CRISI ECONOMICA
SE LA SPAGNA VA NEL PALLONE PER DAVVERO
ALFONSO TUOR
La strategia europea per su­perare la crisi dell'euro ap­pare sempre più chiara: ac­celerare il passo sulla strada del risanamento dei conti pubblici per cercare di scongiurare il pe­ricolo di nuove crisi simili a quel­la greca e compensare gli effetti negativi sulla crescita delle mi­sure di austerità attraverso il de­prezzamento dell'euro.
Questa strategia è destinata ad avere il fiato corto per diversi motivi.
In primo luogo il rapido dete­rioramento delle condizioni fi­nanziarie della Spagna induce a ritenere che il Paese iberico sia oramai l'epicentro della prossima crisi.
In secondo luogo, gli effetti eco­nomici positivi del deprezza­mento della moneta unica euro­pea (di circa il 15% rispetto al dollaro dall'inizio dell'anno) non stanno riducendo, ma stanno ampliando il divario tra Paesi europei forti e deboli.
I dati sul­la produzione industriale dello scorso mese di aprile mostrano infatti un aumento dell'attività industriale rispetto al mese pre­cedente in Olanda, Finlandia, Italia e Germania e una contra­zione in Spagna, Grecia, Porto­gallo ed Irlanda.
Dunque il ribas­so dell'euro non sta dando fino­ra un grande aiuto ai Paesi eu­ropei in maggiore difficoltà.
An­che per questi motivi l'euro de­bole non appare in grado di com­pensare l'effetto recessivo delle «stangate» fiscali nella maggior parte dei Paesi di Eurolandia.
In terzo luogo, l'intera architet­tura dell'operazione si basa sul­l'aspettativa che gli Stati Uniti e i Paesi emergenti (soprattutto asiatici) siano in grado e siano anche disposti ad assorbire una quantità supplementare di esportazioni europee.
Ciò non è assolutamente certo. La ripre­sa americana appare più debo­le delle previsioni e non è garan­tita l'accondiscendenza di Wa­shington, già alle prese con un crescente disavanzo commer­ciale che continua a far lievitare il debito estero statunitense.
D'altro canto, la capacità di as­sorbimento dei Paesi emergen­ti e soprattutto dei Paesi asiatici rischia di diminuire a causa del varo di politiche restrittive tese ad evitare l'inflazione (India) e il formarsi di pericolose bolle speculative (Cina).
In quarto luogo, la politica delle svalutazioni competitive (tipica di una crisi come l'attuale) rischiadi accentuare gli squilibri che af­fliggono l'economia mondiale.
Le discussioni del vertice euro­peo di oggi non si concentreran­no su questi temi, ma sul perico­lo alle porte costituito dalla Spa­gna.
Le condizioni del Paese ibe­rico sono sempre più critiche no­nostante il successo dell'asta dei titoli del Tesoro iberico di mar­tedì scorso.
Il metro di misura non è infatti il collocamento del­le emissioni dei titoli pubblici, che nell'attuale contesto di crisi di Eurolandia viene ampiamen­te pilotato sia dalla Banca cen­trale europea, sia dalle vecchie banche centrali nazionali (che esistono ancora), sia dai Gover­ni, ma i tassi a cui vengono assor­biti i titoli, il differenziale dei tas­si di interesse e le capacità di ac­cesso ai mercati del sistema ban­cario.
Ebbene, a questo riguar­do il responso è chiaro: martedì scorso Madrid è riuscita a collo­care 5,2 miliardi di euro di obbli­gazioni statali, ma è stata costret­ta a pagare tre quarti di punto più dell'ultima emissione; ieri il dif­ferenziale tra i titoli di Stato te­deschi a 10 anni e gli equivalen­ti spagnoli ha stabilito il primato storico dalla nascita dell'euro, raggiungendo i 223 punti; e, in­fine, come ha dichiarato lunedì scorso il presidente di BBVA, la seconda banca spagnola, è chiu­so l'accesso al mercato per gli istituti spagnoli.
Dato che per le banche spagnole è sempre più difficile e soprattutto più onero­so rifinanziarsi anche a breve sul mercato interbancario, la Ban­ca centrale europea è diventata la principale (e oggi forse l'uni­ca) fonte di finanziamenti per il sistema bancario spagnolo: il mese scorso gli istituti iberici hanno preso a prestito dalla BCE 85,6 miliardi di euro; quelli di questo mese, che non sono an­cora noti, sono sicuramente de­stinati ad essere ben maggiori.
La situazione appare talmente difficile che secondo la stampa specializzata si starebbe addirit­tura studiando l'ipotesi (smen­tita sia da Madrid sia da Bruxel­les) della creazione di una linea di credito privilegiata da usare a seconda delle necessità.
L'ipote­si appare comunque avere un suo fondamento almeno per due motivi. Il primo è che il Fondo salva-stati creato dall'Unione Eu­ropea, dotato di 440 miliardi di euro, è in grado di affrontare cri­si di Paesi con economie di di­mensioni simili a quelle del Por­togallo, ma non ha sufficienti ri­sorse per affrontare la crisi di un Paese come la Spagna, il cui PIL si aggira attorno ai 1.000 miliar­di di euro.
Inoltre, la «capitola­zione» di Madrid, ossia il ricor­so al Fondo da parte della Spa­gna, produrrebbe un immedia­to effetto domino destinato ad in­vestire l'Italia. Infatti il Fondo sal­va-stati europeo è stato concepi­to per aiutare Paesi piccoli, co­me la Grecia e il Portogallo, ma soprattutto per rassicurare i mer­cati e quindi per non essere usa­to dai grandi Paesi europei.
Basti pensare che l'Italia garantisce 81 miliardi di euro dei 440 miliar­di: se dovesse ricorrere ai presti­ti del Fondo europeo, la dotazio­ne di capitale di quest'ultimo si ridurrebbe immediatamente dello stesso ammontare.
Il secon­do motivo è che la causa della cri­si spagnola non è il debito pub­blico, che è inferiore al 70% del PIL, ma il deficit pubblico annuo, che supera l'11%, il debito priva­to (famiglie ed imprese) e soprat­tutto lo stato molto precario del sistema bancario gravato da una grande quantità di crediti che ora diventa inesigibile a causa dello scoppio della bolla formatasi nel settore immobiliare.
Ora se è probabile che lo Stato spagnolo, che già sta erogando prestiti al­le banche, sia chiamato ad accol­larsi le spese del salvataggio del sistema bancario, è inverosimile che possa assumersi anche il de­bito di famiglie ed imprese con una disoccupazione che è già al 20% e con un'economia destina­ta a ricadere in recessione.
La crisi della Spagna e soprattut­to i provvedimenti necessari per evitare che il Paese iberico faccia la fine della Grecia, aprendo sce­nari molto pericolosi, saranno dunque al centro delle discus­sioni dell'odierno vertice euro­peo.
Che sia stato un segnale premonitore la storica sconfitta di ieri contro la Svizzera ai Mon­diali di calcio?
Alfonso Tuor
cdt, oggi