Val
Torniamo alla LIRA
Oh mio Dio e adesso chi glielo dice alla preside ?
È la grande malattia dell’estrema sinistra, quella della formula “uccidere un fascista non è reato”,
degli anni di Piombo mai tramontati,
delle città sfasciate durante i loro cortei (rigorosamente non autorizzati).
In nome della resistenza e della democrazia, si cerca di ribaltare il principio entrando nel campo del paradosso:
attraverso la violenza, i comunisti vogliono eliminare – per alcune frange non solo politicamente, ma anche fisicamente –
tutte quelle forze politiche che si pongono in contrasto con le idee della sinistra radicale, rigorosamente comuniste.
Insomma, in nome della libertà, della pace e del 25 aprile, si danno vita a veri e propri atti di teppismo contro l’avversario di turno.
Il motto è sempre lo stesso: “I fascisti non possono avere spazio in questo Paese”.
Poco importa se, vent’anni fa, la parola “fascista” era associata a Silvio Berlusconi,
come titolò una celebre apertura de L’Unità: “Berlusconi come Mussolini”.
O ancora, poco importa se “fascista” era pure Matteo Salvini, quando la Lega toccava punte del 30 per cento.
Ed infine, poco importa se “fascista” è Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio in carica e a capo di un partito che domina lo scenario politico italiano.
Insomma, come ricordava il giornalista Daniele Capezzone:
“Fascista è qualsiasi partito non di sinistra che raggiunge almeno il 15 per cento”.
È fascista pure quest’ultimo, nonostante il suo passato politico da radicale con radici libertarie,
visto che i collettivi dell’Università La Sapienza non gli permisero di tenere una conferenza con alcuni esponenti di Fratelli d’Italia.
L’obiettivo, quindi, non è quello di combattere l’avversario politico con la forza delle idee,
ma quello di squalificarlo, escluderlo, cacciarlo dalle piazze dove legittimamente esercita diritti inalienabili della nostra Costituzione.
Esatto, la stessa Carta del ’48, così tanto sventolata dalla sinistra, alla ricerca di un continuo “pericolo fascista” (poi puntualmente inesistente).
È la grande malattia dell’estrema sinistra, quella della formula “uccidere un fascista non è reato”,
degli anni di Piombo mai tramontati,
delle città sfasciate durante i loro cortei (rigorosamente non autorizzati).
In nome della resistenza e della democrazia, si cerca di ribaltare il principio entrando nel campo del paradosso:
attraverso la violenza, i comunisti vogliono eliminare – per alcune frange non solo politicamente, ma anche fisicamente –
tutte quelle forze politiche che si pongono in contrasto con le idee della sinistra radicale, rigorosamente comuniste.
Insomma, in nome della libertà, della pace e del 25 aprile, si danno vita a veri e propri atti di teppismo contro l’avversario di turno.
Il motto è sempre lo stesso: “I fascisti non possono avere spazio in questo Paese”.
Poco importa se, vent’anni fa, la parola “fascista” era associata a Silvio Berlusconi,
come titolò una celebre apertura de L’Unità: “Berlusconi come Mussolini”.
O ancora, poco importa se “fascista” era pure Matteo Salvini, quando la Lega toccava punte del 30 per cento.
Ed infine, poco importa se “fascista” è Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio in carica e a capo di un partito che domina lo scenario politico italiano.
Insomma, come ricordava il giornalista Daniele Capezzone:
“Fascista è qualsiasi partito non di sinistra che raggiunge almeno il 15 per cento”.
È fascista pure quest’ultimo, nonostante il suo passato politico da radicale con radici libertarie,
visto che i collettivi dell’Università La Sapienza non gli permisero di tenere una conferenza con alcuni esponenti di Fratelli d’Italia.
L’obiettivo, quindi, non è quello di combattere l’avversario politico con la forza delle idee,
ma quello di squalificarlo, escluderlo, cacciarlo dalle piazze dove legittimamente esercita diritti inalienabili della nostra Costituzione.
Esatto, la stessa Carta del ’48, così tanto sventolata dalla sinistra, alla ricerca di un continuo “pericolo fascista” (poi puntualmente inesistente).