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Ragazzi. Ma a che livelli di giornalismo siamo arrivati ?

"A quanto emerso dai primi accertamenti, la porta dell'appartamento era chiusa dall'esterno."

E' chiaro che - se esco di casa - la porta viene chiusa dall'esterno e nella toppa interna non ci può stare la chiave.
Altrimenti non sarei riuscito a chiudere a chiave la porta.
 

Offerta su Bps: via libera fino al 11 luglio​


La Consob ha dato l’ok a Bper: l’Ops parte il 16 giugno restando sul mercato per venti sedute di Borsa aperta
 
Chi governa in periferia pervicacemente spreca soldi pubblici.

Se un chilometro di strada, di ferrovia, di acquedotti,
da noi costa fino a cinque volte di più rispetto a Francia, Spagna o Germania, sprechiamo tanti soldi.

Spesso la spesa pubblica è mascherata.

Si devono fare opere e invece si pagano stipendi o feste patronali. È più facile. Ma impoverisce tutti.

I trentadue milioni di resistenti tributari non si rendono conto che i miliardi sprecati sono presi direttamente dalle loro tasche.

Un’intera classe politica è stata educata allo spreco.

La vera riforma istituzionale sarebbe il diritto popolare di cacciare gli spreconi, spesso anche inetti.
 
Ultima modifica:
Vediamo di riportare alla memoria, un po' di storia ....e di incertezze.

Al principio del secolo scorso, la calma era soltanto apparente,
in quanto gli Stati europei si contrapponevano l’uno contro l’altro per i loro spiccati e confliggenti interessi coloniali,
il che condusse alla disgregazione degli Imperi centrali e a un rafforzamento degli Stati nazionali:
la tensione – e dunque un clima di diffusa incertezza – era palpabile.

Ben presto scoppia il Primo conflitto mondiale che per anni desertifica l’Europa,
provocando un vero stravolgimento degli assetti pre-bellici: da qui, massima incertezza perdurante nel tempo.

Nel 1917 divampa in Russia la rivoluzione bolscevica che, foraggiata dalla Germania, rischia inevitabilmente di contagiarla:
l’incertezza cresce oltremodo.

Dopo la pace di Versailles, si apre nel cuore dell’Europa una profonda crisi economica e sociale
che fa da prodromo alla Seconda Guerra mondiale.

Nel 1929 la crisi economica di Wall Street aveva spazzato via intere e già traballanti economie:
da qui, incertezza all’ennesima potenza.

Intanto, nel 1936 la guerra civile spagnola – che vede direttamente coinvolte Italia e Germania – insanguina la penisola iberica:
brividi di profonda incertezza percorrono il Vecchio continente.

Nel 1939, esplode la Seconda Guerra mondiale, con il coinvolgimento planetario di tutti gli Stati per oltre cinque anni:
incertezze di ogni tipo e misura dilagano.

Dopo il 1945, l’Europa distrutta viene salvata dal piano Marshall,
sugli effetti del quale molti nutrono seri dubbi e molte incertezze.

Ma finita la guerracalda” dopo il lancio di un paio di bombe atomiche
che ammazzano in pochi minuti centinaia di migliaia di esseri umani,
ecco giungere quella “fredda”, fino al punto che nel 1956 l’Unione sovietica invade l’Ungheria

e nel 1962 Berlino viene divisa in due dal famigerato muro: da qui, incertezze in sommo grado.

Ancora nel 1956, va ricordata la rivoluzione cubana di Fidel Castro

e, a seguire, la guerra della Francia in Corea

e subito dopo il conflitto in Vietnam

e la crisi nell’area indocinese.

Non dimentichiamo le forze armate britanniche e francesi inviate a Suez
dopo la nazionalizzazione del canale imposta da Gamal Abd el-Nasser
e le tensioni che ne seguirono con gli Stati Uniti: incertezza alle stelle.
 
Nel 1962, siamo alle soglie della terza guerra mondiale,
con il blocco navale imposto da John F. Kennedy alle navi sovietiche
che trasportavano le testate nucleari, volute da Nikita Krusciov, da piazzare a Cuba, sotto il naso degli Usa: l’incertezza spadroneggia.

Nel 1967, l’Unione sovietica invade la Cecoslovacchia, sterilizzando Alexander Dubček
e il suo tentativo di costruire un comunismo dal volto umano: siamo nel cuore dell’Europa e perciò l’incertezza lievita.

Nel 1973, va registrata la crisi petrolifera che ci costringe ad andare per mesi in bicicletta o a piedi: l’incertezza è ormai incontenibile.

Intanto, Israele e vari Paesi arabi pensano bene di combattersi in un paio di guerre,
che tuttavia influenzano molto le economie occidentali: da qui altra incertezza.

Nel 1989 cade il muro di Berlino e l’incertezza su ciò che avverrà dopo appare in crescita quotidiana.

Nel 1994, cade l’Impero sovietico, producendo un mare di interrogativi e di incertezze.


Penso possa bastare – pur avendo tralasciato molte altre vicende – per affermare un solo giudizio che è questo:
nel corso della storia delle vicende umane va rilevata una sola certezza,
e cioè che, paradossalmente, regna sempre e dovunque una sovrana incertezza.

Perciò chi cerca certezza – oggi – cerca ciò che non potrà mai trovare:
sarebbe allora più realistico cambiare registro, motivando diversamente le varie crisi del nostro tempo.

Si dica allora la verità, imputandole ad incompetenza, incapacità, desiderio di sopraffazione,
sciatteria politica ed istituzionale, corruzione personale o di gruppo, eccetera.


Ma non all’incertezza.
 
Termino la pallettosità odierna che Vi ho creato, con questo ultimo articolo, che si riallaccia al primo.

Gli esperti di psicologia della comunicazione sostengono che nella società dell’iper-informazione
se un problema non riceve la giusta attenzione da parte dei mass media scompare, come d’incanto, dal dibattito pubblico.

È, di fatto, quel che è accaduto negli ultimi anni con la questione meridionale.

Eppure, non vi è rapporto Svimez che non sciorini puntualmente ogni anno cifre e tendenze c
he rendono ragione del crescente divario fra il Nord e il Sud del nostro Paese.

Vi sono numeri che chiariscono i termini del problema meglio di qualsivoglia considerazione:
secondo la Cgia di Mestre in due lustri, fra il 2014 e il 2024,
nella fascia di età compresa fra i 15 e 34 anni la popolazione meridionale è diminuita di 747mila unità.

In alcune regioni, come la Puglia, la percentuale di emigrazione sfiora il 15 per cento.

Risultati non dissimili giungono da altri osservatori economici.

Si abbandona la propria città di origine (anche se con un grado di istruzione superiore rispetto al passato)
sempre per il medesimo motivo: si va alla ricerca di migliori opportunità di lavoro e di vita.

Difficile, dopo 164 anni dall’Unità, non interrogarsi sulle ragioni che continuano, ieri come oggi,
a determinare un tale divario economico, sociale e civile.
 
Pur con sfumature diverse, tutte le analisi individuavano nella scarsa capacità economica
la causa principale dell’arretratezza del Mezzogiorno.

Pertanto, vi era una sola strada per riscattare questa parte d’Italia:
lo Stato centrale avrebbe dovuto destinare alle regioni meridionali maggiori risorse,
per rimettere in equilibrio le due realtà del Paese.

Il secondo Novecento è segnato dal trasferimento di ingenti capitali verso il Sud
(con punte particolarmente significative raggiunte con gli interventi straordinari della Cassa per il Mezzogiorno).

L’obiettivo era quello di avviare un processo che mettesse il Mezzogiorno sui binari della modernizzazione
e che riducesse finalmente il fossato fra le “due Italie”.

Purtroppo, non si è verificato nulla di simile.

Anzi, come documentato da numerosi studi socio-economici,
quei capitali non solo non hanno funzionato come volàno dello sviluppo,

ma hanno contribuito a consolidare la tradizionale pratica clientelare di una classe politica che definire mediocre è dire poco.

Infatti, come scrive Sabino Cassese in Lezioni sul meridionalismo,
“numerose ricerche hanno dimostrato che il Sud costa di più per pensioni di invalidità
e che le Regioni e i Comuni registrano un numero di dipendenti e una spesa per abitante superiore rispetto al Nord”.


L’elenco delle differenze di spesa è molto lungo, per poterlo riportare, ma riguarda tutte le voci dei bilanci municipali e regionali.
 
Intanto,
nuove analisi comparatistiche stanno spostando il centro dell’attenzione dagli aspetti economici
al ruolo che viene svolto dalle istituzioni e dalle classi dirigenti locali nell’avviare percorsi di modernizzazione.

Da questo tipo d’indagini si apprende che nelle realtà territoriali in cui si registrano

“fenomeni corruttivi,
scarso rispetto della legalità e
difficoltà nel potere effettuare investimenti in un clima di certezza del diritto,
i processi di accumulazione della ricchezza e di ridistribuzione
risultano al di sotto degli standard conosciuti nel mondo occidentale”
.

In tal senso, il meridionalista Guido Dorso già nel 1924, su La rivoluzione liberale diretta e fondata da Piero Gobetti,
poneva l’accento sulla necessità di

“fare maturare anche nel Meridione una qualificata classe dirigente,
pena l’impossibilità di colmare un divario che prima che economico è di ordine civile e culturale”.


Lezione da ricordare in questi mesi
caratterizzati dal trasferimento al Sud
del 40 per cento dei fondi del Pnrr.
 

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