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Buongiorno a tutti :)! Certo che se è vero che l'ordine di abbattere il jet russo è venuto dopo aver consultato anche il premier turco si tratta proprio di una figura di cioccolata.
 

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buongiorno...mi autoquoto...

Buondi scusate ma leggo sul forum di queste banche che hanno avuto problemi..mi sapete dire quali sono che non ho capito bene? io sono con Ing Direct e We Bank...sono ok secondo voi? Cmq sul conto sono garanti i risparmi fino a 100 mila euro per correntista, 200 se il conto è cointestato. Tutto giusto? scusate ot
 
buongiorno...mi autoquoto...
buongiorno
Le istituzioni italiane, Banca d’Italia e Fondo interbancario in testa, stanno facendo una vera e propria corsa contro il tempo per tentare di salvare quattro banche prima che scattino le nuove regole europee sul “bail-in”. Questa volta a finanziare l’operazione non sarebbe lo Stato, ma il sistema bancario attraverso il Fondo di garanzia sui depositi alimentato dalle banche stesse. Il Fondo assumerebbe il controllo di Banca Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti mettendo sul piatto circa 2 miliardi di euro per la ricapitalizzazione di questi istituti, il cui futuro – “bail-in” o no – appare quantomeno nebuloso.
La scelta di spingere sull’acceleratore per evitare il nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie sembra dettata da ragioni più di ordine politico che tecnico, dato che per le categorie coinvolte non dovrebbe cambiare poi molto: gli azionisti si ritroveranno comunque con un pugno di mosche in mano e, se necessario, anche gli obbligazionisti verranno chiamati a qualche sacrificio, magari attraverso uno riscadenzamento del debito o alla trasformazione di parte di esso in capitale. Solo per i correntisti cambierebbe qualcosa: con il “bail in” potrebbero subire perdite per la parte eccedente i 100mila euro, ammesso che sia rimasto ancora qualche correntista con così tanta liquidità sul conto corrente.
Perché tanta fretta di far partire il salvataggio con le vecchie regole? Secondo l’avvocato Dario Trevisan, esperto di mercati finanziari e società quotate, con il meccanismo attuale gli azionisti, pur subendo delle perdite anche gravi, manterrebbero il loro status e avrebbero dunque la possibilità di partecipare alla ricapitalizzazione delle banche e al loro rilancio. E questo è un nodo tecnico, ma anche e soprattutto politico, perché i territori coinvolti da queste crisi bancarie hanno un tessuto imprenditoriale importante che necessita di credito per poter funzionare e crescere. Territori che non a caso chiedono da tempo un intervento e il rilancio delle banche coinvolte. Ma un futuro è davvero immaginabile per questi istituti o le attività verranno comunque cedute ad altri? Il piano di salvataggio che il Fondo interbancario sta cercando di realizzare con il sostegno delle banche e l’approvazione della Banca d’Italia prevede l’assunzione del controllo delle banche in dissesto e la successiva vendita delle attività.
Un altro aspetto, rileva Trevisan, è quello delle svalutazioni: il piano di salvataggio tradizionale permette una maggiore flessibilità, accordi di ristrutturazione e quant’altro che limitano l’impatto del dissesto di un istituto sui bilanci degli investitori e delle altre banche che hanno sottoscritto i suoi titoli. Per contro, il meccanismo del “bail-in” appare invece molto più rigido sotto questo profilo e questo spiegherebbe almeno in parte la volontà delle banche di sostenere il piano del Fondo interbancario. Ma al di là degli aspetti tecnici, resta il fatto che la procedura che prevede il “bail-in” è stata approvata anche dall’Italia e riesce difficile capire per quale ragione le istituzioni del Paese stiano facendo di tutto per non applicarla. Si teme davvero la corsa agli sportelli o c’è dell’altro?
L’Europa non vede di buon occhio l’intervento del Fondo interbancario e sono in corso da settimane negoziati con Bruxelles per arrivare all’approvazione del piano. Sarà molto difficile ottenerla, anche perché – come scrive la stessa Banca d’Italia in un documento pubblicato l’8 luglio di quest’anno – se la completa applicazione del bail-in è prevista solo a partire dal 2016, “la svalutazione o la conversione delle azioni e dei crediti subordinati, fra cui gli strumenti di capitale, sarà applicabile già da quest’anno, quando essa sia necessaria per evitare un dissesto”. Se le cose stanno così, non si capisce perché si stiano perdendo mesi nel tentativo di salvare quattro banche con una mossa che ha il sapore della vecchia “soluzione di sistema”, quando poi comunque il “bail-in” entrerà in vigore tra poche settimane con ripercussioni importanti sui costi della raccolta delle banche più fragili e di minori dimensioni, dato che i depositanti tenderanno a privilegiare gli istituti più solidi per evitare brutte sorprese.
 
22 novembre 2015
Finito il Consiglio dei ministri: arriva il decreto salva-banche. Maxi-linee di credito da Intesa, UniCredit e Ubi


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Domani, se tutto va come deve andare, sedi e filiali di Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Popolare Etruria e CariChieti, tireranno su le serrande come se fosse un giorno qualunque. Nulla cambierà per clienti e dipendenti, ma - formalmente - le banche non saranno più le stesse che hanno chiuso venerdì: al loro posto, infatti, ci saranno i nuovi istituti nati dal processo di risoluzione che dovrebbe concludersi oggi. Una giornata decisiva, in cui sono attesi, nell’ordine, il via libera dalla Commissione europea, i ritocchi legislativi sul tavolo del consiglio dei ministri - terminato alle 18.30 - le determinazioni successivamente assunte dalla Banca d’Italia, che è autorità di risoluzione e pertanto coordina il piano di salvataggio.
Come anticipato da Il Sole 24 Ore l’altroieri, il progetto ruota intorno alla creazione di quattro banche ponte, destinate a prendere il posto dei quattro istituti in crisi e interamente controllate dal Fondo di risoluzione finanziato dalle banche sane; in parallelo, i crediti deteriorati verranno attribuiti a quattro bad bank: sul tavolo c’è anche l’ipotesi di radunarle in una sola asset management company, una società veicolo in parte partecipata o garantita dallo Stato a cui potrebbero prendere parte anche operatori privati e che potrebbe essere tra i punti all’ordine del giorno del Cdm di stasera.
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Intanto tra Via Nazionale, il Mef (cui spetta l’avallo delle risoluzioni) e le quattro banche al centro del piano il lavoro prosegue a ritmi forzati: le procedure sono complesse, nuove (a dettare legge è il decreto legislativo di recepimento della direttiva Brrd, in vigore da martedì) e prevedono comunque il via libera della Commissione europea. Bruxelles, dopo essersi opposta a tutte le diverse soluzioni prospettate negli ultimi giorni, sembra invece pronta a sottoscrivere il “piano C” presentato venerdì, che non senza una certa dose di paradosso vedrà uno schema nella sostanza molto simile a quelli bocciati, gli stessi soggetti conferitori ma un esborso decisamente più elevato.
Sì, perché secondo quanto si apprende - anche se il riserbo è massimo e le cifre ancora in via di definizione - l’ammontare complessivo del piano sarebbe compreso tra i 3,5 e i 4 miliardi. Le risorse saranno anticipate al Fondo di risoluzione da due linee di credito messe a disposizione, come anticipato ieri da Il Sole, da Intesa Sanpaolo, UniCredit e Ubi: la prima, a lungo termine, verrà rimborsata nei prossimi anni quando le banche ponte e i crediti deteriorati - si spera - troveranno il modo di essere valorizzati sul mercato. La linea a breve, invece, dovrebbe essere ripianata entro fine anno; e qui si apre un altro capitolo delicato: avvalendosi di quanto espressamente previsto dal decreto pubblicato lunedì, l’intenzione sarebbe quella di chiedere entro fine anno alle 208 banche del sistema non-bcc non solo i 500 milioni di contributi per il fondo di risoluzione previsti per il 2015, ma anche tre annualità straordinarie, per un totale di circa 2 miliardi. L’ipotesi, se praticata, consentirà al Fondo di risoluzione di ripagare i 2 miliardi di linea di credito a breve termine, ma al tempo stesso questo esborso si tradurrà in una perdita in conto economico per le banche decisamente superiore a quanto inizialmente previsto.
Come noto, dal primo trimestre 2015 le banche italiane hanno avviato gli accantonamenti per i due fondi di tutela previsti dal nuovo ordinamento (Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha accantonato 95 milioni al 30 settembre per il solo fondo di risoluzione, UniCredit invece 306 milioni a livello di gruppo per entrambi i fondi al 30 giugno scorso), tuttavia se il piano dovesse andare in porto le cifre andrebbero moltiplicate per quattro, a valere sui bilanci di questo esercizio. Un onere non da poco, che - secondo rumor dei giorni scorsi - potrebbe essere alleviato da un intervento a livello fiscale.
Varato il salvataggio, si aprirà la fase di rimessa in carreggiata delle quattro banche. Un’altra scommessa non irrilevante, considerato che per oltre due anni - per lo meno nei casi di Banca Marche e Cassa Ferrara - i commissari delle quattro banche hanno tentato invano di trovare un compratore o di avviare soluzioni alternative. È così che c’è già chi si spinge a ipotizzare fusioni o “spezzatini”, ma è prematuro: tutto dipenderà dalle decisioni dell’autorità di risoluzione e, soprattutto, dall’epilogo della giornata di oggi. Finché non ci sarà il triplo via libera - Commissione europea, Consiglio dei ministri e Autorità di risoluzione - il piano di salvataggio rimane sulla carta.
 
Fmi: “Banche europee, pericolo da 900 miliardi”

24 novembre 2015, di Laura Naka Antonelli
ROMA (WSI) – Per le banche europee, il pericolo è serio e porta il nome di crediti non performanti (NPL). E’ l’alert che arriva dall’Fmi, in particolare da Jose Vinals, numero uno del dipartimento dei Mercati monetari e dei capitali presso il Fondo Monetario Internazionale.
Vinals incita l’Europa ad adottare “un’azione decisiva” per affrontare il problema dei crediti non performanti, che ammontano al valore di 900 miliardi di euro.
In un’intervista rilasciata all’emittente Cnbc , Vinals sottolinea che, sebbene diverse cose importanti siano state fatte in Europa, e in particolare nell’Eurozona, è necessario comunque agire con maggiore determinazione per risolvere la questione dei “bad loans” delle banche.
Il problema è diffuso soprattutto nei sistemi bancari dei paesi del sud Europa, come Italia, Portogallo, Spagna e Grecia.
Precisamente, si ricorda che il processo di revisione compiuto dalla Bce nell’ottobre del 2014 che ha avuto per oggetto 130 banche dell’Eurozona – processo noto come Asset Quality Review – ha rilevato che l’ammontare dei bad loans è stato pari a 871,1 miliardi di euro, dunque quasi 900 miliardi.
I suoi commenti, scrive il sito Cnbc, arrivano proprio in un momento in cui l’Italia sta valutando la creazione di una “bad bank“, al fine di ripulire il suo sistema bancario, oberato da crediti non performanti che, per l’Fmi, ammontano a 330 miliardi di euro. Sui pericoli di recessione, Vinals sottolinea che i rischi rimangono.
Quello a cui assistiamo è una ripresa globale che è modesta e sbilanciata e che sta facendo lievemente meglio nelle economie avanzate, incluse l’Eurozona e l’Unione europea, ma che non è una ripresa vigorosa..e i mercati emergenti stanno perdendo forza
 
Buongiorno a tutti :)! Anche oggi tentativo di sfondamento di 114 :up:. Dai che ce la fai, ce la fai, ce la fai...non ce la fa, non cela fa...
 

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