dunque: alle elezioni o al governo tecnico ???
Berlusconi si fida di Bossi, il Pdl no
Nella ragnatela di interessi, i capi della destra sospettano l’uno dell’altro: e le incognite sulla tenuta della maggioranza aumentano. «Fino a ieri a questa storia di Tremonti premier nessuno dava credito e sembrava campata del tutto in aria, adesso invece la voce nel Pdl sta girando forte....», raccontava ieri in Transatlantico il deputato pidiellino Giancarlo Mazzuca. Sono queste le ultime di “radiofante”, il tam-tam che corre tra i parlamentari del partito di Berlusconi e che riflette lo stato d’animo nel Pdl, che s’è fatto assai sospettoso rispetto alle prossime mosse della Lega.
Già perché il punto in dubbio non è se Berlusconi si dimetterà spontaneamente per cedere il testimone a Tremonti: ma se, in caso di rovescio il 3 febbraio nella bicamerale che dovrà votare il decreto sul federalismo municipale, la Lega deciderà per protesta, come va dichiarando da un mese, di staccare la spina e aprire un crisi di governo. Una crisi, beninteso, per «andare dritti alle elezioni anticipate», hanno sempre detto i leghisti: ma chi può davvero giurare che in caso di dimissioni di Berlusconi non comparirà per incanto la maggioranza di cui si sussurra pronta a sostenere un governo Tremonti? Tra i parlamentari del Pdl il dubbio serpeggia: e a fugare i sospetti non bastano le reiterate, ossessive rassicurazioni da parte di Berlusconi sulla granitica «lealtà» di Bossi.
Ma hanno un reale fondamento, e se sì quale, le paure del corpaccione del Pdl di un voltafaccia del Carroccio che potrebbe scaricare Berlusconi abbandonandolo al suo destino di pluri-indagato, ora anche per i reati di concussione e prostituzione minorile? Il tam-tam pidiellino, in realtà, non nasce nei corridoi dei palazzi romani ma dal territorio: è dalle loro circoscrizioni elettorali di provenienza che i parlamentari del Pdl del nord, rientrati a Roma dopo il secondo fine settimana di bufera sull’affaire Ruby, hanno riportato con sé la sensazione di un profondo malessere della base leghista: sempre più stanca delle mediazioni romane sul federalismo e sempre meno incline alla difesa tout court di Berlusconi il quale, da preziosa risorsa che era, comincia a essere percepito come un impaccio nel disbrigo degli “affari” leghisti.