SOGNO UN MONDO SENZA ODIO E PREGIUDIZI, UN POSTO DOVE TUTTI SI AMANO E SI RISPETTANO. E TU? -

È ancora possibile risvegliare le persone?

È possibile risvegliare le persone?
Informare i cittadini è sufficiente o occorre fare di più?

Se la classe politica non fa che confermare il periodo nero in materia di conoscenza delle materie economiche,
tanto da fare il contrario degli interessi dell’Italia, diversamente si stanno comportando i cittadini.


Significa che i lettori vogliono informarsi e che gli slogan dei leaders non convincono più.

Ma basta condividere articoli e video sui social per far sì che l’Italia cambi rotta?

La nostra risposta è no.

NON BASTA INFORMARE, OCCORRE DIVULGARE

La nostra opinione è che non basti informare, ma che occorra divulgare.

La divulgazione passa attraverso processi di semplificazione dei contenuti mantenendone costante la qualità.

Ciò non basta ancora.

Occorre mantenere elevata la percezione da parte del lettore, di credibilità e per fare questo occorre uscire dalla logica degli slogan e della banalizzazione.

Dobbiamo uscire anche dalla logica dell’influencer, che tanto gode della propria visibilità da rendere secondario il risveglio delle masse,
e passare al modo di rendere indipendente il pensiero e l’azione delle persone.

Senza soggiogarle a nuovi capi bastone e leader (sempre di sé stessi e meno di un progetto onesto ed organico).

Serve dunque rendere capillare il messaggio. Capillare e comprensibile, quindi auto gestito.

Solo così cresce la vera consapevolezza, e si può sperare ancora nella nascita di progetti di liberazione dal basso,
fatta da persone che si associano spontaneamente con obiettivi ed interessi comuni; in piena sovranità di sé stessi.

Per lavorare per il bene comune serve partire dalle reali esigenze delle persone.

Per fare questo occorre che le persone si rendano compartecipi attivamente e questo si ottiene solo se le persone si rendono conto dei reali problemi da affrontare con maggiore urgenza.



Non basta avvertire un problema, è necessario conoscerlo

Occorrono quindi strumenti che facilitino la cmprensione dei problemi, che siano alla portata della grande massa.
Se non faremo così, rimarremo nel solito processo di creazione di concenso basato sulla fede nel leader.
E credo che siamo più o meno tutti d’accorto sulla scarsa qualità dei leader italiani.

Se non faremo così continueremo a rimanere indietro e così, addio per sempre sovranità.

Ciò che è stato fatto negli scorsi decenni è proprio rendere l’economia una materia talmente complicata da farci pensare che,
senza il tramite dei politici e degli economisti, per noi sarebbe incomprensibile.


Invece è vero il contrario!
È proprio a causa dei “guru” che ci troviamo estromessi dal gioco della comprensione della realtà.

Con il loro linguaggio e spesso con il loro modo di porsi, arrogante ed altezzoso, alla Marattin o alla Bordin tanto per intenderci,
ci fanno allontanare dai temi dell’economia, nonostante dovrebbe invece diventare il nostro pane quotidiano, visto che ci viviamo immersi 24 ore al giorno.

Avere una chiara visione di ciò che ci aspetta è fondamentale per prepararci ai grandi cambiamenti che sono in corso.

Ecco perché dobbiamo avere accortezza dei grandi cambiamenti che economia, industria, finanza, politica e società stanno affrontando.

A metterci in grado già oggi di fare chiarezza sul futuro che è già in atto e che nessuno ci spiega.

E questo, signori miei, fa una bella differenza.


cos’è la macro economia – cos’è la moneta – a cosa servono le tasse – il debito pubblico – le banche – chi e come crea il denaro
la disoccupazione –
inflazione e deflazione – lo spread – il rating – la competitività – il quantitative easing – i saldi settoriali – gli NPL – la BCE – i derivati…
tutto sull’austerity – i trattati europei – il MES – il fiscal compact.



Insomma, finalmente anche i cittadini più sfiduciati oggi hanno uno strumento per riprendere il controllo del proprio pensiero,
senza dipendere da politici e da pifferai del web e della TV.
Dopo aver letto il libro di economia spiegata facile chiunque saprà distinguere i falsi profeti da chi gli dice la verità.
 
Matteo Renzi convoca i suoi a Cinecittà per presentare il suo nuovo film cha potrebbe avere un titolo da fare invidia alla fantasia di Lina Wertmüller:

Come ti tengo in piedi un Governo, sparandogli addosso ogni giorno”.

Già, perché è questo il succo del progetto che viene fuori dalla due-giorni di Italia Viva: restare attaccati alla poltrona fingendo di non esserlo.

Riepiloghiamo il Renzi-pensiero:
appoggio totale al Governo con i “dem” e i grillini per sopravvivere fino alla fine della legislatura nel 2023 ma con il Partito Democratico e i Cinque Stelle nulla a che spartire
;
grande rispetto per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ma non è il nuovo leader del progressismo del mondo;
avanti con l’azione di governo ma porte sbarrate a chi vuole fare un partito unico della sinistra, a costoro un in bocca al lupo e buona vita ma Italia Viva va dall’altra parte.

Perché “Iv” è Tony Blair, non Jeremy Corbin; è contro i sovranisti che vuole sconfiggere ovunque ma non in Puglia dove a sinistra c’è uno strano populista che risponde al nome di Michele Emiliano.
Correre contro di lui equivale a sconfitta certa ma è ciò che farà “Iv”.
Garantisti da hashtag “IostoconBeccaria”, non giustizialisti manettari alla grillina per cui “mai scambieremo il nostro ideale e la civiltà giuridica di secoli per qualche poltrona”.

Tuttavia, il presidente Conte può dormire sonni beati visto che sono quelli di Italia Viva gli ispiratori della “mossa del cavallo”
con la quale l’Italia è stata salvata dalla sciagura del Salvini al potere.

Ora, va bene tutto ma non l’arroganza di credere che gli italiani abbiano l’anello al naso.

È dura ascoltare il maestrino Renzi impartire la lezioncina sul pericolo dell’espansionismo turco in Libia
quando, lui regnante,
la sua sinistra non ha mosso un dito per risolvere la crisi nel Paese Nordafricano.
Anche quando a chiederglielo era il leader del mondo libero e suo personale amico, il presidente degli Usa. Barack Obama.

Renzi perde il pelo ma non il vizio di scegliere l’ambiguità per guadagnare il centro del dibattito politico nostrano.
Giura di voler mantenere in vita un morto che cammina qual è il Conte-bis, ma minaccia gli alleati sulla questione della prescrizione.
Indubbiamente è stato un messaggio forte quel “al ministro Alfonso Bonafede dico fermati finché sei in tempo, perché in Parlamento votiamo contro la follia sulla prescrizione.

Patti chiari amicizia lunga: non dite che non ve lo avevamo detto e senza di noi non avete i numeri al Senato e forse neanche alla Camera, rifletteteci bene.

Non voto la barbarie sulla prescrizione, io voto civiltà” per spingere il Governo a fermare l’abolizione della prescrizione minacciando, in alternativa,
di votare con l’opposizione il disegno di legge del parlamentare forzista Enrico Costa.

Ma, se per ipotesi, i grillini dovessero mantenere il punto e non cedere, Renzi che fa?

Va fino in fondo contraddicendo se stesso e il suo proposito di mantenere in piedi il Conte-bis
o scopre il bluff dimostrando ciò che non pochi pensano, cioè di essere un millantatore?

Italia Viva si aggrappa al cosiddetto “Lodo Annibali” della deputata renziana Lucia Annibali che, in extremis,
ha proposto una sospensione di un anno dell’applicazione della riforma Bonafede sulla prescrizione allo scopo di trovare un accordo complessivo sulla riforma della giustizia.

Renzi vuole comprare tempo per assicurare un futuro alla sua creatura politica ma è pronto a mettere tutta la posta su un solo punto programmatico.

È complicato credergli, anche perché non si capisce dove sia il suo interesse irrinunciabile.

L’uomo che ha messo la politica in un tweet e che oggi ammonisce che la politica non è un tweet
è il medesimo uomo che benedice il governo con i pentastellati pur ritenendoli fuori dalla storia nonché rappresentazione vivente della negazione del progressismo.

Dov’è allora il vero Renzi? Vallo a sapere.

La verità è che il discorso dell’ex rottamatore è quello della disperazione: non condividiamo nulla di ciò che siamo costretti a votare ma lo facciamo ugualmente perché non possiamo fare altro.

Se questa è visione del futuro del Paese, se questo è progetto si capisce perché i renziani siano alla frutta e lo meritino tutto quel 4 per cento di consensi che i sondaggi assegnano a Italia Viva.

Intendiamoci: è assolutamente legittima l’aspirazione di rappresentare una via riformista alla sinistra e un progressismo declinato nelle forme della globalizzazione.
Ma, per coerenza, non si dovrebbe andare a braccetto con i populisti grillini.
Perché si può accettare, “leninisticamente”, un temporaneo compromesso con il nemico in vista del conseguimento di un fine superiore o della vittoria finale,
ma non si può negare se stessi pur di restare sulla linea di galleggiamento del potere.

La contraddizione in termini in cui si è infilato Matteo Renzi è esiziale.

Quello di Italia Viva è un caso esemplare di “lose-lose”, comunque sceglie è perdente.
Protrarre l’alleanza con i Cinque Stelle e il Pd porta Italia Viva alla morte politica per asfissia;
la rottura che chiude di fatto la legislatura la conduce al suicidio elettorale.


Come ne escono i macroniani di casa nostra?
Continuando a buttare la palla in tribuna nella speranza di un accadimento imprevisto,
un colpo di fortuna provocato da errore altrui che consenta alla pattuglia di Italia Viva di ritornare alla quota di superficie.

Intanto, si avvicina il momento della spartizione delle poltronissime delle grandi aziende pubbliche,
argomento topico per un partito vocato a stare e svilupparsi all’interno del perimetro di potere dell’establishment.

Renzi proverà a giocarsela alla grande.

Non gli sarà facile perché, stavolta, non dovrà vedersela solo con i grillini “governisti”, affamati di consenso presso i piani alti della società italiana,
ma con il maestro nell’arte di stare al potere senza averne diritto e numeri: il suo ex-compagno di partito Dario Franceschini.

Sarà la battaglia delle poltrone la linea del Piave di Renzi.

Il suo esito ci indicherà se la compagnia di giro allestita dall’ex-rottamatore sarà o no ancora in cartellone nel futuro teatrino della politica.
 
Sono particolarmente affezionato a San Biagio.

Mi piacciono quei suoni mutevoli, che dicono dell'ibridazione con la fonetica locale, e che nella loro ostica pronunciabilità
e ancora più allegra grafia rivelano quanto uguali eppur diversi si sia, di campanile in campanile: "Sant Bioues",
con quel suono semivocalico uguale a "Gioebia" (la "Giubiana", detta anche "Gibiana", appunto), o "San Bias",
con la "a" aperta che distingue ovunque i milanesi col pedigree indiscusso.

Soprattutto mi piace il 3 febbraio per quella nostra tradizione tutta milanese del panettone.

Archiviamo la pratica di chi sia in realtà questo santo, tale Biagio, medico, vescovo e martire della città armena di Sebaste, decapitato nel IV sec.:
l'elenco dei luoghi in cui sarebbero custodite le sue reliquie dice che S. Biagio non fu decapitato, ma è esploso.

Un pezzo della lingua a Carosino, una costola a Galatina, un molare a Patti, l'avambraccio a Recanati.

La storia del culto delle reliquie in epoca tardo antica e medievale è un misto di vanverismo archeologico e avventurismo aziendale,
con palettate di ossa tirate su dalle catacombe e distribuite alle chiese nascenti perché il culto dei santi servisse a implementare
il business dei pellegrinaggi e delle indulgenze: frate Cipolla del "Decameron" insegna.

Ma anche l'eziologia di San Biagio protettore della gola e soprattutto la tradizione del panettone hanno un che di boccacciano (ho detto "boccacciano", non "boccaccesco": mi raccomando!).

Si narra che una massaia milanese portasse prima di Natale a un frate di nome Desiderio un panettone, per farglielo benedire.
Il frate in altre faccende affaccendato le disse di lasciarglielo e di passare il giorno seguente.
La massaia se ne dimenticò, poiché le massaie solitamente hanno davvero mille faccende che le occupano
(quanto tempo ci vuole a fare nord-sud-ovest-est con la mano destra sopra un panettone?), ma frate Desiderio no, e un boccone dopo l'altro lo benedisse proprio per bene.
La donna se ne rammentò che era ormai il 3 di febbraio e si ripresentò dal frate, il quale, costernato ma pingue, fece per restituirle l'involucro vuoto.
E fu lì che avvenne il miracolo, esattamente come nella novella di Frate Cipolla: se nella sesta giornata del "Decameron" furono i carboni del martirio di San Lorenzo
a comparire al posto delle piume dell'Arcangelo Gabriele, il 3 di febbraio si materializzò un panettone grosso il doppio di quello che era andato a ingrassare la pancia del buon fratone.
Il miracolo fu attribuito a San Biagio, e con esso la tradizione di consumare il 3 di ogni febbraio un panettone avanzato dal Natale, a protezione della gola e del naso.

Perché il vescovo di Sebaste - quello esploso - era passato agli onori della cronaca per aver salvato il figlio di una povera donna del luogo cui si era conficcata in gola una lisca di pesce.
Il buon uomo aveva fatto una piccola polpetta con la mollica di pane e aveva consigliato di masticare e ingerire quella, per smuovere la lisca.

"San Bias benediss la gola e ‘l nas".
 
Quanto parlare inutilmente. Il popolo "deve" avere paura. Bisogna incutere la paura per controllarlo.
Ma noi ce ne facciamo un baffo. Noi sappiamo cosa vuol dire "passare la dogana".
Entrare ed uscire dalla Svizzera, anche a piedi. Nulla. Non c'è assolutamente nulla di strano.
Abbiamo ragazzi che vanno a studiare in Svizzera. Operai pendolari che vanno la lavorare in Svizzera.
Aziende che esportano in Svizzera. Persone che vanno a Fox Town ( per chi non lo sapesse, un centro commerciale. ..........
dove trovi tutte le marche del lusso, dove oltre ai prezzi scontati....non paghi l'Iva. Cioè paghi quella Svizzera, il 7 e rotti percento)
E se le banche svizzere stanno in piedi è perchè qualcuno i soldi glieli porta....dall'Europa.
Insomma, in parole povere, terra terra, .....una cagata pazzesca.

Sembrava dovesse essere la “fine del mondo”.

C’erano stati rapporti catastrofisti, articoli e inchieste drammatici e c’erano analisti inquieti, cittadini terrorizzati e altri profeti di sventura e povertà.

Invece, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è stata una festa: con la borsa in rialzo, la sterlina più forte e solo i burocrati di Bruxelles in lutto.

Certo è un’operazione ancora tutta da concludere anche se la fuoriuscita ufficiale porta la data del 31 gennaio.
Le trattative andranno avanti fino alla fine dell’anno e sul tavolo delle discussioni ci sono ancora tematiche di primo piano da sbrogliare.

Proprio per non essere vittime delle banalità e dei luoghi comuni abbiamo deciso di approfondire il complesso argomento Brexit con il dottor Francesco Filini,
studioso di economia e geopolitica, autore del libro “Il segreto della moneta” (Solfanelli, 2016) e fondatore della Scuola di studi giuridici e monetari.
Filini è anche responsabile dell’Ufficio studi economici di Fratelli d’Italia.

Finalmente la Gran Bretagna è uscita. Forse poteva farlo prima ma Theresa May è sembrata paralizzata
dalla “strategia del terrore” diretta da Bruxelles e orchestrata dal mainstream. È una sensazione giusta?


«Penso che un capo di stato non dovrebbe spaventarsi nel dare seguito a un mandato popolare.
Anche se è vero che questa decisione è stata sicuramente sofferta in Gran Bretagna; ricordiamoci che coloro che sostenevano l’uscita,
avevano vinto il referendum con una percentuale risicata. Oltre a questo, tra il dire e il fare c’è di mezzo un grandissimo lavoro tecnico e burocratico
che deve analizzare accordi e trattati su più settori, contenuti in 47 anni di cammino comune.
È una decisione di portata storica, probabilmente non ce ne rendiamo ancora conto, tanto che è difficile quantificare l’ampiezza di una scelta del genere.
Una cosa è certa, essa soddisfa una certa strategia politica americana che, grazie alla storica alleanza con la Gran Bretagna,
si sta contrapponendo al cosiddetto “blocco continentale” rappresentato dall’Unione Europea.
Theresa May, prima di dare il via libera a qualcosa che ha lacerato anche i suoi concittadini, la politica e l’economia inglese, ha tentennato…
Poi è arrivato Boris Johnson e la musica è cambiata; un vero carro armato, che ha nel pragmatismo una delle sue armi migliori».

Come è riuscito Boris Johnson a superare lo stallo che aveva bloccato la May?

«Lo ha studiato bene prima, poi ha capito che, per lui, era necessaria una solida approvazione popolare che lo legittimasse in modo forte.
Ha indetto (con non pochi ostacoli) le elezioni, le ha vinte in maniera netta sconfiggendo il partito laburista in modo schiacciante.
A questo punto, avendo ottenuto un chiaro ed inequivocabile mandato popolare, ha tirato dritto senza esitazione».

Quali vantaggi economici e sociali avrà la Gran Bretagna?

«È tutto da vedere e verificare nei prossimi mesi, probabilmente anni. Prima di tutto, occorre specificare che la Gran Bretagna non era nell’area Euro.
La Bank of England, però, è nel board della BCE. Non sappiamo ancora per quanto perché uscire non è una cosa facilissima:
sono stati versati molti soldi e depositate nella BCE riserve auree inglesi. Mi chiedo, però, come possa la Banca Nazionale inglese continuare a discutere della politica monetaria dell’Eurozona.
Come penale di uscita, l’Unione Europea, chiede all’UK una cifra intorno ai 40 miliardi di euro. Credo che anche questo dato, sarà oggetto di trattative nei prossimi mesi.
Se è certo che l’Inghilterra acquisterà di nuovo una piena sovranità, è anche vero che bisognerà verificare come saranno composte le regole per interagire con l’Unione Europea.
Credo francamente che i britannici non facciano le cose a caso o “salti nel vuoto”, come ho sentito dire da molti esponenti europeisti.
Se hanno fatto questa manovra lo hanno fatto insieme agli americani… il paracadute c’è ma non si vede.
Il rischio che si sono assunti è stato calcolato in tutti i suoi aspetti».

Allora quali potrebbero essere gli svantaggi economici e sociali tra le due sponde della Manica?

«Non vedo, al momento, gravissimi rischi da ambo le parti, tutti i rapporti economici e sociali possono essere analizzati e contrattati fino alla fine di dicembre 2020.
Anche se viene fatto molto terrorismo da parte dell’UE, affinché nessun altro segua l’esempio inglese.
I rapporti dovrebbero essere dipanati in modo assolutamente sereno. Ci sono all’opera Commissioni permanenti di studio proprio su queste controversie,
credo che, prima o poi, una quadra si potrà trovare. È chiaro che i rapporti commerciali ne risentiranno e a rimetterci saremo sia noi che loro;
bisognerà tenere sempre presente due fattori: loro hanno una moneta con un valore riconosciuto e hanno l’appoggio dell’alleato di sempre (gli USA),
che non farà mancare il suo aiuto in caso di necessità».

Quali i settori che potrebbero essere più influenzati da questa uscita della Gran Bretagna?

«Prima di tutti e sopra a tutti il settore finanziario. Tutta la finanza europea, in diversi modi e forme, passa attraverso la City londinese,
forse questo aspetto è difficilmente comprensibile ma il rischio che ci siano degli attacchi finanziari pesanti e che possa nascere una “guerra” finanziaria è nelle cose.
Credo fortemente che sia nell’interesse reciproco scongiurare un evento del genere, che non porterebbe vantaggi a nessuno.
Poi, trasversalmente possono essere interessati anche altri settori come quello fiscale (molte grandi aziende hanno residenze fiscali a Londra),
oppure commercio e turismo. Ma ripeto, dobbiamo considerare la vicenda Brexit in una visione d’insieme».

L’uscita della Gran Bretagna può essere l’inizio dello sfaldamento dell’Europa?


«Mi auguro che Brexit venga preso come campanello dall’arme da Francia e Germania; se l’Europa va in crisi è per l’egoismo franco-tedesco,
i due Stati europei hanno stretto un’alleanza a scapito del resto dell’Europa, trattano gli altri Paesi come delle colonie al loro servizio
.
Questo duopolio mette in difficoltà tutti all’interno dell’Unione, noi dobbiamo contrattare la nostra sopravvivenza con coloro che ci trattano come ultimi degli ultimi.
Hanno deciso di togliere l’inglese come lingua ufficiale UE, verrà sostituito con il francese e il tedesco.
Inoltre, Macron, ha fatto togliere l’insegnamento dell’Italiano dalle scuole francesi.
Questo atteggiamento è intollerabile e non può durare per lungo tempo…».

È ipotizzabile che anche altri Paesi prendano in considerazione l’uscita?

«È possibile. Anche recentemente Trump si è esposto dicendo che alcuni Paesi (tra cui l’Italia) si troverebbero meglio fuori dall’Unione Europea,
un messaggio che significa: ”Sosterrò con ogni tipo di aiuti tutti coloro che usciranno”.
Al di là dei messaggi di Trump, però, è la politica franco-tedesca a creare i maggiori problemi di convivenza,

Nonostante gli ammiccamenti di Trump, il presidente Mattarella ha affermato più volte che la scelta europea non può essere messa in discussione; un’affermazione un po’ forte?

«Tutto può essere messo in discussione. In democrazia, non ci sono idoli o dogmi intoccabili, solo assetti politici che, come tali, possono essere oggetto di cambiamenti.
La storia dell’umanità è piena di esempi di radicali cambiamenti frutto di scelte democratiche che tendono al miglioramento delle condizioni di vita di chi li attua.
Credo personalmente, che una possibilità, come quella dell’uscita dalla Unione Europea, si possa verificare solo se non cambiano i fondamenti su cui hanno deciso di impostare questa Unione.

Quella attuale non è l’Europa dei popoli, quella che centinaia di milioni di cittadini del vecchio continente immaginavano.
L’Unità Europea che immaginavamo è completamente diversa, mette al centro l’uomo e non le banche,
mette al centro le culture diverse da cui deriviamo e non le azzera,
mette al centro la sovranità dei singoli Stati rispettosa delle diverse storie e non le annulla».
 
Ai tempi universitari, questo veniva catalogo come "servo del potere".
Quanto di più disgustoso si possa trovare in politica.
Cervello, quota 100 non ha raggiunto i numeri perchè scade nel 2021.
I lavoratori sanno ancora fare 2 + 2 e se lavorano ancora 2 anni si portano a casa
qualcosa di più in pensione. Aspetta il 2021 e vedrai il boom di domande.
Domanda a chi ne ha usufruito. Sono tutti contenti di starsene a casa e prendere la pensione.
Ed hanno liberato posti di lavoro.
Le domande pervenute per Quota 100, nonostante non siano poche, sono meno rispetto a quello che il Governo pensava di ricevere.
A livello territoriale, Roma è la città da cui arrivano più domande, seguita da Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari e Catania.
In fondo a questa classifica si trovano invece Aosta, Fermo e Sondrio.
Sono, infatti, 201.002 le domande che sono arrivate all’INPS da parte dei lavoratori che intendono lasciare in anticipo il loro posto di lavoro.
Circa 84.000 contribuenti hanno tra i 63 i e i 65 anni, mentre sono 80.000 quelli under 63 anni e 36.000 gli over 65.
Le donne sono 52.000.

Salva (il costoso) Reddito di cittadinanza, ma cestina Quota 100.
La posizione di Roberto Gualtieri è davvero singolare: in diretta a Quarta Colonna, su Rete 4,
il ministro dell'Economia ha infatti detto:
"Quota 100 ha concentrato moltissime risorse in platea ristretta senza risolvere i problemi per tantissime persone. Molto costosa è destinata a finire".

Ovvero, spiega sempre Gualtieri: "Quota 100 sta producendo più risparmi del previsto, non tira tanto, diremmo in gergo non sta funzionando. Siamo appena agli inizi di una discussione".

Tutto pronto, dunque, per smantellare la riforma fortemente voluto dalla Lega. E non potrebbe esser diversamente dato che l'esecutivo giallorosso
sta facendo di tutto per eliminare l'ultima esperienza della Lega al governo.

Il ministro, durante il suo intervento a Quarta Colonna, ha poi ribadito che "il reddito di cittadinanza è una misura complessivamente giusta,
per un aspetto è una sorta di estensione del Rei, sta determinando un aumento dei consumi e una riduzione della povertà. (LAVORANO TUTTI IN NERO).
Però c'è una parte che va migliorata: quella che riguarda l'avviamento al lavoro".

Già, il reddito di cittadinanza. Come giustificare però le spese pazze di chi, pur godendo del reddito, va a comprare champagne?

Abusi, si dirà. Certamente.

Però pare che i buchi nella manovra voluta da Luigi Di Maio siano sempre di più.
 
GIUSTO PERCHE' SI SAPPIA.
Sono oltre 1,6 milioni le domande di Reddito di cittadinanza presentate fino al 7 gennaio, con il record nelle regioni del Sud.

Fino al 7 gennaio l'INPS ha ricevuto 1.641.969 domande di Reddito di Cittadinanza (RdC), di cui 1.097.684 (67%) sono state accolte,
87.649 (5%) sono in lavorazione e 456.636 (28%) sono state respinte o cancellate.

Da aprile 2019 ad oggi, relativamente agli 1.097.684 nuclei le cui domande sono state accolte, 56.222 nuclei familiari sono decaduti dal diritto.

Le domande restanti (1.041.462) sono costituite per 915.600 da percettori di Reddito di Cittadinanza, con 2.370.938 di persone coinvolte,
e per 125.862 da percettori di Pensione di Cittadinanza, con 142.987 persone coinvolte.

Le regioni del Sud e delle Isole, con 910.884 (56%), detengono il primato delle domande pervenute,
seguite dalle regioni del Nord (462.945 domande, 28%) e da quelle del Centro (268.140 domande, 16%).

E' ora possibile consultare i dati relativi ai nuclei beneficiari del Reddito e della Pensione di Cittadinanza,
alle persone coinvolte e all’importo medio del beneficio, attraverso l’osservatorio statistico navigabile.
 
La peste suina africana, il nuovo coronavirus e l’influenza viaria: questa trinità di sciagure sanitarie ha letteralmente messo ko la Cina.

Se la scorsa estate gli allevamenti cinesi di maiale erano stati falcidiati da un virus trasmissibile solo da animale ad animale ma letale nel 90% dei casi,
a cavallo tra il 2019 e il 2020 ci si è messo pure il 2019-n-Cov a rovinare i piani di Pechino, già alle prese con un rallentamento economico da gestire con calma e sangue freddo.

Adesso la calma dovrà essere elevata al quatrato, perché oltre al prezzo della carne suina fuori controllo e all’apocalisse provocata dal coronavirus di Wuhan
(con 56 milioni di persone in quarantena, migliaia di pazienti infetti e centinaia di morti), il governo cinese si è trovato a gestire un’emergenza nell’emergenza.


Si tratta dell’influenza aviaria H5N1, che ha costretto le autorità della città di Shaoyang, nella provincia dello Hunan, ad abbattere 17.828 polli.
Il motivo è semplice: stando a quanto riferito da China Global Television Network, il focolaio del virus era partito da un allevamento di oltre 7800 polli.
La malattia ne aveva uccisi 4500.


Le tre piaghe della Cina hanno provocato altrettanti contraccolpi non da poco.

Pechino ha isolato l’area infetta dello Hubei decretando la quarantena per 56 milioni di persone.
Molte aziende, comprese quelle straniere, hanno chiuso bottega fino a data da destinarsi mentre le compagnie aeree globali hanno bloccato i loro scali da e per la Cina.
In mezzo a tutto questo le borse locali hanno bruciato miliardi di dollari, interi settori economici si sono paralizzati e le richieste di petrolio da parte del Dragone sono scese bruscamente.

L’aviaria, al momento, non ha raggiunto lo stesso livello di pericolosità della peste suina africana ma è ancora presto per cantare vittoria.
Il rischio è un remake di quanto accaduto con la carne di maiale e, in un momento simile, un evento del genere sarebbe un colpo durissimo per l’intera nazione cinese.


A proposito di petrolio, una nota di Fitch Rating mette in guarda su cosa potrebbe succedere a livello globale a causa del nuovo coronavirus.
Non assisteremo solo a un calo della domanda cinese di questa risorsa energetica, ma anche a un suo conseguente surplus.

La nota parla chiaro: “L’epidemia di coronavirus potrebbe frenare la crescita della domanda d petrolio”
se il virus dovesse continuare “a diffondersi, portando a un surplus esteso della produzione man mano che cresce in Brasile, Norvegia e Stati Uniti”.

“L’entità del surplus – prosegue Fitch – dipenderà dalla durata dell’epidemia e dalla capacità dei paesi Opec di adeguare i livelli di produzione, se necessario.
Prevediamo che i prezzi del petrolio rimarranno altamente volatili nel 2020”.

Ricordiamo, leggendo sempre la nota, che la Cina “rappresenta circa il 15% del consumo mondiale di petrolio ed è il principale motore della crescita della domanda globale.

Il suo contributo alla crescita del consumo globale è stato in media del 36% negli ultimi cinque anni e avrebbe dovuto essere vicino al 40% nel 2020”.
 
Scoppiato tra il 2018 e il 2019, il maxi-scandalo di riciclaggio legato alla filiale estone di Danske Bank ha sconvolto le regole del gioco nel mondo bancario Ue.

Improvvisamente, la Banca centrale europea si è resa conto della natura lasca delle regolamentazioni in natura di lotta al riciclaggio di denaro
su scala comunitaria e ha avvertito, a partire dal settembre 2018, sui rischi della mancata coordinazione tra gli attori deputati a combattere il riciclaggio in campo politico, economico e giudiziario.


Accuse che, in un certo senso, lasciano il tempo che trovano se pensiamo allo storico ruolino di marcia della vigilanza bancaria in seguito all’inaugurazione dei meccanismi comuni europei.

I crediti deteriorati delle banche italiane hanno ricevuto più attenzione dei derivati tossici di Deutsche Bank,
meccanismi come il bail-in sono stati imposti a piccoli istituti locali italiani mentre attori come Danske Bank
si trasformavano in piattaforme di contrabbando per denaro sporco proveniente principalmente dalla Russia.

Mentre l’aumento dei costi per il superamento degli stress-test bancari erodeva i bilanci bancari europei,
comportando un costo globale di 20 miliardi di euro tra il 2014 e il 2018, il riciclaggio rimaneva un problema insoluto.

Le sanzioni antiriciclaggio sono costate alle banche europee ben 16 miliardi di dollari – a seguito di multe emesse per il 75% negli Stati Uniti – dal 2012 in avanti.

A un salasso tanto notevole vanno inoltre aggiunti i costi differiti degli effetti reputazionali e operativi legati alla debolezza dei controlli.
La criminalità organizzata e gli evasori fiscali di primaria grandezza hanno gioco facile a far sparire notevoli somme di denaro attraverso i canali sotterranei della finanza comunitaria.

Il caso Danske Bank ha funto da campanello d’allarme, ma ha anche spinto la Bce un passo oltre.

Dopo il passaggio di consegne all’Eurotower tra Mario Draghi e Christine Lagarde,
infatti, l’ex direttrice francese del Fmi ha più volte lasciato intendere di voler operare un ampliamento delle capacità di vigilanza della Bce.
La direttrice principale di espansione potrebbe proprio essere quella del controllo anti-riciclaggio, attualmente tra le più specificatamente incentrate sugli istituti nazionali.

L’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, ad esempio, ha ricevuto 105.789 segnalazioni di operazioni sospette con un incremento del 7,9% rispetto al precedente anno.
Tali segnalazioni comportano, in un secondo livello, approfonditi e complessi controlli in coordinazione con la Guardia di Finanza e le autorità giudiziarie.
Parliamo dunque di una funzione estremamente difficile da devolvere senza ipotizzare un coinvolgimento dell’Eurotower in processi politici e giudiziari direttamente concernenti il sistema-Paese.

A livello aggregato, piuttosto, andrebbe sviluppato un ragionamento sulla maniera migliore di procedere in materia di antiriciclaggio.

Davvero la Bce, che più volte è stata inefficiente nella vigilanza unica, è l’istituzione migliore per devolvere un potere tanto grande?

Il caso Danske Bank è evoluto all’ombra dell’Eurotower, è bene ricordarlo.

Inoltre, la lotta al riciclaggio richiede una governance politica che oggi manca ad un’istituzione estremamente tecnica.

L’uovo di Colombo è, in questo caso, la correlazione tra l’abuso del riciclaggio nell’Unione europea
e la difficoltà di controllare i movimenti di capitali in un sistema costruito ad uso e consumo della loro circolazione massiccio
e la poco giustificabile sorpresa al momento della scoperta delle falle nel sistema.

Il rischio di rispondere ai problemi dell’Europa invocando una maggiore pervasività delle istituzioni comunitarie è congenito:
e devolvere alla Bce funzioni che riguardano da vicino le autorità di investigazione e giudizio dei singoli Paesi è un rischio che difficilmente uno Stato sovrano potrebbe assumersi.
 
Ahahahahahah

L’inizio delle primarie del Partito democratico Usa, con i caucus nello Stato dell’Iowa celebratisi nella notte italiana,
verrà probabilmente ricordato, più che per il nome del candidato vincitore, per il clamoroso ritardo nella diffusione dei risultati delle votazioni.

I ritardi nella comunicazione dei voti ottenuti da ogni partecipante nelle 1678 sezioni allestite nello Stato
hanno immediatamente alimentato voci su un malfunzionamento della app utilizzata dal partito per analizzare e comunicare l’esito della sfida.

I dirigenti dem, hanno quindi dichiarato che i ritardi incriminati sarebbero causati dalla necessità di effettuare dei controlli supplementari sui singoli voti al fine di garantirne l’“integrità” e la “qualità”.

Lo spoglio, da parte dei membri del partito, delle preferenze racimolate in Iowa da ciascun candidato, nel frattempo,
prosegue anche grazie a tecniche rudimentali, come, sottolinea Repubblica, la “conta a mano”.
 
E' una richiesta logica. Semplice. Chiara. Per circoscrivere i danni futuri.

Quattro regioni si “ribellano” contro le decisioni prese dal Governo e pretendono maggiore attenzione
dal punto di vista sanitario per arginare il rischio di pandemia: è il caso di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige
che, attraverso una lettera indirizzata al Ministero della Sanità, hanno chiesto che anche i bambini che frequentano le scuole,
di ritorno dal continente asiatico, passino attraverso il periodo di isolamento previsto per chi rientra dalla Cina.


“Non c’è nessuna volontà di contrapposizioni politiche, ne’ tantomeno di ghettizzare:
vogliamo solo dare una risposta all’ansia dei tanti genitori visto che la circolare non prevede misure in tal senso”.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto