SE RINASCO VOGLIO FARE LA LANCIATRICE DI COLTELLI... DISTRATTA!!

Quando finisce il Covid?

Per Science, in campo scientifico una delle riviste più prestigiose a livello mondiale,
dipende dalle nostre capacità di far diventare il virus endemico e non così virulento come lo è ora.


La rivista americana ha di recente pubblicato uno studio che rivoluziona le nostre conoscenze sull’evoluzione del coronavirus Sars-Cov-2.

Due scienziati, Jennie S. Lavine del Dipartimento di Biologia della Emory University, Atlanta (Usa)
e Ottar N. Bjornstad del Dipartimento di Biologia e del Centro Dinamica delle malattie infettive dell’Università dello Stato della Pennsylvania,
hanno sviluppato uno studio basandosi sull'evoluzione degli altri coronavirus.

I due sostengono che il Sars-Cov-2 è diventato così diffuso da esserci poche possibilità di eliminazione diretta.

Gli esseri umani però convivono con tanti altri coronavirus endemici che causano più reinfezioni,

ma generano un'immunità diffusa sufficiente a proteggere gli adulti da gravi malattie, avendone indebolito l’aggressività.
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Parliamo quindi di virus paragonabili ai comuni virus influenzali, con un rapporto di mortalità per infezione (IFR) pari allo 0,001.

Quindi più il virus circolerà velocemente (R0=6) e più in fretta ce lo toglieremo di torno.

Ma se continuiamo a limitarne la diffusione ci metteremo almeno 10 o 20 anni, per uscire da questa situazione.

Bisogna ovviamente usare tutte le difese in nostro possesso,
dalle cure diffuse ai vaccini, eccetera, per proteggere le categorie a rischio,
c
ome ad esempio anziani e persone con più malattie.

Ma al contempo bisognerebbe eliminare qualsiasi forma di distanziamento sociale e di protezione
per poterlo diffondere più possibile e ridurne l’aggressività, portandolo a manifestarsi come una normale influenza.

Questo processo oltre ad abbassarne la virulenza ne ridurrebbe anche l’età di diffusione,
interessando principalmente i bambini che hanno un sistema immunitario più forte e reattivo.


I due scienziati sono arrivati a queste conclusioni seguendo l’evoluzione degli altri coronavirus in circolazione
ma tenendo anche conto del profilo della malattia strutturata per diffusione di età e valutando l'impatto della vaccinazione che potrebbe,
con l’attuale sistema di bassa diffusione, avere effetti di protezione relativamente limitati.


“La nostra analisi dei dati immunologici ed epidemiologici sui coronavirus umani endemici (HCoV)”, dicono i due,
“mostra che l'immunità che blocca le infezioni diminuisce rapidamente ma che l'immunità che riduce la malattia è di lunga durata”.

Per evitare che la situazione attuale duri qualche decennio occorrerebbe agire con strategie diverse,
consapevoli che attualmente la reinfezione è possibile un anno dopo la prima infezione, anche se con sintomi più lievi.


Una volta raggiunta la fase endemica l'esposizione primaria avverrebbe nell'infanzia.

La strategia che l'umanità dovrebbe seguire è:

“affinché la maggior parte delle persone venga infettata così presto nella vita, persino più giovane del morbillo nell'era pre-vaccino,
il tasso di attacco deve superare la trasmissione dalle sole infezioni primarie”.

Dovremmo cioè evitare la sua eccezionalità.

Un'infezione susseguente (ripetuta), causata dallo stesso microorganismo, ma col quadro suggerito, potrebbe persino non notarsi.


“Tuttavia, una volta che i dati demografici dell'infezione raggiungono uno stato stazionario,
il nostro modello prevede che i casi primari si verifichino quasi interamente nei neonati e nei bambini piccoli,
che, nel caso di Covid-19, sperimentano un CFR basso e un IFR contemporaneamente basso”, spiegano i due scienziati, cioè con bassi rischi.

“Si prevede che le reinfezioni negli individui più anziani siano comuni durante la fase endemica e contribuiscano alla trasmissione,
ma in questa popolazione allo stato stazionario, gli individui più anziani, che sarebbero a rischio di malattia grave da un'infezione primaria,
hanno acquisito l'immunità che riduce la malattia dopo l’infezione durante l'infanzia”,
se si ragiona sul lungo periodo, cioè quando l’umanità si sarà adattata al virus e viceversa.


“Questa transizione”, ad un virus più debole e relativamente innocuo, endemico,
“può richiedere da pochi anni a pochi decenni, a seconda della velocità con cui si diffonde l'agente patogeno”,
scrivono Lavine e Bjornstad.

Infatti va compreso anche che “rallentare l'epidemia attraverso misure di allontanamento sociale che riducono R 0 vicino a 1 appiattisce la curva,
ritardando così le infezioni e prevenendo la maggior parte dei decessi precocemente, offrendo un momento critico per lo sviluppo di un vaccino efficace”.


In sostanza per eliminare gli effetti più gravemente patogeni della Sars-Cov 2 il virus va fatto circolare.

In questo modo saremmo anche più in grado di trovare un vaccino sempre più efficace:
“se è necessario un frequente potenziamento dell'immunità mediante la circolazione virale in corso per mantenere la protezione dalla patologia,
allora potrebbe essere meglio che il vaccino imiti l'immunità naturale nella misura in cui previene la patologia senza bloccare la circolazione del virus in corso”.


In più i due scienziati sostengono che “i risultati preliminari suggeriscono che
il vaccino a base di adenovirus è migliore nel prevenire infezioni gravi rispetto a quelle lievi o asintomatiche,
e sarà importante produrre tecnologie simili per gli altri vaccini”.

Tradotto: il vaccino migliore è quello basato su vettori virali adenovirus.

Nella ricerca questa tecnologia di vaccino sembra apparire come la più efficace e andrebbe riprodotta come sistema per fabbricare altri vaccini.


Nel sistema con adenovirus, dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale
che attiva il nostro sistema immunitario affinché attacchi il virus e lo debelli.
 
La partenza del governo Draghi impone diverse riflessioni sia sul passato negativo dell’ex governatore della Bce che sul suo passato positivo.

Per i trascorsi oscuri di Mario Draghi, tutti normalmente fanno riferimento alla riunione sul Britannia,
durante la quale si immagina che sia stata pianificata la svendita dell’Iri,
ovvero della holding che deteneva allora circa mille aziende partecipate dallo Stato, con circa 500mila dipendenti.

L’operazione avvenne con la motivazione che tali aziende non fossero considerate strategiche per lo Stato e che non generavano utili.

E così furono privatizzate le aziende migliori come Telecom e Autostrade, più qualche banca.

Lasciamo perdere, per il momento, ogni considerazione sui prezzi ottenuti da quelle cessioni:
Cossiga parlò di svendite, ma, se lo schema logico non fosse quello di una presenza dello Stato nei settori del servizio al cittadino,
rimarrebbero forse solo la polizia, i carabinieri e l’esercito come non privatizzabili.


A dimostrazione dell’allora atteggiamento di Draghi, ci fu una successiva intervista da questi rilasciata al Wall Street Journal,
dove definiva il modello sociale europeo come «ormai morto».

E per modello sociale dobbiamo intendere
le scuole,
le università,
le carceri,
la cassa integrazione,
il sistema pensionistico,
i sussidi alla povertà e
la sanità,
tutte istituzioni o inesistenti o privatizzate nel modello Usa, nazione di riferimento per il Wall Street Journal.

Forse Mario Draghi voleva vendere pure queste attività? Può essere.

Tutte posizioni discutibili, queste di Draghi, nonché ampiamente discusse:
ma quasi nessuno gli addebita le tre colpe più gravi,
forse perché sono le più complicate da comprendere sotto il profilo tecnico-economico,
ma sicuramente sono le operazioni che hanno creato più danno all’Italia…
 
Per debellare la pandemia, sia il governo italiano che l’Unione europea hanno puntato tutto sul vaccino anti-Covid.

Con risultati piuttosto deludenti.

Tra ritardi nella consegna delle dosi, sieri diversi e in concorrenza, effetti collaterali indesiderati e quant’altro,
quella che doveva essere una pozione miracolosa si è finora rivelata poco più di un’illusione.


Peraltro, essendo il Covid un virus in continuo mutamento, ha senso puntare solo e unicamente sul vaccino?


Dedicato ai «farmaci boicottati», ossia tutte quelle terapie che hanno dimostrato di essere efficaci (o potrebbero diventarlo)
nel contrastare il coronavirus, ma che sono state invece trascurate dalle autorità sanitarie,
completamente assorbite da una campagna vaccinale mai veramente decollata.


È proprio da qui che prende le mosse l’inchiesta realizzata da Francesca Totolo:

plasma iperimmune,

adenosina,

idrossiclorochina e

anticorpi monoclonali

sono tutti strumenti che hanno dato buona prova di sé nel contrasto del Covid,
ma che hanno incontrato l’ostruzionismo e lo scetticismo dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa).


A favore dell’utilizzo di queste «armi» ulteriori si è espresso anche il dottor Andrea Stramezzi,
che si è fatto un nome per aver sempre sostenuto l’opportunità di curare i malati di Covid a casa,
prevenendo così un peggioramento del paziente.

In un’interessante chiacchierata con Fabrizio Vincenti, il dottor Stramezzi ha infatti spiegato
che alcune terapie finora sottovalutate possono essere molto più efficaci del vaccino per debellare l’epidemia.
 
Con l’insediamento del nuovo governo, era inevitabile passare al setaccio un esecutivo che, attualmente, pare non avere una reale opposizione.

Di qui un’analisi spietata di Adolfo Spezzaferro che fa luce sui potentati che sostengono Mario Draghi
e sui reali equilibri politici della nuova maggioranza, senza dimenticare un ritratto in chiaroscuro del premier,
schizzato da Carlo Maria Persano, che ci parla delle luci (poche) e delle ombre (tante) di Mr Bce.


Nella sezione economica spiccano invece un approfondimento sulle trattative che hanno portato Fca a Iveco in mani francesi e cinesi (F. Burla),
così come un contributo sul «terremoto» GameStop (G. Taietti), con i piccoli risparmiatori che hanno messo in ginocchio i grandi fondi d’investimento a caccia dell’ennesima speculazione.

Per quanto riguarda la sezione culturale, è da segnalare la recensione di due opere straniere appena tradotte in lingua italiana:
Etnosociologia di Alexandr Dugin (L. Siniscalco) e I due stendardi di Lucien Rebatet (C. Siniscalchi), il romanzo fascista che piaceva anche a Mitterrand.

Altra menzione particolare spetta sia all’articolo che ci parla di un incontro poco noto avvenuto nel 1936 tra Benito Mussolini e Leni Riefenstahl (V. Benedetti),
sia a un estratto di George Orwell, finora inedito in Italia, in cui il grande scrittore britannico recensì il Mein Kampf.

Largo spazio, infine, alla nutrita galleria delle rubriche, con le penne più affilate del sovranismo italiano:
da Vittorio Sgarbi a Simone Di Stefano, da Caio Mussolini ad Alessandro Meluzzi,
per arrivare fino a Matteo Brandi, Marco Scatarzi e tanti altri.
 
Nelle case farmaceutiche lavorano tanti scienziati veri” mi ha recentemente rammentato qualcuno,
pensandomi una no-qualcosa contro le case farmaceutiche.

Ovviamente quel qualcuno non ha idea né della persona ma neanche del personaggio,
e ovviamente quel qualcuno era intento a sciorinare tutto il copione sui “vaccini che salvano vite”.

Nulla di nuovo, solo che... ho riso.

Di quel riso ironico un po’ folle un po’ amaro.

Certo certo....chissà come se li immagina, gli scienziati veri, se col camice immacolato e con la camicia stirata sotto,
il taglio di capelli perfetto e la macchina tirata a lucido nel parcheggio aziendale.

Ho riso, ripensando a quando la figura “scienziato vero” la interpreto io.

Quando il conoscente dell’infanzia mi presenta orgogliosamente alla famiglia come “scienziata”.

Quando magari mi chiamano per andare a fare divulgazione da qualche parte,
perché “una di quelle figure che ispirano”, che “la scienza la fanno davvero”, o almeno così è nella testa di chi mi contatta.

Perché c’è la scienza vera e quella finta, apparentemente.

Guardo il mio camice: colletto ingiallito e numeri scritti col pennarello sugli avambracci.
Il mio primissimo capo progetto ci teneva che avessimo un camice bianco per quando c’erano “le visite” ai laboratori,
e che “mettessimo in ordine” preparassimo le lavagne e gli schermi dei PC con “qualcosa di bello”.

Gli “scienziati veri”, chi sarebbero poi?

Quelli che magari oggi hanno tirato fuori la molecola magica, dietro una scrivania incasinata,
trovato la sintesi sopra un bancone affollato, magari anche un po’ troppo...
lo stesso bancone che fino a ieri “non puoi mettere un po’ in ordine in quel casino”.

Quelli pagati quando va bene il giusto.

Quelli che se domani va male, se non si trova una nuova molecola magica,
tra 7-8 anni potrebbero essere lì a sperare di reinventarsi come qualcos'altro, che le bollette le pagano apparentemente anche loro.

Non so quanta poesia ci si vede dietro il lavoro della fantomatica scienza.

Dal mio punto di vista il fantastico mondo della ricerca sperimentale (pubblica e privata)
è costellato da laboratori chiusi, in cui in più di una volta sono andata a rovistare per raccattare qualcosa che mi servisse,
prima che finisse a metà tra discarica e scantinato.

Di laboratori in cui il collega alla soglia della pensione ti supplicava di “salvargli” quello strumento lì,
di tenergli in vita quel progetto là, fino a ieri tanto importante, ma che domani si sarebbe inesorabilmente spento con lui, per sempre.

Scienziati...veri?

Di sicuro gente che ci ha dedicato energie, passione, pezzi di vita, qualche weekend di troppo, qualche nottata di troppo.

A raccattare 2 fondi, mezzo strumento, una persona in più “quello è in gamba, potrebbe prendere in mano le cosa”, ma molto spesso non andava così.

Finiva in una sintesi scema, nell' accettare un progetto stupido e sottopagato o sottofinanziato
per poter chiudere un anno, sperando che il prossimo sarebbe stato migliore.

“Scienziati” bruciati, persi, sciolti in qualche fusione aziendale.

Finiti quasi tutti nel dimenticatoio, tranne per quei 3 o 4 che avevano ispirato quei 10-20 con cui avevano lavorato.

Per le HR erano semplicemente “risorse in esubero”.


Fate una bella cosa, va?

La scienza e gli scienziati veri lasciateli un po’ in pace, nelle pagine di giornale, nei post.

Se non l’avete mai vissuta questa vita, nella pelle, nei compromessi, nelle ossa, nelle risate
ma anche nei pianti, non parlatene, non è ... semplicemente, non è roba per voi.


Addendum by CS:

gruppi della ricerca pubblica e universitaria sottofinanziati fino a farli morire di inedia? Visti.

Centri ricerche privati svuotati, chiusi, sottoposti alla "ricetta spezzatino"? Visti.

Brevetti lasciati scadere perché non c'erano soldi per pagare i canoni annuali? Visti

(e che fine ha fatto tutta quella roba diventata di pubblico dominio?
Spersa nel nulla, perché il pubblico dominio è bello - per gli altri -
solo quando TU hai speso una quantità di soldi
e TU hai avuto la fortuna e la bravura per avere il TUO prodotto approvato)


Come fu ricompensato il gruppo che nella precedente vita di IRBM tirò fuori il primo inibitore dell'integrasi di HIV approvato da FDA?

Con lo smembramento, la mobilità, il licenziamento.


Stessa cosa per il gruppo GSK che in Irlanda tirò fuori Tykerb.
Quando si diceva che arrivava Pfizer a comprare la baracca gli sciocchi esultavano, gli altri spedivano curriculum.


Niente a che vedere con survival of the fittest, sempre che per "fittest" non si intenda quello ammanicato con la politica
o con il management o quello bravo a rifilare asset da centinaia di milioni a manager di grandi farmaceutiche troppo stupidi
e troppo avidi per accorgersi di quando gli rifilano un pacco (vedere alla voce "Sirtris").

Gente come Schinazi, Sommadossi (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../gli-antivirali...), Ugur Sahin e Özlem Türeci una cosa la sa:
per ottenere risultati servono i SOLDI, le persone giuste e la giusta dose di fortuna.

E forse è solo questa combinazione di fattori che fa la "scienza vera" di cui parlava l'ignaro interlocutore di Starbuck.

Il resto sono chiacchiere, e le chiacchiere le porta via il vento.


O forse la "scienza vera" è quella che serve a vendere cosmetici.
 

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