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Non ce la fanno, non ce la fanno più.

Ma c'è chi si ricorda.....

Alla fine la vera sorpresa del Sant'Ambrogio alla Scala
è stato il calo di voce a metà «Don Carlo» del basso Michele Pertusi (Filippo II),
perché l'acuto del disturbatore antifascista dal loggione era troppo scontato.

E servito sul vassoio dal sindaco Giuseppe Sala
che da giorni aizzava la polemica sulla presenza del presidente del Senato Ignazio La Russa
come massima carica dello Stato nella poltrona al centro del palco reale.

Quella su cui si è più volte seduto da presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
senza che nessuno si azzardasse a ricordargli con un urlo
i trascorsi nel Partito comunista al servizio di Mosca
o la benedizione ai carri armati sovietici che sotto i cingoli
schiacciavano la libertà e gli stessi ungheresi a Budapest che al comunismo si ribellavano.
 
E così la miccetta accesa da Sala con l'ascensore su e giù dal palco
nel quale ha imbarcato la senatrice a vita Liliana Segre, è scoppiettata dopo l'inno nazionale.

Poteva finire lì, con l'identificazione di norma gestita con garbo dagli agenti della Digos e tutti contenti.

Ma evidentemente a Sala non bastava.

E così ieri di buon mattino, dopo aver postato una bella foto al fianco di Pedro Almodovar, vera star della serata scaligera,
gli è salita la cazzimma e ha messo i panni del Grande Inquisitore per rinfocolare il rogo su cui far ardere il fascista La Russa
e chi non lo vuol bruciare.

«E infine - ha scritto di buon mattino -, ma al loggionista che ha gridato Viva l'Italia antifascista
ed è stato identificato, che gli si fa? Chiedo per un amico».

LO SI PRENDE A CALCINKULO PER AVER DISTURBATO LA RAPPRESENTAZIONE.

Lo avesse fatto un democratico di centro-destra con Napolitano ? ......apriti cielo.
 
Sì, alla Scala dove alla Prima un biglietto costa 3.200 euro,
c'è un presidio di partigiani che ci difende dal rischio Fascismo
e che rifiutando di ricevere il saluto della seconda carica dello Stato,
hanno innescato lo scontro per cui Sala si è arruolato.
 
Una situazione paradossale,
come mai si era vista la questura costretta a diffondere un comunicato per giustificare la sua attività.

«L'identificazione dei due spettatori - si legge - è stata effettuata quale ordinaria modalità di controllo preventivo
per garantire la sicurezza della rappresentazione. L'iniziativa non è stata assolutamente determinata
dal contenuto della frase pronunciata, ma dalle particolari circostanze,
considerate le manifestazioni di dissenso poste in essere nel pomeriggio in città
e la diretta televisiva dell'evento che avrebbe potuto essere di stimolo per iniziative finalizzate a turbarne il regolare svolgimento».
 
La sinistra ha trovato il federatore.

Beppe Sala? Per carità.

Paolo Gentiloni? Assolutamente no.

Enrico Letta? Sta bene a Parigi.

L'urlatore della Scala di Milano è il nuovo Prodi.
Eccolo, l'idolo di Ruotolo, Schlein e Conte.

È lui.

Nessun dubbio.

Un esperto di cavalli è già diventato l'eroe di Pd e sinistra.

È bastato un urlo, al termine dell'Inno di Mameli, durante la Prima della Scala, per mandare in estasi i compagni.

«Viva l'Italia antifascista», ha gridato Marco Vizzardelli, all'inizio del «Don Carlo».

Un gesto che fa sognare il Pd.

Parte la catena di giubilo.

È già pronto il tour nelle salotti di sinistra.

Gruber, Formigli e Fazio lo aspettano con i tappeti rossi.
 
«Il sindaco (che ne ha la facoltà) conferisca subito l'Ambrogino a Marco Vizzardelli,
il cittadino che ieri alla Scala ha gridato viva l'Italia antifascista.
Sarebbe la bella e giusta risposta di Milano città medaglia d'oro della Resistenza»,

annuncia subito il capogruppo dei Verdi europei al Comune di Milano Carlo Monguzzi.

Vizzardelli, 65 anni, loggionista da sempre, appassionato di lirica e giornalista pubblicista, dopo l'urlo è stato identificato dalla Digos.
Nessuna forzatura.

Per la sinistra, invece, siamo alla vigilia di uno Stato di polizia.

L'occasione è ghiotta.

Nicola Fratoianni (che ha dimenticato di identificare Soumahoro prima della candidatura) grida:
«È ora di finirla con la paccottiglia fascista».

Ilaria Cucchi rompe gli indugi: «Ecco i miei dati anagrafici, il governo chiarisca».

Elly Schlein prepara la piazza: «Continueremo a gridarlo, ovunque. Anche se non piace a Salvini. E adesso identificaci tutte e tutti».

Il suo fido, Sandro Ruotolo (che non ha proferito parola sui flop in Rai della moglie di Francesco Boccia)
si inventa la genialata della catena social: «Adesso identificate tutte e tutti», con tanto di hashtag.

Nicola Zingaretti non manca all'appello: «Per essere chiari.
Nella Repubblica italiana bisognerebbe identificare chi fa il saluto romano non chi grida "viva l'Italia antifascista"».

Il sindaco di Milano si chiede: «E infine, ma al loggionista che ha gridato Viva l'Italia antifascista ed è stato identificato, che gli si fa?
Chiedo per un amico». Sala mastica amaro.

Vizzardelli gli ha soffiato la poltrona di federatore del centro-sinistra.

Si rivede Stefano Bonaccini: «Bastava identificare una copia della Costituzione. In ogni caso, Viva l'Italia antifascista. Sempre».
 
Flavio Tosi commenta:

«Non ho trovato l'urlo scandaloso, ma ineducato sì.

Capisco che chi ha una opinione politica o una idea da diffondere utilizzi l'esterno del teatro

per manifestare il suo dissenso, ma all'interno ci vuole rispetto per tutti.

Un conto è ciò che accadde durante l'oppressione austroungarica

dove si stava provando a liberare il Paese dal nemico in casa,

qui c'è un governo democraticamente eletto e con una larga maggioranza in Parlamento».
 

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