settore immobiliare

WeWork: dall’apice di 47 Miliardi al baratro del Chapter 11

Redazione Millionaire2 Novembre 2023
WeWork, un tempo il pioniere dell’economia dei co-working, si trova ora sull’orlo del fallimento. Fondato nel 2010 da Adam Neumann e Miguel McKelvey, WeWork è cresciuto rapidamente, sfruttando l’onda dell’economia…

ServizioPerdite da miliardi di dollari
WeWork dichiara fallimento: il sogno del coworking si infrange

La causa secondo l’azienda: perdite finanziarie e calo del numero degli inquilini. Con l’arrivo delle restrizioni, lo smart working ha preso il sopravvento​

di Biagio Simonetta 7 novembre 2023
 
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6 novembre 2023

 

Germania, l'impero di Benko in frantumi. Ombre anche sul cancelliere Scholz​

Il capo dell'Spd si è impuntato sui progetti del colosso Signa quando era sindaco di Amburgo. Resta una super torre incompiuta, imbarazzo per il governo​

La caduta del super magnate immobiliare Rene Benko​

Rene Benko, uno dei più importanti magnati immobiliari d'Europa, ha rinunciato alla presidenza di Signa Holding, l'impero immobiliare da lui fondato, in mezzo a una rivolta degli investitori e a prospettive in calo per il settore. L'imprenditore austriaco - proprietario del Chrysler Building di New York e dei grandi magazzini britannici Selfridges - è stato una figura di spicco dell'industria immobiliare europea per oltre due decenni.

I problemi di Signa sono diventati il simbolo delle ripercussioni dell'aumento dei tassi di interesse sulle aziende che hanno contratto ingenti prestiti per crescere. Il gruppo ha partecipazioni per 27 miliardi di euro (28,8 miliardi di dollari) e 25 miliardi di euro in fase di sviluppo. La sua divisione immobiliare opera in Austria, Germania, Italia, Lussemburgo e Svizzera.
Tra i grandi acquisti, nel 2010, c'è stata la sede di Deutsche Boerse, l'operatore di borsa tedesco, che è stata poi venduta.
Nel 2011, Signa ha acquistato lo storico grande magazzino KaDeWe di Berlino come parte di un portafoglio di vendita al dettaglio per 1,1 miliardi di euro.

Per anni, il settore immobiliare in Germania e in altre parti d'Europa ha registrato un boom grazie ai bassi tassi d'interesse e alla forte domanda. Ora un forte aumento dei tassi e dei costi di costruzione ha messo fine a questa corsa, portando i costruttori all'insolvenza a causa dell'esaurimento dei finanziamenti bancari, del blocco delle transazioni e del calo dei prezzi.

Le turbolenze si inseriscono nella più grande crisi immobiliare degli ultimi decenni in Germania, il mercato più importante per Signa, dove nel giro di una settimana il rivenditore di articoli sportivi di Signa ha presentato istanza di fallimento e la costruzione di un grattacielo è stata interrotta.

L'imbarazzo per il cancelliere Scholz​

La vicenda getta delle ombre anche sul cancelliere Olaf Scholz.
Come racconta il Corriere della Sera, quando era sindaco di Amburgo Scholz ha spinto molto i progetti di Benko. "Su tutto svettavano due progetti: la Elbphilharmonie, ideata da Herzog e De Meuron (completata), e poi la Elbtower, 245 metri di grattacielo disegnato da David Chipperfield. A vincere l’appalto per l’Elbtower è stato proprio Benko, già allora chiacchierato. L’opposizione al progetto era fortissima. Ma Scholz si era impuntato, sognava la vetrina: raccontano le cronache che raramente l’hanno visto così entusiasta come alla presentazione della Elbtower nel 2017".

Ma poi, racconta il Corriere della Sera, dopo il Covid "l’easy money con cui Benko aveva costruito il suo impero ha ceduto il passo alle impossibili rate dei debiti da pagare.
Benko ha alzato bandiera bianca.
La Elbtower è arrivata al ventesimo piano. Le gru sono ferme da mesi. Resterà lo scheletro per anni, un incubo, mentre l’Spd cittadina faticherà a trovare un altro sviluppatore".
 

Germania, l'impero di Benko in frantumi. Ombre anche sul cancelliere Scholz​

Il capo dell'Spd si è impuntato sui progetti del colosso Signa quando era sindaco di Amburgo. Resta una super torre incompiuta, imbarazzo per il governo​

La caduta del super magnate immobiliare Rene Benko​

Rene Benko, uno dei più importanti magnati immobiliari d'Europa, ha rinunciato alla presidenza di Signa Holding, l'impero immobiliare da lui fondato, in mezzo a una rivolta degli investitori e a prospettive in calo per il settore. L'imprenditore austriaco - proprietario del Chrysler Building di New York e dei grandi magazzini britannici Selfridges - è stato una figura di spicco dell'industria immobiliare europea per oltre due decenni.

I problemi di Signa sono diventati il simbolo delle ripercussioni dell'aumento dei tassi di interesse sulle aziende che hanno contratto ingenti prestiti per crescere. Il gruppo ha partecipazioni per 27 miliardi di euro (28,8 miliardi di dollari) e 25 miliardi di euro in fase di sviluppo. La sua divisione immobiliare opera in Austria, Germania, Italia, Lussemburgo e Svizzera.
Tra i grandi acquisti, nel 2010, c'è stata la sede di Deutsche Boerse, l'operatore di borsa tedesco, che è stata poi venduta.
Nel 2011, Signa ha acquistato lo storico grande magazzino KaDeWe di Berlino come parte di un portafoglio di vendita al dettaglio per 1,1 miliardi di euro.

Per anni, il settore immobiliare in Germania e in altre parti d'Europa ha registrato un boom grazie ai bassi tassi d'interesse e alla forte domanda. Ora un forte aumento dei tassi e dei costi di costruzione ha messo fine a questa corsa, portando i costruttori all'insolvenza a causa dell'esaurimento dei finanziamenti bancari, del blocco delle transazioni e del calo dei prezzi.

Le turbolenze si inseriscono nella più grande crisi immobiliare degli ultimi decenni in Germania, il mercato più importante per Signa, dove nel giro di una settimana il rivenditore di articoli sportivi di Signa ha presentato istanza di fallimento e la costruzione di un grattacielo è stata interrotta.

Signa verso il fallimento, istanza al tribunale della filiale tedesca​

 Signa verso il fallimento, istanza al tribunale della filiale tedesca

Signa verso il fallimento, istanza al tribunale della filiale tedesca

Signa Real Estate Management Germany ha appena presentato istanza ufficiale di fallimento presso il tribunale distrettuale di Berlino Charlottenburg​


Il gruppo immobiliare Signa si avvia verso il fallimento mentre la filiale tedesca Signa Real Estate Management Germany ha appena presentato istanza ufficiale di fallimento presso il tribunale distrettuale di Berlino Charlottenburg. La notizia è stata riferita dalla rivista tedesca Spiegel.

La richiesta riguarda una filiale tedesca di Signa Prime Selection, dove il magnate Rene Benko ha raccolto le sue preziose proprietà esistenti. Potrebbe essere solo un primo passo. Il quotidiano austriaco Der Standard ha affermato che martedì prossimo potrebbe arrivare la dichiarazione di fallimento del gruppo Signa.

Le comunicazioni ai dipendenti​

Per lo stesso giorno, martedì, sono previste riunioni dei dipendenti di Signa, durante le quali i dipendenti verranno informati sull’insolvenza e sui passi successivi, riferisce il giornale.

Il gruppo Signa che ha asset per 27 miliardi di euro e ha debiti per miliardi verso decine di banche, assicurazioni e fondi pensione che nel corso degli anni hanno finanziato e investito in società di Signa, prospetti di vendita di obbligazioni. I legami finanziari sono particolarmente forti in Austria, dove Signa è stata fondata e ha sede.

Dietro la crisi del gruppo, la morsa del rialzo dei tassi e dei costi di finanziamento e la frenata tedesca: La Germania, la più grande economia d’Europa, è nel mezzo di una crisi immobiliare dopo che un forte aumento dei tassi di interesse e dei costi di costruzione ha costretto alcuni sviluppatori all’insolvenza e ha sospeso accordi e costruzioni.
 


Signa si dichiara insolvente: è uno dei più grandi crack della storia d’Europa. Nei guai anche UniCredit​

Massimiliano Carrà

Di Massimiliano CarràStaff
signa group fallimento René Benko,

Rene Benko (Photo by Sebastian Widmann/Getty Images)

Signa Group si dichiara insolvente: è uno dei più grandi crack della storia d’Europa


Era nell’aria e adesso è ufficiale: l’Europa ha la sua Lehman Brothers. Signa Group, la più grande società immobiliare privata dell’Austria, oggi ha presentato istanza di insolvenza a Vienna.

Il fallimento di Signa Group​

  • Oggi il colosso immobiliare austriaco Signa Group ha presentato istanza di insolvenza a Vienna. La decisione arriva a distanza di qualche giorno dall’istanza di fallimento presentata al tribunale distrettuale di Berlino Charlottenbur dalla sua filiale tedesca, Signa Real Estate Management Germany.
  • “Nonostante i notevoli sforzi compiuti nelle ultime settimane, non è stato possibile garantire la liquidità necessaria per un processo di ristrutturazione extragiudiziale, e quindi Signa Holding ha ora presentato domanda per una procedura di riorganizzazione”, ha dichiarato in una nota ufficiale Signa.
  • In questo caso, la domanda di autoamministrazione, come chiarisce il diritto societario austriaco, permette alla società di tentare la via della ristrutturazione aziendale, senza affidare il pieno controllo del processo a un amministratore esterno.
  • Con “notevoli sforzi compiuti nelle ultime settimane”, Signa fa riferimento ai diversi colloqui imbastiti dal suo fondatore, René Benko, che secondo Forbes ha un patrimonio di 2,8 miliardi di dollari, con diversi fondi di investimento, proprio per salvare la società. In particolare, come riportato da Der Spiegel, Benko aveva provato fino all’ultimo a intavolare una trattativa con Elliot Management. Obiettivo non riuscito.

Tremano le banche (e non solo)​

Il fallimento di Signa Group porterà strascichi nel settore bancario europeo, dato che sono una dozzina gli istituti europei esposti nei confronti della società. Tra questi, la svizzera Julius Baer per oltre 600 milioni di euro, l’austriaca Raiffeisen e l’italiana UniCredit. Queste ultime, insieme, avrebbero un’esposizione complessiva intorno a 1,5 miliardi di euro.
In totale, secondo quanto evidenziato dagli analisti di JPMorgan, Signa dovrebbe ancora saldare ai suoi finanziatori almeno 13 miliardi di euro.
Ma non è tutto.
Oltre al settore bancario, il crack del gruppo austriaco metterebbe a dura prova anche il retail europeo:
Signa detiene la maggioranza di alcune delle più grandi catene,
tra cui Galeria Kaufhof e KaDeWe in Germania
e Globus in Svizzera,
senza considerare diversi hotel di lusso e uffici.

Il crack di Signa in cifre​

Gli asset in possesso del gruppo hanno un valore di 27 miliardi di euro, ai quali si aggiungono ulteriori 25 miliardi di progetti in cantiere.

Alcune delle più grandi famiglie coinvolte​

Secondo il Financial Times, tra i soggetti coinvolti figurano alcuni dei nomi più importanti del mondo degli affari europeo:
la famiglia francese Peugeot; Rausings di Tetra Pak;
il magnate della logistica Klaus-Michael Kühne; Roland Berger, fondatore dell’omonima società di consulenza manageriale internazionale;
il presidente del gruppo svizzero del cioccolato Lindt & Sprüngli, Ernst Tanner;
l’industriale austriaco Hans Peter Haselsteiner;
il magnate del cibo per animali Torsten Toeller.
Anche gli eredi della leggenda austriaca della Formula 1 Niki Lauda possiedono sue azioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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il settore immobiliare è molto dipendente dai tassi di interesse, però il mercato azionario reagisce in modo strano;
ho trovato questo grafico esplicativo
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l'aumento dei tassi ha portato alla crisi immobiliare cinese-americana-tedesca
ed ora
questa sta portando alla crisi bancaria ...... che a sua volta porterà alla recessione..

Dagli Usa a Hong Kong i segnali che parlano di crisi​

Pubblicazione: 01.12.2023 - Mauro Bottarelli

Ci sono segnali allarmanti che arrivano sia dagli Stati Uniti che da Hong Kong sui prodromi di una crisi che potrebbe essere estesa​

Citando Lucio Battisti, ancora tu? Il numero uno di Ubs è stato colto da inusuale logorrea. Inusuale soprattutto se rapportata al suo ruolo, il quale storicamente impone discrezione al limite della segretezza massonica. Invece, intervenendo all’ennesima conferenza organizzata dal Financial Times, è tornato a parlare. E detto chiaramente che «il debito privato generato da un’espansione eccessiva del leverage potrebbe facilmente essere l’additivo per l’espansione della nuova bolla che porterà alla prossima crisi finanziaria».
Strano.
Non fosse altro perché, intervistato da Cnbc, due giorni prima il suo capo economista negli Usa, Jonathan Pingle, aveva detto il contrario, smentendo la possibilità di un nuovo evento sistemico.
In Svizzera non si parlano. In compenso, leggono. E i dati sono di quelli poco confortanti.
Ad esempio, nell’arco delle 24 ore fra il 28 e il 29 novembre, il debito Usa è salito di altri 61 miliardi, raggiungendo il nuovo record di 33,827 trilioni. Insomma, mancano solo 173 miliardi ai 34 trilioni. E, tanto per amore di prospettiva, quota 33 trilioni fu toccata solo due mesi fa. Ma come se questo non bastasse, ecco che questo grafico ci mostra come – contemporaneamente – le unrealized losses della banche Usa abbiano toccato il nuovo record di 684 miliardi nel terzo trimestre, un sobrio +22,5% su base annua.
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La ragione?
Poco gradevole. L’aumento dei tassi ha schiacciato il valore della paccottiglia cartolarizzata di mutui che giace nei bilanci.
Il tutto mentre la facility di sostegno bancario della Fed elargisce l’ammontare record di 114 miliardi di dollari alla settimana solo per mantenere il sistema in vita. Sarà questo che toglie il sonno e arma la lingua di Colm Kelleher?

Non solo.
Date un’occhiata a quest’altra immagine. Mostra la schermata con cui dall’altro giorno Robinhood garantisce trading 24/7 sui titoli di GameStop e AMC Entertainment. Ovvero, proprio le meme-stocks che fecero impazzire e poi esplodere il mercato tra la fine del 2021 e buona parte del 2022. E con esso, Archegos.
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E chi fu la vittima più eccellente del contagio? Credit Suisse. I cui libri sono terminati in fretta e furia dentro quelli del cavaliere bianco Ubs. Rischi di recidiva compresi.

E attenzione, perché nelle ultime 48 ore c’è stato l’assalto alle opzioni su GameStop in vista delle earnings attese per il 6 dicembre, come mostra quest’altra immagine.

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La data più gettonata è quella dell’8 dicembre e gli strike price più ambiti sono a 20, 22 e 22,50 dollari, quest’ultima call addirittura necessitante di circa un +40% dal livello attuale per essere considerata “in the money”.

Qualcuno ha innescato il detonatore dell’incidente controllato, sperando di utilizzare ancora i retail traders come capri espiatori?
I futures che prezzano tagli dei tassi nel 2024 paiono confermarlo.
Ma il rischio di recidiva del crash Archegos pare tutto in capo a Ubs. E questo, forse, agita Colm Kelleher. Follia?

Questo è niente.
Da ieri, infatti, abbiamo il primo caso ufficiale e dichiarato di mercati sani per legge. Orwelliano.
Ma nemmeno troppo, trattandosi della Cina. Da oggi, gli analisti di Cicc, una delle principali banche d’investimento, sono avvisati: stop alle ricerche e ai report che parlano negativamente delle aziende cinesi. E al contempo, i dirigenti devono assumere un profilo più sobrio ed evitare ostentazioni di ricchezza.
Ora, volendo far ricorso all’ironia e a una buona rassegna stampa quotidiana, verrebbe da dire che almeno in Cina c’è stata necessità di intervenire. Qui la pubblicista con gli occhiali dalle lenti rosa mai si permetterebbe di disturbare il manovratore. Piaggeria preventiva. D’altronde, la Cina è un Paese comunista. Qui, invece, i liberisti siedono nei consigli di amministrazione dei media. Diverse prospettive, quasi identiche conseguenze.

Ora, però, date un’occhiata a questo grafico.
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Si tratta dell’andamento dell’Hibor a Hong Kong. Di fatto, il corrispettivo del vecchio Libor statunitense. Un bel termometro del livello di congelamento dell’interbancario. Sfiducia di controparte. Ovviamente, l’arrivo delle scadenze di fine anno può giustificare in qualche modo un po’ di tensione sulla cash demand. Ma qui siamo al massimo da 16 anni.
E non basta.
Quell’indicatore è passato da 0,1% di due anni fa al 5,55% di picco attuale sulla scadenza a un mese.
E cosa ancor peggiore: molti mutui immobiliari lo hanno come benchmark.
Un pochino troppo. Soprattutto, se associato agli strani e contemporanei tonfi di inizio settimana proprio alla Borsa di Hong Kong. E al suo implicito ruolo di clearing delle rogne che emergono nella China Mainland.
Come Londra rappresenta il passaggio obbligato di ogni flusso finanziario verso l’Europa, così Hong Kong è il Telepass che oblitera silenzioso quelli in and out dalla Cina. Sia in yuan che in valuta estera. Ed essendo il dollaro di Hong Kong di fatto legato a quello Usa da peg, certi strappi sono ancora più netti.

Chi o cosa ha generato quelle vendite e quella tensione sull’interbancario? Ovviamente, un algoritmo. Troppo sistematico. Ma per conto di chi? E perché? Qualcuno ha dovuto vendere titoli piazzati come collaterale, al fine di tamponare e ridurre al volo necessità di finanziamento? La filiale di una banca estera, costretta a operare un hedging talmente esteso sulla propria esposizione azionaria da trasformare la risacca di mercato in piccolo – ma poco occultabile – tsunami? O magari una banca costretta a richiamare i prestiti concessi a clienti troppo avvezzi al margin lending, costringendoli quindi a vendere titoli per rientrare?

Comunque sia, l’Hibor tre giorni fa è stato il canarino nella miniera.
L’uscita odierna di Cicc il colpo di tosse collettivo che certifica presenza di gas.
Cosa potrebbe andare storto?
Attenti, questa storia inizia in Asia.
Ma i suoi addentellati – anzi, detonatori – sono in Occidente. E paiono già in fase di innesco.
 

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