silenzio......parla soru.....
IL FONDATORE DI TISCALI: GRAVI RISCHI DI COLONIZZAZIONE
«Basta con questa rete che parla soltanto Usa»
Soru: in passato televisione e cinema ci hanno imposto modelli,
prodotti e comportamenti americani, adesso corriamo il rischio
che Internet faccia lo stesso nei servizi. In modo ancora più forte
La Stampa - 15 settembre 2003
di Francesco Manacorda
Nel mondo di Internet sta succedendo quello che è già accaduto nell'informatica. Là ha vinto il software americano, qui stanno vincendo i servizi Usa. Stiamo subendo l'invasione degli Stati Uniti e l'Europa deve fare qualcosa per cambiare questa situazione». Nei giorni in cui a Cancun i delegati del Wto litigano sul commercio elettronico, Renato Soru - uno dei maggiori protagonisti dell'Internet europeo - lancia il suo allarme sul rischio di colonizzazione che arriva dalla Rete. Un rischio a due facce, spiega. Culturale e politico «perché così come la televisione e il cinema ci ha portato modelli, comportamenti e prodotti americani i servizi di Internet possono fare lo stesso in maniera ancora più forte». Ma anche e soprattutto industriale, perché il pericolo è la sparizione di un altro settore produttivo «di fronte allo strapotere dell'industria privata americana».
Dottor Soru, lei guida un'azienda come Tiscali che si muove già in una dimensione europea. Che cosa la preoccupa esattamente?
«Noi siamo solo agli inizi di un cammino. Non so quando e come finirà, ma so che siamo dalla parte giusta: affrontiamo l'Europa come un unico mercato dal quale contrapporsi ad altri mercati, specie quello americano. Però non abbiamo le forze per resistere allo strapotere dell'industria Usa in questo settore e rischiamo di ripetere gli errori del passato».
Di quali errori parla?
«L'Italia ha perso delle grandi occasioni nel settore dell'Information Technology. Basta pensare a Italtel, Telettra, Olivetti e diverse altre aziende. E se passiamo alla telefonia ci possiamo mettere Omnitel e la stessa Infostrada. Ma tutto questo è accaduto in maniera più ampia in tutta Europa e soprattutto si sta ripetendo: quello che è successo nel mercato dell'IT accade oggi nell'industria degli apparati di rete. La leadership che l'industria europea aveva nel settore telefonico, dove tra Ericsson, Alcatel e Siemens almeno bastava a se stessa non si è ripetuta nelle reti di Internet. Oggi i soli attori sono americani. Non c'è paragone tra le quote di mercato di Cisco e quelle degli operatori europei che sono rimasti nelle aree di mercato più tradizionali. E per compensare queste sconfitte non basta essersi ben difesi nei telefoni cellulari».
Con le tecnologie di rete siamo già al presente, ma lei ora teme per il futuro...
«Quello che mi preoccupa è che si possa perdere definitivamente la battaglia dei servizi di Internet. Tutti abbiamo visto i personal computer attrezzati con un sistema operativo di fatto monopolistico, che è quello di Microsoft. Ora rischiamo di utilizzare computer non più isolati, ma collegati in rete, che avranno un “sistema operativo” di Internet; ovvero una suite di servizi, forniti unicamente dall'industria Usa e non da quella europea. E la cosa è ancora più pericolosa perché sul computer collegato a Internet non ci arriverà un solo servizio, ma tutta una serie di servizi, modelli e prodotti che non saranno europei. Se oggi guardo a tutti i servizi Internet importanti, quelli a cui il consumatore si sta abituando o si è già abituato, vedo la ricerca con Google, le aste con eBay, i libri con Amazon, le directories con Yahoo, il turismo e le carte geografiche con Espedia. Non ce n'è uno europeo».
C'è un gap tecnologico e vincono i migliori...
«No, non è che siamo meno bravi. E' che le aziende forti europee sono aziende nazionali che si accontentano del loro mercato di dieci o sessanta milioni di persone, nella loro lingua. Quelle americane, invece, possono profittare di un grande e ricco mercato di oltre trecento milioni di persone e poi arrivano in Europa utilizzando l'effetto palla di neve. Di eBay ce n'erano tante anche in Europa. Adesso, anche se non utilizza tecnologie particolarmente raffinate, è rimasta solo lei, di fatto non si può più farle concorrenza».
Quali sono le conseguenze pratiche di quello che lei chiama lo strapotere americano?
«Se lei è a Milano e cerca un albergo di Torino lo cerca su Google che sta negli Stati Uniti. Così si paga per andare fino negli Usa a prendere quel dato e magari lei trova un albergo che si fa pubblicità pagandola a una società Usa. E dopo averle dato l'informazione sull’albergo, il motore di ricerca potrà dirle dove andare in vacanza, da chi comprare il biglietto aereo e così via. Allo stesso modo se lei cerca un francobollo da collezione oggi va su eBay. Ma ormai su quel sito non ci sono solo i francobolli, ma anche auto usate, telefonini, addirittura antiquari che hanno solo negozi virtuali. Insomma, tanti piccoli mercati, che pensavamo fossero destinati a rimanere nazionali, si mettono tutti assieme e diventano dei grandi mercati mondiali che saranno vinti da altri. Ma la cosa più assurda è che questi siti dominano anche l'informazione che danno. Google è diventato popolare grazie a un sistema di ricerca che doveva essere neutrale, basata solo su algoritmi statistici. Invece oggi ci dà risultati non in base a chi risponde meglio alle statistiche dell'algoritmo, ma a chi paga di più. Un domani potrebbe essere privilegiato non il sito che paga di più, ma quello più amico, o quello con cui vi è un qualche collaborazione. Paradossalmente si potrebbe arrivare al caso in cui un sito, o i siti di un'intera nazione, non vengano segnalati».
Non pensa che la natura stessa di Internet risolverà questi problemi? Se un motore di ricerca elimina una serie di siti nascerà un altro motore che li raccoglie per far fronte a una domanda che esiste comunque...
«Internet sarà come tutti i mercati del mondo e i mercati non esistono senza regole. Alcune cose vanno regolamentate e anche sui mercati ci sono alcuni diritti inalienabili come quello di essere presenti. E per un paese è un diritto e un dovere governare la toponomastica di Internet, Insomma, secondo me esiste un problema politico di sovranità su cui l'Unione europea dovrebbe intervenire. La questione non può certo essere lasciata solo all'iniziativa privata e tantomeno a un mercato che vede ormai monopoliste di fatto le imprese private americane. Sono loro ormai che ci danno le indicazioni quando ci muoviamo anche all'interno della nostra città digitale. E sono loro che decidono sulla nostra visibilità.
E che cosa potrebbe fare l'Unione europea, secondo lei?
«Basterebbe molto meno di quanto ha deciso di fare per un problema che ritengo analogo, il Progetto Galileo per i sistemi satellitari GPS. Ad esempio si potrebbe far sì che in ogni Paese europeo ci fossero dei requisiti minimi di visibilità di tutti i siti, garantiti o dalle imprese private o addirittura dai governi. Teniamo conto del fatto che gli investimenti da fare sono modesti rispetto alla rilevanza strategica del problema. E dico rilevanza strategica perché secondo me le informazioni sull'utilizzo della Rete hanno anche un valore politico. Oggi Google sa quale è il sito più visto al mondo, dove si indirizzano gli interessi e le tendenze di chi naviga, mentre io non lo so e non lo sanno nemmeno i governi europei».
Insomma, lei chiede all'Ue di mettere in piedi dei motori di ricerca pubblici, dei grandi elenchi di siti per contrapporsi agli americani?
«E' una delle cose che si possono fare, ma non la sola e non necessariamente in questi termini. In Italia non ci sono le pagine bianche pubbliche, ma ci sono regole precise su come devono essere. Io non sono un politico, ma quello che dico è che questi argomenti vanno discussi, va fatta un'attività di politica industriale nel settore dei servizi Internet. Non possiamo vedere l'Europa assente da questa industria globale come accade adesso, mentre si susseguono segnali importantissimi».
Senta, ci hanno spiegato per anni che con Internet non esistevano più barriere e adesso lei vuole alzare nuovi muri?
«Io non credo assolutamente alla necessità di mettere barriere a Internet, ma so che non possiamo accettare passivamente la legge del più forte.Qualche partita la dobbiamo vincere anche noi. Altrimenti saremo solamente utilizzatori e non attori di questa industria. L'accesso alla rete è importante se è fatta salva un minimo di reciprocità, se rappresenta l'occasione non solo di condividere la conoscenza, e di avere più facilmente l'accesso a servizi e prodotti stranieri, ma anche la possibilità di garantire uno sbocco commerciale ai nostri prodotti e servizi. Ormai parliamo di mercati e quindi è chiaro che dobbiamo difendere la liberalizzazione dei mercati, ma bisogna anche fare in modo che pure la nostra economia continui a giocare un ruolo paritario. Quanti utenti americani conosciamo che utilizzano servizi europei? Forse nemmeno uno».
E’ una posizione che si può chiamare protezionista, la sua.
«Non credo che non trascurare le possibilità di crescita dell'industria europea sia protezionismo. Dobbiamo, se non proteggere quantomeno aiutare questo settore a crescere. Altrimenti, ritengo, si sta rinunciando a fare politica industriale. In Italia e in Europa sento un gran parlare di sviluppo della banda larga, ma le dico che se non risolviamo il problema dei servizi Internet la banda larga, per assurdo, potrebbe diventare un Cavallo di Troia».
Parliamo di Tiscali. Venerdì a Cagliari inaugurerete il primo stabilimento della vostra storia. Che significato ha?
«Serve per poter dare una casa a quello che abbiamo fatto finora e per poter lavorare meglio.A Cagliari eravamo divisi in sei edifici, con diseconomie e inefficienze elevate visto che non si lavorava più assieme, come agli inizi della società. Adesso invece siamo di nuovo gomito a gomito, possiamo ricompattare la squadra, rianimare l'entusiasmo e la passione che ci ha sorretto sinora, avendo anche mezzi tecnologici maggiori». Insomma Cagliari sarà la fabbrica dei servizi che Tiscali renderà ai suoi clienti italiani ed esteri.
Lei di recente ha spiegato di aver rinunciato all'acquisto della tedesca Freenet perché rispetto a marzo il prezzo del titolo era salito di nove volte. La ripresa dei mercati tecnologici bloccherà il vostro sviluppo a colpi di acquisizioni?
«No, ci sono sempre opportunità da cogliere. Anche in questo momento abbiamo varie discussioni in corso. E' vero che i prezzi adesso sono un po' risaliti e fare acquisizioni è diventato un po' più difficile. Ormai paradossalmente i nostri concorrenti nel processo di consolidamento del settore più che le altre imprese Internet sono i fondi di private equity che cercano di fare un giro di danza solo finanziario. E' il loro mestiere, ma noi cerchiamo di non farci intermediare da nessuno».
Significa che vedremo Tiscali fare presto shopping all’estero?
«Potranno esserci altre acquisizioni. Quel che è sicuro è che non è finito il processo di consolidamento. In Europa ci sono ancora tante società che hanno quote di mercato e clienti importanti e possono essere valorizzate diventando parte di un progetto più grosso. E Tiscali continua a privilegiare la crescita, piuttosto che assicurare il mantenimento del controllo della società ai suoi azionisti».