Non è arte e non è sfogo: per lo più, trattasi di messaggi in codice, qui si spaccia, qui si traffica.
Certo, le carrozze della linea 4 sono state violate per il gusto di farlo,
per dare un segnale di arroganza e di impunità, ma altrove, nei quartieri,
il senso di questa segnaletica allucinata è delinquenziale.
Ma restiamo alla cronaca.
Due treni, ciascuno di 4 vagoni, coperti di immondizia colorata,
dovranno fare la spola dal 26 novembre tra Linate e piazzale Dateo:
sai che spettacolo, hanno vinto loro, i vandali venuti dall’Est.
Fortuna, leggiamo sempre dai resoconti ammiccanti, che la zona non era ancora “a tensione molto elevata”: fortuna per chi?
L’armata degli anarcocialtroni con lo spray lo sapeva benissimo, sono informati e vanno sul sicuro.
Difatti lo hanno fatto adesso, mica hanno aspettato l’elettrificazione.
A Milano il sindaco arcobaleno e la sua assessora bibliotecaria vogliono l’aria rarefatta dell’alta quota,
mai avuta dai tempi di Francesco Sforza e che non si potrà raggiungere vietando semplicemente il traffico veicolare in città
senza fare lo stesso nella cintura dell’hinterland e poi bloccando le attività industriali, produttive,
il sogno malato di Greta, la decrescita sfigata.
Ma intanto un gruppo di balordi può arrivare in città, spaccare un muro, penetrare in un deposito che nessuno sorveglia,
perdere tempo a rovinare convogli, riprendersi con gli smartphone, salutare in modo beffardo e sparire.
Però i milanesi dovrebbero sentirsi al sicuro,
dovrebbero credere c’è chi vigila su di loro,
per esempio sulle cellule dormienti,
sugli ecoterroristi, sui nostalgici del brigatismo,
sui nuclei criminali d’importazione e chissà su quanti altri focolai dalle matrici le più fanatiche, lunatiche e incontrollabili.
A chi appartiene la città?
Milano poteva contare, a differenza di Roma, dove la res nullius non è di tutti ma proprio di nessuno.
C’era in Mediolanum un residuo orgoglio municipale, se passava un autobus con lo stemma comunale i cittadini pensavano:
questa è anche roba mia, mi spetta, la voglio a posto e che funzioni.
Ma i giardini pubblici di piazza Gobetti sono diventati impraticabili,
di notte ospitano risse furibonde tra bande extracomunitarie,
lungo le colonne di san Lorenzo o la Loggia dei Mercanti è meglio non avventurarsi,
se esci dalla stazione Centrale o hai l’aspetto di un serial killer
o ti conviene sgusciare via alla svelta come un topo,
le zone a rischio non si contano più perché lo sono tutte,
e nei depositi dei treni metropolitani puoi fare brutti incontri.
Ne discende una disillusione, un disamore per la città, non più patrimonio collettivo,
non più koiné ma luogo ostile, insidioso: una metropoli straniera, nemica.
In mancanza di prospettive rassicuranti, non resta ai milanesi che fare un bel respiro,
tanto l’aria è purissima, frizzante, ecocompatibile, e rassegnarsi al peggio:
se non arriva sarà merito del sindaco onirico, se scoppia sarà colpa di donna Giorgia,
del clima d’odio, del fascismo risorgente come insinuano quelle gran teste pensanti di Berizzi, Luciana Littizzetto e Selvaggia Lucarelli.