Spending Review

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Dal FMI arriva Mister Spending Review, quello che voleva commissariare l’Italia

Oltre la Coltre » Dal FMI arriva Mister Spending Review, quello che voleva commissariare l?Italia

“Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”
Bertold Brecht
di Italo Romano


Il consiglio dei ministri ha nominato Carlo Cottarelli commissario per la spending review.

E’ quanto si apprende da fonti governative.

E’ l’ ennesimo personaggio elitario – fortemente voluto del premier Enrico Letta e dal ministro Saccomanni – che andrà ad occupare un ruolo strategico nello scacchiere economico-politico italiano.

I nuovi tagli alla spesa saranno decisi e imposti da lui.


Cottarelli – dal 2008 responsabile del Dipartimento Bilancio del Fmi – ha studiato alla London School of Economics, si è unito al Servizio Studi della Banca d’Italia, dove ha lavorato 1981-1987 nella Divisione settore monetario e finanziario. Dopo aver lavorato per circa un anno come capo del Servizio Studi di ENI (la principale azienda energetica italiana), il signor Cottarelli è entrato a far parte del Fondo monetario internazionale (FMI) nel 1988, ove ha ricoperto svariati incarichi, fino all’odierna investitura.
Non tutti lo ricordano, ma nel gennaio 2012 fece parlare di sé, quando nel corso di una conferenza stampa invocò riforme strutturali per il risanamento nel nostro paese, precisando però che «questo va oltre quello che l’Italia può fare da sola». Parole giustamente interpretate come una richiesta di intervento più forte dell’Europa, che ha fatto temere per una sorta di commissariamento da Bruxelles, in stile Grecia per intenderci.

Un altro burocrate – o curatore fallimentare – ha preso posto sugli scranni del Governo di un Paese subcommissariato, in preda al caos e privo di qualsiasi prospettiva.


Ogni anno dobbiamo pagare 80 mld di interessi sul debito, perchè l’Euro è una moneta privata, in mano agli usurai eurocrati che la prestano al popolo, pretendendo in cambio il pagamento di interessi.
Ogni anno con la stipula del Fiscal Compact ILLEGALE dovremo versare nelle casse dell’eurocrazia 60 mld.
Mentre questi signori invocano un taglio alla spesa pubblica: scuola, ospedali, cultura, infrastrutture etc, e il pignoramento degli asset strategici come l’unica ancora di salvezza per la ripresa economica.
Però, nessuno si è ancora degnato di spiegarci come, alla fine di queste strabilianti riforme, dovremmo riuscire a risollevarci, non avendo più uno tessuto economico su cui contare.


Ci stanno distruggendo.


L’Italia è un paese in svendita, in mano al capitale internazionale. Siamo una colonia da sottomettere alle leggi di mercato. Un Nazione destinata a diventare una fucina di mano d’opera a basso costo nella dittatura neocapitalista delle multinazionali.
Ah, dimenticavo, i fantomatici governi di sinistra – come quello attualmente in carica – sono i maggiori responsabili di questo sfacelo. In questi ultimi vent’anni – sotto copertura del puparo di Arcore – hanno lentamente tolto la maschera, mostrando il vero volto e la loro fede verso il capitale mondialista ed il neoliberismo globalizzato.

La sinistra – se mai è esistita – non c’è più, è oggi un contenitore vuoto, riempito con luoghi comuni e da ideologismi oramai fuori contesto e convinzioni indotte di pseudointellettualoidi radical chic, sempre pronti a sbrodolarti addoso il proprio ego ed uno smisurato narcisimo, ma tanto vuoti quanto il “sinistroso” contenitore che tentano vanamente di riempire.
E allora forse aveva ragione Bertold Brecht: “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”.
Dovremmo informare i prolet che ancora hanno il coraggio di votare Pd.
 
Italia vicina al collasso voluto dall’Ue, e la casta obbedisce

Svalutazione interna del 10%, vale a dire: l’Italia deve “costare” meno. Meno soldi per salari, pensioni e servizi, mettendo mano alle “riforme strutturali” neoliberiste invocate da Mario Monti e ora sul tavolo di Letta, Alfano e Saccomanni, cioè la “squadra” messa insieme da Napolitano.
E’ la drammatica “ricetta” avanzata dall’élite finanziaria mondiale per tramite del famigerato Fmi, che nella settimana della crisi-burla ha recapitato a Roma un dossier di 300 pagine in cui il braccio armato della Troika disegna l’imminente fallimento del nostro paese, prenotandone la resa: cessione dello Stato a prezzi di realizzo, smantellamento di quel che resta del welfare, ulteriore compressione degli stipendi. Il rapporto rivela che il saldo della nostra bilancia dei pagamenti è migliorato solo “per disgrazia ricevuta”: spendiamo meno per le importazioni perché stanno franando i consumi sotto la scure dell’austerità, mentre le aziende chiudono e il 25% dei giovanissimi vive in famiglie che non sanno più come arrivare alla fine del mese.

I tecnici del Fondo Monetario, una delle istituzioni che hanno pilotato la crisi dell’Eurozona nella quale stiamo sprofondando, dal momento in cui gli Stati non hanno più alcuna sovranità finanziaria, avverte che senza una “svalutazione interna” di almeno il 10% il nostro paese non tornerà competitivo. A pezzi anche il nostro sistema bancario: sta ancora in piedi solo grazie ai finanziamenti della Bce di Draghi, che però non dureranno all’infinito.
Sempre il Fmi spiega che i bilanci delle banche stanno diventando insostenibili per via del crollo del valore degli immobili detenuti come garanzia, mentre i crediti non esigibili da aziende e privati sono arrivati a 140 miliardi di euro, cifra che rappresenta il 10% del Pil. Un buco che si allargherà (nessuno sa di quanto) almeno fino al 2015. Il Fmi paventa il rischio di ulteriore declassamento dell’Italia, a cura delle solite agenzie di rating, e parla apertamente della necessità di ricorrere a «sostegni europei per evitare il collasso». E’ l’obiettivo finale di chi ha progettato l’euro-crisi: denaro vincolato, con cui Bruxelles imporrebbe in modo definitivo, come in Grecia, le sue condizioni-capestro.

A recitare una parte importante nella commedia provvedono le agenzie di rating, istituzioni screditate perché in realtà complici del sistema speculativo: il nostro rating – e di conseguenza l’interesse che paghiamo sui titoli di Stato – è a rischio se non si approverà la “legge di stabilità”, cioè la finanziaria da approntare sotto dettatura europea, non importa se scritta a Roma per salvare l’apparenza o vergata direttamente a Bruxelles.

Secondo “Fitch”, se l’Italia non eseguirà gli ordini «il paracadute del sostegno europeo di Draghi potrebbe non aprirsi». E senza quel paracadute, osserva il blog di Grillo, nessuno all’estero scommetterebbe un euro sui nostri Btp. «Prova ne è che gli investitori, dopo il nostro collasso politico, mentre compravano i Btp si coprivano dal rischio-default dell’Italia facendo schizzare del 15% in un solo giorno i Credit Default Swap (Cds), l’assicurazione sulla insolvenza dei titoli». Risultato: i Cds per l’Italia sono arrivati a 310 contro 270 per quelli spagnoli. «Significa che gli operatori sono disposti a pagare 310.000 euro pur di assicurarsi sul rischio-fallimento di 10 milioni di euro di Btp, dieci volte quello che si paga per la stessa assicurazione sui titoli americani».

Gli stranieri, avverte Grillo, hanno iniziato a mettere le mani avanti da settimane. La Lch di Londra, la stanza di compensazione che fornisce liquidità a breve alle banche in cambio di garanzie, ha detto che non coprirà più il 100% del valore dei Btp dati in garanzia dalle banche italiane come ha fatto finora: non si fida.

Jens Weidmann, il governatore della Bundesbank, ha lanciato un messaggio di allarme all’Italia dal “Financial Times” invitando le nostre banche a ridurre i titoli pubblici nei bilanci e a coprirsi dal loro rischio con nuovi capitali, oggi pari a zero. «Draghi dovrà tranquillizzare il mercato su un terzo round di liquidità in arrivo alle banche in cambio di titoli di debito pubblico dati in garanzia (il famoso Ltro) senza il quale le nostre banche non avrebbero più ossigeno». Dopo tanti segnali di allarme, scrive il blog 5 Stelle, «ci si aspetterebbe che il nostro paese alzasse finalmente la testa». Invece, si defenestra Paolo Cucchiani – capo della prima banca italiana, Intesa SanPaolo – «perché si è opposto all’acquisto-fusione del Monte dei Paschi». In un paese normale «dovrebbe essere lo Stato a salvare le banche, nazionalizzandole», mentre «nel nostro si prova a metterne insieme due che hanno un totale di 150 miliardi di euro di Btp in pancia per salvare lo Stato».

L’unica via d’uscita da questo tunnel è contenuta in due parole semplicissime: sovranità monetaria. E’ indispensabile, per consentire allo Stato di disporre del denaro necessario a far fronte alla spesa pubblica, senza la quale crolla – come si vede – anche l’economia privata. Il dramma? Dagli anni ’80, con lo storico divorzio dal Tesoro organizzato da Ciampi e Andreatta, Bankitalia ha cessato di essere il “bancomat” del governo: da quel momento, per finanziarsi, lo Stato ha dovuto ricorrere alla finanza speculativa con la vendita dei propri titoli, da rimborsare poi con gli interessi. Retromarcia impossibile, poi, dopo il Trattato di Maastricht: oggi la Banca d’Italia non potrebbe emettere euro neppure se lo volesse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: lo Stato è costretto a elemosinare denaro, la Bce può rifornire solo le banche private, le tasse sono diventate – per la prima volta nella storia – una fonte finanziaria per far funzionare i servizi, fino a ieri coperti invece dal ricorso strategico al deficit, cioè lo strumento naturale con cui lo Stato sovrano costruisce scuole, ospedali e infrastrutture, “anticipando” denaro.

La crisi europea – un conto alla rovescia sempre più drammatico, data l’insostenibilità del sistema – è ormai al centro delle attenzioni degli economisti indipendenti di tutto il mondo, ma non c’è pericolo che il tema venga affrontato in modo serio dai nostri media. Non ne parla nessuno: né Confindustria, né i sindacati. Buio pesto dalla politica: Letta e Alfano, Cicchitto e Quagliariello, Epifani e Renzi. Nessuno di loro ha mai osato neppure porre ufficialmente il problema, cristallizzato in forma di totem dal dogma su cui vigila Napolitano: agli ordini di Bruxelles e Francoforte si deve semplicemente obbedire, così come a quelli di Washington se si tratta di fare la guerra in Afghanistan e acquistare gli F-35. In cambio, la piccola casta italiana si consola con appaltucci alla sua portata, come l’inutile Tav Torino-Lione. Intavolare un vero dibattito su come salvare il paese? Impossibile. «In un momento come questo è impensabile provare a riformare la politica europea», ha detto a “La7” Nichi Vendola, uno che in teoria dovrebbe fare il politico, non il turista televisivo dello studio di Lilli Gruber.

fonte: Italia vicina al collasso voluto dall?Ue, e la casta obbedisce | LIBRE





 
e' peggio di questo ?

C'è anche il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama ( notare dove hanno messo un tipo cosi'..ndr), il senatore del Pdl Antonio Azzollini, tra gli indagati nell'inchiesta sulla presunta maxifrode da 150 milioni per la costruzione del nuovo porto di Molfetta che oggi è stato sequestrato insieme a 33 milioni di finanziamenti pubblici non ancora erogati.
 
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Ci stanno distruggendo.


L’Italia è un paese in svendita, in mano al capitale internazionale. Siamo una colonia da sottomettere alle leggi di mercato. Un Nazione destinata a diventare una fucina di mano d’opera a basso costo nella dittatura neocapitalista delle multinazionali.
Ah, dimenticavo, i fantomatici governi di sinistra – come quello attualmente in carica – sono i maggiori responsabili di questo sfacelo. In questi ultimi vent’anni – sotto copertura del puparo di Arcore – hanno lentamente tolto la maschera, mostrando il vero volto e la loro fede verso il capitale mondialista ed il neoliberismo globalizzato.

La sinistra – se mai è esistita – non c’è più, è oggi un contenitore vuoto, riempito con luoghi comuni e da ideologismi oramai fuori contesto e convinzioni indotte di pseudointellettualoidi radical chic, sempre pronti a sbrodolarti addoso il proprio ego ed uno smisurato narcisimo, ma tanto vuoti quanto il “sinistroso” contenitore che tentano vanamente di riempire.
E allora forse aveva ragione Bertold Brecht: “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”.
Dovremmo informare i prolet che ancora hanno il coraggio di votare Pd.


hai reso bene l'idea , con il puparo di arcore , e proprio x questo sei un po ingeneroso verso la sinistra che ha subito negli anni un po la forza mediatica ma anche truffaldina del cavaliere ....

ricordo solo che c'è un ennesimo processo in corso x compravendita di senatori (2008) e ricordo ancora il 2011 quando si è perso la maggioranza x strada e mollo' la spugna a monti.......passo' un intero anno non solo a cercare senatori x rimanere in sella....ma blocco' letteralmente l'attivita' di governo scivolando nell'inerzia assoluta.

non sono qui a difendere la sinistra ...ma questo va detto x correttezza ...e la differenza sostanziale ...che nella sinistra c'è sempre la gente con i segretari che si avvicendano, le primarie etc, mentre nella destra c'è berlusconi e suoi dipendenti in primis .
 
Miur, tre milioni al laboratorio delle ricerche fantasma: “Non lavoriamo mai”

Il finanziamento, destinato al Myrmex di Catania, non è mai decollato. I dipendenti del laboratorio, eccellente centro di tossicologia (ma il super-progetto "Cadaver lab" non è mai decollato) e fino al 2011 proprietà di Pfizer, parlano al Fatto Quotidiano: "Riceviamo regolarmente lo stipendio, ma molti di noi passano la giornata al pc, guardando film o leggendo libri"


di Antonio Massari | 21 ottobre 2013Commenti (489)

laboratorio-ricercatori-interna.jpg
Più informazioni su: Catania, Cnr, Fondi, Gianni Letta, Guardia di Finanza, Miur, Pfizer, Regione Sicilia, Ricercatori, Spese.


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Pasquale dice che è routine. Che in laboratorio funziona così da due anni a questa parte: c’è chi gioca a dama con il computer, chi legge un romanzo, chi guarda un film, chi lavora con l’uncinetto. Di lavorare, invece, non se ne parla. Però a fine mese arriva – regolarmente – lo stipendio. È uno dei 76 ricercatori del laboratorio Myrmex di Catania, eccellente centro di tossicologia, fino al 2011 proprietà di Pfizer. Qui ci si occupa di ricerca. E un progetto targato Myrmex – confermano fonti del Ministero – l’abbiamo pagato, tre mesi fa, con ben 3 milioni di euro. Soldi pubblici. La quietanza della Banca d’Italia è datata 7 agosto 2013.

Il progetto è stato ereditato dalla gestione Pfizer ma Antonio – è un nome di fantasia – rivela: “la nostra ricerca, negli ultimi due anni, è stata realizzata solo sulla carta: a questo progetto non ho lavorato neanche un minuto. Ho firmato documenti nei quali dichiaravo d’aver lavorato molte ore: è falso. Ho firmato per timore di perdere il lavoro, non sono l’unico, ma ora sono stanco: aspetto che un magistrato mi convochi, per raccontargli tutto, spero che la Guardia di Finanza entri nei nostri uffici. Non abbiamo neanche i reagenti. Sono tutti scaduti. Di quale ricerca parliamo?”. Abbiamo provato a contattare l’amministratore delegato di Myrmex, Gian Luca Calvi, ma ci ha fatto sapere che non intende risponderci. Stesso risultato con il direttore del centro Salvatore Celeste. Non ci resta, quindi, che la parola di Antonio, due suoi colleghi di lavoro, e dei sindacati.

Torniamo al laboratorio di ricerca. Parliamo di un eccellente centro di tossicologia: nel 2009 Pfizer assorbe la rivale Wyeth e, con essa, anche il laboratorio catanese. In seguito all’acquisizione, Pfizer Italia inizia un processo di riorganizzazione, che vede coinvolto il centro e, all’inizio del 2011, giunge la notizia della sua futura dismissione e della mobilità per i suoi dipendenti.
Il 16 settembre 2011 Pfizer cede il centro alla Myrmex, azienda amministrata da Gian Luca Calvi, protagonista nel settore sanitario ma in ben altro mercato, quello delle protesi ortopediche. Calvi rileva un laboratorio con standard di efficienza internazionali, superficie di 10mila metri quadi e – soprattutto – riceve una dote eccezionale: i programmi di ricerca, in collaborazione con il Cnr e l’Istituto superiore di Sanità, finanziati dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur).

Un euro
Quanto spende, Calvi, per quest’operazione? Un euro. È questo il prezzo che paga alla Pfizer. Può sembrare assurdo ma in realtà, dato il mercato, non si tratta di una vera e propria anomalia. Semplificando: il laboratorio non ha clienti, poiché lavora esclusivamente per Pfizer, quindi è necessario un periodo d’avviamento – circa due anni – per cercare nuove commesse. Il periodo di avviamento, nella trattativa con Pfizer, è quantificato con un passivo: 15,8 milioni di euro. In gergo si chiama bad will – avviamento negativo – ed è per questo motivo che, all’insaputa dei sindacati, Myrmex acquista a un solo euro. In realtà, al prezzo di un euro, acquista comunque una fabbricato che vale 10 milioni, macchinari da 12,6 milioni e attrezzature di laboratorio per altri 12,5. L’intero laboratorio, nel rogito notarile, viene valutato ben 37,7 milioni di euro. Ma come arriviamo a questo punto?
La storia
A inizio 2011 Pfizer intende dismettere il centro di ricerca e annuncia la mobilità per i ricercatori: i sindacati si allarmano, contattano il prefetto di Catania, che a sua volta chiede l’intervento della Regione. A marzo interviene Gianni Letta, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che il 14 marzo scrive una nota al presidente della Regione e – si legge negli atti – manifesta il suo “interesse” per la “ricerca di una soluzione” che preservi i lavoratori e “la continuità dei progetti scientifici avviati con il Cnr”. Anche Pfizer chiede l’intervento di Regione e Governo per “trasferire il centro a terze parti qualificate”. Fino a quel momento – si legge ancora negli atti – i “tentativi intrapresi da Pfizer, per valutare potenzialipartners, in grado di assicurare il futuro del centro e mantenere l’occupazione, sono risultati infruttuosi”. La Nerviano Medical Science provò ad acquistare il laboratorio, senza riuscirvi, forse l’offerta non era competitiva ma la società, che discende da Farmitalia, ha una lunga esperienza nel settore della ricerca farmacologica. Calvi invece s’è sempre occupato di protesi ortopediche: è questo, da sempre, il suo core business. Tre anni fa tentò di acquistare la Tecnohospital di Gianpi Tarantini, anch’egli imprenditore nel ramo protesi, che nel frattempo era finito sotto processo per le donne portate a Silvio Berlusconi. L’operazione naufragò: l’azienda non era vendibile perché fallita. Suo fratello Gian Michele è stato a lungo il braccio destro di Guido Bertolaso, all’epoca capo della Protezione Civile, ed è lo stesso Paolo Berlusconi, in un’intercettazione del 2008, a confermarlo: “Calvi… probabilmente è un suo uomo (di Bertolaso, ndr)”.
Il re delle protesi batte quindi la concorrenza e nell’autunno 2011 chiude la partita: Calvi vuole ulteriori garanzie e la Regione Sicilia s’impegna a un finanziamento pubblico – mai erogato – di 4,5 milioni di euro per tre anni. In cambio, però, la Regione fissa una clausola determinante: se Myrmex non adempie gli accordi s’impegna a cedere il centro, alla stessa Regione, per un solo euro. Nel frattempo Calvi s’impegna con Pfizer a mantenere per due anni i contratti stipulati con i ricercatori: i due anni sono scaduti il 16 settembre e i lavoratori sono sempre più preoccupati. “Abbiamo chiesto ad agosto un incontro con le istituzioni ma al momento ci sentiamo abbandonati”, dice Giuseppe d’Aquila, segretario catanese Filctem Cgil.

“Il piano industriale di Calvi è stato completamente disatteso”. E nel piano industriale – quello presentato ai sindacati – c’è spazio anche per un “cadaver lab”: parliamo di ricerca su organi umani. Non è neanche chiaro se, questo tipo di ricerca, sia pienamente disciplinata dalle leggi italiane. Proprio in questi giorni il Parlamento sta discutendo un disegno di legge sulla materia. E comunque, dicono i ricercatori, questo “cadaver lab” non s’è mai visto. “A un certo punto si vociferava che sarebbero giunti organi umani dall’estero. Voci. Niente di più. Come il resto del piano industriale. Qui non abbiamo visto niente di niente”. Eppure si trattava di un piano industriale ambizioso: processazione di tessuti umani e ricerca per la terapia cellulare. Alcuni fondi pubblici non sono ancora stati erogati – un vecchio bando, spiegano dal Miur, è saltato e per due progetti si attendono le necessarie fidejussioni bancarie – e i 76 ricercatori sono sempre più in crisi. Dice Giuseppe La Mendola, segretario provinciale Fialc Cisal, che da anni si occupa della vertenza Myrmex: “La situazione – dice – è molto grave. Dal settembre 2011, il piano industriale presentato dall’avvocato Gian Luca Calvi, non è stato realizzato, tranne la parte del trasferimento di studi di ricerca trasferiti da Pfizer. Non so se siano stati realizzati oppure no: la Myrmex nelle riunioni sindacali sul punto è sempre stata molto vaga. Il direttore del centro ci ha detto che la Myrmex è in uno stallo produttivo, generato da più fattori, il primo è la lungaggine del Miur nel trasferimento dei fondi”.
Il ministero ha erogato il 7 agosto 3 milioni di euro: “Se lo dichiara il ministero sarà vero”. Alcuni dipendenti dichiarano di aver firmato documenti in cui attestavano di aver lavorato ore nelle quali, invece, non hanno partecipato alle attività lavorative.
“L’ho letto sul Fatto Quotidiano. È un fatto risaputo, nessuno aveva il coraggio di denunciarlo, l’hanno detto anche a me, ma mi hanno pregato di non denunciare la vicenda a nessuno. Sono felice che abbiano trovato il coraggio di dirlo: io ho potuto fare soltanto un esposto, in linea generale, alla Guardia di Finanza, all’ispettorato del lavoro e alla Procura. Se non s’interviene subito, le professionalità di queste persone rischiano di essere distrutte, ma finora dalla Regione, che a mio avviso dovrebbe intervenire immediatamente, non s’è ancora mossa. Sui progetti di ricerca, spero che la magistratura faccia chiarezza, chiedo ufficialmente che la procura e la Guardia di Finanza convochino almeno i sindacati: abbiamo molto da dire su questa vicenda. Ed è necessario che la Regione intervenga il prima possibile”.
(montaggio video a cura di Gisella Ruccia)
 

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