanto, tutta la popolazione russa è con Putin: impossibile fabbricare una “rivoluzione colorata” per eliminare il capo del Cremlino. Restano le armi, cioè i missili. Ma la Russia non è la Jugoslavia, né l’Iraq, né la Libia. «In ogni operazione militare non-nucleare contro la Russia, sul territorio della Russia, l’Occidente guidato dagli Stati Uniti è destinato alla disfatta. E i generali del Pentagono che esercitano la vera guida delle forze della Nato ne sono consapevoli». Una guerra nucleare? «Sarebbe egualmente senza speranza», perché la Nato «non è tecnicamente in grado di infliggere un colpo che disarmi completamente la Russia del potenziale nucleare». La rappresaglia equivarrebbe all’apocalisse: sarebbe «la nota finale e l’ultimo punto dell’esistenza della Storia», cioè «la fine della vita sul pianeta, fatta eccezione per i batteri».
I principali economisti occidentali, conclude Kalinichenko, sono certamente consapevoli di quanto grave e disperata sia la situazione in cui si trova l’Occidente, caduto nella trappola economica d’oro predisposta da Putin. «Sin dagli accordi di Bretton Woods conosciamo tutti la regola aurea, “Chi ha più oro detta le regole”. Ma in Occidente stanno tutti zitti. Sono silenziosi perché nessuno sa come uscire da tale situazione». Se si svelassero all’opinione pubblica occidentale tutti i dettagli del disastro economico incombente, l’élite del sistema basato sul petrodollaro si troverebbe a dover rispondere alle domande più terribili. Ovvero: per quanto ancora l’Occidente potrà acquistare petrolio e gas dalla Russia in cambio di oro fisico? E cosa accadrà ai petrodollari Usa dopo che l’Occidente esaurirà l’oro fisico per pagare petrolio, gas e uranio russi, così come per pagare le merci cinesi? «Nessuno in Occidente oggi può rispondere». E questo, aggiunge Kalinichenko, si chiama davvero scacco matto.
L’oro di Putin contro le atomiche di Obama. Chi vincerà? La Russia, facendo crollare l’impero del dollaro, avendo con sé la Cina e la maggior parte della popolazione terrestre, a cominciare dalle economie emergenti dei Brics. Washingon è in trappola, sostiene Dmitry Kalinichenko, perché l’unica scorciatoia possibile – la guerra contro Mosca – non è un’opzione realistica: la Nato e il Pentagono non riuscirebbero né a invadere la Russia, né a uscire indenni da un eventuale attacco atomico contro il Cremlino. In ogni caso la situazione è drammatica, avverte Kalinichenko, anche se «tutti i media occidentali e i principali economisti occidentali non ne parlano, come fosse un segreto militare ben custodito». Parla da solo il fallimento dell’offensiva occidentale in Ucraina: «Non è né militare né politico, ma risiede nel rifiuto di Putin di finanziare i piani occidentali per l’Ucraina». Questione di soldi: Putin scommette sulla fine accelerata del dollaro. Come? Accumulando oro, comprato a basso costo: oro svalutato artificialmente dall’Occidente per tenere alto il valore del dollaro.
«La vera politica di Putin non è pubblica», afferma Kalinichenko in post ripreso da “Megachip”. Per questo, pochissimi capiscono le attuali mosse del Cremlino. «Oggi, Putin vende petrolio e gas russi solo in cambio di “oro fisico”», ma «non lo grida ai quattro venti, e naturalmente accetta ancora il dollaro come mezzo di pagamento». Ma, attenzione, «cambia immediatamente tutti i dollari ottenuti dalla vendita di petrolio e gas con l’oro fisico». Basta osservare la vorticosa crescita delle riserve auree della Russia e confrontarle con le entrate in valuta estera della Federazione Russa dovute alla vendita di petrolio e gas nello stesso periodo. Nel terzo trimestre 2014, gli acquisti da parte della Russia di “oro fisico” sono i più alti di tutti i tempi, a livelli record. Nello stesso periodo, le banche centrali di tutti i paesi del mondo hanno acquistato 93 tonnellate del prezioso metallo, dopo 14 trimestri di acquisti ininterrotti. Ma, di queste 93 tonnellate, ben 55 sono state acquisite dalla Russia.
Per gli scienziati britannici e la “Us Geological”, l’Europa non potrà sopravvivere senza l’offerta energetica russa, cioè se il petrolio e il gas della Russia saranno sottratti dal bilancio globale dell’offerta energetica. «Così, il mondo occidentale, costruito sull’egemonia del petrodollaro, si trova in una situazione catastrofica, non potendo sopravvivere senza petrolio e gas dalla Russia. E la Russia – aggiunge Kalinichenko – è pronta a vendere petrolio e gas all’Occidente solo in cambio dell’oro fisico». La svolta, nel gioco di Putin, è che il meccanismo della vendita di energia russa all’Occidente solo con l’oro «funziona indipendentemente dal fatto che l’Occidente sia d’accordo o meno nel pagare petrolio e gas russi con il suo oro, tenuto artificialmente a buon mercato». Questo perché la Russia, avendo un flusso regolare di dollari dalla vendita di petrolio e gas, «in ogni caso potrà convertirli in oro ai prezzi attuali, depressi con ogni mezzo dall’Occidente», attraverso le manovre della Fed e dell’Esf, (Exchange Stabilization Fund), che abbassano il prezzo dell’oro per sorreggere un dollaro dal potere d’acquisto artificialmente gonfiato dalle manipolazioni nel mercato.
Nel mondo finanziario, continua Kalinichenko, è assodato che l’oro sia un fattore anti-dollaro: nel 1971, Richard Nixon chiuse la “finestra d’oro”, ponendo fine al libero scambio tra dollari e oro, garantito dagli Stati Uniti nel 1944 a Bretton Woods. Ma ora, «Putin ha riaperto la “finestra d’oro”, senza chiedere il permesso a Washington». Premessa: «In questo momento, l’Occidente spende gran parte di sforzi e risorse nel comprimere i prezzi di oro e petrolio. In tal modo, da un lato distorce la realtà economica esistente a favore del dollaro statunitense, e d’altra parte vuole distruggere l’economia russa che si rifiuta di svolgere il ruolo di vassallo obbediente dell’Occidente». Oggi, oro e petrolio sono molto sottovalutati, rispetto al dollaro. Sicché, «Putin vende risorse energetiche russe in cambio di quei dollari artificialmente gonfiati dagli sforzi dell’Occidente, e con cui compra oro artificialmente svalutato rispetto al dollaro». Idem per l’uranio russo, da cui dipende «una lampadina americana su sei». Attenzione: «Putin usa questi dollari solo per ritirare “oro fisico” dall’Occidente al prezzo denominato in dollari Usa e quindi artificialmente abbassato dallo stesso Occidente». Ma la mossa dell’Occidente – svalutare l’oro per rivalutare il dollaro – gli si ritorce contro: quell’oro, Putin lo sta comprando sottocosto.
Il cervello della «trappola economica dell’oro tesa all’Occidente», aggiunge Kalinichenko, probabilmente è il consigliere economico di Putin, Sergej Glazev, non a caso incluso da Washington nella lista nera dei “sanzionati”. Minacce inutili: il piano è perfettamente condiviso dal leader cinese Xi Jinping. Dalla Banca Centrale di Russia, intanto, Ksenia Judaeva fa sapere che la Bcr può utilizzare l’oro delle sue riserve per pagare le importazioni, se necessario: importazioni ovviamente provenienti dai Brics, date le sanzioni occidentali. Conviene a tutti, a cominciare da Pechino: per la Cina, la volontà della Russia di pagare le merci con l’oro occidentale è molto vantaggiosa. Infatti, spiega Kalinichenko, Pechino ha annunciato che cesserà di aumentare le riserve auree e valutarie denominate in dollari. Considerando il crescente deficit commerciale tra Usa e Cina (la differenza attuale è cinque volte a favore della Cina), questa dichiarazione tradotta dal linguaggio finanziario dice: “La Cina non vende più i suoi prodotti in cambio dei dollari”.
«I media mondiali hanno scelto di non far notare questo storico passaggio monetario», rileva Kalinichenko. «Il problema non è che la Cina si rifiuti letteralmente di vendere i propri prodotti in dollari Usa». Come la Russia, anche la Cina continuerà ad accettare i dollari come mezzo di pagamento intermedio per i propri prodotti. «Ma, appena presi, se ne sbarazzerà immediatamente, sostituendoli con qualcosa di diverso», cioè l’oro. Di fatto, Pechino non acquisterà più titoli del Tesoro degli Stati Uniti con i dollari guadagnati dal commercio mondiale, come ha fatto finora. Così, «sostituirà i dollari che riceverà per i suoi prodotti, non solo dagli Usa ma da tutto il mondo, con qualcos’altro» appositamente «per non aumentare le riserve valutarie in oro denominate in dollari Usa». D’ora in poi solo oro, quindi, anche per i cinesi. Politica di fatto già inaugurata da Russia e Cina, per i loro scambi bilaterali: «La Russia acquista merce direttamente dalla Cina con l’oro al prezzo attuale, mentre la Cina compra risorse energetiche russe con l’oro al prezzo attuale». Il dollaro? Archiviato.
Tutto questo non sorprende, dice Kalinichenko, perché il biglietto verde non è un prodotto cinese, né una risorsa energetica russa. «È solo uno strumento finanziario intermedio di liquidazione». E se l’intermediario non conviene più, visto che i partner sono ormai in relazione diretta, viene escluso. Le speranze occidentali che Russia e Cina, per le loro risorse energetiche e beni, accettino in pagamento “shitcoin” o il cosiddetto “oro cartaceo” di vario genere, non si sono concretizzate: «Russia e Cina sono interessate solo all’oro, metallo fisico, come mezzo di pagamento finale». Il fatturato del mercato dell’oro cartaceo, quello dei “futures” sull’oro, è stimato sui 360 miliardi di dollari al mese, ma le consegne fisiche di oro sono pari solo a 280 milioni di dollari al mese. «Il che fa sì che il rapporto tra commercio di oro cartaceo contro oro fisico sia pari a 1000 a 1». Sicché, «utilizzando il meccanismo di recesso attivo dal mercato, artificialmente ribassato dall’attività finanziaria occidentale (oro), in cambio di un altro artificialmente gonfiato dall’attività finanziaria occidentale (dollaro), Putin ha così iniziato il conto alla rovescia della fine dell’egemonia mondiale del petrodollaro».
In questa maniera, prosegue Kalinichenko, il presidente russo «ha messo l’Occidente in una situazione di stallo, priva di alcuna prospettiva economica positiva». L’Occidente, infatti, «può usare la maggior parte dei suoi sforzi e risorse per aumentare artificialmente il potere d’acquisto del dollaro, nonché ridurre artificialmente i prezzi del petrolio e il potere d’acquisto dell’oro», ma il suo problema è che «le scorte di oro fisico in suo possesso non sono illimitate». Risultato: «Più l’Occidente svaluta petrolio e oro contro dollaro statunitense, più velocemente svaluterà l’oro dalle sue non infinite riserve». Il metallo prezioso detenuto da Usa ed Europa, e pesantemente svalutato, finisce quindi rapidamente in Russia e in Cina, ma anche in Brasile, in India, in Kazakhstan e negli altri paesi Brics. «Al ritmo attuale di riduzione delle riserve di “oro fisico”, l’Occidente semplicemente non avrà tempo di fare nulla contro la Russia di Putin, fino al crollo dell’intero mondo del petrodollaro occidentale». Scacco matto?
«Il mondo occidentale non ha mai affrontato eventi e fenomeni economici come quelli attuali», sostiene Kalinichenko. «L’Urss vendette rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio», mentre la Russia di Putin, al contrario, «acquista rapidamente oro durante la caduta dei prezzi del petrolio», minando il monopolio finanziario del dollaro statunitense. «Il principio fondamentale del modello mondiale basato sul petrodollaro permette che i paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti vivano a spese del lavoro e delle risorse di altri paesi e popoli, grazie al ruolo della moneta statunitense, dominante nel Sistema Monetario Globale (Smg). Il ruolo del dollaro Usa nell’Smg consiste nell’essere il mezzo ultimo di pagamento. Ciò significa che la moneta nazionale degli Stati Uniti, nella struttura dell’Smg, è l’accumulatore finale degli attivi patrimoniali, e scambiarlo con qualsiasi altro bene non avrebbe senso». Quel che fanno ora i paesi Brics, guidati da Russia e Cina, consiste invece nel cambiare, di fatto, il ruolo e lo status del dollaro Usa nel sistema monetario globale: da «ultimo mezzo di pagamento e accumulazione del patrimonio», la moneta Usa «viene trasformata in un mero mezzo di pagamento intermedio, destinato solo allo scambio con un’altra attività finanziaria ultima: l’oro», che come il dollaro è «un bene monetario riconosciuto», col vantaggio di essere «denazionalizzato e depoliticizzato».
Impensabile, ovviamente, che gli Stati Uniti accettino una sconfitta epocale e planetaria così bruciante. E qui, infatti, entriamo in zona-pericolo. «Tradizionalmente, l’Occidente utilizza due metodi per eliminare la minaccia all’egemonia mondiale del modello fondato sul petrodollaro e ai conseguenti eccessivi privilegi occidentali. Uno di questi metodi è costituito dalle “rivoluzioni colorate”. Il secondo metodo, di solito applicato dall’Occidente se il primo fallisce, sono le aggressioni militari e i bombardamenti. Ma nel caso della Russia entrambi questi metodi sono impossibili o inaccettabili per l’Occidente», afferma Kalinichenko. Intanto, tutta la popolazione russa è con Putin: impossibile fabbricare una “rivoluzione colorata” per eliminare il capo del Cremlino. Restano le armi, cioè i missili. Ma la Russia non è la Jugoslavia, né l’Iraq, né la Libia. «In ogni operazione militare non-nucleare contro la Russia, sul territorio della Russia, l’Occidente guidato dagli Stati Uniti è destinato alla disfatta. E i generali del Pentagono che esercitano la vera guida delle forze della Nato ne sono consapevoli». Una guerra nucleare? «Sarebbe egualmente senza speranza», perché la Nato «non è tecnicamente in grado di infliggere un colpo che disarmi completamente la Russia del potenziale nucleare». La rappresaglia equivarrebbe all’apocalisse: sarebbe «la nota finale e l’ultimo punto dell’esistenza della Storia», cioè «la fine della vita sul pianeta, fatta eccezione per i batteri».
I principali economisti occidentali, conclude Kalinichenko, sono certamente consapevoli di quanto grave e disperata sia la situazione in cui si trova l’Occidente, caduto nella trappola economica d’oro predisposta da Putin. «Sin dagli accordi di Bretton Woods conosciamo tutti la regola aurea, “Chi ha più oro detta le regole”. Ma in Occidente stanno tutti zitti. Sono silenziosi perché nessuno sa come uscire da tale situazione». Se si svelassero all’opinione pubblica occidentale tutti i dettagli del disastro economico incombente, l’élite del sistema basato sul petrodollaro si troverebbe a dover rispondere alle domande più terribili. Ovvero: per quanto ancora l’Occidente potrà acquistare petrolio e gas dalla Russia in cambio di oro fisico? E cosa accadrà ai petrodollari Usa dopo che l’Occidente esaurirà l’oro fisico per pagare petrolio, gas e uranio russi, così come per pagare le merci cinesi? «Nessuno in Occidente oggi può rispondere». E questo, aggiunge Kalinichenko, si chiama davvero scacco matto.
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7 dic 2014 21:09 IN NOME DI IOR – FINANZA BIANCA: CALOIA SOTTO INDAGINE DA PARTE DEI GIUDICI DI PAPA FRANCESCO È ANCHE MOTIVO DI IMBARAZZO PER IL PRESIDENTE DI INTESA GIOVANNI BAZOLI

Perché l’ex presidente dello Ior Caloia tuttora siede su tre poltrone di non poco conto nel mondo di Intesa Sanpaolo - Qualche imbarazzo anche in due altre istituzioni cattoliche milanesi: l’Università Cattolica dove insegna economia politica e l’Arcivescovado retto dal ciellino Angelo Scola, considerato che Caloia è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo…

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Andrea Giacobino per https://andreagiacobino.wordpress.com/author/andreagiacobino/

GIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSE
L’indagine che la magistratura vaticana ha aperto su Angelo Caloia, che è stato presidente dell’Istituto per le Opere di Religione per vent’anni, indagine che ipotizza il reato di peculato e vede sotto inchiesta per una brutta storia dove si parla di profitti personali realizzati su operazioni immobiliari tramite società in paradisi offshore anche Lelio Scaletti ex direttore generale della “banca del Papa”, non è solo la riabilitazione “ex post” di Ettore Gotti Tedeschi, successore di Caloia malamente defenestrato pochi mesi dopo il suo insediamento nel torrione di Nicolò V dove aveva cercato di varare un’“operazione trasparenza”.
Angelo Caloia ex. Presidente IOR

Caloia sotto indagine da parte dei giudici di Papa Francesco è anche motivo di imbarazzo per Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. Perché i destini di Bazoli e di Caloia sono stati da sempre intrecciati, non foss’altro perché lo Ior è stato anche azionista, tramite la Mittel di Bazoli, del Nuovo Banco Ambrosiano “rifondato” dal professore bresciano dopo il crack del vecchio Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Ma anche e soprattutto perché Caloia ha ricoperto una serie di incarichi prestigiosi nella galassia della banca bazoliana: è stato infatti vicepresidente proprio del Nuovo Banco Ambrosiano, presidente di Finreme Sim (sempre controllata dalla banca di Ca’ de Sass) e di Mediosud.

Ma il motivo dell’imbarazzo bazoliano arriva fino ad oggi perché tuttora Caloia siede su tre poltrone di non poco conto nel mondo di Intesa Sanpaolo: è infatti consigliere del controllato Banco Napoli, ma soprattutto è vicepresidente di Banca Fideuram e presidente di Sirefid. Fideuram è l’importante rete italiana di promotori finanziari e private banker di Intesa e Sirefid è la fiduciaria della banca.

angelo scola vescovo di milano x
Bazoli e Caloia hanno avuto destini intrecciati anche perché i prestigiosi saloni di Ca’ de Sass hanno ospita per anni le riunioni del circolo “Cultura, etica e finanza” fondato da Caloia, meeting riservati ai quali hanno partecipato personaggi del calibro di Carlo De Benedetti, Romano Prodi e Mario Monti.

“Last but not least” l’indagine su Caloia desta qualche imbarazzo anche in due altre istituzioni cattoliche milanesi: l’Università Cattolica dove l’ex presidente dello Ior insegna economia politica e l’Arcivescovado retto dal ciellino Angelo Scola, considerato che Caloia è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo.
 
Il Cartello della Federal Reserve: le otto famiglie
Pubblicato su 7 Dicembre 2014 da frontediliberazionedaibanchieri in ECONOMIA
I quattro cavalieri bancari (Bank of America, JP Morgan Chase, Citigroup e Wells Fargo) possiedono i quattro cavalieri del petrolio (Exxon Mobil, Royal Dutch/Shell, BP Amoco e Chevron Texaco), in tandem con Deutsche Bank,BNP, Barclays e altri vecchi colossi monetari europei. Ma il loro monopolio sull’economia globale non si ferma sull’orlo del pozzo petrolifero. Secondo i 10mila documenti societari depositati alla SEC, i quattro cavalieri bancari sono tra i primi dieci titolari di azioni di praticamente ogni società di Fortune 500. [1] Così sono gli azionisti delle banche centrali? Questa informazione va analizzata molto più da vicino. Le mie domande sulle agenzie di regolamentazione bancaria, in materia di partecipazione azionaria delle prime 25 aziende bancarie degli Stati Uniti furono poste con il Freedom of Information Act, prima di essere negate per motivi di “sicurezza nazionale”. Questo è piuttosto ironico, dal momento che molti azionisti bancari risiedono in Europa. Un archivio importante sulla ricchezza dell’oligarchia globale che possiede queste holding bancarie è l’US Trust Corporation, fondata nel 1853 e ora di proprietà di Bank of America. L’ultimo US Corporate Trust Director e Trustee Onorario fu Walter Rothschild. Altri direttori furono Daniel Davison di JP Morgan Chase, Richard Tucker di Exxon Mobil, Daniel Roberts di Citigroup e Marshall Schwartz di Morgan Stanley. [2]
J. W. McCallister, un insider dell’industria del petrolio con legami con la Casa dei Saud, ha scritto su ‘The Grim Reaper‘, che ha acquisito un’informazione dai banchieri sauditi secondo cui l’80% della proprietà della New York Federal Reserve Bank, di gran lunga il più potente ramo della Fed, è di sole otto famiglie, quattro delle quali risiedono negli Stati Uniti: Goldman Sachs, Rockefeller, Lehman e Kuhn Loeb di New York, i Rothschild di Parigi e Londra, la Warburg di Amburgo, i Lazards di Parigi e la Israel Moses Seifs di Roma. Thomas D. Schauf della CPA avvalora le affermazioni di McCallister, aggiungendo che dieci banche controllano tutti i dodici rami della Federal Reserve Bank. Nomina N. M. Rothschild di Londra, Banca Rothschild di Berlino, Banca Warburg di Amburgo, Banca Warburg di Amsterdam, Lehman Brothers di New York, Lazard Brothers di Parigi, Kuhn Loeb Bank di New York, Israel Moses Seif Bank dell’Italia, Goldman Sachs di New York e JP Morgan Chase Bank di New York. Schauf elenca William Rockefeller, Paul Warburg, Jacob Schiff e James Stillman quali individui che possiedono grandi quantità di azioni della FED. [3] Gli Schiff sono addetti alla Kuhn Loeb. Gli Stillman addetti alla Citigroup, essendosi sposati con il clan Rockefeller alla fine del secolo. Eustace Mullins arrivò alle stesse conclusioni nel suo libro I segreti della Federal Reserve, in cui mostra i grafici che collegano la Fed e le banche associate alle famiglie dei Rothschild, Warburg, Rockfeller e altre. [4] Il controllo che queste famiglie di banchieri esercitano sull’economia globale non può essere sottovalutato, ed è volutamente abbastanza avvolto nel segreto. Il loro ramo aziendale è rapido nel screditare qualsiasi informazione che smascheri questo cartello di banche centrali private come “teoria della cospirazione”. Eppure, i fatti restano.

La Casa dei Morgan
La Federal Reserve Bank è nata nel 1913, lo stesso anno negli USA il rampollo bancario J. Pierpont Morgan morì e laRockefeller Foundation fu costituita. La Casa dei Morgan presiede la finanza statunitense da un angolo tra Wall Street e Broadway, in qualità di quasi-banca centrale degli USA fin dal 1838, quando George Peabody la fondò a Londra. Peabody era un socio in affari dei Rothschild. Nel 1952 il ricercatore sulla Fed Eustace Mullins avanzò l’ipotesi che i Morgan non fossero altro che agenti dei Rothschild. Mullins scrisse che i Rothschild: “…preferivano operare in modo anonimo negli Stati Uniti dietro la facciata di JP Morgan & Company“. [5] L’autore Gabriel Kolko ha dichiarato, “le attività di Morgan nel 1895-1896 nella vendita di obbligazioni d’oro degli Stati Uniti in Europa, si basarono sull’alleanza con la Casa dei Rothschild“. [6] La piovra finanziaria dei Morgan avvolse rapidamente nei suoi tentacoli tutto il mondo. Morgan Grenfell operò a Londra. Morgan et C.ie governò Parigi. I Lambert, cugini dei Rothschild, istituirono la Drexel & Company di Philadelphia. La Casa dei Morgan supportò Astor, Dupont, Guggenheim, Vanderbilt e Rockefeller. Finanziò il lancio di AT&T, General Motors, General Electric e DuPont. Come i Rothschild di Londra e delle banche Barings, Morgan entrò a far parte della struttura di potere di molti Paesi.
Nel 1890 la Casa dei Morgan prestava alla banca centrale dell’Egitto, finanziava le ferrovie russe, manteneva le obbligazioni brasiliane dei governi provinciali e finanziava i progetti dei lavori pubblici argentini. La recessione del 1893 rafforzò ancor più Morgan. Quell’anno Morgan salvò il governo degli Stati Uniti dal panico bancario, formando un sindacato per sostenere le riserve statali, con un prestito di 62 milioni dollari in oro dei Rothschild. [7] Morgan era la forza trainante dell’espansione verso occidente degli Stati Uniti, del finanziamento e del controllo dei buoni delle ferrovie meridionali, attraverso patti di sindacato. Nel 1879 la Central Railroad di New York di Cornelius Vanderbilt, finanziata dai Morgan, adottò tariffe di spedizione preferenziali per supportare il monopolio della Standard Oil di John D. Rockefeller, cementando il rapporto Rockefeller/Morgan. La Casa dei Morgan finì sotto il controllo delle famiglie Rothschild e Rockefeller. Un titolo del New York Herald diceva, “Il Re della ferrovia forma un gigantesco trust“. J. Pierpont Morgan una volta dichiarò: “La concorrenza è un peccato“, ma poi opinò allegramente, “Pensa che tutti i concorrenti del traffico ferroviario ad ovest di St. Louis sono sotto il controllo di una trentina di uomini“. [8] Morgan ed Edward Harriman, banchiere della Kuhn Loeb, avevano il monopolio delle ferrovie, mentre le dinastie bancarie Lehman, Goldman Sachs e Lazard si unirono ai Rockefeller nel controllo della base industriale degli Stati Uniti. [9] Nel 1903 un trust bancario fu istituito dalle otto famiglie. Benjamin Strong del trust bancario fu il primo governatore della New York Federal Reserve Bank. Nel 1913, la creazione della Fed fuse il potere delle otto famiglie con il potere militare e diplomatico del governo degli Stati Uniti. Se i loro prestiti esteri non venivano ripagati, gli oligarchi potevano ora inviare i marines degli Stati Uniti a raccogliere i debiti. Morgan, Chase e Citibank formarono un sindacato del prestito internazionale. La Casa dei Morgan era accondiscendente con i Windsor e i Savoia. Kuhn Loeb, Warburg, Lehman, Lazard, Israel Moses Seifs e Goldman Sachs hanno avuto stretti legami con i reali europei. Nel 1895 Morgan controllava il flusso di oro degli Stati Uniti. La prima ondata di fusioni statunitensi avvenne alla sua infanzia e fu promossa dai banchieri. Nel 1897 vi furono sessantanove fusioni industriali. Nel 1899 milleduecento. Nel 1904 John Moody, fondatore del Moody Investor Services, disse che era impossibile parlare degli interessi di Rockefeller e Morgan in modo distinto. [10]
La sfiducia pubblica sulle fusioni si diffuse. Molti li considerarono dei traditori che lavoravano per i soldi della vecchia Europa. La Standard Oil di Rockefeller, l’US Steel di Andrew Carnegie e le ferrovie di Edward Harriman furono tutti finanziati dal banchiere Jacob Schiff di Kuhn Loeb, che lavorava a stretto contatto con i Rothschild europei. Diversi stati occidentali vietarono i banchieri. Il predicatore populista William Jennings Bryan fu tre volte il candidato democratico alla presidenza dal 1896 al 1908. Il tema centrale della sua campagna anti-imperialista era che gli USA stavano cadendo nella trappola della “servitù finanziaria a capitalista inglese“. William Howard Taft sconfisse Bryan nel 1908, ma da quel momento il predecessore e mentore di Taft, Teddy Roosevelt, fu costretto da questo populismo diffuso a promulgare lo Sherman Anti-Trust Act. Che poi continuò con la Standard Oil Trust. Nel 1912, si tennero le udienze Pujo, rivolte sulla concentrazione di potere a Wall Street. Nello stesso anno la moglie di Edward Harriman vendette le sue quote della Guaranty Trust Bank di New York a JP Morgan, creando il Morgan Guaranty Trust. Il giudice Louis Brandeis convinse il presidente Woodrow Wilson a chiedere la fine delle intersezioni dei consigli amministrativi. Nel 1914 il Clayton Antitrust Act fu approvato. Jack Morgan, figlio e successore di J. Pierpont, rispose invitando i clienti della Morgan Remington e Winchester ad aumentare la produzione di armi. Sostenne che gli Stati Uniti dovevano entrare nella Prima guerra mondiale. Pungolato dalla Fondazione Carnegie e da altri oligarchi, Wilson li appoggiò. Come scrisse Charles Tansill in L’America va in guerra: “Anche prima del fragore delle armi, la ditta francese dei Rothschild Freres informò la Morgan & Company di New York, suggerendo la flottazione di un prestito di 100 milioni di dollari, una parte consistente del quale doveva essere lasciato negli Stati Uniti per pagare gli acquisti francesi di beni statunitensi“. La Casa dei Morgan finanziò la metà dello sforzo bellico degli Stati Uniti, durante la ricezione delle commissioni che allinearono aziende come GE, Du Pont, US Steel, Kennecott e ASARCO. Tutti erano clienti della Morgan che anche finanziò la guerra anglo-boera in Sud Africa e la guerra franco-prussiana. La Conferenza di Pace di Parigi del 1919 fu presieduta da Morgan, che sostenne gli sforzi della ricostruzione sia tedeschi che alleati. [11]
Negli anni ’30 il populismo ritornò negli USA dopo che Goldman Sachs, Lehman Bank e altri approfittarono del crollo del 1929. [12] Il presidente della commissione bancaria del Congresso, Louis McFadden (D-NY), disse della Grande Depressione, “Non fu un incidente, ma un avvenimento attentamente artificioso… I banchieri internazionali cercarono di suscitare una situazione disperata qui, in modo che potessero imporsi come governanti di tutti noi“. Il senatore Gerald Nye (D-ND) presiedette un’indagine sulle munizioni nel 1936. Nye concluse che la Casa dei Morgan aveva gettato gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale per proteggere i prestiti e creare una industria bellica in piena espansione. Nye poi produsse un documento dal titolo ‘La prossima guerra‘, che cinicamente parlava “del vecchio trucco della dea democrazia“, attraverso cui il Giappone poteva essere usato per trascinare gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Nel 1937 Ii segretario degli Interni Harold Ickes avvertì sull’influenza delle “60 famiglie d’America”. Lo storico Ferdinand Lundberg scrisse un libro dallo stesso titolo. Il giudice della Corte Suprema William O. Douglas denigrò “l’influenza dei Morgan… la più perniciosa nell’industria e nella finanza di oggi.” Jack Morgan rispose spingendo gli Stati Uniti verso la seconda guerra mondiale. Morgan aveva stretti rapporti con le famiglie Iwasaki e Dan, i due clan più ricchi del Giappone, che possedevano Mitsubishi e Mitsui rispettivamente da quando le imprese apparvero nello shogunato del 17° secolo. Quando il Giappone invase la Manciuria, massacrando contadini cinesi a Nanchino, Morgan minimizzò l’incidente. Morgan ebbe anche stretti rapporti con il fascista italiano Benito Mussolini, mentre il nazista tedesco dr. Hjalmar Schacht fu un agente di collegamento della Morgan Bank durante la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra i rappresentanti della Morgan incontrarono Schacht presso la Banca dei regolamenti internazionali (BRI) a Basilea, in Svizzera. [13]

La Casa dei Rockefeller
La BIS è la banca più potente del mondo, la banca centrale globale delle otto famiglie che controllano le banche centrali private di quasi tutte le nazioni occidentali e in via di sviluppo. Il primo presidente della BIS fu il banchiere dei Rockefeller Gates McGarrah, funzionario presso la Chase Manhattan e la Federal Reserve. McGarrah è il nonno dell’ex direttore della CIA Richard Helms. I Rockefeller, come i Morgan, avevano stretti legami con Londra. David Icke scrive ne ‘I figli di Matrix‘, che Rockefeller e Morgan erano solo “controfigure” dei Rothschild europei. [14] BIS è di proprietà di Federal Reserve, Banca d’Inghilterra, Banca d’Italia, Banca del Canada, Banca nazionale svizzera, Nederlandsche Bank, Bundesbank e Banca di Francia. Lo storico Carroll Quigley ha scritto, nel suo epico libro ‘Tragedy and Hope’, che la BIS era parte di un piano “per creare un sistema mondiale di controllo finanziario privato capace di dominare il sistema politico di ogni Paese e l’economia mondiale nel suo complesso… essere controllati in modo feudale dalle banche centrali del mondo che agiscono di concerto con accordi segreti.” Il governo degli Stati Uniti ebbe diffidenza storica verso la BIS, facendo lobbying, senza successo, per la sua scomparsa alla Conferenza di Bretton Woods del 1944. Invece il potere delle otto famiglie fu ingrandito con la creazione a Bretton Woods del FMI e della Banca Mondiale. La Federal Reserve si riprese le azioni della BIS solo nel settembre 1994. [15] La BIS detiene almeno il 10% delle riserve monetarie di almeno 80 banche centrali del mondo, del FMI e di altre istituzioni multilaterali. Opera da agente finanziario negli accordi internazionali, raccoglie informazioni sull’economia globale ed è prestatore di ultima istanza per evitare il collasso finanziario globale. La BIS promuove l’agenda del fascismo del monopolio capitalista. Diede un prestito ponte all’Ungheria negli anni ’90 per garantire la privatizzazione dell’economia di quel Paese. Servì ad incanalare il finanziamento delle otto famiglie di Adolf Hitler, guidate dalla J. Henry Schroeder e Mendelsohn Bank dei Warburg di Amsterdam. Molti ricercatori sostengono che la BIS è al nadir del riciclaggio globale dei narcodollari. [16] Non è un caso che la BIS abbia sede in Svizzera, luogo preferito per nascondere la ricchezza dell’aristocrazia mondiale e sede della P2 italiana, dei massoni della Loggia Alpina e del nazismo internazionale. Altre istituzioni controllate dalle otto famiglie sono il World Economic Forum, la Conferenza monetaria internazionale e l’Organizzazione mondiale del commercio.
Bretton Woods fu una manna per le otto famiglie. Il FMI e la Banca Mondiale sono stati al centro di questo “nuovo ordine mondiale”. Nel 1944 le prime obbligazioni della Banca Mondiale furono emesse da Morgan Stanley e First Boston. La famiglia francese Lazard fu sempre più coinvolta negli interessi della Casa dei Morgan. La più grande banca d’investimento della Francia, la Lazard Freres di proprietà delle famiglie Lazard e David-Weill, vecchi rampolli bancari genovesi rappresentati da Michelle Davive. Un recente presidente e CEO di Citigroup fu Sanford Weill. Nel 1968 Morgan Guaranty lanciò Euro-Clear, sistema di compensazione bancario con sede a Bruxelles sui titoli in eurodollari. Fu il primo tentativo del genere automatizzato. Alcuni presero a chiamarlo Euro-Clear “The Beast”. Bruxelles funge da quartier generale della nuova Banca centrale europea e della NATO. Nel 1973 i funzionari di Morgan s’incontrarono segretamente alle Bermuda per resuscitare illegalmente la vecchia casa dei Morgan, 20 anni prima che la legge Glass-Steagal venisse abrogata. Morgan e Rockefeller fornirono sostegno finanziario alla Merrill Lynch, sostenendo i Big 5 dell’investimento bancario statunitense. Merrill è ora parte di Bank of America.
John D. Rockefeller usò le sue ricchezze petrolifere per acquisire Equitable Trust, che aveva inghiottito alcune grandi banche e società dal 1920. La Grande Depressione contribuì a consolidare il potere dei Rockefeller. La loro banca Chase si fuse con la Kuhn Loeb Manhattan Bank, formando Chase Manhattan, cementando un rapporto familiare di lunga data. La Kuhn-Loeb aveva finanziato, insieme a Rothschild, il tentativo dei Rockefeller di diventare i monarchi del petrolio. La National City Bank di Cleveland rese disponibili a John D. il denaro necessario per intraprendere la monopolizzazione dell’industria petrolifera statunitense. La banca fu identificata nelle audizioni del Congresso come una delle tre banche di proprietà Rothschild negli Stati Uniti, negli anni 1870, quando i Rockefeller crearono laStandard Oil of Ohio. [17] Un socio dei Rockefeller alla Standard Oil fu Edward Harkness, la cui famiglia controllava la Chemical Bank. Un altro era James Stillman, la cui famiglia controllava la Manufacturers Hanover Trust. Entrambe le banche si fusero sotto l’ombrello della JP Morgan Chase. Due figlie di James Stillman sposarono due figli di William Rockefeller. Le due famiglie controllano anche una grossa fetta di Citigroup. [18]
Nel settore assicurativo, i Rockefeller controllano Metropolitan Life, Equitable Life, Prudential and New York Life. Le banche dei Rockefeller controllano il 25% di tutte le attività delle 50 maggiori banche commerciali degli Stati Uniti e il 30% di tutte le attività delle 50 più grandi compagnie di assicurazione. [19] Le imprese di assicurazione, la prima negli Stati Uniti fu lanciata dai massoni attraverso la loro Woodman of America, svolgono un ruolo chiave nel traffico in narcodollari alle Bermuda. La società controllate da Rockefeller comprendono Exxon Mobil, Chevron Texaco, BP Amoco, Marathon Oil, Freeport McMoran, Quaker Oats, ASARCO, United, Delta, Northwest, ITT, International Harvester, Xerox, Boeing, Westinghouse, Hewlett-Packard, Honeywell, International Paper, Pfizer, Motorola, Monsanto, Union Carbide e General Foods. La Fondazione Rockefeller ha stretti legami finanziari con le fondazioni Ford e Carnegie. Altri sforzi filantropici della famiglia: Rockefeller Brothers Fund, Rockefeller Institute for Medical Research, General Education Board, Rockefeller University e Università di Chicago, che sforna un flusso costante di economisti di estrema destra apologeti del capitalismo internazionale, tra cui Milton Friedman. La famiglia possiede 30 Rockefeller Plaza, dove l’albero di Natale nazionale viene illuminato ogni anno, e il Rockefeller Center. David Rockefeller fu determinante nella costruzione delle torri del World Trade Center. La principale sede della famiglia Rockefeller è un massiccio complesso nello Stato di New York, conosciuto come Pocantico Hills. Possiede anche un appartamento di 32 camere sulla 5th Avenue a Manhattan, una villa a Washington DC, Monte Sacro Ranch in Venezuela, piantagioni di caffè in Ecuador, diverse aziende in Brasile, una tenuta a Seal Harbor, nel Maine e resort nei Caraibi, Hawaii e Puerto Rico. [20]
Le famiglie Dulles e Rockefeller sono cugine. Allen Dulles ha creato la CIA, assistito i nazisti, coperto l’assassinio di Kennedy con la sua fasulla Commissione Warren e raggiunto un accordo con i Fratelli musulmani per creare assassini mentalmente controllati. [21] Il fratello John Foster Dulles presiedette il falso trust della Goldman Sachs prima del crollo del mercato azionario nel 1929 e aiutò il fratello a rovesciare i governi di Iran e Guatemala. Entrambi erano Skull & Bones, attivi nel Council on Foreign Relations (CFR) e massoni di 33° grado. [22] I Rockefeller contribuirono a formare il Club di Roma orientato verso lo spopolamento, presso la tenuta di famiglia di Bellagio, in Italia. Nel loro immobile di Pocantico Hills crearono la Commissione Trilaterale. La famiglia è uno dei principali finanziatori del movimento eugenetico che produsse Hitler, la clonazione umana e l’attuale ossessione sul DNA negli ambienti scientifici statunitense. John Rockefeller Jr. fu a capo del Consiglio sulla popolazione fino alla morte. [23] Il figlio, omonimo, è senatore del West Virginia. Il fratello Winthrop Rockefeller era vice-governatore dell’Arkansas e l’uomo più potente di quello Stato fino al suo decesso nel 2006. Nell’intervista dell’ottobre 1975 a Playboy Magazine, il vicepresidente Nelson Rockefeller, che era anche governatore di New York, articolò la paternalistica visione del mondo della sua famiglia: “Sono un grande sostenitore della pianificazione totale mondiale, della pianificazione economica, sociale, politica, militare.” Ma di tutti i fratelli Rockefeller, è David, fondatore della Commissione Trilaterale (TC) ed ex presidente della Chase Manhattan, che ha guidato l’agenda globale fascista di famiglia. Ha difeso lo Scià di Persia, il regime sudafricano dell’apartheid e la giunta cilena di Pinochet. Fu il più grande finanziatore del CFR, della TC e (durante la guerra del Vietnam), del Comitato per una pace effettiva e duratura in Asia, una miniera d’oro contrattuale per coloro che hanno passato la loro vita fuori dai conflitti.
Nixon gli chiese di essere il segretario del Tesoro, ma Rockefeller rifiutò, sapendo che il suo potere era molto più saldo al timone della Chase. L’autore Gary Allen scrive su ‘Dossier Rockefeller’ che nel 1973 “David Rockefeller incontrò ventisette capi di Stato, tra cui i governanti della Russia e della Cina Rossa.” Dopo il golpe della Banca Nugan Hand/CIA del 1975 contro il Primo ministro australiano Gough Whitlam, la Corona inglese nominò suo successore Malcolm Fraser, che si precipitò negli Stati Uniti incontrando il presidente Gerald Ford dopo aver conferito con David Rockefeller. [24]

Note
[1] 10K Filings of Fortune 500 Corporations to SEC. 3-91
[2] 10K Filing of US Trust Corporation to SEC. 6-28-95
[3] “
The Federal Reserve ‘Fed Up’. Thomas Schauf. 1-02
[4] The Secrets of the Federal Reserve. Eustace Mullins. Bankers Research Institute. Staunton, VA. 1983. p.179
[5] Ibid. p.53
[6] The Triumph of Conservatism. Gabriel Kolko. MacMillan and Company New York. 1963. p.142
[7] Rule by Secrecy: The Hidden History that Connects the Trilateral Commission, the Freemasons and the Great Pyramids. Jim Marrs. HarperCollins Publishers. New York. 2000. p.57
[8] The House of Morgan. Ron Chernow. Atlantic Monthly Press NewYork 1990
[9] Marrs. p.57
[10] Democracy for the Few. Michael Parenti. St. Martin’s Press. New York. 1977. p.178
[11] Chernow
[12] The Great Crash of 1929. John Kenneth Galbraith. Houghton, Mifflin Company. Boston. 1979. p.148
[13] Chernow
[14] Children of the Matrix. David Icke. Bridge of Love. Scottsdale, AZ. 2000
[15] The Confidence Game: How Un-Elected Central Bankers are Governing the Changed World Economy. Steven Solomon. Simon & Schuster. New York. 1995. p.112
[16] Marrs. p.180
[17] Ibid. p.45
[18] The Money Lenders: The People and Politics of the World Banking Crisis. Anthony Sampson. Penguin Books. New York. 1981
[19] The Rockefeller File. Gary Allen. ’76 Press. Seal Beach, CA. 1977
[20] Ibid
[21] Dope Inc.: The Book That Drove Kissinger Crazy. Editors of Executive Intelligence Review. Washington, DC. 1992
[22] Marrs.
[23] The Rockefeller Syndrome. Ferdinand Lundberg. Lyle Stuart Inc. Secaucus, NJ. 1975. p.296
[24] Marrs. p.53

 
Affairs / Se ora anche i tedeschi ci consigliano di uscire dall'euro, quali...
Se ora anche i tedeschi ci consigliano di uscire dall'euro, quali argomenti restano al PD?

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Per la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri): l'esposizione finanziaria di Berlino in Italia da 268 miliardi (2008) a 99,5...

Notizia presa dal sito L'Antidiplomatico visita L'Antidiplomatico

di Simone Nastasi

Lunedi scorso sul Der Spiegel è uscito un articolo, ripreso in Italia anche dal sito di Beppe Grillo e da alcuni quotidiani come il Giornale, in cui l'editorialista Wolfang Munchau analizzando la situazione politica dei Paesi dell'Eurozona, presagiva una possibile e prossima uscita dall'euro dell'Italia. Le ragioni che avrebbero spinto Munchau a pensarla in questo modo sarebbero da ricercarsi nell'attuale situazione politica italiana in cui, come rilevato anche dall'Antidiplomatico, i partiti anti-euro sarebbero in forte ascesa. Se infatti si andasse a votare domani mattina, la somma dei voti conquistati dai partiti che nei loro programmi elettorali inseriscono il recupero della sovranità monetaria, a partire proprio dall'abbandono della moneta unica, sarebbe prossima se non addirttura superiore al 50% dell'elettorato.

Da Salvini a Berlusconi infatti, passando per Beppe Grillo e Giorgia Meloni, ai quali potrebbe aggiungersi anche la cosiddetta minoranza all'interno del Pd, il coro di coloro che vogliono che l'Italia torni a battere la sua moneta, si ingrossa di settimana in settimana. E per questo anche dalla Germania fanno sapere che forse, stando così le cose, il ritorno dell'Italia alla lira non sarebbe più un'idea tanto peregrina quanto piuttosto un problema per tutti gli altri Paesi, compresa la Germania. Un problema al quale, stando ai numeri ufficiali i tedeschi starebbero pensando da tempo. Infatti le ultime cifre fornite dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri) ci raccontano che le banche di Berlino a partire dal 2008 avrebbero iniziato un progressivo alleggerimento dell'esposizione finanziaria che, nel caso italiano, sarebbe passata dai 268 miliardi di euro del 2008 ai 99,5 di quest'anno.

Dunque, un segnale di forte sfiducia che i tedeschi hanno continuato a nutrire nei confronti di un Paese come l'Italia, e che non si è mai arrestata, neanche dopo la fine della crisi da spread che, come si ricorderà, nell'autunno del 2011 mise in serio pericolo l'esistenza della moneta unica. Evidentemente, le parole del presidente della Bce Mario Draghi, che disse che avrebbe fatto “whatever it takes” per salvare l'euro, e che servirono per tranquillizzare i mercati sulla tenuta della moneta unica, non sono bastate per convincere i tedeschi ad investire in Paesi come l'Italia. Verrebbe quindi da aggiungere che la Germania avrebbe da tempo previsto un simile scenario e sarebbe per questo corsa ai ripari.

Nonostante questo però un'autorevole penna come quella di Wolfang Munchau, ancora oggi arriva a scrivere che l'uscita dell'Italia dall'euro sarebbe “il peggiore degli scenari”, anche per un Paese come la Germania.

E allora vediamo perchè. Il punto da cui parte l'analisi di Munchau sarebbe il presunto “ampio consenso politico” di cui l'euro nutriva ai tempi in cui venne pensato. Così scrivendo il prestigioso editorialista sembra però dimenticarsi che almeno per quanto riguarda il caso italiano, il consenso politico di cui egli scrive , se per tale va ancora inteso il consenso del popolo e non quello dei partiti, sarebbe stato tutto da verificare perchè agli italiani, formalmente, non è mai stato chiesto di potersi pronunciare sull'adozione di una moneta comune, costruita su parametri come quelli che vennero poi inseriti all'interno del trattato di Maastricht. Qualcuno potrebbe anche obiettare che tutto questo non sarebbe potuto succedere perchè, se per farlo sarebbe servito un referendum, in casi del genere, tale strumento non può essere utilizzato in quanto vietato dalla Costituzione italiana, che all'articolo 75 non consente al popolo di pronunciarsi su leggi di ratifica ai trattati internazionali.

Se i trattati europei, come quello di Maastricht e tutti gli altri che sono stati firmati lungo il processo di unificazione monetaria, sono da considerarsi a tutti gli effetti trattati internazionali, va da se che su questa materia al popolo italiano non è stato consentito e non verrà consentito in futuro il diritto di pronunciarsi. Da questo punto di vista, per usare le stesse parole del presidente della Bce Mario Draghi, l'euro per l'Italia sarebbe veramente “irreversibile”, in quanto imposto con una legge che il popolo italiano per sua iniziativa non può assolutamente modificare. La situazione sarebbe dunque la stessa di un paziente che svegliatosi dal coma e tornato cosciente, vorrebbe tornare a vivere ma non può farlo perchè è tenuto in coma farmacologico dai medici.

L'unica strada possibile resta allora quella che si sta verificando e anche in Germania sembrano essersene accorti. Ossia che tra una buona parte delle forze politiche presenti in Parlamento, si sta facendo strada, questa volta sul serio, l'idea che abbandonare la moneta unica non sia più quell'opzione folle come venne definita ai tempi di Berlusconi, quando il Cavaliere disse scatenando una babele di polemiche, che l'euro non aveva convinto nessuno. Ma che anzi sia questo l'unico modo per far ripartire un'economia che altrimenti rischierebbe di rimanere nello stato recessivo attuale, ancora per molto tempo. E questa, paradossalmente, è anche la stessa conclusione alla quale arriva lo stesso Munchau che infatti nel suo editoriale scrive che “l'Italia uscendo dall'euro risolverebbe in un colpo solo tutti i suoi problemi”. Questo perchè, le imprese italiane tornerebbero ad essere di nuovo competitive, grazie ad una svalutazione sul cambio che Munchau quantifica tra il 30 e il 50% e che rilancerebbe le esportazioni dato che i prodotti italiani costerebbero presumibilmente di meno rispetto ai prodotti tedeschi. Ma un vantaggio arriverebbe anche dal punto di vista dei debiti che emessi in euro tornerebbero ad essere ridenominati in lire.

Uno dei principali problemi per un Paese che voglia uscire da un'unione monetaria è infatti proprio questo, legato alla ridenominazione dei propri debiti emessi in moneta comune e quello che più conta in “foreign law”anzichè in “domestic law”. Ossia, secondo una legge che non è quella del Paese emittente ,ma al contrario quella di un Paese straniero. E' il caso ad esempio di molte obbligazioni bancarie. Da questo punto di vista l'attuale situazione italiana registrerebbe invece una situazione favorevole all'Italia dovuta ad una prevalenza di debito emesso secondo la legge nazionale che quindi, qualora l'Italia uscisse dall'euro, verrebbe regolato di nuovo secondo la legge italiana. Che consentirebbe appunto di ridenominare i debiti pubblici e privati in lire anzichè in euro, e necessariamente comporterebbe una perdita per i soggetti creditori, che si ritroverebbero in mano un credito svalutato. Ed è questo uno dei motivi, ma non l'unico, che spingono Munchau a scrivere che “l'uscita dell'Italia sarebbe il peggiore degli scenari”. Ma per chi? Sicuramente per la Germania. Infatti, come scrive Munchau, l'Italia uscendo dall'euro, riacquisterebbe competitività. E per i tedeschi questa non sarebbe una buona notizia.
Notizia presa dal sito L'Antidiplomatico visita L'Antidiplomatico
 
1. NEL MONDO DI MEZZO DI CUI È IL RICONOSCIUTO “RE DI ROMA”, MASSIMO CARMINATI HA LA SUA OMBRA. UN UOMO CLASSE ’44, UN “KAISER SOZE” DI 70 ANNI GIÀ ANELLO DI CONGIUNZIONE TRA LA BANDA DELLA MAGLIANA E COSA NOSTRA, DI CUI È PLENIPOTENZIARIO A ROMA - 2. IMMUNE ALL’USURA DEL TEMPO E ALLA GIUSTIZIA PENALE DA SEMPRE, CHE DI SÉ DICE “SO’ IL BOSS DEI BOSS”, E AL CUI COSPETTO LA CITTÀ SI GENUFLETTE O TREMA: ERNESTO DIOTALLEVI. - 3. DALLE INTERCETTAZIONI A CARICO DI DIOTALLEVI E DEI FIGLI MARIO E LEONARDO, A TEMPO PIENO DEDITI ANCHE ALL’USURA E AL GIOCO D’AZZARDO, AFFIORANO RELAZIONI DALLA POLITICA ALLE FORZE DELL’ORDINE, PASSANDO PER MASSONERIA E SERVIZI SEGRETI. SEMPRE IL RAMPOLLO MARIO SI FA VEDERE IN GIRO CON RICUCCI E ANNAGRAZIA CALABRIA, DEPUTATA PDL - 4. RICUCCI ACQUISTA “A PREZZO DI VANTAGGIO, GLI OGGETTI E GLI IMMOBILI, BOTTINO DEL CLAN” -

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Carlo Bonini per La Repubblica
Ernesto Diotallevi

Nel Mondo di Mezzo di cui è il riconosciuto Signore, Massimo Carminati ha la sua ombra. Un uomo classe ’44, un “Kaiser Soze” di 70 anni già anello di congiunzione tra la Banda della Magliana e Cosa Nostra, di cui è plenipotenziario a Roma. Immune all’usura del tempo e alla giustizia penale da sempre, che di sé dice «so’ il boss dei boss», e al cui cospetto la città si genuflette o trema: Ernesto Diotallevi.

Ernesto Diotallevi
Ed è catturando le sue confidenze, i suoi ordini, che le cimici del Ros dei carabinieri tirano un altro significativo filo di questa storia. Che porta di nuovo allo studio legale incaricato di sigillare i silenzi di Riccardo Mancini e i segreti della maxi-tangente da 650mila euro destinata a un misterioso onorevole, alle elezioni per il sindaco di Fiumicino, che, come Roma, doveva diventare Cosa Loro, a una centrale dell’intossicazione e dossieraggio. Con ordine, dunque.

L’AVVOCATO DI MANCINI
schifano - in casa Diotallevi
Diotallevi ha battezzato un avvocato che è, insieme, punto di riferimento di Massimo Carminati, Michele Senese (plenipotenziario della Camorra a Roma), Riccardo Mancini (protesi e tasca di Alemanno), Giovanni “Giovannone” De Carlo, astro nascente su cui Diotallevi scommette per la sua successione, e Fabrizio Testa, “facilitatore” di Carminati con la pubblica amministrazione.

E quell’avvocato è proprio quel Pierpaolo Dell’Anno il cui studio di via Nicotera diventa la cabina di regia di silenzi e dissimulazione quando Mancini viene arrestato e il segreto della maxi-tangente Breda sembra dover crollare.

L’appartemento di Diotallevi sequestrato a Fontana di Trevi
Dell’Anno è a tal punto in balia di Diotallevi che, conversando con De Carlo, la definizione è lapidaria: «L’abbiamo inventato noi. Perché non contava un cazzo». Ora, al contrario, quel “ragazzo” figlio dell’ex consigliere di Cassazione Paolino Dell’Anno (“devoto” di Claudio Vitalone e già nel collegio del giudice ammazzasentenze Corrado Carnevale) conta. E dunque, deve fare quello che gli viene ordinato.

diotallevi
Da Diotallevi, da Carminati, da Senese, da De Carlo. «Sta sotto la cappella», soprattutto «di Michele» (Senese ndr.), chiosa Diotallevi conversando con i figli Leonardo e Mario, che - come documentano alcune foto contenute in un anonimo agli atti dell’inchiesta - crescono alla scuola del padre. Annodando relazioni con un tipo come Stefano Ricucci o la trentaduenne deputata e avvocato di Forza Italia Annagrazia Calabria, già coordinatrice nel Lazio di “Azzurro donna”.

Giovanni De Carlo spinge il passeggino di Belen Rodriguez belen
Ebbene, Diotallevi, come del resto anche Giovanni De Carlo sembrano molto interessati a quali mosse siano necessarie con l’arresto di Mancini. Al punto che il vecchio boss scommette: «Vedrai che ora Giovanni (De Carlo ndr.) gli dirà di mollarlo», di abbandonarne la difesa e «de manna’ affanculo anche Massimo (Carminati ndr.)».
STEFANO DE MARTINO - GIOVANNI DE CARLO - BELEN

Perché? Le intercettazioni non offrono una risposta. Ma in qualche modo si conferma che nella partita della corruzione politica entrino anche Diotallevi, De Carlo, Senese. Le “altre Mafie”. Che nel domino dei tre Mondi davvero tutto si mischi.
GIOVANNI DE CARLO E BELEN

CANDIDATO DI MALAVITA
Non fosse altro perché le opportunità sono molte. Come la conquista del comune di Fiumicino, “Il Porto di Roma”, 81mila anime, dove, nella primavera 2013, si sfidano il candidato del Pd Esterino Montino (già vice di Marrazzo in Regione e quindi capogruppo negli anni della Polverini e di Fiorito) e quello Pdl Mauro Gonnelli, l’uomo su cui scommette Diotallevi: «A noi ce interessa che questo qua diventa sindaco. Se ce diventa, sai come piottamo (corriamo ndr.)? Fallo diventa’ sindaco e compramo quella proprietà là. E sai che ce famo? Un grattacielo. C’è da arricchisse».
GIOVANNI DE CARLO - MATTEO CALVIO

Per agganciare e “battezzare” Gonnelli, Ernesto Diotallevi muove un maresciallo capo della Finanza a Fiumicino, Giuseppe Volpe, un tipo che dice essere «a disposizione». E per ammaestrarlo si affida al figlio Mario, cui spiega il contegno da tenere con “il candidato”: «Nun esse’ acido. Anche perché quello (Gonnelli ndr.) è un mitomane, impiastrato de’ malavita ». Mario concorda: «E’ talmente impiastrato de’ malavita che te sei la divinità per questo».

CARMINATI
La campagna elettorale di Gonnelli ha in cima all’agenda la «lotta alla criminalità» e «la sicurezza dei cittadini» con la promessa di «installare telecamere per la sorveglianza nei 13 centri urbani che formano il Comune di Fiumicino». E sembra destinata a un trionfo. Anche perché, dopo il primo turno, il vantaggio su Esterino Montino è di 3.600 voti, l’11%. Poi, al ballottaggio, accade evidentemente qualcosa, che ha qualcosa di matematicamente curioso. Gonnelli perde 2.500 voti. Montino ne guadagna 2.200. Montino è sindaco.

LA P3, I “CAMILLIANI” E I DOSSIER
MAFIA CAPITALE - MONDO DI MEZZO
Per la verità, non è il solo Gonnelli a essere rapito dal fascino di Diotallevi. Il vecchio boss, conversando con il figlio, sostiene di avere in mano tale “Paolo”, «un colonnello della Finanza» in carico ai Servizi, «in procinto di passare alla Sicurezza Vaticana». In realtà - come accerta il Ros - si tratta di Paolo Oliverio. Un tipo che di mestiere fa il commercialista, traffica con l’ordine dei Camilliani, e che ha come clienti, tra gli altri, uomini della P3 e che verrà arrestato dalla Finanza nel gennaio scorso.
ARRESTO CARMINATI

Mettendogli le manette, il Gico scoprirà che custodisce un archivio capace di «esercitare un forte condizionamento della pubblica amministrazione attraverso ricatti, dossieraggio e finanziamento illecito della politica, grazie alla partecipazione nelle attività criminali di esponenti dell’Ndrangheta, della Banda della Magliana, di logge coperte e autorevoli prelati». Ancora una volta, il Mondo di Mezzo, appunto.

2. GLI AFFARI DEL VECCHIO BOSS ALLEATO DI CARMINATI
Fulvio Fiano - Ilaria Sacchettoni per Corriere della Sera

STEFANO RICUCCI E GIAMPI TARANTINI CHIAMATO IL TARANTOLA DA RICUCCI
Stregato dalle avanguardie, il boss andava in cerca di tele e opere prime. Una passionaccia alimentata con metodi mafiosi, secondo l’inchiesta. La leggendaria raccolta di Sante Monachesi, Giacomo Balla, Mario Schifano (compresa la famosa icona della Coca Cola) posseduta da Ernesto Diotallevi, l’amico di Massimo Carminati, era stata sequestrata a dicembre 2013. Ma solo ora è stato possibile ricostruirne la vera genesi.
STEFANO RICUCCI E GIAMPI TARANTINI CHIAMATO IL TARANTOLA DA RICUCCI

I FIGLI E RICUCCI
La collezione si arricchiva attraverso una serie di truffe alle quali prendevano parte i figli del boss, Leonardo e Mario, la «facciata pulita nell’ambito della strategia d’impresa (di Diotallevi ndr )», scrivono i Ros. I due adescavano collezionisti, professionisti e figli di famiglie ricche nei circoli e locali alla moda proponendosi per l’acquisto di quadri, gioielli e preziosi. Quindi firmavano cambiali che, all’atto del rogito, venivano sostituite da una valigetta di banconote false. Chi ha venduto se ne accorge troppo tardi e casomai pensi di denunciare c’è il giovane Diotallevi (Leonardo, indagato) a fargli cambiare idea: «Sai chi è mio padre? Cercalo su internet».
STEFANO RICUCCI CON GRANDE GNOCCA CRISTINA DEL BASSO

Il fratello Mario cena con Stefano Ricucci, l’immobiliarista già coinvolto nello scandalo Bnl Unipol: secondo l’inchiesta Ricucci acquista «a prezzo di vantaggio, gli oggetti e gli immobili, bottino del clan».
RICUCCI FLO

LA DEPUTATA DEL PDL
Ma dalle intercettazioni a carico di Diotallevi e dei figli, a tempo pieno dediti anche all’usura e al gioco d’azzardo, affiorano relazioni dalla politica alle forze dell’ordine, passando per massoneria e servizi segreti. Sempre Mario si fa vedere in giro con Annagrazia Calabria, deputata del Pdl da due legislature, figlia dell’ex direttore finanziario di Finmeccanica, Luigi Calabria.
ANNAGRAZIA CALABRIA BERLUSCONI ALL'INCONTRO CON I GIOVANI DI FORZA ITALIA

Forti del nome che portano, i figli del boss contano sull’appoggio dell’ex pdl candidato sindaco di Fiumicino, Mauro Gonnelli: «È talmente impiastrato di malavita che te sei una divinità per questo», dice Mario al padre.
E Diotallevi rilancia: «Se diventa sindaco sai come piottamo. Me metto col fiato sul collo. C’è da arricchisse».
annagrazia calabria

ASPIRANTE MASSONE
Nell’agendina dei due fratelli ci sono anche esponenti delle forze dell’ordine. Con Gonnelli, la famiglia Diotallevi era sicura di aver «agganciato» anche il maresciallo della Finanza, Giuseppe Volpe. Su Roma, invece, lavoravano alla assegnazione di uno dei «Punti verde qualità» del Comune tramite il funzionario del Campidoglio Massimo Dolce, già indagato per la vicenda.

«Mario Diotallevi — scrive ancora il Ros — è apparso il più attivo nella ricerca dei contatti nel mondo della massoneria e degli appartenenti del mondo dei servizi segreti che potessero avvantaggiarlo nella sua attività di faccendiere». Avvicina Alfredo Di Prinzio, esoterista italoargentino, al quale chiede di «intercedere per una sua affiliazione» al Grande Oriente d’Italia.

franco giuseppucci Messaggero1980
Progetto fallito per un carico nella fedina penale (resistenza a un pubblico ufficiale) di Diotallevi jr. Rapporti veri o millantati emergono con «Paolo, colonnello della Finanza» e «futuro capo della sicurezza in Vaticano», e con Fabio Carignola «uomo della polizia e dei Servizi». Fino a tale «Giuseppe della Cia», che propone «biglietti da un milione di dollari». Il padre avverte: «Me pare ‘na bufala».
Franco Giuseppucci detto Er Negro

Agli atti anche la dichiarazione del pentito Salvatore Cancemi (1994) sui legami con Cosa nostra: «Diotallevi era compare di Calò... suo pupillo... fu “combinato” da Calò». Anche se il boss ora si sente vecchio: «Me so rotto er c... me sento pure preso per il culo... me sento un vecchio», confessa al figlio.
PIPPO CALO'

«CARMINATI NEI SERVIZI»
Due ex poliziotti, Gaetano Pascale e Piero Fierro, confermano i contatti tra la banda e i Servizi a cui fanno cenno i pm: «C’erano due figure al soldo e permanentemente ingaggiati dai servizi segreti — dicono a SkyTg24 —, Carmine Fasciani e Massimo Carminati, e questa era una situazione che sapevano in tanti. Uomini dei servizi segreti che gestivano, o meglio consentivano a questi figuri di lavorare in maniera indisturbata pur di dare in cambio determinate informazioni. Questo era il sistema».


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Italia: dalla deindustrializzazione alla distruzione dell’agricoltura


Ahi serva Italia, di dolor ostello,
nave sanza nocchiere, in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello.


(Dante Alighieri, Purg. VI, vv. 1-3)



Anni fa la globalizzazione fu “venduta” come una panacea: avrebbe creato nuovi posti di lavoro in un mercato flessibile, avrebbe portato ad una benefica concorrenza con conseguente riduzione dei prezzi, avrebbe consentito alle nuove generazioni di vivere e lavorare all’estero, avrebbe creato un mercato mondiale in cui vendere ed acquistare tutto ed il contrario di tutto, avrebbe abbattutto le frontiere ideologiche. Naturalmente era un imbroglio.

La globalizzazione, che ha favorito solo le multinazionali, mentre ha danneggiato o distrutto piccole e medie imprese, è stata ed è solo un pretesto ed uno strumento per strappare il tessuto economico di alcuni stati, avvantaggiando l’apparato produttivo di altri paesi, dove la manodopera costa meno ed in cui i lavoratori non sono sindacalizzati. Così i B.R.I.C. (Brasile, Russia, India, Cina) e pochi altri paesi impazzano con le loro materie prime e manufatti in quasi tutto il pianeta, mentre l’Occidente langue sempre più. In particolare talune nazioni europee (soprattutto Grecia ed Italia in questo periodo) sono vittime di politiche fiscali e finanziarie vessatorie, ideate solo per soggiogare ed impoverire. Un popolo debole, affamato, indebitato fino al collo è più facile da controllare ed accetterà obtorto collo anche misure draconiane con il miraggio di risollevarsi.

Le scellerate iniziative attuate dai vari governi italiani, diligenti interpreti di volontà superiori, hanno causato la deindustrializzazione: molti imprenditori hanno chiuso e stanno chiudendo i battenti; chi ha potuto, ha delocalizzato, ossia ha trasferito gli impianti all’estero. Le conseguenze: operai in cassa integrazione o ricollocati o licenziati, disoccupazione crescente, tensioni sociali… Per distruggere il secondario sono stati usati una tassazione esosa, il cosiddetto “cuneo fiscale”, nonché una normativa farraginosa, astrusa e persecutoria che scoraggia chicchessia ad intraprendere un’attività economica anche di tipo individuale. Les jeux sont fait: l’Italia si avvia a diventare un paese ex industriale in cui quasi tutte le merci devono essere importate.

Tuttavia, a differenza di quanto ipotizzava qualche economista, “la terra dove il sì suona” non è destinata a tornare ad un livello agricolo, poiché il settore primario è oggi gravemente compromesso, a causa dell’applicazione di norme assurde e soprattutto grazie a decenni di geoingegneria clandestina. Moria di api, contaminazione dei suoli, parassiti, piogge torrenziali e siccità ad hoc stanno falcidiando i raccolti, portando alla rovina agricoltori ed allevatori non ancora “convertitisi” all’agricoltura ed alla zootecnia industriali, magari tangenti con gli interessi delle aziende leader nel campo delle biotecnologie.

Anni fa prevedemmo e paventammo che ciò sarebbe successo. Il quadro è fosco, poiché i farabutti non si accontentano di dominare e di arricchirsi sempre più. I banchieri internazionali sono molto potenti e spregiudicati, ma al di sopra di loro agiscono altri figuri dagli scopi ancora più inconfessabili.

Come ci spiega lo spaventoso Henry Kissinger, ex segretario di stato durante , già consigliere di papa Benedetto XVI: “Non riposeranno fino a quando non sarà tutto distrutto” . fonte stampa libera
 
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1. L’EX “RADDRIZZA-TORTI” DELLA BANDA DELLA MAGLIANA, ANTONIO MANCINI, CONOSCE ''ER CECATO'' DA “QUANDO AVEVA TUTTI E DUE GLI OCCHI BONI”: “SOPRA CARMINATI C'È QUALCUNO DEI RIPULITI. SENZA, NON ANDREMMO DA NESSUNA PARTE, SAREMMO FERMI ALLE RAPINE” - 2. “CARMINATI USCIRA' PRESTO, ALTRIMENTI DOVREBBERO INCARCERARE MEZZO MONDO” - 3. “HA PRESENTE QUANTE E QUALI PROVE AVEVANO SU CARMINATI RISPETTO ALL’OMICIDIO PECORELLI? CHIUNQUE ALTRO, ME COMPRESO, SAREBBE STATO CONDANNATO. DE PEDIS MI DISSE CHE CARMINATI FACEVA PARTE DEL COMMANDO CHE HA AMMAZZATO PECORELLI" - 4. "DIOTALLEVI? LO CONOSCO DAGLI ANNI 70, ERA RAPINATORE INSIEME AD ABBRUCIATI. MOKBEL? MI FACEVA DA GUARDASPALLE , GLI DAVO DIECI MILIONI DI LIRE A SETTIMANA" - 5. "OGGI IL MONDO DI MEZZO E QUELLO DI SOPRA SI UTILIZZANO A VICENDA, PERCIO' IL MONDO DI SOPRA SI SALVERÀ, E PORTERÀ CON SÈ IL MONDO DI MEZZO E UCCIDERÀ IL MONDO DI SOTTO"

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Alessandro Ferrucci per "il Fatto quotidiano

LARRESTO DI ANTONIO MANCINI jpeg
Antonio Mancini conosce Carminati da “quando aveva tutti e due gli occhi boni”. Fine Anni 70, la Banda della Magliana stava conquistando Roma: pallottole, droga, botte, poker e locali. Roma sapeva, la giustizia ancora no. Tra Danilo Abbruciati, Enrico De Pedis detto Renatino, Abatino e gli altri, tra loro, c’era anche lui, Mancini, uno dei boss, uno abituato “a drizzare i torti”, uno che la strada la batteva dalla fine dei Sessanta “quando ho iniziato la mia vita da bandito”.

Ora ha 68 anni, vive a Jesi, si occupa di sociale, è un uomo libero, ha ricostruito la sua verità in un libro scritto con Federica Sciarelli, il suo soprannome era, ed è, Accattone, perché è da sempre un lettore di Pier Paolo Pasolini. Ma se Pasolini sapeva ma non aveva le prove, lui sa perché c’era. E il nuovo Re di Roma l’ha visto crescere.
ANTONIO MANCINI DETTO ACCATTONE jpeg

Lei da anni indica in Carminati, la persona più importante per la criminalità della Capitale. Quindi non è stupito dell’arresto...
Per niente, la più grossa sorpresa, anzi l’unica, sono i termini che utilizza Massimo. Io me lo ricordo come una persona educata, riservata, taciturna, conosceva l’italiano, ora si aggrappa a espressioni forti che non gli appartenevano. Lì, tra i fascisti, gli sbruffoni erano Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, e Alessandro Alibrandi, non lui.
ANTONIO MANCINI

Ha imparato...
Sì, per stare nel mondo di mezzo devi mantenere certi atteggiamenti, devi plasmarti a seconda di con chi parli.

La prima volta che lo ha incrociato?
MASSIMO CARMINATI NEGLI ANNI OTTANTA
Prima di vederlo, ne conoscevo la fama, era tenuto in considerazione da tutti, stimato, mi raccontavano di un suo omicidio a un tabaccaio su ordine di Giuseppucci. Poi un’altra volta De Pedis mi disse che era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Pecorelli (giornalista ucciso nel 1979).

Si intuiva la stoffa del leader?
Inizialmente no, per me era un ragazzo d’azione. Ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte.

Lei eri amico di De Pedis...
massimo carminati
Eravamo come fratelli, passavamo quasi tutte le domeniche insieme, dalla colazione in poi, appuntamento fisso alla pasticceria Andreotti, e lì partiva il suo show.

Quale show?
Si attaccava al telefono e iniziava il giro di chiamate: dal magistrato all’imprenditore. E mentre parlava gli veniva automatico chinarsi. Una volta gli dissi: ‘A Renà, me stai a fa vergognà, tacci tua, stai sempre piegato'.

Cosa le rispose?
‘Oggi sto piegato io, domani tocca a loro’. Sa cosa penso? Se Renatino non fosse stato ucciso, oggi starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario. Lui è morto incensurato. Eppure ha ammazzato la gente con me, ha rapinato con me, è stato dentro, ma è riuscito a farsi ripulire tutto.

franco giuseppucci Messaggero1980
Secondo lei c’è qualcuno sopra Carminati?
C'è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte, fermi alle rapine. Anche per questo nella Banda c’è stata la frattura tra noi della Magliana e quelli di Testaccio.

Diverse visioni?
Loro avevano preso le sembianze mafiose, esattamente quelle che gli inquirenti hanno scoperto ora. Noi della Magliana eravamo dei banditi da strada, amavamo le rapine, senza guardarci le spalle, senza compromessi. Volevo una Ferrari? Un colpo e la compravo. Me la sequestravano? Sti cazzi, un altro colpo e la ricompravo. Ho speso tutto. De Pedis invece si è comprato locali, ristoranti, discoteche, era padrone di Campo dei Fiori. E secondo lei, oggi, quei soldi chi se li magna?

Me lo dica lei.
I prestanome e la moglie. Io me li ma-gna-vo!

Sembra il campione del Manchester, George Best, quando dichiarava: “Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci... il resto l'ho sperperato”.
Esatto. In quegli anni ascoltavo musica rock, leggevo l'Unità e Pasolini, mentre gli altri della Banda frequentavano Califano, tra donne e droga.

La criminalità a Roma è arrivata con la Banda?
Ma no. La gente moriva anche prima, non come quando ci siamo stati noi, ma certe situazioni c’erano già, gli Abbruciati, Diotallevi avevano già colpito.

Diotallevi è l’altro big di oggi.
Uno dei più grossi.

Perché Carminati è l’erede di De Pedis?
Di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato, era l’unico ad avere lo spessore giusto, appellava De Pedis come “presidente”, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili delle varie componenti.

de pedis cadavere
Cosa intende?
Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? Chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato.

Da De Pedis a Carminati, e oltre Carminati?
Ci sono altri nomi, altri ex della Banda, basta voler vedere come stanno i fatti...

Lei divide testaccini e Magliana.
Alla fine loro non erano più criminali classici, erano imprenditori. Sa quanto guadagnava De Pedis? 180 milioni al giorno con le slot machine. Al giorno. Figurati adesso.

Quei soldi dove sono finiti?
Ce li hanno loro, gli sono serviti per acquisire potere.

Rispetto a voi, hanno vinto loro, i loro compromessi.
Eh certo. E le dico una cosa: Carminati esce, prima di quanto potete immaginare, altrimenti dovrebbero incarcerare mezzo mondo.

A lei la politica l’ha mai aiutata?
(Ride). Ero incarcerato a Pianosa, vita terribile. Così dico ai miei: portatemi via, voglio cambiare galera. Dopo pochi giorni, mi chiama il capo-reparto, mi fa sedere e mi domanda: ‘Ma tu al ministero chi ***** hai? Mi stanno a fa due coglioni così per farti mandare via’. Ero diretto a Busto Arsizio, in confronto una reggia.

E chi aveva al ministero?
BANDA DELLA MAGLIANA PIAZZA SANTA MARIA AUSILITRICE A TESTACCIO UFFICIO DI DANILO ABBRUCIATI
Arrivavamo ai piano più alti, ai vertici assoluti, gente mai stata condannata nonostante le dichiarazioni mie e di Fabiola Moretti (ex compagna di Abbruciati, amica di De Pedis e vicina a Mancini).

Carminati insieme a Buzzi ha toccato trasversalmente la politica, sorpreso?
No, è normale. Anche noi facevamo lo stesso, anche noi eravamo agli antipodi sugli ideali politici, ma in certe situazioni le divisioni si superavano.

Sapeva che era dei Nar?
Eccome, quando ero latitante davo appoggio anche ai suoi amici. Una volta Belsito (ex terrorista, condannato a quattro ergastoli) venne a rifugiarsi, e senza nulla temere si mise a giocare con delle bombe a mano.

Come se nulla fosse?
alessandro alibrandi 4
Nulla. E ne aveva un borsone pieno, fino a quando mi sono incazzato e gli ho detto ‘oh, ma che stai a fa’!’

E lui?
Mi rispose: ‘Sono pronte per i carabinieri nel caso ci vengano sotto o per un posto di blocco’.

De Pedis cosa diceva di Carminati?
Innamorato, si fidava in tutto. Ma non solo Renato, anche gli altri boss lo adoravano nonostante fosse un ragazzetto.

Ernesto Diotallevi?
Lo conosco dagli Anni 70, era rapinatore insieme ad Abbruciati.

Mokbel?
Mi faceva da guardaspalle insieme ad Antonietto D’Inzillo, gli davo dieci milioni di lire a settimana.

I Casamonica?
Negli Anni 80 non erano niente, l’unico un po’ conosciuto era Guerino.

Nelle intercettazioni si dice: “Noi famo i soldi con gli immigrati, sono meglio della droga”.
Non ci credo, non è possibile. È una questione di bacino d’utenza, con la droga fai numeri più alti, dodici poveri negri e qualche campo rom non può pareggiare l’utilizzo degli stupefacenti. La droga e le armi ti fanno comandare una piazza, e lì fai la differenza.

Ernesto Diotallevi
Oltre alla droga, non si parla mai di donne.
Vero. Ed è strano, molto strano.

Lei una volta ha dichiarato: “Siamo stati usati e strumentalizzati dalla politica”.
Noi eravamo il terzo mondo di Carminati, quello in basso; mentre oggi quello di mezzo, e quello sopra, si utilizzano a vicenda, per questo dico che Carminati ne uscirà pulito: il mondo di sopra si salverà, e porterà con sè il mondo di mezzo e ucciderà il mondo di sotto.

Nel vostro gruppo, quanto era importante Carminati?
Ernesto Diotallevi
Per i testaccini era l’unico ad avere le chiavi per entrare dentro l’armeria del ministero della Sanità. Era il garante. Anche i boss dovevano passare da lui, per noi della Magliana quel ruolo era ricoperto da Sicilia, per questo l’ho tirato in mezzo rispetto alla strage di Bologna.

Cosa c’entra?
Il fucile ritrovato alla stazione stava nella nostra armeria, e lui aveva le chiavi e lui già stava dentro a certe storie di Servizi...

Servizi segreti.
Sì, i testaccini avevano questi rapporti, avevano in mano tutte le costellazioni legate alla parte pulita, o presunta pulita, della società.
banda della magliana

I colletti bianchi...
Sì, loro. A differenza di noi si muovevano con un passo più lungo.

In qualche modo la Magliana ha perso.
Eravamo un peso, ci hanno scaricato.

Carminati ha detto: ‘Quelli della banda erano dei pezzenti...
Quei pezzenti gli hanno permesso di diventare quello che è, gli hanno salvato il culo.

In giro c’è anche Nicoletti, considerato il cassiere della Magliana.
Non il mio, degli altri sì, compreso De Pedis.

Nicoletti è ancora potente?
Perché, lo hanno intaccato? Gli puoi anche sequestrare 200 milioni di euro, sono niente. Non sono stato chiaro: questi non spariranno mai, e vedrete se ho ragione o meno.



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