SCIOGLIAMO PER MAFIA LO STATO ITALIANO
di GILBERTO ONETO
Alè. Altri sette Comuni sono stati sciolti per mafia.
Si vanno ad aggiungere ai 208 che sono stati sciolti dal 1991, 36 dei quali azzerati più di una volta.
Gli ultimi arrivati sono due Comuni in Campania (Pagani e Gragnano), Calabria (Bova Marina e Platì) e Sicilia (Racalmuto e Salemi) e uno in Piemonte (Leinì).
Più in basso si riporta una “Rubrica Silenziosa” che si occupa proprio di questo molto patriottico fenomeno: risulta che nelle tre principali regioni meridionali il numero di amministrazioni sciolte superi abbondantemente il 10% del totale e che in Campania quasi un cittadino su tre abiti in un Comune ufficialmente “mafioso”.
Allegria! Gli ultimi sette arrivati confermano in pieno sia la statistica, sia una realtà che tutti ben conoscono e che è ormai accettata come “normale”: la parte bassa dello stivale è controllata dalle organizzazioni criminali e la loro influenza sta risalendo la penisola. «La cancrena sale, amputiamo lo stivale!» recitava un vecchio slogan leghista di quando la Lega era ancora la Lega.
É significativo il dato che riguarda Piemonte e Liguria, in cui ci sono rispettivamente due Comuni (con l’ultima infornata) che sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa.
A questi potrebbe aggiungersi prima o poi anche il comune lombardo di Desio. Quelli interessati si trovano in provincia di Torino e di Imperia, due delle zone a più alta immigrazione meridionale: è un pensiero malizioso ma è se non altro statisticamente inoppugnabile.
Tutto questo ci consente alcune considerazioni.
La criminalità organizzata è una invenzione meridionale.
Neppure nei momenti peggiori della sua lunga storia economica e sociale, la Padania ha mai prodotto niente del genere.
Non si tratta perciò dell’esito nefasto di miseria e oppressione ma si devono cercare altre motivazioni che lasciamo agli esperti del genere.
Ci piacerebbe – come padani – di non dovercene neppure occupare se non come una grigia curiosità antropologica di un posto lontano. Che sia il prodotto di un mondo “diverso” lo dimostra anche la recente disavventura di Sgarbi, andato in Sicilia con l’ardore missionario di Albert Schweitzer, e costretto a fuggire abbandonando buoni propositi ed enunciazioni “politicamente corrette”.
La criminalità organizzata è stata “sdoganata” dal Risorgimento, quando si è sollecitata la sua alleanza per combattere e cacciare la dinastia borbonica: tutta la vicenda garibaldina al Sud è una storia di connivenza, collaborazione e vergognosa collusione con le peggiori strutture criminali recuperate in nome degli ideali patriottici.
Gli afflati tricolori delle organizzazioni malavitose sono stati utilizzati da Garibaldi, da Crispi, dagli americani nel 1943 e dall’Italia per combattere il separatismo.
La criminalità organizzata è stata lentamente esportata a Nord grazie allo Stato italiano, alla invenzione demenziale del domicilio coatto di malavitosi meridionali in Padania, e grazie alla massiccia immigrazione di milioni persone: in mezzo a tanta gente per bene si è infilata una massa cospicua di delinquenti e di “commessi viaggiatori” di mafia, camorra, ‘ndrangheta e di altri prodotti del genere. Per questo non si può accettare che un Saviano ci venga a fare la predica: le mafie arrivano dal suo paese, sono prodotti che qui vengono solo subiti, è “roba loro”. Come dimostrano anche recenti sospetti gettati sulla sua famiglia.
La criminalità organizzata è riuscita a prosperare in Padania grazie allo Stato italiano, alle sue leggi, alla inefficienza delle sue strutture e alla connivenza di parte del suo apparato. I mascalzoni ci sono dappertutto e le mafie cercano di intrufolarsi in tutti i paesi del mondo, ma in quelli civili vengono adeguatamente combattute e lo Stato è loro nemico.
La criminalità organizzata si è modernizzata, guazza a suo piacere nel pantano finanziario. Si rafforza mettendosi in società con le mafie straniere, attingendo a piene mani nella mano d’opera foresta, nella massa di sciagurati che invade i nostri paesi. La criminalità beneficia dell’immigrazione e per questo la favorisce.
Che fare? La risposta è sempre, inevitabilmente e inesorabilmente, la stessa. Solo con l’indipendenza dall’Italia, le comunità padane possono combattere adeguatamente la criminalità mafiosa. Solo disponendo di proprie leggi, di poliziotti e magistrati di casa propria, la Padania può arginare e debellare il fenomeno. Non è una barra di confine in più che può fermare la criminalità, ma tutto quello che un confine comporta in termini di normative, di strumenti, di capacità di governo, ma anche di moralità e mentalità. Sciogliamo per mafia lo Stato italiano.