Lettera a Beppe
Caro Beppe,
è forse vero quanto hai scritto sul tuo blog: «la Repubblica, quella che si dice democratica e fondata sul lavoro, ieri è morta. E ti viene lo sconforto». A vedere certi sorrisi ritrovati è vero, è proprio vero che ti viene uno scoramento profondo, acuito dal fatto che si era sul punto di farcela ad iniziare a riformare sul serio questo paese. E se la meta era tanto vicina era soprattutto merito tuo, del tuo movimento.
Sei partito con poco, quasi niente, un blog, il tuo sestante per calcolare la rotta rilevando l'altezza degli astri sull'orizzonte marino. Astri come eguaglianza, fraternità, libertà. Idee antiche, professate a parole e vilipese nei fatti, continuamente. Da tanti, da troppi. Abolizione dei privilegi, partecipazione democratica, idea di un futuro migliore. Verso lì navigavi e mi auguro, e sono certo, navigherai ancora. Tuttavia, quel sestante a un certo punto è divenuto impreciso, è divenuto forse inservibile.
C'è stato un momento, ed è stato un momento fatto di decine di giorni, in cui avresti potuto allearti ed incidere sostanzialmente nelle politiche del costituendo governo.
Si dice che la politica è alchimia, invece è chimica, e la differenza è che la seconda non ha alcuna risonanza simbolica o filosofica. La politica, ma lo dico con assoluta coscienza della sua nobiltà, è una difesa di interessi. Legittima, inevitabile, siamo uomini.
Io credo, caro Beppe, che tu non abbia capito che dopo un'eventuale alleanza con il Movimento 5 stelle, il PD non sarebbe più stato il PD ma avrebbe composto, insieme al Movimento 5 stelle, un "prodotto" politico, una compagine di maggioranza, nuova. Una maggioranza di governo fattiva. In virtù di un processo che si chiama "reazione chimica". Si parte da due reagenti, si formano e rompono legami chimici intermolecolari e si produce una trasformazione della materia. I due reagenti si fondono in un composto nuovo. Con questa consapevolezza l'alleanza la si sarebbe potuta fare. E sarebbe stata buona cosa.
L'altra alleanza, quella dell'abbraccio in aula tra Bersani e Alfano, la nomina di Napolitano che ne è seguita, il governo che inevitabilmente ne sortirà, non sono una materia nuova. Sempre la stessa, sempre più pletorica, sempre più inscalfibile.
Chiamiamola con un motto latino, «Ordo ab chao», chiamiamola "strategia della tensione", certo è che questa era la cosa da evitare. L'unico modo per perdere, o nella migliore delle ipotesi, per ritardare il cambiamento, era consentire di essere scambiati più o meno capziosamente, più o meno strumentalmente per il caos, e venire usati come pretesto per la restaurazione. È accaduto.
E non posso dire che tu non abbia prestato il fianco a questo. Se la logica parlamentare prevede alleanze, rifiutarle a priori è improduttivo, è controproducente. E lo vediamo ora. Entrare in un sistema con la dichiarata indisponibilità ad adattarvisi, se non si ha la forza e la volontà di buttare tutto gambe all'aria, è la ricetta certa per consentire a quel sistema di qualificarti come elemento disgregatore, come intollerabile minaccia, e correre ai ripari e passare al contrattacco. La tensione non è sostenibile a lungo perché tutto, in natura, tende all'equilibrio. Ecco allora tornare gli equilibristi del potere, anzi, per meglio dire, gli equilibratori, i normalizzatori, l'ancien régime.
Per la paura della propria incapacità di costruire e finanche di immaginare, di progettare il nuovo, si restaura. A cominciare dal Presidente. Cadendo nel ridicolo, cadendo nello stolto. Si riattacca un cornicione, si stucca una modanatura, e si lasciano le crepe che attraversano il soffitto. Ma la grandezza passata dei monumenti antichi non viene per nulla compresa, perché essa consisteva precisamente nella capacità di progettare il futuro, e diventa soltanto il misero pretesto per irretire financo la speranza del rinnovamento.
Dicevo all'inizio del sestante, inventato dall'«ultimo dei maghi, l'ultimo dei babilonesi e dei sumeri», Isaac Newton, come lo definiva il grande economista John Maynard Keynes.
Al Museo del mare di Genova, Galata, di sestanti ne ho visti una collezione. E poi ho visto una fantastica ricostruzione del ponte di un brigantino che se avessi avuto quarant'anni di meno semplicemente mi avrebbe trattenuto là per sempre. Sarei rimasto lì, sul ponte di coperta del brigantino Anna a guardare la vita, come il barone rampante dagli alberi.
L'impressione è che ora saremo un po' tutti Cosimo Piovasco di Rondò. Ma invece della graziosa Viola d'Ondariva vedremo il men leggiadro Amato, o chi per lui, far cose vecchie, in un mondo spento. O non spento, se qualcuno preferisce, ma certo identico a quel vecchio, iniquo mondo da cui siamo partiti.
A presto.
Edoardo Varini
(22/04/2013)