Macroeconomia Usa-Europa strategie di investimento

........................previsione piuttosto svizzera....

Focus: industria orologiera svizzera sotto pressione


Le prospettive economiche nell'industria orologiera svizzera
sono nettamente peggiorate nel corso dell'anno. A gennaio ha
dovuto essere assorbita l'eliminazione del limite minimo
dell’euro. Inoltre, la crescita si sta indebolendo ulteriormente
nei paesi emergenti importanti per le esportazioni di orologi. Le
economie dipendenti dalle materie prime devono far fronte
all'indebolimento congiunturale già dalla flessione del prezzo
del petrolio nell'estate 2014. Il rallentamento della crescita in
Cina e possibili effetti di contagio, soprattutto per i paesi emergenti,
rafforza il rischio di un calo delle esportazioni di orologi.
Di conseguenza, la fiducia delle imprese nel settore è scesa al
livello più basso dal 2009, quando l'economia mondiale aveva
dovuto sopportare la crisi immobiliare e la crisi finanziaria..
Peggioramento della fiducia delle imprese nell'industria
orologiera
Rispetto all'anno precedente, l'effetto negativo dei paesi emergenti
e dei paesi ricchi di materie prime sulle esportazioni di
orologi è evidente. Ancora nel 2014, da gennaio a settembre a
Hong Kong e in Cina sono stati esportati orologi per un valore
di CHF 4.1 miliardi e un franco su quattro è stato guadagnato
nelle esportazioni in questo mercato. Nello stesso periodo del
2015, queste esportazioni sono cadute a CHF 3.4 miliardi. Pertanto,
il più importante mercato di sbocco ha dovuto subire la
correzione più forte . Nello stesso periodo, le
esportazioni di orologi negli Emirati Arabi Uniti sono diminuite
di quasi il 10% a quasi 700 milioni. La solida crescita economica
negli Stati Uniti e la persistente ripresa nell'Eurozona non sono
riuscite a compensare il negativo effetto della Cina e delle materie
prime. Le esportazioni negli Stati Uniti e nei tre mercati di
sbocco più importanti dell'Eurozona – Germania, Francia e Italia
– sono aumentate cumulativamente di poco più di CHF 250 milioni.
L'esiguo aumento delle esportazioni di orologi negli Stati
Uniti delude anche a causa del favorevole andamento nel dollaro,
che nel periodo di osservazione si è nettamente rivalutato.
Per contro, il lieve aumento nei più importanti paesi acquirenti
dell'Eurozona è incoraggiante anche perché l'euro nell'anno
precedente veniva scambiato costantemente sopra 1.20 e il risultato
di quest'anno è stato ottenuto con un corso medio di
1.06.
L'entità del rallentamento della crescita, che senza dubbio l'economia
svizzera subirà nel 2015, dipenderà soprattutto dal risultato
del commercio estero. Dopo che il primo semestre ha
mostrato solo una moderata flessione delle esportazioni, la statistica
recentemente pubblicata delle esportazioni per il T3 ha
attirato l'attenzione. Rispetto al secondo trimestre, le esportazioni
sono crollate in termini reali del 5.1% e indicano che una
rapida ripresa congiunturale è poco probabile. Dall'altro lato,
gli indicatori anticipatori segnalano già di nuovo una leggera
espansione. E anche la tendenza positiva nell'EUR/CHF da luglio
potrebbe avere un effetto di supporto.
La dinamica nell'industria orologiera non dovrebbe tuttavia tenere
il passo con l'andamento economico complessivo in Svizzera,
perlomeno fino a quando nei più importanti mercati di
sbocco asiatici non si delineerà una ripresa. Con quasi il 4%
dell'intera creazione di valore svizzera, l'industria orologiera è
importante e si trova per esempio solo di poco dietro al settore
farmaceutico. All'economia complessiva manca quindi attualmente
un importate sostegno alla crescita.
 
.................................

 La congiuntura USA si indebolisce ulteriormente


Come previsto, anche a ottobre la Banca centrale statunitense
non si è decisa ad aumentare i tassi. Janet Yellen ha tuttavia
sorprendentemente messo in evidenza le condizioni per un
possibile aumento dei tassi – e non come finora le condizioni
per un ulteriore mantenimento dei tassi bassi. I mercati hanno
reagito con una crescita dal 33% a quasi il 50% dell'aspettativa
di un aumento dei tassi a dicembre e un conseguente forte
incremento dei tassi statunitensi all'estremità breve. Contemporaneamente
l'USD si è rafforzato, mentre l'EUR/USD è temporaneamente
crollato sotto l'1.09. L'aspetto valutario dovrebbe
quindi essere anche il forte elemento frenante per
quanto riguarda le considerazioni di un aumento dei tassi a
dicembre. Infatti, anche se l'economia reale e i mercati potrebbero
nel frattempo assorbire un aumento dei tassi, la Fed ci
penserà bene prima di far ulteriormente rafforzare l'USD con
una normalizzazione della politica monetaria. Tuttavia, quanto
più i banchieri centrali statunitensi aspettano, tanto più maggiore
diventa il rischio di lasciarsi sfuggire l'uscita dall'attuale
politica dei tassi bassi. Stanno infatti aumentando i segnali che
l'economia statunitense non può mantenere il solido percorso
di espansione che dura dal 2009 e che la dinamica di crescita
sta frenando. Nel complesso, nonostante il sempre solido consumo
interno la crescita del PIL annualizzata del 3.9% nel T2 è
diminuita all'1.5% nel T3. La prossima settimana c'è inoltre il
rischio che l'indice ISM dei responsabili degli acquisti per l'industria
manifatturiera per ottobre scenda sotto la soglia di
espansione di 50 punti, il che dalla crisi economica globale si
era verificato solo una volta. Con oltre 55 punti, il pendant per
il settore dei servizi dovrebbe mostrare ancora un valore elevato,
ma nettamente inferiore alla media degli ultimi 12 mesi.
Anche il mercato del lavoro sembra mostrare una dinamica
sempre debole: Per i nuovi posti di lavoro senza l'agricoltura, i
cui dati saranno pubblicati fra una settimana, si prevede ancora
una volta un valore nettamente inferiore a 200'000.
Anche in Svizzera, l'indice dei responsabili degli acquisti per
ottobre non dovrebbe indicare un inizio dinamico nell'ultimo
trimestre. Il cammino per uscire dal rallentamento della crescita
rimane accidentato. Lo segnalano anche altri indicatori
congiunturali, quali il barometro KOF, che a ottobre è calato a
99.8 punti. Ma anche la stagione delle comunicazioni relative
al T3 evidenzia che le aziende svizzere devono far fronte ai persistenti
ostacoli globali e talvolta anche al forte franco. Rispetto
all'anno precedente, in alcuni casi i profitti aziendali sono di
molto inferiori a quelli del valore dell'anno precedente. Le previsioni
per l'occupazione, inoltre, non sono incoraggianti. Ciò
dovrebbe riflettersi anche nell'indicatore SECO della fiducia dei
consumatori. A luglio, questo è crollato a -19 punti e a ottobre
le previsioni sulla situazione economica generale e sulle prospettive
occupazionali non dovrebbero essere migliorate. Inoltre,
rispetto all'anno precedente i prezzi al consumo dovrebbero
essere diminuiti di nuovo – ancora una volta alimentati
dal calo dei prezzi della benzina e dell'olio combustibile rispetto
all'anno precedente, calo che a causa dell'effetto valutario
a seguito del leggero aumento dell'USD è stato attenuato
solo in misura minima.
Ai bassi prezzi dell'energia deve far fronte anche la Bank of
Japan, che si è vista costretta a una riduzione delle previsioni
inflazionistiche e di crescita. I banchieri centrali giapponesi tentano
da un anno di contrastare la minaccia di cadere in una
recessione tecnica con una politica monetaria ultraespansiva,
il che rappresenta un'impresa difficile, non da ultimo a causa
della persistente debolezza dei paesi emergenti.
Già all'inizio della settimana, con l'indice dei responsabili degli
acquisti cinese potrebbe essere preparato il terremo per il clima
del mercato dei prossimi giorni. Dopo la riduzione dei tassi di
riferimento di venerdì scorso e la disponibilità segnalata dalla
Banca centrale cinese di effettuare all'occorrenza altri interventi,
dopo gli ultimi tre cali consecutivi l'indicatore dovrebbe
migliorare di nuovo leggermente, anche se l'area di espansione
dovrebbe essere sempre molto lontana.
Segnali positivi giungono invece dall'Eurozona e soprattutto
dall'Italia, dove la fiducia delle imprese è salita al valore migliore
degli ultimi 8 anni. La terza economia dell'Eurozona, in
recessione negli ultimi tre anni, dovrebbe quindi supportare la
moderata ripresa dell’Unione monetaria.
 
..................oggi sembra estate... buon w....

La Banca centrale statunitense continua a prendere seriamente
in considerazione un primo aumento dei tassi a dicembre. Ciò
è stato nuovamente accennato dalla Presidentessa della Fed,
Janet Yellen, nell'ambito di un'audizione al Congresso. L'economia
sarebbe in buona condizione, soprattutto il consumo
privato. E se il mercato del lavoro mostrasse ulteriori progressi,
un aumento dei tassi a dicembre sarebbe una reale possibilità.
I mercati a termine hanno reagito con un incremento dell'aspettativa
di aumento dei tassi a dicembre. La probabilità di un
aumento dei tassi entro la fine dell'anno è ora a quasi il 60%.
La fiducia molto robusta delle imprese nel settore dei servizi
supporta la positiva stima di Janet Yellen sulla situazione economica.
Ciò dovrebbe essere confermato settimana prossima
anche dai fatturati della vendita al dettaglio. Dall'altro lato, il
basso prezzo del petrolio e il forte dollaro, che dopo le dichiarazioni
di Yellen è ulteriormente aumentato, costituiscono
sempre forti ostacoli per l'industria. Mentre l'indice dei responsabili
degli acquisti per il settore dei servizi è salito ad un alto
59.1, la fiducia delle imprese nell'industria manifatturiera riesce
a mantenersi solo di poco sopra l'importante livello di 50.
L'aumento dei tassi a dicembre dipende ora soprattutto dai
dati del mercato del lavoro e dall'ulteriore andamento del dollaro
statunitense. Noi continuiamo a prevedere l'inversione dei
tassi solo a marzo. In definitiva la previsione sul futuro percorso
dei tassi è tuttavia più importante del momento esatto del loro
primo aumento. E poiché nonostante il ciclo congiunturale già
molto avanzato non esiste ancora alcun segnale di un sensibile
aumento dell'inflazione, la previsione di un aumento solo lento
dei tassi è rimasta invariata.
La Banca centrale europea accoglierebbe sicuramente con favore
un prossimo aumento dei tassi della Fed. La prospettiva
di un aumento dei tassi statunitensi a dicembre ha di nuovo
frenato l'EUR/USD già sotto pressione. Ciò riduce la necessità
di ulteriori misure politico-economiche da parte della BCE. Inoltre,
la dinamica congiunturale nell'Eurozona è sempre robusta.
La prossima settimana, i dati del PIL dovrebbero mostrare un
aumento trimestrale dello 0.4%. Il tempo di espansione rimane
quindi in linea con quello degli ultimi trimestri. Finora, la domanda
interna, supportata dalla bassa inflazione e dall'aumento
dell'occupazione, può compensare la debole domanda
dei paesi emergenti. Di conseguenza, la fiducia delle imprese
continua a essere positiva, come mostrano gli indici dei responsabili
degli acquisti per ottobre. Ciononostante questa settimana
Mario Draghi ha ripetuto che i rischi ribassisti per le prospettive
congiunturali e inflazionistiche rimangono elevati a
causa dell'indebolimento nei paesi emergenti e di altri fattori
esterni. Alla riunione del Consiglio di dicembre occorrerà
quindi verificare se l'attuale politica monetaria è ancora adeguata.
La retorica allarmante dei funzionari della BCE ha aumentato
notevolmente le previsioni di ulteriori misure di allentamento
a dicembre.
La prossima settimana sono in primo piano soprattutto i dati
congiunturali cinesi per ottobre. Gli indici dei responsabili degli
acquisti sono leggermente migliorati. Questi sono buoni segnali
per i dati significativi. Il rallentamento della crescita rimane
controllato, grazie alle misure di stimolo del governo, per
il quale diventerà però sempre più difficile raggiungere i propri
ambiziosi obiettivi di crescita. Il nuovo piano quinquennale prevede
per i prossimi anni una crescita media del PIL del 6.5%.
Questo esige molto dal settore dei servizi e il nuovo orientamento
dell'economia cinese. Infatti la crescita della produzione
industriale ammonta già ora «solo» al 6% circa. Indicatori,
quali produzione di energia e volume dei trasporti, segnalano
addirittura una dinamica ancora più debole. A causa degli elevati
esuberi di capacità e della bassa quota di produzione di
prodotti a intensa creazione di valore nel confronto internazionale,
non prevediamo alcuna rapida ripresa dell'industria cinese.
 
.......un pensiero....... ai caduti.....ingiustamente......

In Giappone, la prossima settimana dovrebbe aprirsi la via per
un nuovo capitolo sul tema della politica monetaria ultraespansiva.
Infatti, con la stima del PIL per il terzo trimestre, che sarà
pubblicata lunedì, si prevede che l'impero per la seconda volta
dall'autunno 2014 ricadrà in una recessione tecnica. Giovedì,
la Banca centrale giapponese non dovrebbe ancora decidere
alcun aumento del programma di acquisti di titoli, che ammonta
annualmente a circa YEN 80 bilioni (circa CHF 650 miliardi),
se la crescita trimestrale negativa dovesse essere in linea
con le attese. La pressione per un ulteriore allentamento politico-monetario
dovrebbe però aumentare ulteriormente a
causa della recessione dopo le previsioni sull'inflazione e sulla
crescita già riviste al ribasso.
Mentre negli Stati Uniti l'inizio della normalizzazione dei tassi
dopo il rapporto sorprendentemente buono sul mercato del
lavoro si è avvicinato, il percorso politico-monetario del Giappone
va quindi nella stessa direzione di quello della BCE. Infatti,
dopo il chiaro annuncio di Mario Draghi di un possibile ampliamento
del programma di acquisti di obbligazioni, la BCE è in
un certo senso costretta a far seguire i fatti alle parole. Nonostante
la crisi dei paesi emergenti, dovrebbe quindi proseguire
la prudente ripresa dell'Eurozona, confermata dai dati del terzo
trimestre. Non solo l'Eurozona nel complesso, infatti, ma anche
i due paesi dominanti Germania e Francia, hanno registrato
una crescita conforme alle aspettative rispetto al trimestre
precedente. Particolarmente positivo, con un incremento
dello 0.3%, è l'andamento della Francia, non troppo incline
alle riforme, che nel trimestre precedente si trovava ancora in
fase di stagnazione.
Diversamente dai dati del PIL, il tasso d'inflazione UEM dovrebbe
invece continuare a destare preoccupazioni per la BCE.
Tanto più che ultimamente il forte USD e i deboli dati della Cina
hanno ancora penalizzato le materie prime.
Tuttavia, per il momento l'attenzione dei funzionari della BCE
è rivolta meno ai dati dell'inflazione e più a Toronto. Infatti, in
quella città la relativamente piccola agenzia di rating DBRS valuta
questo venerdì la solvibilità del Portogallo. E mentre le altre
agenzie di rating hanno già classificato i titoli di stato del
Portogallo come titoli spazzatura, la DBRS, come unica agenzia
decisiva per la BCE, vede attualmente i titoli portoghesi ancora
come investment grade, il che per la BCE è di fondamentale
importanza. Infatti, affinché le obbligazioni di un paese
dell'euro possano essere acquistate nell'ambito del programma
di acquisti di obbligazioni, la valutazione di almeno
una delle agenzie riconosciute dalla BCE deve classificare i titoli
perlomeno come BBB risp. Baa (Moody's). Se la DBRS cambiasse
ora quest'ultima valutazione investment grade a causa
dell'imminente alleanza di governo tra socialisti contrari alle riforme,
comunisti e verdi, la BCE dovrebbe allora escludere il
Portogallo dal proprio programma di acquisti. Un tale passo
dovrebbe far impennare i tassi d'interesse dei titoli di stato portoghesi
e determinare un nuovo nervosismo sui mercati. Proprio
a causa di questi possibili effetti prevediamo tuttavia che
la DBRS non classificherà (ancora) le obbligazioni portoghesi
come titoli spazzatura, ma ridurrà solo la previsione da stabile
a negativa.
Preoccupazioni di ben altra natura tormentano invece gli Stati
Uniti, dove l'industria manifatturiera deve sempre far fronte a
difficili ostacoli. Per la produzione industriale di ottobre si prevede
di nuovo un leggero aumento per la prima volta dopo tre
mesi, ma l'indice è sempre al di sotto del valore dell'inizio
dell'anno. Un andamento che è stato riscontrato per l'ultima
volta nel 2009. Negativi per l'industria statunitense sono soprattutto
la crisi nel settore dell'energia, causata dal basso
prezzo del petrolio, i deboli paesi emergenti e la forte valuta,
che di recente è ancora salita a causa dell'aumento delle pre
visioni sui tassi
 
..................................

Focus: borse in balia dell'inversione dei tassi
USA
Attualmente le borse sono dominate dalla domanda sulla possibile
reazione del mercato alla prossima inversione dei tassi negli
Stati Uniti. Anche se assegniamo a un aumento dei tassi a
marzo 2016 una probabilità leggermente superiore rispetto a
dicembre 2015, l'inversione si sta senza dubbio avvicinando.
Uno sguardo agli aumenti dei tassi statunitensi in passato non
fornisce alcuna chiara indicazione sulla reazione dei mercati.
Inversione dei tassi 1994 – lo SPI crolla
L'inversione dei tassi statunitensi nel 1994 è stato spettacolare
per il mercato azionario svizzero. Le differenze rispetto all'attuale
situazione sono però così nette che quel ciclo dei tassi non
è adatto come indicazione per l'andamento nel prossimo futuro.
Dopo la recessione nel 1991, l'economia USA era tornata
di nuovo robusta e nel 1994 aveva registrato una crescita del
4%. Anche le prospettive di crescita erano intatte e quindi il
mercato azionario statunitense fino alla fine del 1994 si era
mosso lateralmente nonostante l'aumento dei tassi e nell'anno
successivo aveva registrato forti aumenti. Diversa la situazione
in Svizzera. L'andamento economico era debole. Dopo la crisi
immobiliare gli investimenti erano rimasti ancora sotto pressione.
Nei mesi dopo l'aumento dei tassi USA, lo Swiss Performance
Index (SPI) diminuiva continuamente e aveva perso quasi
il 20% del suo valore (ved. grafico). Quasi due anni dopo l'aumento
dei tassi statunitensi, lo SPI era di nuovo al livello iniziale.
Con il forte franco la situazione congiunturale in Svizzera è difficile
anche oggi, ma una recessione dovrebbe essere evitata
grazie alla robusta congiuntura dell'Eurozona.
L'inversione dei tassi nel 1999 non lascia alcuna impressione
negativa
Nel 1999 i tassi sono aumentati in 12 mesi di 1.75 punti percentuali
(ved. grafico). La Banca centrale statunitense aveva in
precedenza diminuito i tassi a causa della crisi asiatica. Al ritorno
dell'ottimismo congiunturale queste riduzioni erano state
di nuovo annullate. I mercati avevano iniziato un forte rialzo
nonostante i tassi più elevati – fino allo scoppio della bolla delle
dot-com nel 2000.
2004: leggera correzione nonostante l'annuncio
Dopo la moderata partenza economica nel nuovo millennio, nel
2002 l'economia USA ha di nuovo accelerato e nel T3 2003 ha
registrato una fortissima crescita annualizzata del 6.9%. Su un
aumento dei tassi a giugno 2004 non c'erano dubbi. 141 dei
143 economisti interrogati da Bloomberg avevano previsto un
aumento dei tassi. Tuttavia, i mercati azionari non erano rimasti
del tutto indifferenti. Già in precedenza, nello SPI si era registrata
una stagnazione e nelle settimane dopo l'aumento dei
tassi, l'indice era sceso di poco oltre il 5%, prima della nuova
rapida ripresa.
Oggi: rapidità più decisiva del momento
Il verbale pubblicato questa settimana della recente riunione
della Banca centrale statunitense della fine di ottobre ha confermato
che i membri della Fed stanno prendendo senz'altro in
considerazione un aumento dei tassi a dicembre. I mercati azionari
hanno reagito tuttavia con calma. Questa reazione dipende
certamente dal fatto che il percorso di aumento dei tassi dovrebbe
essere molto moderato. Nella loro ultima previsione, i
membri della Fed hanno previsto un aumento dei tassi di 25
punti base per trimestre.
Anche se attualmente i mercati azionari non si mostrano preoccupati
per un possibile aumento dei tassi a dicembre, l'attuazione
non dovrebbe però lasciare i mercati del tutto indifferenti.
Infatti, rispetto ai cicli precedenti nella situazione attuale la particolarità
di questa fase di tassi bassi è la durata. Le riduzioni dei
tassi negli Stati Uniti sono cominciate nell'autunno del 2007 e
il tasso di riferimento è rimasto invariato all'attuale livello da
gennaio 2009. Il rischio di temporanee distorsioni sui mercati
azionari e obbligazionari non si può negare.
Particolare nel ciclo attuale è però anche la lunga preparazione
verbale da parte dei banchieri centrali. Già con la fine del programma
di acquisti di obbligazioni USA nel 2013 le discussioni
sull'aumento dei tassi si erano intensificate. Il possibile inizio è
stato tuttavia sempre rimandato. Un aumento dei tassi a dicembre
o a marzo non sarebbe quindi certamente una sorpresa,
come per esempio l'aumento dei tassi nel 1994.
I crediti diventano però più cari solo con l'effettivo aumento dei
tassi – anche i crediti per gli acquisti di azioni e per le acquisizioni
aziendali. Pertanto, probabilmente anche la prossima inversione
dei tassi non lascerà del tutto indifferenti i mercati, anche
se non prevediamo alcun crollo.
 
...............................

I prossimi giorni saranno tuttavia caratterizzati dai dati dell'Eurozona
e degli Stati Uniti, che possono avere effetti sulla politica
monetaria in entrambe le aree economiche. Negli Stati
Uniti sarà pubblicato il rapporto sul mercato del lavoro per
novembre e quindi il fattore principale per la decisione sui
tassi USA il 16 dicembre. A nostro parere, il buon valore del
mese precedente per i 271'000 nuovi posti di lavoro al di fuori
del settore agricolo non può essere ripetuto. Tuttavia, anche
un valore di poco inferiore ai 200'000 posti di lavoro dovrebbe
essere sufficiente per mantenere alta la probabilità di au
mento dei tassi negli USA per dicembre, che attualmente, misurata
in base ai future su tassi, ammonta al 72%. L'indice dei
responsabili degli acquisti ISM per l'industria manifatturiera
fornisce indicazioni sull'attuale situazione dell'economia statunitense.
Con 50.1 punti, quest'indice è solo di poco nel settore
di espansione. Uno scivolamento sotto i 50 punti potrebbe
generare una nuova valutazione per le aspettative di
aumento dei tassi, anche se l'indice per il settore dei servizi
indica una dinamica sempre forte.
Mentre la Fed desidera aumentare i tassi per dare un segnale
che l'economia procede con slancio sufficiente, la tendenza
nell'Eurozona è opposta. I funzionari della BCE mettono nettamente
in primo piano le preoccupazioni per la crescita economica
e l'inflazione troppo bassa. Infatti, il Presidente della
BCE Draghi vuole intervenire ancora a livello politico-monetario,
dopo aver già annunciato un possibile ampliamento delle
misure espansive (si veda Focus a pagina 2).
La decisione sui tassi della BCE del 3 dicembre potrebbe diventare,
una settimana dopo, un evento decisivo anche per la
valutazione della situazione della BNS. Una leggera diminuzione
del tasso dei depositi della BCE dall'attuale -0.2% è previsto
e non dovrebbe essere un sensibile fattore negativo per
il rapporto EUR/CHF. Nei mesi scorsi, la differenza dei tassi a
breve termine tra EUR e CHF è diventata meno importante per
EUR/CHF. A nostro avviso, il presidente della BCE Draghi dovrebbe
superare nettamente le aspettative dei mercati per far
salire il franco rispetto all'euro. Un euro troppo debole non
dovrebbe però essere neppure nell'interesse di Draghi per non
mettere a rischio l'aumento dei tassi statunitensi a dicembre.
 
..........................

Dopo le decisioni sui tassi da parte della BCE e della BNS, la
prossima settimana l'attenzione è rivolta alla Banca centrale statunitense.
La probabilità che la Fed decida il primo aumento dei
tassi dal 2006 è elevata. Anche se verbalmente ben preparato
e atteso dal mercato, l'aumento dei tassi non dovrebbe passare
sui mercati finanziari senza lasciar tracce. Una maggiore volatilità
delle azioni, dei tassi e delle valute non sarebbe sorprendente.
L'attenzione è rivolta all'andamento dei tassi prospettato
dalla Fed (si veda Focus a pagina 2).
A parte la decisione sui tassi statunitense, il calendario dei dati
per i prossimi giorni è scarno. In Svizzera saranno pubblicati i
prezzi alla produzione e all'importazione per novembre, che in
agosto con -6.8% rispetto all'anno precedente si sono stabilizzati
e ultimamente si sono attestati a -6.6%. La pressione, soprattutto
sui prezzi all'importazione, rimane elevata con l'attuale
andamento dei prezzi del petrolio. A ottobre, i prezzi per
le materie prime energetiche sono diminuiti quasi del 40% rispetto
all'anno precedente. I prezzi dei metalli sono scesi del
16% circa. Tuttavia, nei prossimi mesi il calo dei prezzi dovrebbe
ridursi a seguito degli effetti di base. Nell'Eurozona, gli indicatori
sulla fiducia delle imprese, INSEE per la Francia e Ifo per la
Germania, danno un'ulteriore indicazione sull'attuale dinamica
congiunturale dei più importanti partner commerciali della Svizzera.
Il motore economico della Germania funziona sempre
bene, senza accelerare. Di conseguenza, dopo l'aumento sorprendentemente
forte nel mese precedente l'indice Ifo dovrebbe
indebolirsi di nuovo leggermente. Negli Stati Uniti, i dati
sulla produzione industriale e sull'inflazione non avranno più alcuna
influenza sull'attuale decisione sui tassi, ma entrambi gli
indicatori supportano l'ipotesi di un loro lento ritmo di aumento.
L'inflazione aumenta solo leggermente e la produzione
industriale rimane penalizzata dal settore petrolifero.
I prezzi del petrolio rimangono sotto pressione anche
opo la
riunione dell'OPEC dell'ultima settimana. Prevediamo tuttavia
che per il momento il livello di USD 40 circa al barile del tipo
Brent resisterà, poiché molti fattori negativi dovrebbero essere
già scontati. Se la crescita della produzione statunitense, ultimamente
in rallentamento, dovesse indebolirsi ulteriormente o
se la produzione dovesse addirittura diminuire, non si può
escludere che i membri attorno a Venezuela e Nigeria durante
la prossima riunione ordinaria dell'OPEC (fissata per giugno
2016) riescano a imporsi e il Cartello possa risolversi a ridurre il
volume di estrazione target. Sebbene il potenziale rialzista rimanga
limitato a causa della rapidità con la quale le imprese
USA di fracking possono aumentare nuovamente la loro produzione,
un tale passo darebbe di nuovo un po' di spinta alle quotazioni
del petrolio.
 
......................................

Focus: tutti contro tutti sul mercato del petrolio
Scendendo sotto il livello di USD 40, il prezzo del petrolio
(Brent) viene scambiato al livello più basso dallo scoppio della
crisi finanziaria. Anche se attualmente riteniamo che molti sviluppi
siano già scontati, non si delinea alcuna normalizzazione
imminente. Anche il prossimo anno, il prezzo del petrolio dovrebbe
essere ben al di sotto di USD 100.
Infatti, l'inondazione di petrolio dovrebbe continuare e non è
riscontrabile un'imminente carenza, anche se i gruppi petroliferi
nel frattempo hanno già cancellato o rimandato diverse
centinaia di miliardi di dollari statunitensi di investimenti. Il motivo
dipende da un lato dai magazzini stracolmi – già da molto
tempo vengono utilizzate perfino petroliere per immagazzinare
provvisoriamente il greggio – e dall'altro lato dal fatto che
con il boom statunitense dell'estrazione non convenzionale
mediante il fracking le premesse per l'estrazione di petrolio
sono fondamentalmente cambiate. Se l'accesso a un giacimento
di petrolio convenzionale dura almeno un decennio,
dalla scoperta fino all'uscita della prima goccia di petrolio, i
giacimenti per il petrolio di shale sono già in gran parte noti e
non hanno che da essere trivellati. Qui le trivellazioni possono
essere eseguite senza dover cominciare subito con l'estrazione,
poiché a differenza dei giacimenti convenzionali la pressione
naturale non fa sgorgare subito il petrolio con la trivellazione.
Il fracking di queste trivellazioni eseguite ma non ancora completate
può essere realizzato in pochissimo tempo – in parte in
meno di una settimana – affinché la produzione possa essere
iniziata. Questa elevata velocità per quanto riguarda l'inizio
della produzione fornisce alle imprese di fracking una flessibilità
finora sconosciuta all'industria petrolifera, con la quale si
può reagire all'aumento dei prezzi praticamente subito con un
aumento della produzione. Di conseguenza, dal crollo del
prezzo del petrolio il numero delle trivellazioni non completate
(«fracklog») ha registrato un forte aumento. Se il prezzo del
petrolio dovesse salire di nuovo nel settore redditizio per singole
imprese di fracking (da circa USD 35 al barile), queste imprese
dovrebbero reagire immediatamente con un corrispondente
aumento della produzione, il che dovrebbe porre un
forte limite a eventuali aumenti di prezzo.
In questo contesto sembra incerto che l'OPEC guidata dai sauditi
riesca veramente a eliminare, in grande stile e con effetto
duraturo, dal mercato le imprese americane di fracking. Sembra
piuttosto che per il momento il cartello debba rassegnarsi
ad aver ceduto quote di mercato ai produttori USA. Considerando
il ritorno dell'Iran sul mercato internazionale del petrolio,
previsto per il prossimo anno, ci si domanda però se gli
sceicchi arabi con la loro strategia prendano di mira effettivamente
gli americani e non piuttosto il nemico religioso Iran.
Infatti, per quanto riguarda il contenuto di zolfo e la densità i
tipi di petrolio americani e arabi sono confrontabili solo in
parte, il che è di importanza fondamentale: quanto minore è il
contenuto di zolfo (quanto più dolce) e la densità (quanto più
leggera) del greggio, tanto più facile è il processo di raffinazione
e tanto maggiore quindi il prezzo di vendita imponibile.
E qui il leggero e dolce WTI degli USA è molto migliore dei tipi
di petrolio arabi (per cui questi vengono negoziati anche con
uno sconto). In confronto a molti tipi arabi, il petrolio iraniano
mostra una densità analoga, ma rispetto a questi è in parte
molto meno acido .
Il petrolio iraniano è in concorrenza soprattutto con i tipi
di petrolio arabi
Selezionati tipi di greggio nello spettro tra densità API e contenuto
di zolfo
Fonte: API, EIA, Exxon, BP, OPEC, Raiffeisen Research
Tuttavia, anche se i produttori arabi mediante la strategia
OPEC prendono effettivamente di mira gli iraniani, la pressione
sui benchmark più leggeri e più dolci WTI e Brent rimane comunque
presente. Infatti, quanto più spietata viene condotta
la battaglia per conquistare quote di mercato, tanto più convenienti
diventano i rispettivi tipi di greggio. Tuttavia, quanto
più convenienti questi diventano, tanto più attraente potrebbe
diventare per le raffinerie acquistare petroli più acidi e più pesanti
nonostante i maggiori costi di lavorazione. Il che naturalmente
a sua volta penalizza il Brent e il WTI. Con la strategia
della difesa delle quote di mercato, proclamata poco più di un
anno fa, l'OPEC ha scatenato quindi oltre che una battaglia
diretta anche una battaglia indiretta di tutti contro tutti, nella
quale lo stesso cartello rischia di disgregarsi. Fino a quando
durerà questa situazione, per i prezzi del petrolio lo spazio al
rialzo dovrebbe rimanere limitato.
 
buon 2016

..................auguri..................

in estate, in generale, ai mercati azionari è venuta a
mancare l'aria. Tuttavia, inspiegabilmente, questo sembra
non essere stato percepito da nessuno, vista la presenza
di ripetuti, forti rialzi della durata di più settimane.
Anche se il risultato era prevedibile e segnalato anche
nelle edizioni mensili della Politica d'investimento Raiffeisen,
nel cui numero estivo indicavamo di sottoponderare
le azioni e mettevamo in guardia dai rischi che si stavano
delineando per il secondo semestre. Il riferimento non
viene fatto per soddisfazione, ma semplicemente per
passare al tema vero e proprio. Perché tutti gli analisti
sono sempre così positivi?
Mi raccomando, non rischiare
La motivazione più evidente è che in questo modo per lo
più si nuota nel senso della corrente. Quando a inizio
anno si richiedono le previsioni degli analisti sull'andamento
dei mercati azionari, il risultato sembra quasi
sempre uguale. Forse qualche analista preferisce uno o
l'altro mercato o regione, ma alla fine tutti i commenti
sono chiaramente positivi. Ovviamente si fa anche riferimento
ai rischi, ma in genere si dà più importanza ai
potenziali. Gli analisti prevedono corsi azionari in calo al
massimo ogni dieci anni e per lo più solo quando i mercati
hanno già subito notevoli correzioni. Alla domanda,
sul perché la correzione non sia stata prevista, la risposta
all'unisono è che nessuno se la sarebbe aspettata. Tutti
avrebbero previsto un aumento del 10 per cento o più.
Nel mondo degli analisti sembra che si abbia ragione
anche quando si aveva torto. L'importante è non sbagliare.
I segnali nell'estate 2015 indicavano molto chiaramente
che qualcosa stava bollendo in pentola. Solo che
molti analisti finanziari ancora oggi non vogliono ammetterlo,
né per se stessi, né per gli altri.


Fino al mese di giugno inoltrato i mercati azionari hanno
puntato diritti verso l'alto, spinti dalla buona congiuntura
statunitense, che fortunatamente non era stata ritenuta
tanto buona da rendere prevedibili da subito gli aumenti
dei tassi, dalla politica monetaria espansiva di Mario
Draghi e dal miglioramento delle prospettive di crescita in
Europa. Non si è tenuto conto del fatto che la Grecia
stava facendo rotta verso l'insolvenza, che in Cina i mercati
azionari erano crollati e che il mercato del lavoro in
America potrebbe registrare lievi punti deboli. Un cocktail
che alla fine ha portato, in estate, a un atterraggio brusco
dei mercati azionari, fatta eccezione per la Svizzera,
che già a inizio anno aveva vissuto il suo colpo più duro
con lo shock valutario. In ottobre un attacco di debolezza
è stato scatenato invece dalla congiuntura cinese, dal
nascere e rispegnersi di preoccupazioni sui tassi negli
Stati Uniti e, infine, in dicembre, dalla BCE, dalla Fed e
dal prezzo del petrolio. Ciononostante, qualsiasi contraccolpo
sui mercati viene relegato nella categoria degli
incidenti di percorso e interpretato all'unanimità come
un'occasione di acquisto. Per gli eterni «tori» non si può
trattare di altro se non di piccole correzioni. E la storia dà
loro ragione. Nel lungo periodo con le azioni effettivamente
si guadagna di più. Ma, se si entra in un momento
sfavorevole, ci può volere molto tempo.
Le aspettative sono eccessive
Certo è che ci sono stati sicuramente momenti di ingresso
migliori di quanto lo sia l'inizio del 2016. Non solo
perché le azioni registrano valutazioni già abbastanza
alte e sono pertanto care. Dal piccolo aumento del tasso
della Yellen, i mercati si sono accorti che si sta delineando
per lo meno un filo di normalizzazione della politica
monetaria. Quindi, i potenziali ulteriori aumenti dei tassi
negli Stati Uniti presto susciteranno già nuove preoccupazioni,
e non solo lì. Il mercato finanziario non ha mai
digerito bene la prima fase di una svolta dei tassi. La
svolta appena avvenuta è di piccole dimensioni, ma per
contro ha un valore storico, o per lo meno viene spacciata
come tale. A ciò si aggiungono le preoccupazioni congiunturali
per il 2016: Da un lato il basso prezzo del petrolio
equivale a un potente programma congiunturale,
dall'altro esso sta consumando le abbondanti eccedenze
dei paesi produttori. Gli stati BRIC generano pertanto
minori impulsi di crescita sull'economia mondiale rispetto
a quanto previsto dalla maggior parte delle persone, e
anche l'Europa si dimostra molto disomogenea per quanto
riguarda l'andamento della congiuntura. Grandi punti
di domanda accompagnano ancora il modello di crescita
cinese. Negli Stati Uniti ci si chiede invece se l'economia
sia in grado di registrare un altro aumento o se il ciclo si
trovi in uno stato talmente avanzato, da far temere più
un rallentamento che un'accelerazione. In questo contesto
di scetticismo sono ancora del tutto esclusi gli imprevisti
geopolitici, i quali nel 2016 difficilmente saranno
eliminati. Ci sarà piuttosto da essere contenti se la situazione
non peggiora ulteriormente. Pertanto, gli investitori
in azioni nel 2016 non dovrebbero nutrire speranze trop-
po grandi. I punti citati sono infatti scarsamente scontati
nei corsi attuali. O, per dirla meglio, c'è solo l'happy end.
Ma appunto, sempre positivo. Vale anche per il 2016!
 
...........................

All'inizio dell'anno, a causa dei deboli dati economici e delle
tensioni geopolitiche i mercati finanziari devono già
metabolizzare notizie negative. Gli indicatori anticipatori dalla
Cina hanno confermato il previsto rallentamento della crescita.
Con 48.2 punti, l'indice dei responsabili degli acquisti Caixin per
l'industria manifatturiera è sceso tuttavia molto più del previsto.
E con 50.2 punti anche l'indicatore per il settore dei servizi è
stato deludente. Le preoccupazioni per un maggiore
rallentamento della crescita e i dubbi sul modello di crescita
cinese aumentano. In questo contesto, anche i dati del
commercio estero cinese, la cui pubblicazione è prevista per la
prossima settimana, saranno molto importanti.
Di recente, anche l'indice dei responsabili degli acquisti degli
Stati Uniti è stato deludente. È sceso al livello più basso
dall'estate 2009 e conferma la nostra stima che il ciclo
congiunturale statunitense è già molto avanzato . La prossima settimana, grazie a solide vendite di
Natale prevediamo un aumento dei fatturati della vendita al
dettaglio statunitensi di dicembre. La produzione industriale
dovrebbe invece registrare ancora una flessione. Il settore
petrolifero deve fra fronte al calo dei prezzi e con un tempo
atmosferico relativamente caldo anche la produzione dei
fornitori di energia dovrebbe essere moderata.
I mercati delle materie prime registrano un inizio d'anno
estremamente turbolento Il conflitto tra gli stati OPEC, Arabia
Saudita e Iran, ha frenato solo per alcune ore il calo del prezzo
del petrolio. Attualmente predominano di nuovo i timori che la
domanda di petrolio possa deludere a causa del rallentamento
della crescita cinese, con contemporanea persistente
inondazione di petrolio. Con USD 33, il petrolio del tipo Brent è
al livello più basso degli ultimi 12 anni e minaccia di raggiungere
il livello di USD 30. Per contro, con un leggero aumento del
prezzo, l'oro ha svolto la sua funzione come porto sicuro –
diversamente dall'anno precedente, quando le turbolenze del
mercato non erano riuscite a provocare alcun aumento del
prezzo. Allora, l'effetto del forte USD aveva influenzato il prezzo
dell'oro e impedito aumenti.
All'inizio dell'anno, anche i mercati azionari hanno risentito
notevolmente della debolezza dei dati, soprattutto della Cina.
Le borse di Shanghai e di Shenzhen sono state addirittura
sospese ripetutamente dalla negoziazione. Gli organi di
regolamentazione cinesi non riescono a ridurre la dinamica
negativa del mercato. La recente misura, un meccanismo ideato
come dispositivo di protezione, ha forse addirittura rafforzato
l'ondata di vendite: la negoziazione di azioni viene sospesa per
15 minuti, se gli indici scendono del 5% e bloccata per il resto
del giorno, se gli indici successivamente scendono a -7%. Prima
dell'imminente interruzione aumenta la pressione alle vendite,
poiché gli investitori vogliono evitare posizioni azionarie non
liquide. Il fallimento di questa misura ha già determinato la sua
sospensione. E il nuovo indebolimento valutario del rapporto
USD/CNY verso 6.60 ha ulteriormente preoccupato i mercati.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto