SOGNO UN MONDO SENZA ODIO E PREGIUDIZI, UN POSTO DOVE TUTTI SI AMANO E SI RISPETTANO. E TU? -

2019 in calo per il numero di imprese lecchesi: -0,7%, in totale 25.765 le aziende.

Il saldo tra nuove attività e cessazioni, pur restando negativo, migliora rispetto al 2018: da -214 a -182 aziende.
Le iscrizioni sono state 1.449 (+9,9%), a fronte di 1.631 cessazioni (+6,4%) .

Chiudono imprese in tutti i settori (industria -1,5%, commercio -1,9%, agricoltura -1,1%) ad eccezione di quello dei servizi che fa registrare un +0,7%.
In totale nell’area lariana (Como + Lecco) a fine anno operavano oltre 3.300 imprese agricole (il 4,5% del totale),
oltre 23.800 manifatturiere (il 32,3%) di cui 12.600 di costruzioni (17,1% del totale), 16.600 del commercio (22,6%) e 29.900 dei servizi (40,6%).

Facendo un focus sulle imprese artigiane del lecchese si registra un calo di 120 imprese, con 670 cessazioni a fronte di 550 nuove attività nel 2019.

In calo il tasso di crescita lecchese (da -1,3% a -1,4%), un dato in controtendenza rispetto alla vicina provincia di Como,
al dato lombardo e a quello nazionale, che invece migliorano rispetto all’anno scorso.

Nonostante il calo Lecco è prima in Lombardia con 8540 imprese artigiane registrate e seconda in Italia per “peso” del settore rispetto al totale delle imprese (33,1%).


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Le imprese gestite da giovani nel lecchese sono 8,7% del totale (contro la media regionale dell’8% e italiana del 9,2%),
quelle gestite da donne il 19,5% (quota superiore alla media lombarda, ma inferiore a quella italiana, pari rispettivamente a 18,8% e 22%),
infine quelle gestite da stranieri sono il 7,6% dato inferiore sia alla media regionale, sia a quella italiana (pari rispettivamente al 12,4% e 10,1%)
e che fa piazzare Lecco al penultimo posto nella graduatoria delle province lombarde (precede solo Sondrio).
Sorgono anche poche imprese lecchesi “a capitale estero” con un tasso di crescita del 1,9%,
quasi la metà di quello dei cugini comaschi (+3,4%), lombardo e nazionale (rispettivamente +3,5% e +3,1%).
 
In un sistema accusatorio che funziona, le assoluzioni sono percentualmente molto inferiori alle affermazioni di colpevolezza.

La scelta di agire soltanto nei casi in cui è ragionevole pronosticare l’esito favorevole è abituale e si fonda, anche,
sulla consapevolezza della controvertibilità del materiale raccolto in indagini.

Ovviamente, ma questo fa parte del gioco, ci sono casi in l’accusa non dimostra la fondatezza della sua tesi e, di conseguenza, il giudice assolve.

Da noi, ammesso che di accusatorio si possa parlare, le assoluzioni bilanciano (o superano) le condanne.

Colpa degli avvocati? Dei giudici? Di un codice lassista e costruito su misura per i malviventi?

Colpa di chi non è prudente; di chi persegue sempre e comunque, anche quando la ragione suggerirebbe maggiore cautela.
Colpa di chi, con presunzione non legittimata dalle norme, crede di disporre della prova definitiva e inconfutabile per averla personalmente raccolta fuori dal contraddittorio.
Colpa di chi si offende – questo sostiene, in sostanza, il Grande Accusatore (al secolo Pcd) – se qualcuno chiede la verifica delle sue investigazioni.

Ecco. L’ideologo delle distorsioni del sistema si erge a censore dell’universo mondo e, con l’ausilio del Moralizzatore Maximo (MT),
si esibisce in siparietti che farebbero ridere (e, infatti, osservate il Guardasigilli: ride sempre), se non fossero tragici.

Ma sono tragici. Questo è il dramma.

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Ente da abolire. Ci saranno sì e no 10 "veri" partigiani iscritti.


L'Associazione nazionale partigiani italiani - com'è spesso accaduto nel corso di questi ultimi anni -
ha organizzato più di qualche conferenza per la ricorrenza del Giorno del Ricordo, che è dedicato ai martiri delle foibe.

Il 10 febbraio di ogni anno, è dedicato ad alcune pagine di storia che, fino al 2004, avevano di rado ottenuto piena legittimazione ufficiale nei libri.

Uno di questi convegni - quello previsto per oggi presso la biblioteca del Senato - ha sollevato particolare scalpore.

Più di qualche esponente politico della coalizione di centrodestra ha accusato l'Anpi di aver messo in campo una conferenza negazionista
e volta alla redistribuzione delle responsabilità di un dramma nazionale che, stando alla storiografia ufficiale, ha ormai ben poco di oscuro.

Anche qualche figlio di esuli istriano-dalmati si è detto perplesso sulle argomentazioni che potrebbero essere presentate nel corso della riunione convegnistica.

La sensazione, che è diffusa, è che si voglia provare a reinterpretare quelle fasi, magari alimentando una narrativa in grado di ridimensionare i crimini commessi dai partigiani di Tito.

Ma sarà bene attendere qualche notizia in più sui contenuti del convegno, che tuttavia risulta essere a porte chiuse.
 
Quanto pensate che possano durare ancora, due-tre mesi, forse poco più o poco meno, ma il destino li aspetta al varco
e per quante unghie e denti abbiano per aggrapparsi al potere e alle poltrone non riusciranno a camuffare le lotte e le disgregazioni interne che li divorano.

A partire dai peones in cerca di futuro, per i quali oramai l’obiettivo non è più il 2023 ma il dopo,
perché se è vero che tenendo duro possono resistere fino al termine della legislatura,
è altrettanto vero che restando dove sono, finita l’esperienza, torneranno per sempre nel nulla.

Vale soprattutto per i grillini, figuriamoci poi se fosse confermata la riduzione dei parlamentari,
restando nel Movimento infatti da centinaia diventeranno decine sempreché nel frattempo non scompaiano del tutto, ecco perché per loro il problema vero è il dopo 2023.

Insomma i peones sanno bene che solo altrove potrebbero garantirsi la continuità parlamentare,
ma per farlo servirebbero scelte in grado di mandare sotto l’attuale maggioranza,
mettere in crisi il Governo e spingere il paese a un nuovo voto.

Ed è proprio intorno a questa riflessione che a partire dal senato il Governo Conte rischia ogni giorno di più,
oramai si tratta di numeri in cifra singola, basta una virgola per andare sotto e l’odore della crisi ad ogni votazione è sempre più forte.

Ma se ciò non bastasse a certificare l’assoluta debolezza dell’esecutivo, c’è il resto,
dalla prescrizione alle concessioni, ai decreti sicurezza, al voto sulla nave Gregoretti, alle alleanze regionali
e soprattutto al conto di una Finanziaria folle che ad aprile si dovrà correggere con una nuova manovra.

Perché sia chiaro dopo la trimestrale di marzo verrà a galla tutta l’ipocrisia previsionale e contabile di una finanziaria che non torna,
dal Pil che è sottozero, al flop del reddito, alla spesa improduttiva, ai consumi in retromarcia, all’occupazione in discesa, al resto delle scelte scriteriate giallorosse.

Insomma, ci ritroveremo con un fracco di tasse aggiuntive, una serie di controlli e di persecuzioni da Stato di polizia, con vincoli e limitazioni all’impresa,
con l’incubo dell’Iva da sterilizzare nuovamente, gli oboli elettorali da coprire e col Paese in decrescita felice, roda da matti.

Per farla breve nessun provvedimento servirà a migliorare la crescita, ma al contrario aumenterà l’esasperazione dei contribuenti per l’amministrazione,
come se non bastasse la guerra in corso, dilaterà la spesa pubblica, mortificherà la voglia di fare e creerà disparità fra cittadini con i bonus.

Eppure a sentirli i geni del governo, questa manovra avrebbe dovuto spingere la crescita e i consumi, fare equità e pacificazione, aiutare il sud,
risolvere la crisi, insomma salvare l’Italia dal disastro del Papeete, roba da marziani.

Certo si attaccheranno al coronavirus, diranno che l’emergenza sanitaria mondiale ha inferto un colpo basso all’economia,
troveranno ogni motivo pur di non ammettere le scelleratezze di una manovra tasse e manette che nulla aveva di sviluppo, stimolo e semplificazione per l’impresa.

Ecco perché diciamo che ammesso che ci arrivino, ad aprile, quando la realtà dei conti, del Pil, del debito e della spesa piomberà sul bilancio del Paese
obbligando ad una correzione, nella maggioranza si aprirà la guerra delle guerre per accusarsi reciprocamente delle scelte fatte.

Usciranno fuori le vendette incrociate, il fuoco amico, il risentimento di Matteo Renzi verso Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti,
quello dei grillini contro Luigi Di Maio, quello di Dario Franceschini contro Renzi e perfino quello delle Sardine contro se stesse
e quella parte del Partito Democratico che le ha strumentalizzate sull’Emilia-Romagna.

Uscirà fuori l’incapacità e la presunzione di Conte e di Gualtieri, perché passare dalla filosofia all’economia è stato un azzardo,
lo sgretolamento finale dei grillini figli del nulla e dell’ignoranza, la voglia di Renzi di vendicare una volta per tutte l’impallinamento che gli fece il suo partito.

Verrà a galla la ragione per la quale questo Governo non avrebbe mai dovuto nascere
e per la quale invece metterlo al mondo è stato un colpo al sentimento popolare,
un’offesa all’intelligenza della gente, uno sgambetto alla fiducia del Paese, allo sviluppo della nostra economia e così sia.
 
"Giusta la richiesta di alcuni Presidenti di Regione di avere maggiore attenzione prima di riammettere bambini provenienti dalla Cina nelle nostre scuole".
Al governo devono pregare Dio, se ne hanno uno, che non succeda niente di grave ai bambini italiani...
Sapete come hanno titolato i giornali dei gazzettieri di sinistra? "I governatori leghisti non vogliono i bambini cinesi a scuola".
MA VI RENDETE CONTO ? Invece i governatori, che tengono alla salute di tutti, hanno manifestato l'intenzione di isolare in quarantena
i bambini che rientrano dalla Cina, ed in particolare dalle zone infette. Mi sembra una cosa che farebbe tutta la gente saggia
e tutti coloro che si occupano del cordone sanitario. Oppure i compagnucci della parrocchietta che parlano di coronavirus,
pensano si tratti di un un buontempone che produca solo un solletico e non una severa polmonite virale?
Lo sanno che per respirare il corpo umano ha bisogno di polmoni integri, altrimenti soffoca? Ed allora ogni decisione di prudenza assoluta sia la benvenuta.

"non c'è la volontà di ghettizzare nessuno, ma di dare una risposta alle tante famiglie preoccupate che hanno i loro figli che nell'età dell'obbligo vanno a scuola".
Le parole del presidente veneto non sono neanche state prese in considerazione e prontamente sono arrivate le critiche alla missiva.

Ecco, benissimo, però oggi allora il sedicente avvocato del popolo si dovrebbe fidare se Roberto Burioni, noto virologo,
sposi in pieno l'iniziativa dei governatori del Settentrione. E anche Walter Ricciardi ha espresso un parere sulla stessa linea,
sostenendo anch'egli che chi è tornato dalla Cina non dovrebbe rientrare in classe.

Burioni ha scritto: "Giusta la richiesta di alcuni Presidenti di Regione di avere maggiore attenzione prima di riammettere bambini provenienti dalla Cina nelle nostre scuole".
E ha aggiunto: "Ha fatto benissimo il Ministro della Salute Roberto Speranza ad attivarsi tempestivamente e per lo stesso motivo
la richiesta di alcuni Presidenti di Regione della Lega di avere maggiore attenzione prima di riammettere bambini provenienti dalla Cina nelle nostre scuole, secondo noi, è giustificata".

Roberto Calderoli, vicepresidente leghista del Senato, ha allora tirato le orecchie all'inquilino di Palazzo Chigi:
"Dopo le parole di illustri esperti come Ricciardi e Burioni, vediamo se la proposta dei Governatori verrà presa in considerazione, come il buon senso suggerisce di fare.
Adesso che due illustri esperti in materia di virus hanno detto di appoggiare la richiesta di buon senso dei quattro Governatori di Lombardia, Veneto, Trento e Friuli
di monitorare per un breve periodo lo stato di salute dei bambini di ritorno dalla Cina prima di farli tornare sui banchi di scuola,
cosa diranno dal governo e dalla sinistra che avevano blaterato di sciacallaggio e allarmismo infondato?"
 
Terra Terra. Se me lo trovo davanti gli sputo. Dovrebbe essere denunciato.

Ospite a Un giorno da pecora, Toscani si è messo a delirare.
Lo ha fatto su un tema terribile: il crollo del ponte Morandi.

Quando Geppi Cucciari e Giorgio Lauro gli hanno chiesto se fosse d’accordo con le sardine che hanno definito "un'ingenuità" la loro foto con Luciano Benetton,
il fotografo l'ha sparata grossa e ha dichiarato: "Ma a chi interessa che caschi un ponte, ma smettiamola".

"Alle persone che sono morte interessa eccome", gli fanno notare i conduttori radiofonici. In studio cala il gelo.

Dopo questa affermazione Toscani sarà rinsavito? Macché. Rincara la dose.

"A me non interessa questa storia qui. Benetton sponsorizza un centro culturale".

Ospite Gennaro Migliore, (ItaliaViva). Dopo aver spiegato che “Hanno conversato a lungo in inglese” (perchè evidentemente l’italiano era troppo difficile e raffinato),
quando gli si chiede come mai abbia fatto la foto con Benetton risponde “A chi Interessa se cade un ponte“….

Giusto a chi interessa se cade un ponte? A chi interessa se muoiono 43 persone ?
A chi interessa se ammazzano gli indios in Argentina?
A chi interessa se una fabbrica cade ed ammazza un po’ di lavoratori in Bangla Desh ?

A nessuno……

Neanche poi a Gennaro Migliore che se ne è stato zitto……

Che persona squallida. E questi sono i non odiatori ? Lo schifo più schifo della Sinistra Italiana. Orgoglioso di non farne parte.
 
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I giorni passano e il tempo scorre veloce.

Manca quasi un mese al suono del gong, cioè al giorno in cui l’Italia dovrà pronunciarsi sul nuovo Fondo salva-Stati.

Come fa notare il quotidiano La Verità, il prossimo 16 marzo l’Eurogruppo discuterà delle Cacs,
cioè delle clausole di azione collettiva
che si attiverebbero in caso di ristrutturazione del debito sovrano.

In parallelo il parlamento italiano dovrà dare l’ok definitivo al governo per l’adesione al nuovo Meccanismo europeo di stabilità.

Premesso che la riforma del Mes nasconde al suo interno degli elementi tecnici che avranno decisivi impatti politici sulla stabilità di ogni Paese
e del modus operandi dei loro sistemi economici e bancari, è importante sottolineare come l’intera strada verso l’Unione bancaria europea sia assolutamente non trasparente.


Il nostro parlamento, oltre ad aver poco spazio di manovra, non avrà alcuna possibilità di dibattere su un argomento che meriterebbe discussioni su discussioni, per sciogliere ogni nodo spinoso.

I titoli illiquidi
La riforma del Mes impatterà sul mercato dei titoli illiquidi detenuti dal sistema creditizio, ovvero – in gergo tecnico – i level 2 e level 3,
dagli interest rate swap a tutto il market to market.

Calcolatrice alla mano, le prime stime sui potenziali danni non lasciano dormire sonni tranquilli.
Si parla di una bomba dal valore di 6.800 miliardi: una grana 12 volte più grande della crisi dei non performing loans (i crediti deteriorati o Npl).

In merito agli asset di livello 3, l paper dell’ottobre 2019 a firma del Mes e del suo presidente Klaus Regling parla chiaro:
“È difficile o quasi impossibile fare una esatta valorizzazione, e la mancanza di validi parametri rende complesso valutare l’impatto delle nuove norme sull’insieme del titoli illiquidi”.

A questa ammissione ha fatto eco il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, il quale aveva redatto, alla fine del 2019,
una proposta di “riavvio dell’Unione bancaria attraverso il fondo di garanzia”.
Detto altrimenti, nel testo non ci sono indicazioni inerenti al trattamento da riservare al mercato dei derivati a gli altri asset illiquidi.

Un pericoloso buco valutativo
Il problema di fondo, dunque, è uno: gli asset illiquidi hanno un valore enorme, quantificabile, come detto, in 6.800 miliardi
(almeno a giudicare dal direttore generale di Bankitalia del 2018, Fabio Panatta).

Questa stima si riferisce al 2016 ma gli esperti ritengono che la cifra sia rimasta immutata nel tempo.

Ma che cosa c’entra il Mes? La riforma del Fondo salva-Stati introdurrà importanti novità senza conoscere l’impatto
che queste avranno su un ammontare di derivati che, nel suo insieme, vale 12 volte tanto l’ammontare delle sofferenze bancarie.

Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio buco valutativo che potrebbe attivare una bomba a orologeria piazzata proprio sotto al sistema bancario europeo.

L’Italia, come spesso accade in campo europeo, è in prima linea quando si tratta di rimetterci.

Il nostro Paese sarà il più esposto e colpito dalla valanga generata dai nuovi derivati.

Il paradosso è che le banche italiane sono le ultime in quanto a titoli illiquidi.

Eppure, nel peggiore dei casi, saranno le prime a rimetterci.
 
Ma no dai, loro sono le anime belle, quelle che parlano col guore, contro l'odio, pro arcobaleni, unicorni e coniglietti.
Toscani parla sempre dell'odio della destra, di quanto sono beceri, di quanto sono stronzi.
Ecco, a me basterebbe lasciarlo 5 minuti in compagnia delle famiglie dei cittadini italiani che sono morti
attraversando un ponte autostradale che percorrevano avendo pagato un lauto pedaggio ai signori benetton.
Ma giusto 5 minuti.
 
L’offensiva di Teheran scatenata dopo l’eliminazione di Qassem Suleimani sembra essere solo all’inizio.

I potenti servizi segreti iraniani, il Vevak, sono sotto la pressione dei vertici degli Ayatollah per la reazione all’aggressione americana,
palesatasi con l’eliminazione del generale dei Pasdaran, che è stata da questi giudicata troppo debole.

I tentacoli dei servizi iraniani
si sono prolungati in Paesi non certo insospettabili.
L’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, ma anche l’Italia, la Germania e, soprattutto, la Striscia di Gaza, ritenuti,
comunque sotto il monitoraggio attento dei servizi d’informazione occidentali e israeliani.

Inoltre, un ruolo fondamentale, il Vevak, l’avrebbe ricoperto anche nell’abbattimento dell’aereo statunitense siglato AF 358, in Afghanistan,
secondo il portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid, avvenuto nella zona di Ghazni e rivendicato dalle milizie islamiste afghane coordinate,
secondo alcune fonti, proprio dai servizi iraniani, sciiti, quindi storici avversari degli studenti delle Madarasat afghane,
in una “strana” alleanza per lo più legata alla comunione d’intenti anti-occidentale.

A bordo dell’aereo, secondo quanto riferito da fonti aperte, si sarebbe trovato Michael d’Andrea, funzionario della Cia e presunto ideatore del piano per l’eliminazione di Soleimani.

Il ruolo tedesco ed europeo nel gioco di Teheran
Ma c’è di più. I tentacoli iraniani si sono sviluppati anche nell’ideazione e nel sostegno di una rete di comunicazione web basata sul server tedesco Hetzner
con il quale, variando le locations degli interlocutori, è possibile accedere alle comunicazioni di numerosi membri di Hamas e della Jihad islamica,
ivi compresi gruppi minori quali Kataeb al Ansar, e il meno noto Palestinian Freedom movem (ent – NDR).
Tutti operanti per lo più nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ma ampiamente foraggiati da Teheran.

E l’Italia? Ovviamente anche il nostro Paese è inflazionato dalle mire espansionistiche islamiche, soprattutto islamiste,
attraverso le quali i vari Mukhabarat arabi (i servizi d’intelligence), riescono a intessere le trame di una rete
che parte dai semplici commercianti di tappeti persiani, ad esponenti delle élite economiche iraniane.

E gli intermediari?

Tra loro spiccano presenze ben note alle agenzie di sicurezza italiane, dai giornalisti ai convertiti italiani allo sciismo,
coinvolti nella rete di spionaggio in modo più o meno spontaneo, ma non certo scevro da laute ricompense.

Casualmente, i vertici del Vevak iraniano a Roma, legazioni consolari a parte, si concentrano nella zona di Roma nord,
una zona elitaria che rende assolutamente impossibile l’infiltrazione da parte di terzi che non abbiano la richiesta disponibilità economica.

E gli appuntamenti tra i delegati di Teheran e i rappresentanti delle grandi aziende italiane, impegnate nell’export di tecnologie avanzate,
avvengono alla luce del sole in hotel di lusso del centro città, ma anche nei ristoranti etnici mediorientali nella zona chic dei Parioli.

È noto, infatti, che alcuni grandi gruppi industriali italiani continuano a portare avanti enormi programmi di ammodernamento delle aziende iraniane sottovalutando,
per mera questione economica, il limite stabilito conto il regime iraniano in quanto a forniture di tecnologie avanzate e, soprattutto, di quelle connesse alla crescita della potenza nucleare di Teheran.

Di questo passo è palese che l’Italia ricoprirà sempre più un ruolo minore in ambito internazionale,
a palese discapito di Paesi dichiaratamente alleati quali Israele e gli Stati Uniti che, volenti o nolenti,
rappresentano una nostra appendice ad est ed a ovest, e una barriera contro l’espansionismo islamista in Medio Oriente.
 
Basta sedersi sulla riva del fiume ed attendere....manca poco al passaggio.

Sulla prescrizione stiamo assistendo al peggior teatrino politico della storia più recente e forse nemmeno,
perché da tangentopoli in poi il parlamento, legge dopo legge, ha deciso di subordinarsi alla magistratura.

Qui non si tratta solo della scriteriatezza con la quale nel 1993 le camere modificarono l’articolo 68 sull’autorizzazione a procedere,
ma si tratta di uno scivolamento verso il basso dell’organo rappresentativo per eccellenza della volontà popolare sovrana.

Tanto è vero che da allora ad ora non solo il conflitto tra politica e giustizia si è acuito
ma ha creato una sorta di corto circuito perenne tra poteri tale da condizionare la vita dei governi,
delle maggioranze e degli equilibri per via delle cosiddette interferenze giudiziarie.

Ecco perché da quasi 30 anni si parla e riparla di riforma del titolo IV senza che se ne venga a capo in modo risolutivo,
da allora ad ora solo modifiche parziali, spesso rabberciate, deliberate più per suggestione che per convinzione di migliorare ed aggiornare il tema della carta.

Ebbene la legge Bonafede si inserisce a pieno titolo in questo filone perché non solo è entrata in vigore senza che le regole sul processo penale e sulla sua durata fossero riviste,
ma perché interviene su alcuni principi elementari del diritto a partire da quello alla difesa.

Motivo per cui in questi giorni abbiamo assistito a proteste e dubbi, sia da parte degli avvocati, che di costituzionalisti e perfino di autorevoli toghe,
insomma un putiferio intorno all’ennesima legge emanata per suggestione elettorale piuttosto che il bene della giustizia.

Da una parte Bonafede e i grillini che giurano di non mollare di un millimetro,
dall’altra Renzi che minaccia fiamme fuoco senza l’abolizione,
dall’altra ancora Conte e il Pd che assicurano una via d’uscita compromissoria pur di evitare l’eventualità di una crisi.

Ed è proprio intorno a tutto ciò che si gioca l’ennesimo bluff politico sulla pelle dei cittadini, perché Bonafede sa bene che non potrà tenere il punto,
Renzi altrettanto, che non avrà il coraggio di rompere, Conte ed il Pd sanno che al posto di una mediazione ci sarà al massimo uno stop.

Per farla breve, si arriverà ad una sorta di congelamento temporaneo della legge senza che nessuno abbia il coraggio di andare fino in fondo
contro una norma con tratti di incostituzionalità, che peggiorerà e mortificherà sia i diritti che i procedimenti, un pataracchio pericoloso insomma.

Ecco perché diciamo il gioco dei bluff, del resto il tema giustizia in mano ai movimenti forcaioli e manettari da una parte
e ai giustizialisti postcomunisti dall’altra, è roba da pelle d’oca, oltretutto peggiorata dalla paura che hanno di tornare al voto e andare a casa.

Quel voto che si è voluto impedire proprio con la nascita di un governo innaturale figlio della stessa ipocrisia con cui oggi si gioca al bluff e al braccio di ferro elettorale,
su un tema vitale e delicato per i diritti democratici dei cittadini.

Siamo alle solite, l’Italia non può essere guidata da una maggioranza che nel paese non esiste,
da un’alleanza che resiste solo per paura, da partiti in liquefazione e da leader gli uni contro gli altri armati,
che razza di governo sarebbe questo? Che fiducia potrebbe offrire mai?

Quale garanzia può esserci, specialmente nel mezzo di una crisi economica, di recessione,
di fuga degli investimenti e il rischio di migliaia di licenziamenti
, di un bilancio che peggiora e di niente che migliora?

Ovviamente nessuna se non quella di un bluff insopportabile e inammissibile.
 

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