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L'istinto svia le scelte del risparmiatore. Ecco i trucchetti per aggirare gli abbagli della mente
di Vittorio CarliniCronologia articolo30 novembre 2010
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Il cervello può giocare brutti scherzi, anche quando lo applichiamo alla finanza. I sostenitori della teoria dell'homo oeconomicus lo vorrebbero razionale, capace di massimizzare informazioni e investimenti. La realtà, come ribadito oggi in un convegno sulla finanza comportamentale organizzato dalla Consob a Piazza Affari, è ben diversa.
«Attraverso la risonanza magnetica funzionale - spiega il professore Matteo Motterlini, dell'università Vita-Salute del San Raffaele di Milano - è stato dimostrato che, durante l'acquisto di un'azione o di un bond, la parte di cervello attivata non è quella pre-frontale» che ci distingue come esseri umani evoluti. «Bensì, quella limbica, che cioè "condividiamo" con i mammiferi e rettili. Nella scelta di un titolo, per esempio, viene interessato il centro della ricompensa - ricco di dopamina - che normalmente si attiva nelle attività legate al sesso, alle droghe o alle patologie del gioco d'azzardo». Insomma, l'impulso decisionale non è di pertinenza della parte del cervello più "razionale", evoluta. Tutt'altro: viene coinvolta la zona più "istintiva", ancestrale.
Ciò detto, è chiaro che l'effetto-istinto può giocare brutti scherzi; può indurci inmille errori nelle nostre strategie di portafoglio. Abbagli che, in periodi di crisi come l'attuale, possono rivelarsi fatali. È comprovata, per esempio, la tendenza degli operatori a mantenere per troppo tempo i titoli in perdita. Perché un simile comportamento? «Tutti noi - spiega Nadia Linciano, della divisione studi economici della Consob - siamo influenzati dalla avversione alle perdite. Si tratta di un atteggiamento insito nel nostro spirito di sopravvivenza: vogliamo allontanare la sofferenza. Nel caso dell'investimento azionario, il "dolore" della minusvalenza. Così, ritardiamo eccessivamente la vendita. All'opposto, se il titolo sale siamo portati ad anticipare il piacere del guadagno e spesso vendiamo troppo presto». Un bel conundrum: come affrontarlo? «Una soluzione - risponde Enrico Rubaltelli, esperto di psicologia degli investimenti dell'Università di Padova - è quella di prevenire il guaio: vanno fissati livelli di stop-loss e take-profit».
Gli abbagli "emotivi", comunque, non si fermano qui. «In questo periodo, dove le Borse vanno su e giù - ricorda Maurizio Milano, responsabile analisi tecnica di Banca Sella -, il piccolo investitore attivo sugli indici tende a deresponsabilizzarsi: si conforma a ciò che fanno gli altri. La scelta operativa però, proprio perché non autonoma, spesso arriva a trend finito. Con il che si contabilizza la perdita». Un effetto "gregge" che si riscontra in altri casi? «Sui singoli titoli il retail, curiosamente, non segue l'istituzionale: i fondi, per esempio, sono in questo periodo long su Fiat ma il risparmiatore, al contario, compra azioni in calo come UniCredit. Il motivo? Hanno un approccio in termini "statici": considerano l'aspetto dello "sconto" del titolo, quasi fosse un bene commerciale, senza valutarne le prospettive». E di nuovo, rischia la minusvalenza.
Ma non è solo questione di conformismo (o meno). Nel costruire la nostra decisione d'investimento, spesso pensiamo di essere oggettivi. Un'illusione: in realtà, siamo condizionati dai limiti della nostra mente. Accade nel fenomeno della familiarità: confortati dalla notorietà di un titolo siamo spinti a comprarlo. «Quasi sicuri del trend al rialzo, però - afferma la Linciano - non ci accorgiamo dell'errore in cui cadiamo: modifichiamo il nostro rapporto rischio-rendimento».
Rendimento che può sfumare anche a causa della cosiddetta recuperabilità. Ciò avviene quando stimiamo verosimile non l'evento più probabile, bensì quello che ricordiamo meglio. Nel definire, per esempio, la probabilità di default di un'azienda può accadere di riportare alla mente solo i casi simili di fallimento. Scordiamo, cioè, le imprese che hanno risanato i conti. «Il fallimento, l'evento negativo - sottolinea Rubaltelli - rimane più impresso nella nostra mente: si allontana con maggiore forza dalla nostra normalità e lo ricordiamo meglio». Risultato? Vendiamo il titolo dell'azienda, che magari supera la crisi, perdendo l'eventuale rally. «In questi casi, la soluzione può essere sfruttare un ampio database».
Da non dimenticare, poi, un'altra tipica fonte di errore: l'ancoraggio. È l'abitudine di fare previsioni in base a una stima iniziale, a un prezzo considerato "giusto". Un'ancora cui la nostra mente si lega e ci impedisce, a fronte di novità, di reagire prontamente. Così accade con i prezzi di carico delle azioni o i valori della volatilità (Vix) su cui può essere tarato il trading. «In quest'ultimo caso - consiglia Milano - se c'è un cambiamento improvviso, il controvalore dell'operatività va ridotto».
Insomma, molti sono gli errori conseguenti al fatto che non siamo così razionali e molte sono le precauzioni da prendersi in attività dove è stato dimostrato l'istinto ha una notevole rilevanza. «Credo che l'approccio della finanza comportamentale sia essenziale», dice Vittorio Conti, presidente vicario della Consob. Aggiungendo che «nell'attività di tutela del cliente-riparmiatore, implicitamente bisogna tenere conto anche dei meccanismi decisionali. Sia quelli di carattere più oggettivo; sia quelli soggettivi per i quali le scienze comportamentali possono, e debbono, dare il loro contributo».
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