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In quale coalizione entrerà Azione in vista delle prossime elezioni?

Carlo Calenda fissa il giorno della definitiva presa di posizione: "Entro lunedì decideremo".

Di fronte al leader e alla segreteria di Azione, da ieri più ricca con gli arrivi delle ministre, una scelta fondamentale.


"Non possiamo sbagliare la decisione sulla corsa in coalizione al centro o con il Pd - scrive sui social il segretario di Azione -.

Da questa decisione dipende la possibilità di contendere la vittoria, che non reputo affatto certa,

alla destra e di dare al paese un governo decoroso. Le variabili sono molte e complesse".


Decoroso ? Lui ??? Ahahahahahah
 
Prototipo del radical chic di sinistra, abituato a sputare nel piatto dove ha sempre mangiato.
Sponsorizzato da altri radical chic di sinistra.

Carlo Calenda nasce il 9 aprile del 1973 a Roma,
figlio di Cristina Comencini (a sua volta figlia del regista Luigi Comencini e della principessa Giulia Grifeo di Partanna) e di Fabio Calenda.

All'età di dieci anni, nel 1983, recita nello sceneggiato televisivo "Cuore",
co-sceneggiato dalla madre e diretto dal nonno, in cui veste i panni di Enrico Bottini, uno degli alunni protagonisti.


Successivamente conclude la scuola dell'obbligo e si iscrive all'università,
laureandosi alla Sapienza di Roma in Giurisprudenza,
per poi iniziare a lavorare per alcune società finanziarie.


Nel 1998, ad appena venticinque anni, approda alla Ferrari
diventando il responsabile della gestione delle relazioni con le istituzioni finanziarie e con i clienti.

Successivamente passa a Sky, dove - invece - assume il ruolo di responsabile marketing.


Tra il 2004 e il 2008 è assistente del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo
e direttore dell'area strategica e affari internazionali.

Con tale mansione conduce diverse delegazioni di imprenditori all'estero
e promuove azioni di penetrazione economica.


Dopo essere stato nominato direttore generale di Interporto Campano,
assume la presidenza di Interporto Servizi Cargo.


Nel frattempo si avvicina alla politica, divenendo il coordinatore di Italia Futura, associazione con a capo Montezemolo.
 
Nel 2013 si candida nella lista di Scelta Civica alle elezioni politiche nella circoscrizione Lazio 1 della Camera, fallendo l'elezione.

Tuttavia poco dopo viene scelto come vice ministro dello Sviluppo Economico nel governo guidato da Enrico Letta.

Con il cambio del Presidente del Consiglio (Renzi prende il posto di Letta), Calenda mantiene tale incarico, assumendo la delega al commercio estero.


Matteo Renzi in particolare, gli affida la regia delle attività dell'Ice - Italtrade,
l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane -
oltre alla responsabilità per l'attrazione degli investimenti esteri.

Carlo Calenda ha, tra l'altro, le deleghe per i rapporti multilaterali, le relazioni commerciali bilaterali,
il supporto per i progetti di investimento all'estero, la politica commerciale europea,
il credito e la finanza per l'esportazione, le attività relative al G20,
la promozione del commercio estero, le attività relative all'OCSE e l'attrazione degli investimenti.


Membro del Consiglio dei Ministri del Commercio estero,
nel secondo semestre del 2014 è presidente in carica in occasione del semestre italiano di presidenza del Consiglio UE.


Il 5 febbraio del 2015 decide di lasciare Scelta Civica
e annuncia di essere intenzionato a iscriversi al Partito Democratico,
anche se in realtà questa intenzione non si concretizza realmente.


Nel dicembre del 2015 è vicepresidente della decima conferenza ministeriale del WTO,
l'Organizzazione Mondiale del Commercio, organizzata a Nairobi.

Il 20 gennaio dell'anno successivo viene nominato rappresentante permanente dell'Italia presso l'unione europea,
assumendo ufficialmente l'incarico due mesi più tardi:

tale scelta, tuttavia, viene contestata dai membri del corpo diplomatico italiano,
dal momento che un ruolo del genere di norma deve essere affidato a un diplomatico di carriera e non a un politico.




A maggio del 2016 viene scelto come ministro dello Sviluppo Economico,
prendendo il posto di Renzi (che aveva assunto tale incarico dopo le dimissioni di Federica Guidi).

Dopo la sconfitta di Renzi nel referendum del dicembre 2016 e le sue dimissioni da premier,
con la nascita del governo Gentiloni, Calenda viene confermato al ministero.


All'indomani delle elezioni del 4 marzo 2018, dichiara di volersi iscrivere al Partito Democratico,
con l'obiettivo di aiutare il partito a rinnovarsi politicamente:

«Non bisogna fare un altro partito, ma risollevare questo».


Un anno e mezzo più tardi, dopo che la crisi di governo che porta alla formazione di un nuovo esecutivo
nato dall'accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle, Calenda decide di uscire dal Pd.

Il 21 novembre seguente, lancia ufficialmente la sua nuova formazione politica, Azione.
 
Attraverso documenti inediti e interviste esclusive, nella prossima puntata Report vi racconterà come la trattativa della Lega per i soldi e il petrolio russo è solo una tessera di un mosaico molto più ampio, che vede sullo sfondo la nascita di un asse internazionale tra forze estremiste in Russia e negli Stati Uniti. Un mosaico in cui Matteo Salvini e la Lega sono solo le pedine di un progetto internazionale che punta alla destabilizzazione dell’Unione Europea.

 
Qualcuno i soldi dai russi li ha presi davvero per decenni.

Non scordatevelo mai quando aprite la bocca.
 
C’è la campagna elettorale estiva ?

Il Pd ha già assoldato scartine, meteore, piccoli artisti da tormentone estivo o da Sanremo.


Elodie, per esempio.
Da – ugh! – cantante non se la filava nessuno,
poi ha cominciato a spogliarsi,
poi come analista ed i giornali di regime, che vogliono la presistenza del regime,
la interpellano due volte al giorno prima e dopo i pasti
e l’oracolo è sempre lo stesso e sempre in punta di scienza politica:

ahò. Cioè a me ‘a Meloni me fa paura. Checcazzo, tutto quell’odio, quel livore, a stronza. Un trionfo!

Anche se Elodie non sa di che parla e non specifica:

lei sostiene di aver letto “il programma” della leader di Fratelli d’Italia,
ma dove non si sa visto che non è mai uscito,

come quello degli altri partiti del resto.

Però col tormentone “ahò io c’hoppaura” Elodie sfonda.


Ed ecco irrompe così Giorgia, una che da 30 anni vive di repertorio,
con un post di adeguata classe, perché con Elodie bisogna resettarsi di livello:

“Pure io mi chiamo Giorgia ma non rompo i coglioni”.

Di fatto, l’hai appena fatto.

L’allusione è al tormentone, ricordate?

“Io sono Giorgia, sono una donna, sono cristiana” eccetera.

Roba chiaramente pretestuosa, senza un motivo logico,
perché la faccenda di “Io sono Giorgia” ha un paio d’anni
e ritirarla fuori così è con tutta evidenza raschiare il fondo del barile della provocazione.


Ma non si poteva correre il rischio di clonare la concorrente Elodie.

E allora, boom, ecco il petardo che gli elettori, gli ascoltatori, i piddini, vogliono sentire.

In mancanza di tormentoni freschi, va bene anche un tweet.

Sembra una faccenda andante, l’ego mortificato di chi ha conosciuto stagioni migliori,
ma no, è invece una mossa attentamente studiata.

Sui social, tutto un fiorire di anime belle, o semplici, o naif, che dicono:

però, questa Giorgia la credevo una da Festival, da Pippo Baudo, invece mi tocca rivalutarla.

La rivalutano, capito, in quanto antimeloni.


Fantozzi. O Tafazzi.

C’è il mischione, il carrozzone degli esagitati, un giorno Repubblica fa la foto allusiva,
la Meloni “pompinara” (questo è, dai, su, Molinari, non peggiorare la situazione: siete roba da bettola),

il giorno dopo Elodie e l’altra Giorgia, a seguire, vedrete, tutte le altre:

figurati se la stagionata Mannoia, se la vetusta Bertè, se quella e quell’altra restano indietro.


Tutte a difendere la democrazia, che sarebbe:

la Meloni non deve parlare, non deve vincere, non deve esistere.

Perché?

Perché, aho, io choppaura, che cazzo, a stronza.


Di che c’hanno paura?
Non lo sanno, vanno di repertorio, da bravi zdanoviani
(poi ve lo spieghiamo con calma cosa significa, care Elodie, Giorgia, Fiorella eccetera, non è una parolaccia),
si abbeverano ai pozzi del Piddì:

il razzismo, il sessismo, l’antiabortismo, l’inquinatismo, il familismo, bla bla bla.


Siamo alla stupidità da teatro dei burattini.

Con tante illusioni. Senza certezze. I burattini "sono loro".
 
Diceva Giovanni Sartori

che nelle questioni di scienza politica,

sotto un dato limite,

discutere diventa più inutile ancora

che con quelli che credono agli Ufo nel salotto di casa.


Ma questi “artisti”, questi “cantanti” sono i ribelli con la tessera annonaria,
gli intruppati che in 30 mesi di regime mai hanno alzato la voce se non per preoccuparsi dei loro ingaggi.

Sempre zitti e buoni, sempre con le diciotto mascherine e il braccio teso, pronto alla nuova inoculazione.

Uno spettacolo mortificante, tutto italiano, che ha convolto tutti, dai vecchi grotteschi,
Pelù, Vasco Rossi, agli affaristi alla Fedez e J-Ax, alle cicale estive che sculettano su TikTok e la chiamano arte.

Tutti governativi, tutti spediti ai concertoni sindacali o ai Sanremo o gli Eurofestival gender.


In cambio, la complicità assoluta:

delle nefandezze in altera pars,

dei lockdown programmati,

degli arresti per mancanza di maschera,

dei vax che, ormai non lo nasconde più nessuno, ne accoppano più di quanti non ne salvino,

della totale scomparsa dei diritti fondamentali,

non channopaura.


Perché è roba der piddì e, non prendiamoci in giro: guitti e saltimbanchi qui sono tutti, tutti, tutti a libro paga.

In forme svariate, ma questi cantano tutti per il regime.

E si dicono autonomi, cani sciolti,sì, come quello del grammofono: la Voce del Padrone.


Insomma la campagna elettorale è partita,

De Benedetti ha suonato la carica,

Letta occhi di tigre ha dato fiato alle trombette,

nel senso dantesco, aspettiamoci tutto.


Basta non salti fuori Orietta Berti a dire che “Fin che la barca va” era un inno rivoluzionario,
puro situazionismo marxista leninista che non fu capito
ma i brigatisti lo ascoltavano sempre prima delle azioni di guerriglia, per caricarsi.


Perché nel tempo di Jovanattila ecologista, davvero vale tutto.
 
“Miracolo in Romagna- nel bacino voti del pd :

nel giro di ventiquattro ore

le acque antistanti a ventidue stabilimenti balneari della riviera adriatica,

chiuse l’altro ieri per inquinamento batteriologico,

sono tornate perfettamente balneabili…”
 

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