Poveretta. Affondata.
"Cara signora Luciana Littizzetto, anche se non vorrei, le do del lei.
Sono un militare dell'Esercito Italiano da 20 anni. Le voglio raccontare la mia storia".
Inizia così una delle lettere vergate per l'attrice,
scritte con la speranza che possa leggerle e ragionare su ciò che ha detto.
A scrivere è un soldato che si è arruolato nel 2005 a 21 anni, che ha fatto l'addestramento a Chieti
e che racconta come gli anni precedenti all'arruolamento
"spensierati, senza responsabilità , pensieri, problemi, solo perché chiuso nella bolla della scuola,
si sono trasformati sin da subito in responsabilità , paure, angosce" all'arrivo in caserma.
"Vedere quei militari istruttori in divisa a Chieti mi spaventava,
e non nego il fatto che ho anche pensato di lasciare e tornare alla mia vita.
Poi mi sono dato degli obiettivi, che con sudore, senso di responsabilità , abnegazione, cameratismo,
e rispetto della bandiera italiana (scritto tutto in maiuscolo, ndr), penso di aver raggiunto, anche se la strada è ancora lunga".
Racconta di quante volte ha dovuto salutare la famiglia, i figli, preparare zaini e bauli per partire,
"per rispondere Presente quando mi hanno tascato per varie attività partendo dal Kosovo, attraverso il Libano,
e in Italia a partire dall'operazione Strade Sicure su Trieste, Firenze, Roma, Civitavecchia".
Sostiene, ed è un pensiero condivisibile, che
"ogni volta che la mattina avviene l'alzabandiera dovremmo tutti noi ringraziare chi ha dato la propria vita
e chi continua a darla per la difesa della Patria".
Racconta anche di come il suo senso di appartenenza a questa Patria, alla sua bandiera, sia
"aumentato ancora di più (non che prima non ci fosse),
quando sfortunatamente ho partecipato ad un picchetto d'onore di un collega rientrato dal teatro afghano in una bara.
Vedere quella bara con la bandiera aperta su, la famiglia che piangeva, ti lascia qualcosa dentro che non va via, ma impari a conviverci".
Rifiuta, ovviamente, l'etichetta di scansafatiche che gioca alla Play Station e organizza tornei di calcetto,
ricordando i vari impieghi dell'Esercito Italiano su alluvioni, terremoti, la Costa Concordia e ogni altro scenario d'emergenza.
"Non giochiamo a carte, i tornei di scopa li lasciamo a chi frequenta i bar.
Noi, a differenza di tanti, siamo pronti a tutto, a dare la nostra vita per la vostra libertà ,
per la libertà dei nostri figli, e quella dei figli dei nostri figli. La storia continua.
Concludo dicendo: quando parlate delle forze armate, delle forze dell'ordine,
collegate quei 2 neuroni che avete. Sciacquatevi la bocca", conclude il militare.