Trading Bar 2011 by gli amici di Windjets (2 lettori)

MATLEY

Forumer storico
...quanto varrà il ns lev con futures a quel valore :-?

il faccio così :D
valore attuale fut 3,42 -2,5%= 3,3345

valore attuale lev 0,1209 -5% = 0,1149 :d:

guarda a caso proprio un doppio minimo :-o


aggiornamento:
uscito adesso dal gas 3,42-----.
spero di rientrare + sotto..... 3,2874 nn sarebbe male potrebbe esser una bella trappola per orsi..con stop dei long....., poi si parte....., solo così negano quel H&S rialzista ke vede guido...., ma in alternativa costruidscono un triplo mn di lungo.


sono corto di crude..., provo a dissossarlo...hhhiiiiihihihihi.



siamo pronti per il raccogliere le telline??????

amen
 

MATLEY

Forumer storico
è confortante constatare che il nostro mib, dopo avere perso quasi 5 punti in una seduta, riesce a perderno solo 1 e mezzo :rolleyes:

fortuna che è arrivato mario... the marter of gurus...
fortuna che zilvio se n'è andato... altrimenti oggi avremmo chiuso sotto i 13mila :uhm: :noo:
 

MATLEY

Forumer storico
E’ venuto il momento di allargare il punto di osservazione sulla crisi in corso, ora che il governo Monti con la fiducia parlamentare entra nella pienezza delle sue funzioni, salutato e sostenuto dal consenso esplicito dei vertici europei, di Germania e Francia tanto per sottolineare ancora una volta l’attenzione tutta particolare riservata al potenziale di instabilità sistemico rappresentato dal debito pubblico e dalla bassa crescita del nostro Paese. Ora che l’Italia si pone in condizione di rassicurare i mercati- se farà e se farà bene, se la politica non si mette troppo per traverso, sde si conferma dopo mesi il sorpasso al ribasso sullo spread spagnolo di stamane – è tempo anche da noi di aprire il dossier della crisi vera, rispetto alla quale l’Italia non deve fungere da detonatore, ma che rischia comunque di investire tutto il continente. Diciamolo chiaramente. Nel 2012 è l’euro in quanto tale, a rischiare di saltare.
Questo ci dice la tumultuosa vendita da Oltreoceano che ogni giorno si sta realizzando sotto i nostri occhi nei confronti di tutti gli asset europei, a partire dal debito pubblico di tutti i componenti dell’euroarea ad eccezione della Germania, ed estendendosi ai titoli bancari che portano a sempre nuovi record verso il basso i listini di Borsa dell’intera Europa, perché le banche sono la cintura più esposta alla crisi di sistema che si sta scatenando.
I segnali sono assai preoccupanti e chiari, per chi li vuole leggere. I differenziali sul Bund che s’inerpicano verso l’alto non sono solo quelli greci, e portoghesi e spagnoli. La Francia stava a 40 punti base di premio sul Bund decennale a fine 2010. Oggi supera i 200 e da due settimane peggiora ogni giorno, ha di fatto già perso nel giudizio dei mercati la tripla A di cui andava così fiera. Il Belgio è passato da 103 punti a 318. L’Austria, pur considerata integrata alla Germania euroleader, è salita da 54 a 190. Lo stesso fondo salva-Stati e salva-banche, l’Efsf, in teoria tripla A anch’esso, ha dovuto rinviare l’emissione di una sua obbligazione dopo averne ridotto l’ammontare, e paga rendimenti in crescita quotidiana allineati a quelli francesi. Tre mesi di incorporazione da parte del sistema bancario di questa stima crescente dei rischi sovrani implicano problemi gravissimi per il credito non più solo dei Paesi sin qui a rischio, ma innanzitutto delle banche francesi, le più esposte al totale di carta pubblica europea.
Perché i mercati scommettono che nel 2012 l’euro salta, se non si assumono decisioni efficaci e adeguate al rischio a cui l’euro esposto? Per comprenderlo, è necessario compiere un passo indietro. Diciamo che, con qualche approssimazione tecnica, al mondo esistono due tipi di aree monetarie concepite come ottimali. Una è quella del dollaro. L’altra quella dell’euro. Sono due modelli pressoché agli antipodi. Per ragioni serie e storiche però, non per follia o inettitudine come vorrebberom oggi alcuni improvvisatori che gridano soluzioni da bar, anche se hanno nomi e cognomi autorevoli nel giornalismo italiano. E neanche perché i padri dell’euro ieri e Mario Draghi oggi avrebbero compiuto un golpe a nome delle banche, come strepitano blogger stralunati e cospirazionisti di estrema destra come di sinistra antagonista.
Il modello americano si è evoluto dal 1913 in avanti secondo una concezione per la quale a una valuta comune corrisponde l’unificazione reale dei mercati sottostanti, dei beni, dei servizi, del lavoro come della relativa regolazione. Lo scopo è quello di consentire che un unico tasso di interesse abbia sì effetti asimmetrici nelle diverse aree dell’Unione, che sono caratterizzate da tassi di crescita, costi dei fattori produttivi e prezzi degli asset comunque tra loro diversi visto che un continente non ha certo condizioni omogenee. Ma l’unificazione dei mercati e della regolazione consente che l’equilibrio a unico tasso d’interesse tra costi diversi, salari e disoccupazione avvenga per autoregolazione attraverso vasi comunicanti. Ti puoi spostare da uno Stato con più disoccupazione a uno che tira di più, con prezzi diversi, ma senza mettere a rischio risparmio e patrimonio.
In questo modello, quando il ciclo scende e a maggior ragione quando si aprono grandi crisi, la via prescelta è quella di attenuarne i morsi monetizzando il debito – tanto l’eccesso di debito privato, che delle banche che di quello pubblico – facendo stampare dollari alla FED. Dal 2008 in avanti, la banca centrale americana lo ha fatto per oltre 20 trilioni di dollari per il solo sistema banco-finanziario, praticamente per l’equivalente dei due terzi del valore attuale di tutti gli asset quotati nelle borse americane. Se si somma il debito pubblico,delle famiglie, delle imprese e delle banche Usa, nel giugno 2011 la quota era pari al 289% del Pil americano. Per fare paragoni, il Regno Unito è a quota 497%. Il Giappone a quota 492%. La Spagna a 388%. La Francia a 341% L’Italia al 303%.
La differenza tra la sostenibilità del maggior debito americano, britannico e giapponese rispetto al nostro – più basso – dipende dal fatto che le banche centrali di Stati Uniti, Regno Unito e Giappone monetizzano il debito con il torchio monetario, pressoché illimitatamente (non solo da questo, per essere corretti, conta anche la caratteristica delle economie di ciascuno, la percentuale di debito detenuto dai non residenti, etc etc, ma questo aspetto è comunque fondamentale). Certo, è un sistema che produce bolle nel prezzo degli asset, come quella di Internet prima, dell’immobiliare poi. E produce inflazione. Ma l’America, finché il dollaro è la moneta in cui sono denominati i mercati di tutte le commodities mondiali e dunque è riserva prioritaria per tutte le banche centrali, l’inflazione monetaria l’esporta verso il resto del mondo, anche grazie alla sua sostenuta produttività domestica. Meglio le bolle ogni tanto di una più alta disoccupazione stabile, pensano in America.
Poi c’è il secondo modello, quello dell’euroarea. Vediamo di spiegarlo storicamente, perché questa è la risposta da dare a coloro che non capiscono come mai siamo stati per così dire “commissariati” dai tedeschi, insieme a greci, portoghesi, spagnoli e irlandesi. Il modello BCE nasce dall’esperienza tragica fatta dalla Germania ai tempi di Weimar. L’eccesso di torchio monetario e di inflazione, stante l’enorme debito accumulato nella sconfitta della prima guerra mondiale, portò comunque a disoccupazione di massa e perdita reale e verticale di risparmio. L’effetto fu il nazismo, la presa sugli strati popolari dei totalitarismi neri e rossi.
Per questo la Germania per decenni, prima della moneta comune, ha affinato il modello su cui l’euro è poi nato. A differenza degli Usa, nessuna unificazione reale dei mercati sottostanti, del lavoro, dei beni e dei servizi come della regolazione: tranne che nel comparto finanziario. In più, il debito pubblico resta garantito da ciascun Paese membro. Senza un debito comune europeo è come se esso sia denominato in una valuta straniera, rispetto all’euro. Infine, la BCE non può e non deve monetizzare debiti di alcun tipo, deve solo pensare a tenere bassa l’inflazione, deve astenersi dal sostenere il ciclo.
Come può reggere un sistema di tal tipo, visto che la curva dei costi come della produttività, e le bilance dei pagamenti tra i diversi paesi dell’euroarea sono tanto divergenti? Per dire, la Germania è forte perché ha il più grande attivo al mondo di parte corrente dopo la Cina, quasi il 7% del Pil, il Portogallo era in passivo del 14% prima della crisi. Oppure, se consideriamo il costo per unità di lavoro fatto pari a 100 nel 2000, quello tedesco nel 2008 era a 98 e ora è a 105, quello portoghese nel 2008 era a 128 e ancora oggi è sceso solo a 125.
Il meccanismo tedesco prevede che, per reggere con queste asimmetrie e avvantaggiarsi tutti dell’euro, siano le classi politiche dei diversi Paesi a dover tenere la finanza pubblica in equilibrio al più basso livello di spesa pubblica coerente con un welfare decente e la sostenibilità del proprio debito pubblico, e a indurre con adeguate riforme l’economia reale ad un’elevata produttività. In caso contrario, con bassa crescita e alto debito e senza torchio monetario della Bce, l’unico aggiustamento possibile è quello della deflazione interna, cioè del drastico abbassamento in termini di valore reale dei salari e delle pensioni, degli attivi patrimoniali delle banche come delle imprese. Una volta che il conto salato, in termini di disoccupazione e impoverimento reale, cade sulle spalle di lavoratori, contribuenti e risparmiatori, allora essi richiameranno al dovere i politici mentitori e inadeguati, sostituendoli con politici più virtuosi. E’ un meccanismo kantiano che scommette sulla virtù e sulla saggezza, altrimenti “il giudice a Berlino” passa per brutte botte in testa ai popoli.
Siamo esattamente a questo punto. Il conto amaro si abbatte su milioni di portoghesi e spagnoli, italiani e – tra pochissimo- francesi. Perché i politici mentono e preferiscono dare la colpa al mercato o alle opposizioni, perché i sindacati resistono alle riforme, perché ciascuno dice che la colpa è di un altro. E alla fine a pagare sono imprese e lavoro, coloro che non decidono alcunché ma subiscono.
Perché il mercato scommette che l’euro salta? Perché, al momento, non ci sono segni che tedeschi e francesi – entrambi sotto elezioni nel 2012 e nel 2013 – siano pronti ad assumere alcuna delle tre decisioni diverse che ci potrebbero portare fuori dal gorgo. Dico tre non perchè siano davvero tre, il mix può essere molto ampio. Le indico solo per far capire quanto possano essere diverse.
La prima decisione è quella di cambiare con procedura d’urgenza Trattato e Statuto della Bce, mutandone la natura e inducendola a monetizzare il debito. I tedeschi non si fidano e dal loro punto di vista hanno ragione, con mercati separati è un premio a chi ha accumulato più squilibri traendo a quel punto il massimo vantaggio dall’euro. Ora molti inneggiano a questa soluzione, Giuliano Ferrara la grida ai quattro venti: la loro ricetta quasi sempre è rimanere padroni a casa propria e lotta senza paura contro il vincolo estero, tranne che poi ci deve pensare la Bce a risolvere il problema degli squilibri insostenibili. Sembrano saggi, e sono matti. La monetizzazione senza limiti del debito comunque induce i politici ad accumulare debito, tanto ci penserà una banca centrale a evitare il default. Per questo chi la pensa come noi ha sempre pensato che i freni alla monetizzazioen fossero più che giustificati, dagli andamenti della storia e dall’irresponsabilità crescente dei politici. Ha più titolo per chiedere la monetizzazione chi a quel punto abbraccia l’armonizzazione fiscale e la cessione ulteriore di sovranità a favore dell’Unione. Non mi sembra abbondino, tra i nostalgici urlatori del Cavaliere. Diciamo che è una proposta che alberga con maggior titolo a sinistra, che nella destra estrema (altro paio di maniche è la tradizione popolar-cattolica, rispeto alla quale la cessione di sovranità comporta menio problemi fin dai padri fondatori del trattato di Roma).
La seconda è una via intermedia. Senza monetizzazione integrale da parte della Bce, si potrebbe comunque formare un fondo comune in cui i diversi Paesi membri facessero confluire una quota di debito pubblico eccedente una certa soglia- diciamo il 70% – chiamandone a garanzia in parte la Bce, e in parte le stesse riserve accumulate dalla Germania grazie al fatto che tutti comprano solo i suoi Bund vendendo il resto dell’eurocarta (la fuga dei fondi monetari dalla Francia è ormai massiccia, e i tedeschi se ne avvantaggiano grazie ai loro meriti). E’ una proposta simile a quella avanzata qui in Italia da Paolo Savona. Ha il vantaggio di affriontare l’emergenza con strumenti comuni, senza pretendere però di varare in due settimane o due mesi uno schema nuovo di unificazione dei mercati e della politica e una Bce “alla FEd”: la politica non riuscirebbe mai a farlo, secondo me.
La terza proposta, fuori dai denti, è quella ancora più traumatica. Intavolare un confronto riservato su come uscirne, dall’euro. In breve – i problemi tecnici sono immensi – le ipotesi sono due. Se ad uscirne sono i Paesi eurodeboli, si troverebbero con gli attivi e passività esteri di banche e imprese che restano in euro e dollari, con quelli domestici invece in lire o franchi svalutati tra il 20 e il 40%. L’effetto sarebbe di fallimenti e disoccupazione di massa. Se invece fossero gli euroforti – Germania, Olanda e Nordeuropea - allora l’effetto sarebbe opposto, l’avvaloramento degli attivi e passivi domestici reggerebbe l’effetto del maggior valore che il marco o il N-Euro, l’euro del nord, acquisterebbe sul dollaro rispetto all’euro attuale, penalizzandone le esportazioni sì, ma non tanto da annullare il vantaggio di competitività tedesco di questi anni. Detta così sembra semplice, non lo è affatto. Ma è anche vero che senza alcuna risposta, l’esplosione è certa.
I mercati però non vedono i segni, nelle classi politiche tedesche, francesi ed europee, né della consapevolezza del rischio terribile a cui tutti siamo esposti. Né dei rimedi possibili da adottare. La Merkel non passa giorno che non dica no a ciascuna di queste diverse ipotesi. La Germania del resto ha un suo piano B. Ha un suo Lebensraum economico ottimale, che non coincide affatto con l’euroarea ma si estende all’est Europa e all’intera Scandinavia, ha una politica propria e non europea nel braccio di ferro tra yuan e dollaro, in quanto il rapporto di Berlino con la Cina è diretto e nonpassa certo né per Bruxelles né per Francoforte .Gli altri governi tacciono. I francesi con Sarkozy per grandeur non hanno capito che l’esposizione del loro sistema bancario pretendeva un rulo diverso dalla fuinzione di essere “come la Germania”.
Per questo i mercati scommettono che l’euro salterà. E per questo l’Italia deve al più presto recuperare l’autorevolezza per tornare a sedersi al tavolo europeo, come ha detto ieri Mario Monti. Non si è mai visto una carrozza trainata da un tiro a quattro in cui il passo debba essere quello del cavallo più veloce. Perché o gli altri tre cavalli crepano oppure, ancor prima, si ribalta la carrozza. Finché siamo in tempo, evitiamolo. Perché di tempo ne è rimasto veramente poco.

by oscar giannino


andrea ho scoperto la tua identità :-o
 

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MATLEY

Forumer storico
se ucg non rimbalza SUBITO e perde i 70 cent ho paura che non ci potrà salvare nemmeno jimmy il fenomeno...

allego grafo...
 

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MATLEY

Forumer storico
Crisi debito: Credit Suisse vede nero nel breve termine, rendimenti Btp potrebbero superare il 9%

(22 Novembre 2011 - 11:09)


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Sembra che siamo entrati negli ultimi giorni dell'euro come noi oggi lo conosciamo. Inizia così uno studio di Credit Suisse il cui titolo non lascia adito a dubbi: "The last days of the euro". La banca d'affari elvetica sottolinea che questo non significa che la rottura dell'eurozona sia molto probabile, ma probabilmente entro la metà di gennaio diverranno necessari interventi straordinari "per prevenire la chiusura progressiva di tutti i mercati dei titoli di stato dell'eurozona, potenzialmente accompagnata dall'escalation di attacchi speculativi anche alle banche più forti".

Credit Suisse rimarca che tale scenario può apparire eccessivamente pessimistico ma riflette l'inesorabile logica degli investitori che semplicemente non possono ritenersi sicuri su cosa stanno detenendo o acquistano sul mercato dei bond dell'eurozona. Nel breve termine la questione non può essere risolta né dalla Bce né dai nuovi governi in Grecia, Italia e Spagna. I mercati vogliono "segnali credibili" sulla forma di unione fiscale e politica molto prima che abbiano luogo le modifiche del trattato. Questo significherà per Germania e Francia mettere in atto misure più drastiche e risolutive di quanto al momento i due Paesi sono disposti a tollerare. Solo allora, secondo CS, sarà il turno della Bce di fornire "il ponte finanziario necessario per prevenire un collasso sistemico".

Il dibattito su un'unione fiscale probabilmente entrerà nel vivo già questa settimana con la presentazione da parte della Commissione Ue delle tre proposte per gli Eurobond garantiti vicendevolmente dagli stati. Proposta che fino ad oggi è stata osteggiata principalmente da Berlino. Discussione che continuerà al summit europeo del 9 dicembre.

Titoli di stato italiani e spagnoli oltre il 9%, possibili pressioni anche sui Bund
Fino a quando non si giungerà a conclusioni concrete le tensioni sui mercati si manterranno molto alte e Credit Suisse ipotizza un deciso incremento dei rendimenti dei titoli di stato. Le attese, in uno scenario di acuirsi della crisi del debito sovrano, sono pertanto di un aumento delle pressioni sui titoli di stato dei Paesi periferici e non solo. I rendimenti dei titoli di stato italiani e spagnoli sono visti da Credit Suisse salire oltre il 9%, quelli francesi al 5% e anche i Bund tedeschi potrebbero vedere i propri rendimenti salire nella fase più critica della crisi.

Possibile un sell-off simile a quello di inizio 2009, rifugio nei Treasury
Di contro i rendimenti dei titoli di stato Usa dovrebbero scendere ancora - o almeno non salire - nonostante il rafforzamento dei dati sulla congiuntura Usa nella parte finale dell'anno. Per quanto concerne i mercati azionari la previsione è di un sell-off simile a quello che caratterizzò il primo trimestre del 2009, ma di entità inferiore, fino a quanto non si perverrà a una soluzione politica della crisi.
"Il destino dell'euro sta per esser deciso - conclude il report del Credit Suisse - e la pressione per arrivare ai necessari passi in avanti sul piano politico arriverà con ogni probabilità dagli investitori alla ricerca di una protezione contro le conseguenze assolutamente catastrofiche di un collasso dell'euro"



febbraio 2012 btp al 9,02%... noi al bar lo sappiamo dall 8 novembre :-o
 

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