è proprio quello che manca mr
Non c'è rimasto tempo, ma speranza
Tra le mille poco allegre cose che sono state dette o lo verranno presto all'incaricato facitor di governi Pier Luigi Bersani, ce n'è una che a intenderla a dovere fa spavento. A profferirla è stato Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria, a nome delle 142.000 maggiori imprese italiane: «Non c'è rimasto tempo, siamo vicinissimi alla fine».
A separarci dalla fine sono due cose: il pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione, l'abbassamento del costo del lavoro eliminandolo dalla base imponibile Irap. È ormai chiaro a tutti che la maggiore urgenza è superare il blocco dell'economia reale.
A separarci dalla fine è anche un tempo limitato, un tempo breve, un tempo più newtoniano che einsteniano, un tempo assoluto. Settimane o pochissimi mesi, non di più. E invece, la decisione assunta dal Consiglio dei ministri nell'equinozio di primavera è dilatoria, inadeguata. Quand'anche avesse corso sarebbe un buon segnale ma non la soluzione.
Il debito della pubblica amministrazione verso le imprese ammonta a 71 miliardi, Confindustria ne ha chiesti 48, il Governo parla di 40, di cui 20 da sbloccare nelle seconda metà del 2013 e altri 20 l'anno venturo. Così siamo fuori tempo, e mancano 8 miliardi, che sono molti, perché già 48 erano pochi.
Confindustria dice che, pure, quei 40 miliardi proposti porterebbero 250.000 posti di lavoro in 5 anni. Un punto di Pil in più nei primi tre anni fino ad un incremento dell'1,5 nel 2018. Ma nel frattempo, dato che un terzo dei fallimenti delle aziende italiane è dovuto all'impossibilità di incassare le spettanze in tempi ragionevoli – in primo luogo da committenti pubblici – quei 31 miliardi mancanti farebbero chiudere altre aziende, creando ulteriore disoccupazione: il saldo netto degli occupati sarebbe dunque diverso.
E poi l'indotto: è di oggi il dato statistico sul calo reddituale dei professionisti, molti dei quali lavorano principalmente con le aziende. Rispetto al 2007 siamo a -26 per cento. Tra questi i finti professionisti, quelli nominali, i giovani collaboratori di studio a partita IVA, che spesso non arrivano a 400 euro al mese.
Papa Francesco dice ai giovani di non essere tristi, dice loro: «Non fatevi rubare la speranza». E Squinzi chiosa: «Papa Francesco mi piace moltissimo». Anche Confindustria spera, come i giovani: non vi fa un po' impressione? Davanti a «uno Stato incivile». E bisogna sperare tanto, perché è anche la guida finanziaria dell'Europa ad essere incivile.
Il piano di salvataggio di Cipro predisposto questa notte dalla Torika è incivile. Prelievo del 30% su un conto di 101.000 euro presso la Bank of Cyprus, e sembra una cosa di sinistra, molto democratica. Ma un sopruso non è né di destra né di sinistra, è una prevaricazione e basta.
E il Ftse Mib stamani si boriava di vaticinio come il re augure Ramnete: ricordate il IX libro dell'Eneide, quel «Non seppe il folle indovinar quel ch'a lui stesso avvenne»? Perché la Bundesbank va dicendo che i tedeschi possiedono meno di un terzo del patrimonio degli italiani? Forse che dopo i depositi ciprioti vengono i nostri? Chiusura dell'indice italiano: -2,18, pioggia di vendite per paura downgrade Italia.
Sulla speranza consentitemi di ricordare le parole di un altro vecchio, un grande vecchio laico, Mario Monicelli, pronunciate nella sua ultima intervista: «La speranza di cui parlate è una trappola, una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è di quelli che ti dicono che Dio... state buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Intanto, perciò, adesso, state buoni: ci sarà un aldilà. Così dice questo: state buoni, tornate a casa. Sì siete dei precari, ma tanto fra 2 o 3 mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto. State buoni, andate a casa e... stanno tutti buoni. Mai avere speranza! La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda».
A presto.
Edoardo Varini
(25/03/2013)