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Follia ideologica ormai conclamata, ma ancora nessun cambiamento:​

limitarsi a rinviare il divieto di motori endotermici un insufficiente palliativo.​


Prevale in chi scrive lo sconcerto di chi matura
la consapevolezza di essere governato da una classe dirigente non all’altezza
e lo sconforto di chi non vede comunque nessun cambiamento malgrado il disastro.

Infatti, sembra incredibile che l’intera governance europea non vedesse ciò che appariva chiaro anche ad un semplice cittadino.

Sembra ancora più incredibile che dopo un esito elettorale
che ha bocciato in modo evidente le forze che più hanno sostenuto (e sostengono) queste misure,
nulla sia sostanzialmente cambiato.

Ci troviamo addirittura le medesime persone nelle posizioni di vertice delle principali istituzioni europee
e la “nuova” presidente della Commissione intende accelerare sulla transizione ambientale,
mantenendo fermo e irrevocabile il termine del 2035 per il divieto di vendita di motori endotermici
e quello del 2050 per le zero emissioni.


Ciò non sorprende perché conferma la natura principalmente ideologica
che sottende la transizione green,
altrimenti con mero senso empirico
l’evidenza di risultati negativi dovrebbe condurre ad un ripensamento
anche solo della tempistica.
 
Di fronte a questo disastro annunciato, qualcosa comincia a muoversi.

Si vuole chiedere di rivedere il percorso che porterà al 2035
e allo stop alla vendita di nuove auto diesel e benzina.


In buona sostanza, l’Italia vuole proporre alla Commissione
di mitigare i vincoli previsti per le automobili a benzina e gasolio,
perché “la religione dell’elettrico ha fatto deragliare gli obiettivi dell’Europa sulla decarbonizzazione del settore auto”.

Per questo, è necessario proseguire “senza una visione ideologica, guardando la realtà per quella che è”.

Anche perché l’elettrico “richiede catene di approvvigionamento” e, almeno per il momento,
“quello che l’Europa pensa e i tempi che ci mette per realizzarlo sono inadeguati nella competizione globale.
Nel settore automotive si avverte la necessità di una revisione per quanto riguarda il percorso del Green Deal“.

“C’è una crisi evidente in atto, con il crollo del mercato elettrico, con le difficoltà che incontrano tutte le multinazionali europee,
che ci obbliga a prendere delle decisioni. Possiamo aspettare altri due anni per eventualmente esercitare la clausola di revisione
e magari modificare percorso obiettivi e modalità nel settore?
Anticipiamo quella clausola di revisione a inizio 2025 e diamo certezze a imprese e consumatori”.
 
Val...te la dico in parole povere...
Mai si era visto, un governo così prono e impaurito... all' atlantismo e all' intolleranza giudaica...
Pensavo che dopo Draghi, che dopo Renzi, che dopo Draghi....avessimo raschiato il barile....non c'è mai fine al peggio, dà retta
I 5 stelle sono stati un bidet con acqua tiepida, ( non fosse che hanno dato tempo al Deep state di organizzarsi con calma ) sto' finendo l'ennesimo tubetto di Proctosedyl

Indi, goldone spesso e incul@re a manetta piuttosto che essere incul@ti
:-D
 
Non fa un piega, ma come sempre, quando non si può attaccare il ragionamento, co si attacca al ragionatore: tipica sindrome della sinistra e di molti giornalisti.


 
Come la politica sanzionatoria sta distruggendo l'economia europea. Dove è finito il miracolo economico tedesco? Dentro il tubo allagato sul fondo del mar Baltico


Matteo Runchi
Editor esperto di economia e attualità

Pubblicato: 7 Ottobre 2024 13:30
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In Germania crollano gli ordini di fabbrica, recessione ritenuta inevitabile

Fonte: ANSA(L-R) Italian Prime Minister Giorgia Meloni and German Chancellor Olaf Scholz attend a Flag ceremony during of the G7 Summit in Borgo Egnazia (Brindisi), southern Italy, 13 June 2024. The G7 Borgo Egnazia Summit will be held from 13 to 15 June 2024. ANSA/GIUSEPPE LAMI
Gli ordini di fabbrica in Germania sono crollati del 5,8% ad agosto, facendo segnare un dato peggiore di quanto si aspettassero gli analisti. Si tratta dell’ennesimo segnale di recessione per l’economia tedesca e il governo di Berlino è sempre più pessimista. Nei prossimi giorni il ministro dell’Economia Robert Habeck dovrebbe annunciare una revisione al ribasso delle stime sul Pil.
La crisi tedesca deriva da una serie di circostanze che hanno minato le fondamenta del successo del Paese negli ultimi decenni. Dalla fine delle forniture di gas dalla Russia fino al crollo delle esportazioni in Cina, passando per la transizione ecologica del settore automobilistico che le grandi case con sede in Germania non sembrano in grado di portare a compimento.

Crollano gli ordini di fabbrica: la Germania si prepara alla recessione​

L’ufficio di statistica dello Stato federale tedesco, Destatis, ha reso noto che gli ordini di fabbrica di agosto hanno registrato un calo del 5,8% nel Paese. Un crollo inaspettato anche per i più pessimisti degli osservatori, che preventivavano al massimo un calo del 2% dopo che a luglio un altro balzo al ribasso aveva fatto segnare per questo dato un -3,9%.

Si tratta di un’ennesima conferma delle difficoltà dell’economia tedesca. Il quotidiano Sueddeutsche Zeitung ha anticipato le comunicazioni del ministro dell’economia Robert Habeck, che mercoledì 9 ottobre dovrebbe annunciare una revisione dei dati sul Pil del Paese. Il 2024 sarà un anno di recessione, -0,2%, per il prodotto interno lordo della Germania, che dovrebbe però riprendersi nel 2025 risalendo al +1,1%.
“L’economia tedesca può crescere in modo significativo e più forte nei prossimi due anni se le misure saranno pienamente implementate” ha detto Habeck, parlando del piano previsto dal governo di Olaf Scholz per rilanciare la crescita nei prossimi due anni, ma la crisi tedesca ha radici molto profonde.

Da Volkswagen alla Cina: perché la Germania non cresce più​

Negli ultimi due anni il modello di crescita tedesco è stato minato alle sue fondamenta. Per decenni il gas a basso costo dalla Russia e le massicce esportazioni in Cina avevano alimentato l’economia della Germania, tanto da spingere il governo a prendere iniziative per accentuare sempre di più questi legami, come la chiusura delle centrali nucleari.
La politica Zero Covid della Cina e la guerra in Ucraina hanno fatto saltare entrambe queste premesse e la Germania si è trovata a dover affrontare un aumento dei costi e una diminuzione delle vendite delle proprie aziende. Nel frattempo uno dei settori più importanti del Paese, l’automotive, è stato costretto dalle regolamentazioni europee a forzare una transizione verso le auto elettriche che non sta trovando particolari sbocchi sul mercato. Volkswagen in particolare è andata in crisi e sta ora pensando di chiudere alcuni stabilimenti in Germania.
Gli effetti di questa crisi hanno conseguenze importanti anche per l’Italia. La Germania rappresenta infatti sia un mercato di sbocco fondamentale per le nostre imprese che un punto di riferimento per le importazioni di determinati prodotti. Un rallentamento eccessivo dell’economia tedesca potrebbe portare anche il Pil italiano a smettere di crescere. Gli ultimi dati diffusi da Istat hanno inoltre ridotto le stime sull’espansione dell’economia italiana, che rischia di rimaner ben al di sotto dell’1%.
 
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