Thread Ufficiale Unificato delle Discussioni Politiche Generali

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LE AFFILIATE
Il nord-ovest, in filo diretto con la Calabria –

Due indagini del 2011 delle Procure antimafia di Genova e Torino fotografano strutture simili a quelle della ‘ndrangheta lombarda anche in Piemonte e Liguria, dove le singole “locali” sono coordinate da una “Camera di controllo”, strutture che vivono in simbiosi con la casa madre: la “Provincia” calabrese
 
Negozi in mano alle cosche a Roma: chiesti 28 rinvii a giudizio

I soggetti appartengono a un clan collegato a quello degli Alvaro. Nelle loro disponibilità c'era pura il celebre "Cafè de Paris" di via Veneto

- A +

Le mani delle cosche nell'economia romana, con quote in attivita' commerciali, bar e ristoranti del centro della capitale. Come il "Cafe' de Paris", in via Veneto, storico locale degli anni della Dolce Vita. Per questo motivo la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di 28 persone appartenenti ad una cosca collegata al clan della 'ndrangheta degli Alvaro. Sono tutti accusati di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all'acquisizione di quote societarie, prevalentemente bar e ristoranti, eludendo cos la normativa riguardante le misure di prevenzione antimafia. Al centro dell'inchiesta l'acquisto di quote societarie che venivano poi intestate a soggetti di comodo molti dei quali già al centro di un procedimento della procura di Reggio Calabria.
L'iniziativa della magistratura romana punta a chiarire la natura sospetta di una molteplicità di investimenti finanziari effettuati a Roma, come l'acquisizione di quote di società che gestiscono esercizi commerciali che hanno destato l'attenzione dei carabinieri del Ros. Secondo chi indaga Vincenzo Alvaro, attualmente agli arresti domiciliari e difeso dall'avvocato Domenico Cartolano, avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali a Roma intestati a teste di legno.
Tra i locali finiti nelle mani della cosca 'ndranghetista il noto "Cafè de Paris", già al centro di altre vicende giudiziarie. Poi il "Gran Caffè Cellini" in piazza Alfonso Capecelatro, il "Time out Cafè" di via di Santa Maria del Buon Consiglio, il ristorante "la Piazzetta" in via Tenuta di Casalotto, il bar Clementi di via Gallia, il bar Cami di viale Giulio Cesare, il bar California in via Bissolati, il ristorante "Federico I" in via della Colonna Antonina, la società di pulizie "Miss Clean". L'indagine culminò nel giugno 2011 con 17 perquisizioni e il sequestro dei bar "Pedone" al Tuscolano e "Il naturista" in zona Salaria.
L' indagine, avviata nel 2007 dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, documenta la penetrazione della cosca Alvaro nell'economia della capitale. Sulle richieste il gup si pronuncera' il 20 febbraio prossimo
 
26 marzo 2012 - 13:34 Camicia bianca, gilet rosso, girato di spalle con una cuffia in testa. Dalla scorsa settimana sta rispondendo nell'aula bunker di San Vittore alle domande del Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, Alessandra Dolci, in video collegamento da località protetta. È Antonino Belnome, ex capo della locale di 'ndrangheta di Giussano,


All'inizio della collaborazione Antonino Belnome si autoaccusa dell'omicidio di Carmelo Novella,
avvenuto a San Vittore Olona il 14 luglio del 2008. Belnome è uno degli esecutori materiali dell'omicidio del boss che avrebbe voluto rendere le famiglie di 'ndrangheta lombarde autonome da quelle calabresi.

 
Da il M5S Piemonte - il 03/02/2012 17:31:38 | 6 commenti
Di Davide Bono
Il Piemonte nel 2011 è stato colpito da una tempesta giudiziaria, l'operazione Minotauro attesa da mesi, che ha portato all'arresto di 182 individui affiliati alla 'ndrangheta che intrattenevano rapporti costanti e proficui con diversi politici locali, di destra, centro e sinistra, con circa 70 milioni di euro di beni sequestrati. Inchiesta resa possibile grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando, ritenuti attendibili. Le conseguenze politiche stanno arrivando piano piano, con i partiti che mettono la testa sotto la terra, ovviamente. Alcuni Comuni sono stati commissariati, altri resistono.

Ad esempio Chivasso, ora commissariato (dove addirittura il segretario cittadino dell'UDC era il figlio del capocosca), di Rivoli (dove il consigliere regionale del PD, ex-sindaco, Boeti ospitava a pranzo, a sua insaputa, il capocosca locale, lui, sconvolto, offre le sue dimissioni e il Pd le rifiuta!), Rivarolo, (dove il sindaco Bertot, del PDL, a sua insaputa, incontrava i capicosca del canavese per avere voti per essere eletto in Europa in cambio di "appalti pubblici" garantiti), Leinì, ora commissariato, dove l'ex-sindaco Coral, PDL, ora in carcere, a sua insaputa e ad insaputa del figliolo, sindaco di Leinì, incontrava i capicosca locali per avere voti per il figliolo ed eleggerlo in Provincia in cambio di "commesse certe". Accidentalmente, Coral figlio è sposato con l'ex Assessore alla Sanità del PDL, Caterina Ferrero, indagata per appalti truccati che con il tramite del fido Gambarino in Assessorato, frequentava gli stessi soggetti per bene. Agli stessi capicosca si rivolge anche l'IDV con il parlamentare Porcino e il PD nuovamente per le primarie del Pd a Torino, nonché per la rielezione di Brizio a sindaco di Ciriè. Tutti sconvolti e a loro insaputa. E ad insaputa dei partiti, ovviamente. Ma vediamo se era proprio impossibile sapere.
Varacalli in particolare afferma a Presa Diretta che tutti sanno e che funziona così: la 'ndrangheta ha bisogno dei politici per appalti sicuri e i politici hanno bisogno della criminalità organizzata [ame="http://www.youtube.com/watch?v=DgtgAXy45gw"]per ottenere i pacchetti di voti[/ame]. Ci siamo concentrati su Rivoli, dove abbiamo un Consigliere comunale, e dove si sono concentrate le richieste di voti di scambio.
Ivan Della Valle e Davide Antista, Consigliere comunale di Rivoli, han fatto una facile ricerca internet senza uso di servizi segreti, intercettazioni o pedinamenti per cui scrivono:
"Vogliamo rispondere a una nota del consigliere Regionale Nino Boeti, apparsa su Facebook, dove afferma che lui NON POTEVA SAPERE e che noi diciamo delle menzogne.
A conferma del fatto che a volte basta leggere,dopo la trasmissione presa diretta e queste molteplici discussioni, abbiamo deciso di consultare l'archivio storico della Stampa e in 5 minuti guardate cosa è saltato fuori :
 
SCIOGLIAMO PER MAFIA LO STATO ITALIANO


di GILBERTO ONETO

Alè. Altri sette Comuni sono stati sciolti per mafia.


Si vanno ad aggiungere ai 208 che sono stati sciolti dal 1991, 36 dei quali azzerati più di una volta.

Gli ultimi arrivati sono due Comuni in Campania (Pagani e Gragnano), Calabria (Bova Marina e Platì) e Sicilia (Racalmuto e Salemi) e uno in Piemonte (Leinì).

Più in basso si riporta una “Rubrica Silenziosa” che si occupa proprio di questo molto patriottico fenomeno: risulta che nelle tre principali regioni meridionali il numero di amministrazioni sciolte superi abbondantemente il 10% del totale e che in Campania quasi un cittadino su tre abiti in un Comune ufficialmente “mafioso”.


Allegria! Gli ultimi sette arrivati confermano in pieno sia la statistica, sia una realtà che tutti ben conoscono e che è ormai accettata come “normale”: la parte bassa dello stivale è controllata dalle organizzazioni criminali e la loro influenza sta risalendo la penisola. «La cancrena sale, amputiamo lo stivale!» recitava un vecchio slogan leghista di quando la Lega era ancora la Lega.

É significativo il dato che riguarda Piemonte e Liguria, in cui ci sono rispettivamente due Comuni (con l’ultima infornata) che sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa.

A questi potrebbe aggiungersi prima o poi anche il comune lombardo di Desio. Quelli interessati si trovano in provincia di Torino e di Imperia, due delle zone a più alta immigrazione meridionale: è un pensiero malizioso ma è se non altro statisticamente inoppugnabile.

Tutto questo ci consente alcune considerazioni.

La criminalità organizzata è una invenzione meridionale.


Neppure nei momenti peggiori della sua lunga storia economica e sociale, la Padania ha mai prodotto niente del genere.


Non si tratta perciò dell’esito nefasto di miseria e oppressione ma si devono cercare altre motivazioni che lasciamo agli esperti del genere.


Ci piacerebbe – come padani – di non dovercene neppure occupare se non come una grigia curiosità antropologica di un posto lontano. Che sia il prodotto di un mondo “diverso” lo dimostra anche la recente disavventura di Sgarbi, andato in Sicilia con l’ardore missionario di Albert Schweitzer, e costretto a fuggire abbandonando buoni propositi ed enunciazioni “politicamente corrette”.

La criminalità organizzata è stata “sdoganata” dal Risorgimento, quando si è sollecitata la sua alleanza per combattere e cacciare la dinastia borbonica: tutta la vicenda garibaldina al Sud è una storia di connivenza, collaborazione e vergognosa collusione con le peggiori strutture criminali recuperate in nome degli ideali patriottici.


Gli afflati tricolori delle organizzazioni malavitose sono stati utilizzati da Garibaldi, da Crispi, dagli americani nel 1943 e dall’Italia per combattere il separatismo.

La criminalità organizzata è stata lentamente esportata a Nord grazie allo Stato italiano, alla invenzione demenziale del domicilio coatto di malavitosi meridionali in Padania, e grazie alla massiccia immigrazione di milioni persone: in mezzo a tanta gente per bene si è infilata una massa cospicua di delinquenti e di “commessi viaggiatori” di mafia, camorra, ‘ndrangheta e di altri prodotti del genere. Per questo non si può accettare che un Saviano ci venga a fare la predica: le mafie arrivano dal suo paese, sono prodotti che qui vengono solo subiti, è “roba loro”. Come dimostrano anche recenti sospetti gettati sulla sua famiglia.

La criminalità organizzata è riuscita a prosperare in Padania grazie allo Stato italiano, alle sue leggi, alla inefficienza delle sue strutture e alla connivenza di parte del suo apparato. I mascalzoni ci sono dappertutto e le mafie cercano di intrufolarsi in tutti i paesi del mondo, ma in quelli civili vengono adeguatamente combattute e lo Stato è loro nemico.

La criminalità organizzata si è modernizzata, guazza a suo piacere nel pantano finanziario. Si rafforza mettendosi in società con le mafie straniere, attingendo a piene mani nella mano d’opera foresta, nella massa di sciagurati che invade i nostri paesi. La criminalità beneficia dell’immigrazione e per questo la favorisce.

Che fare? La risposta è sempre, inevitabilmente e inesorabilmente, la stessa. Solo con l’indipendenza dall’Italia, le comunità padane possono combattere adeguatamente la criminalità mafiosa. Solo disponendo di proprie leggi, di poliziotti e magistrati di casa propria, la Padania può arginare e debellare il fenomeno. Non è una barra di confine in più che può fermare la criminalità, ma tutto quello che un confine comporta in termini di normative, di strumenti, di capacità di governo, ma anche di moralità e mentalità. Sciogliamo per mafia lo Stato italiano.
 
SCIOGLIAMO PER MAFIA LO STATO ITALIANO


di GILBERTO ONETO

Alè. Altri sette Comuni sono stati sciolti per mafia. Si vanno ad aggiungere ai 208 che sono stati sciolti dal 1991, 36 dei quali azzerati più di una volta.

Gli ultimi arrivati sono due Comuni in Campania (Pagani e Gragnano), Calabria (Bova Marina e Platì) e Sicilia (Racalmuto e Salemi) e uno in Piemonte (Leinì).

Più in basso si riporta una “Rubrica Silenziosa” che si occupa proprio di questo molto patriottico fenomeno: risulta che nelle tre principali regioni meridionali il numero di amministrazioni sciolte superi abbondantemente il 10% del totale e che in Campania quasi un cittadino su tre abiti in un Comune ufficialmente “mafioso”. Allegria! Gli ultimi sette arrivati confermano in pieno sia la statistica, sia una realtà che tutti ben conoscono e che è ormai accettata come “normale”: la parte bassa dello stivale è controllata dalle organizzazioni criminali e la loro influenza sta risalendo la penisola. «La cancrena sale, amputiamo lo stivale!» recitava un vecchio slogan leghista di quando la Lega era ancora la Lega.

É significativo il dato che riguarda Piemonte e Liguria, in cui ci sono rispettivamente due Comuni (con l’ultima infornata) che sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. A questi potrebbe aggiungersi prima o poi anche il comune lombardo di Desio. Quelli interessati si trovano in provincia di Torino e di Imperia, due delle zone a più alta immigrazione meridionale: è un pensiero malizioso ma è se non altro statisticamente inoppugnabile.

Tutto questo ci consente alcune considerazioni.

La criminalità organizzata è una invenzione meridionale. Neppure nei momenti peggiori della sua lunga storia economica e sociale, la Padania ha mai prodotto niente del genere. Non si tratta perciò dell’esito nefasto di miseria e oppressione ma si devono cercare altre motivazioni che lasciamo agli esperti del genere. Ci piacerebbe – come padani – di non dovercene neppure occupare se non come una grigia curiosità antropologica di un posto lontano. Che sia il prodotto di un mondo “diverso” lo dimostra anche la recente disavventura di Sgarbi, andato in Sicilia con l’ardore missionario di Albert Schweitzer, e costretto a fuggire abbandonando buoni propositi ed enunciazioni “politicamente corrette”.

La criminalità organizzata è stata “sdoganata” dal Risorgimento, quando si è sollecitata la sua alleanza per combattere e cacciare la dinastia borbonica: tutta la vicenda garibaldina al Sud è una storia di connivenza, collaborazione e vergognosa collusione con le peggiori strutture criminali recuperate in nome degli ideali patriottici. Gli afflati tricolori delle organizzazioni malavitose sono stati utilizzati da Garibaldi, da Crispi, dagli americani nel 1943 e dall’Italia per combattere il separatismo.

La criminalità organizzata è stata lentamente esportata a Nord grazie allo Stato italiano, alla invenzione demenziale del domicilio coatto di malavitosi meridionali in Padania, e grazie alla massiccia immigrazione di milioni persone: in mezzo a tanta gente per bene si è infilata una massa cospicua di delinquenti e di “commessi viaggiatori” di mafia, camorra, ‘ndrangheta e di altri prodotti del genere. Per questo non si può accettare che un Saviano ci venga a fare la predica: le mafie arrivano dal suo paese, sono prodotti che qui vengono solo subiti, è “roba loro”. Come dimostrano anche recenti sospetti gettati sulla sua famiglia.

La criminalità organizzata è riuscita a prosperare in Padania grazie allo Stato italiano, alle sue leggi, alla inefficienza delle sue strutture e alla connivenza di parte del suo apparato. I mascalzoni ci sono dappertutto e le mafie cercano di intrufolarsi in tutti i paesi del mondo, ma in quelli civili vengono adeguatamente combattute e lo Stato è loro nemico.

La criminalità organizzata si è modernizzata, guazza a suo piacere nel pantano finanziario. Si rafforza mettendosi in società con le mafie straniere, attingendo a piene mani nella mano d’opera foresta, nella massa di sciagurati che invade i nostri paesi. La criminalità beneficia dell’immigrazione e per questo la favorisce.

Che fare? La risposta è sempre, inevitabilmente e inesorabilmente, la stessa. Solo con l’indipendenza dall’Italia, le comunità padane possono combattere adeguatamente la criminalità mafiosa. Solo disponendo di proprie leggi, di poliziotti e magistrati di casa propria, la Padania può arginare e debellare il fenomeno. Non è una barra di confine in più che può fermare la criminalità, ma tutto quello che un confine comporta in termini di normative, di strumenti, di capacità di governo, ma anche di moralità e mentalità. Sciogliamo per mafia lo Stato italiano.
 

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